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Ataru Moroboshii

Episodi visti: 12/12 --- Voto 8
"Angolmois: Record of Mongol Invasion", è un anime che tratta di medioevo giapponese in modo atipico. L'opera è storicamente accurata benchè non ricopra tutta la prima invasione mongola, ma soltanto la battaglia dell'isola di Tsushima in cui poche centinaia di samurai giapponesi vendettero cara la pelle contro il corpo di spedizione di 30000 mila uomini inviati dal gran Khan. Tratta di un'epoca precedente alle molto più conosciute e trasposte epoche Sengoku ed Edo, si possono notare alcune piccole differenze culturali e di armamento in merito. La serie prova ad essere realistica, per cui non vedremo demoni, maledizioni, o improbabili tecniche Ninja, al massimo qualche sporadica inquadratura con movimenti e salti un pò troppo ampli che ricordano molto i Wuxia cinesi, scelta che non comprendo visto il resto dell'anime improntato al realismo.

L'ultima caratteristica che lo rende diverso da altri titoli storici è l'assoluta centralità della guerra nella narrazione, gran parte dei personaggi con più visibilità sono infatti i capi militari giapponesi e quelli mongoli e l'anime si concentra su di loro enfatizzando il loro ruolo di comandanti militari, di leader, di guerrieri e di tattici, più che scavando nel loro lato umano. Persino la relazione romantica omnipresente in questi titoli è ridotta ad una sottotrama comica.
Se da un lato lo sviluppo caratteriale dei personaggi lascia a desiderare, dall'altra si porta attenzione ad ogni aspetto della battaglia: la cartografia, il morale, le provviste, l'esplorazione, il bottino di guerra (anche umano), l'utilizzo del folklore ai propri scopi e l'uso delle sortite.

Le differenze fra i due schieramenti sono ben marcate, da una parte i giapponesi che pur non essendo molto omogenei riescono a combattere e muoversi assieme, dall'altra le truppe del gran Khan, una vasta massa eterogenea di soldati provenienti da Cina, Mongolia, Corea e da altri popoli delle steppe asiatiche, ognuna con la sua lingua, le sue armi e i suoi comandanti spesso in competizione fra di loro. Sempre razionalmente i giapponesi fanno le scelte di chi sta difendendo la sua casa fino all'ultimo, mentre gli stranieri sono più attratti dal fare bottino in quell'isola senza rischiare troppo.

Fra i difetti dell'anime c'è sicuramente il personaggio della coprotagonista, una principessa tsundere odiosa in ogni sua azione che però misteriosamente riesce ad utilizzare un arco come un uomo anche con una spalla ferita, particolare un po' fuori posto visto gli standard dell'anime.
Anche il protagonista Jinzaburo non è esente da pecche, i suoi discorsi motivazionali hanno ben poco logica. A parte un paio di personaggi che sembrano usciti da un battle shounen, il resto del cast secondario convince: menzione speciale agli esiliati da Kamakura e al capitano del contingente mongolo, dall'aspetto tutt'altro che guerriero ma dall'intelletto fine, fisicamente sembrerebbe una citazione al condottiero Subotai.

Il difetto più grave è sul finale, dove deux ex machina e scogliere che appaiono dove non dovrebbero esserci procurano un finale che profuma molto di pilotato. Il prologo che non combacia con l'ultimo episodio fa intendere un possibile seguito con la seconda invasione mongola, seguito che dato l'insuccesso dell'anime non credo ci sarà.

Dal punto di vista tecnico abbiamo una regia abbastanza buona, ma un budget per le animazioni risicato visto che specie negli ultimi episodi, quando si combatte non si parla, e quando si parla si smette di combattere, segno che non si riusciva a gestire entrambe le cose. Esperimento fallito per me anche quello del filtro "antichità", una sorta di impurità nell'immagine che simula una pergamena e che filtra ogni sequenza: la resa è scarsa in notturna e addirittura fastidiosa quando ci sono movimenti laterali di camera.
Per il resto è una buona serie da consigliare a chi vuole vedere un medioevo giapponese crudo e realistico.


 1
Shiho Miyano

Episodi visti: 12/12 --- Voto 8
“Angolmois: Record of Mongol Invasion”, adattamento dell’omonimo manga di Tadataka Kawasaki, è una serie anime di ambientazione storica e composta da dodici episodi. Prodotta dallo studio NAZ é andata in onda nell’estate 2018.
Il tempo è l’autunno del 1274, il teatro dell’azione è l’isola di Tsushima nello stretto di Corea, i protagonisti della vicenda sono un gruppo di uomini condannati all’esilio e trasportati via mare da Kamakura. Sull’isola questo gruppo eterogeneo si troverà ad affrontare una battaglia per la sopravvivenza combattendo al servizio degli isolani, all’inizio sicuramente controvoglia, contro le truppe mongole che danno il via, proprio da Tsushima, a un assalto per la conquista del Giappone. Dodici episodi per raccontare gli avvenimenti di una manciata di tragici e concitati giorni.

Fra gli esiliati c’è il protagonista: Kuchii Jinzaburo, un samurai che era vassallo dello shogun di Kamakura e che si ritrova ad essere esiliato a seguito di un incidente che verrà spiegato nel corso della serie. È un uomo capace, intelligente e rude, il suo aspetto è rozzo (e glielo faranno ripetutamente notare) ma è un guerriero esperto e addestrato e intorno a lui si muovono una serie di personaggi ben caratterizzati e, nel complesso, gradevoli. La sola eccezione è quella di Teruhi, principessa di Tsushima, che non si capisce bene se debba fornire un intermezzo comico o una sottotrama romantica, fallendo, secondo me, in entrambi i casi. La caratterizzazione dei personaggi è in generale ben fatta, almeno per quello che riguarda gli esuli e gli isolani, rimangono invece un un po’ nell’ombra i mongoli , almeno fino alle battute finali.
Dire di più sui personaggi sarebbe difficile senza eccedere con gli spoiler. Meglio, quindi, commentare altri aspetti: mi sembra che la caratteristica migliore sia il tono equilibrato utilizzato per parlare della guerra. La serie illustra come non ci sia solo l’aspetto “epico” della guerra, non solo cioè l’adrenalina della battaglia, ma anche profughi stremati in cerca di un riparo, feriti che devono essere trasportati e assistiti in condizioni precarie, uomini, donne e bambini affamati. Sono portati sotto gli occhi dello spettatore anche i boschi, le coltivazioni e gli edifici distrutti dal fuoco, i morti da seppellire. Non viene nascosto come ogni esercito sia formato da predoni in cerca di “premi di guerra”: preziosi e donne, principalmente. C’è parecchio sangue, tanti sono modi di morire e non sono belli da vedere, ma il sangue non è qui pornografia della violenza, è documento, testimonianza, è mostrato senza compiacimento. Jinzaburo e gli altri personaggi sono immersi in questo mondo crudele, non sottovalutano cosa sia la guerra, ma non l’esaltano e, ho molto apprezzato, sono comunque lontani da una sensibilità moderna, lontani da ogni tentazione “pacifista/buonista” che avrebbe costituito una stonatura dal punto di vista storico.
Altro aspetto che è efficacemente illustrato è come i comandanti (di entrambi gli opponenti) guidino le truppe usando l’astuzia e l’inganno nei confronti dei sottoposti, andando a far leva non solo su nobili sentimenti ma anche sull’avidità e sulla superstizione. I personaggi si muovono in un mondo adulto, e le loro contraddizioni e debolezze emergono bene, i confini fra bene e male non sono mai netti.

Il character design mi è piaciuto molto, le animazioni non sono sempre all’altezza, mentre gli sfondi sono belli. Un elemento grafico su cui non sono riuscita a farmi un’idea definitiva è quella del filtro utilizzato: c’è un filtro che sembra riprodurre della carta martellata ed è costantemente presente. Da un lato non mi spiace perché dà una sorta di “patina” di antico che ben si sposa con l’ambientazione storica, dall’altra dà un po’ il “mal di mare” perché le animazioni si muovono su uno sfondo che rimane fisso e a volte disturba un po’, soprattutto nelle scene in notturna. La OST è efficace e decisamente belle sono sia l’opening che l’ending.

In definitiva, credo che il voto obiettivo potrebbe essere un 7,5, ma Jinzaburo è un uomo che per comprendere come muoversi traccia (o si fa tracciare) mappe dei territori per terra e, data la mia passione per la cartografia, non posso non aggiungere un mezzo punto per la simpatia: quindi 8 per questa serie.

Un’ultima nota la merita al bizzarro termine “Angolmois” contenuto nel titolo: non deriva dalla cultura nipponica, ma è citato in una delle quartine delle centurie di Nostradamus, una di quelle che viene più spesso citata per assicurare che il “profeta” francese avesse predetto qualcosa: il “grand Roy d'Angolmois” è di volta in volta individuato in un “re d’Angoulême”, o un re “inglese”, un re “angloamericano” con riferimento alla guerra del Kosovo, ma non manca chi è riuscito a riferire l’espressione ad Al Gore, alle bombe nucleari, ad una meteora o, ancora, agli aerei delle stragi dell’11 settembre 2001. Kawasaki sposa la lezione che si tratti di una sorta di anagramma del termine “Mongolais”, abitanti della Mongolia.