Dragon Quest: The Adventure of Dai
Avendo di fronte quest’opera i detti e le frasi di circostanza sui desideri più improbabili, ma che alla fine si avverano, si sprecherebbero senza dubbio. Fatto sta che, poco più di 30 anni dopo l’inizio della serie manga originale, "Dragon Quest – Dai no Daibouken" ha avuto la sua trasposizione animata completa.
Viene dunque superata e consegnata alle cronache la oramai vecchia serie anime partita non molto più tardi del manga stesso e che alla fine adattava solamente una parte, quella iniziale, più o meno un quarto di tutta la storia.
Spazio quindi a "Dragon Quest – L’avventura di Dai" come definitiva trasposizione dello shounen manga realizzato da Riku Sanjou, Yuji Horii con anche la collaborazione del maestro Toriyama e di tutto il team da sempre all’opera sul brand di Dragon Quest.
“Avventura” è proprio la parola emblematica che caratterizza tutta l’opera. Perfettamente calzante a quelli che sono i canoni e gli stilemi del più classico degli JRPG (giochi di ruolo alla giapponese, diciamo), vediamo il giovane Dai che da allegro bambino naufragato su un’isola popolata da pacifici mostri e da loro adottato, intraprenderà un viaggio insieme a coraggiosi e fidati compagni che lo porterà fino a sfidare il sovrano delle tenebre in una battaglia per il destino del mondo.
L’ “avventura” è bella, epica e anche affascinante, ma tale è proprio perché ci sono gli avventurieri che vi si lanciano. Al di là di battaglie, eventi e climax vari è con tutta evidenza la componente dei personaggi che dà la forza all’opera e la fa volare alto. Ma ciò avviene perché l’avventura è di Dai nel nome, ma in realtà si compone di un intreccio di tutta una serie di avventure personali che insieme vanno avanti, si incontrano, si scontrano, crescono, eccome se crescono, e poi trovano il loro epilogo.
C’è il buon Dai, eroe positivo e protagonista designato, che da impacciato moccioso diventa il temerario trascinatore che “dovrà sfidare un grande impero” (se ricordiamo la sigla italiana della vecchia serie), che al tempo stesso è frontman e figura un po’ sfumata come quando al momento di evocare le “cinque luci” la sua rimane la più misteriosa e identificata con una generica “purezza”. C’è soprattutto il grande Popp, a detta di molti il vero eroe della serie, forse perché nel gruppo dei talentuosi è quello dalle reazioni e dalle fragilità più tipiche dell’essere umano (potente questo elemento durante la battaglia finale) ma anche perché è lui a raccogliere in definitiva il ruolo dell’eroe dello shounen che partendo dal livello base arriva al top dopo una lunga crescita, tra cadute, allenamenti, sconfitte, miracolosi recuperi e potenziamenti. Abbiamo anche Hyunckel, che ha ruolo di quello che è passato al lato oscuro ma che poi ritorna il quello luminoso per riscattare il suo passato. La lista, insomma, si farebbe lunga assai e quasi sembrerebbe un torto glissare rapidamente sui vari Maam, Avan, Leona, Crocodyne, Lon Berk (ebbene vedremo anche lui), Matoriv, Chu, Gome-chan… insomma, ci siamo capiti.
Ciò che era molto positivo nel manga, e che è stato pedissequamente riportato anche in questa versione animata, è che la storia non lascia nessuno per strada, come invece è brutto vizio per tante storie, anche famosissime, dei tempi di oggi che pure all’Avventura di Dai devono molto. Starà quindi allo spettatore tenere sempre d’occhio chiunque entri in scena e interagisca con il gruppo dei protagonisti, perché pur se non lo si vede più da molto tempo al momento più importante potrebbe tornare in scena e risultare, a suo modo, decisivo.
Riagganciandoci però al discorso sui protagonisti dobbiamo almeno spendere qualche rigo anche sul gruppo degli antagonisti che, come il famoso yin-yang, completa l’armonia d’insieme di tutto il cast, del resto se c’è luce deve esserci anche la tenebra o il mondo non si completerebbe.
Alla luce dei fatti quindi, la scuderia dei malvagi non è certo inferiore o meno privo di dignità rispetto a quello degli eroi. Emblema di questo aspetto è la figura di Hadler, il comandante sul campo dell’esercito demoniaco, che da principale arcigna nemesi di Avan prima, e di Dai poi, attraversa anch’egli una strada di caduta e risalita che lo porta a diventare un rivale (quasi sportivo) munito di un suo orgoglio di combattente. Non di meno vanno citati, vere e proprie new entry, anche la pattuglia dei guerrieri di Oliargon comandata dallo stesso Hadler e soprattutto il vero re delle Tenebre Vearn, cattivone assai malvagio quanto carismatico e affascinante che ora apparirà in tutta la sua presenza e potenza. Davvero non si comprende come non sia stato rievocato e richiamato in qualche occasione tra le migliori nemesi delle opere di Shueisha.
Aggiornato ai tempi attuali il comparto tecnico, si nota quasi da subito, e ancora di più con l’andare degli episodi quando la situazione lo richiede, come lo staff della Toei abbia profuso un grande impegno nella produzione. Difficile infatti trovare disegni brutti o approssimativi. I colori sono in generale sempre ben vividi e molto accesi ma anche adeguatamente cupi e scuri, e per certi versi solenni, quando la situazione lo richiede.
Sul lato delle animazioni, ogni sequenza è realizzata in modo curato e apprezzabile specialmente per quanto riguarda le fasi di combattimento come è lecito aspettarsi da questo tipo di opere. In generale però a emergere è la cura complessiva con cui si vede che l’anime è stato realizzato, dai disegni alla regia che, con il supporto di una colonna sonora a tratti sontuosa, ci regala in varie occasioni delle sequenze di grande effetto.
“Fedeltà” è invece la parola che viene spontanea nel descrivere la serie nell’ottica della trasposizione dal manga originale. Fatta salva una certa e decisa opera di sintesi e snellimento rispetto alla vecchia serie (46 episodi avevano adattato circa un terzo della storia mentre qui siamo arrivati alla soglia dei cento) con la rivisitazione di alcune parti molto secondarie, si può dire che tutte le pagine del manga sono state animate in modo pedissequo. Tutto ciò è ovviamente molto apprezzabile. Peccato solo che, per via della recente ondata neobigottista e egualitaria nei generi, molte delle sequenze ecchi (da Eremita della Tartaruga diciamo…) che davano pepe e andavano assai in voga ai tempi della pubblicazione del manga sono state sacrificate sull’altare del grande pubblico e del perbenismo.
Nota di merito finale per il cast di doppiaggio che offre un vivace e affiatato mix tra nomi di punta dello scenario attuale come la Saori Hayami (Leona), Yuuki Kaji (Hyunkel), Mikako Komatsu (Maam), ovviamente rimarcando una superba prestazione di Toshiyuki Toyonaga che dà lustro ulteriore al ruolo di Popp, oltre poi a nomi oramai affermati da più tempo come Tomokazu Seki per Hadler, Takahiro Sakurai per Avan, Akira Ishida per il cavaliere Larhalt o anche Yukari Tamura (Albinass), fino a giungere a super veterani come Tesshou Genda o anche di Ryuusei Nakano che con questo ampio roster di personaggi ottengono dei ruoli e neanche tanto secondari.
Una pecca, se così possiamo dirla, risiede nella scelta di adattamento dei sottotitoli ufficiali dove per le formule è stato scelto l’adattamento occidentale delle formule magiche. A parte il fatto che, tanto per fare un esempio fra molti, sentir urlare per lanciare un “Vegiragon!” e leggere più sotto “Baboom!” fa strano assai, così pronunciato il nome di uno degli incantesimi più devastanti su piazza tanto temibile non è.
L’avventura di Dai è un’opera importante sotto più di un aspetto. Da un lato per la mole della stessa con cento episodi di durata che non si vedono di frequente al giorno d’oggi, dall’altro perché rende giustizia a un grande classico del manga per ragazzi che in patria ha lasciato il segno (meno ahinoi in occidente) e da un altro ancora perché è uno sforzo produttivo non indifferente.
Il suo grande e miglior pregio, ovvero quello di andare in un costante crescendo alla distanza, se vogliamo è anche il suo principale limite perché occorrerà tempo affinché la storia entri nella sua parte viva e fino a lì c’è il rischio che lo spettatore più frettoloso si possa spazientire.
Vederlo (ad anni di distanza dall’ultima lettura del manga) è stato come rifare un viaggio, non catartico come può essere stato Naruto, a tratti anche faticoso, ma alla fine sicuramente appagante. Una grande avventura, insomma.
Viene dunque superata e consegnata alle cronache la oramai vecchia serie anime partita non molto più tardi del manga stesso e che alla fine adattava solamente una parte, quella iniziale, più o meno un quarto di tutta la storia.
Spazio quindi a "Dragon Quest – L’avventura di Dai" come definitiva trasposizione dello shounen manga realizzato da Riku Sanjou, Yuji Horii con anche la collaborazione del maestro Toriyama e di tutto il team da sempre all’opera sul brand di Dragon Quest.
“Avventura” è proprio la parola emblematica che caratterizza tutta l’opera. Perfettamente calzante a quelli che sono i canoni e gli stilemi del più classico degli JRPG (giochi di ruolo alla giapponese, diciamo), vediamo il giovane Dai che da allegro bambino naufragato su un’isola popolata da pacifici mostri e da loro adottato, intraprenderà un viaggio insieme a coraggiosi e fidati compagni che lo porterà fino a sfidare il sovrano delle tenebre in una battaglia per il destino del mondo.
L’ “avventura” è bella, epica e anche affascinante, ma tale è proprio perché ci sono gli avventurieri che vi si lanciano. Al di là di battaglie, eventi e climax vari è con tutta evidenza la componente dei personaggi che dà la forza all’opera e la fa volare alto. Ma ciò avviene perché l’avventura è di Dai nel nome, ma in realtà si compone di un intreccio di tutta una serie di avventure personali che insieme vanno avanti, si incontrano, si scontrano, crescono, eccome se crescono, e poi trovano il loro epilogo.
C’è il buon Dai, eroe positivo e protagonista designato, che da impacciato moccioso diventa il temerario trascinatore che “dovrà sfidare un grande impero” (se ricordiamo la sigla italiana della vecchia serie), che al tempo stesso è frontman e figura un po’ sfumata come quando al momento di evocare le “cinque luci” la sua rimane la più misteriosa e identificata con una generica “purezza”. C’è soprattutto il grande Popp, a detta di molti il vero eroe della serie, forse perché nel gruppo dei talentuosi è quello dalle reazioni e dalle fragilità più tipiche dell’essere umano (potente questo elemento durante la battaglia finale) ma anche perché è lui a raccogliere in definitiva il ruolo dell’eroe dello shounen che partendo dal livello base arriva al top dopo una lunga crescita, tra cadute, allenamenti, sconfitte, miracolosi recuperi e potenziamenti. Abbiamo anche Hyunckel, che ha ruolo di quello che è passato al lato oscuro ma che poi ritorna il quello luminoso per riscattare il suo passato. La lista, insomma, si farebbe lunga assai e quasi sembrerebbe un torto glissare rapidamente sui vari Maam, Avan, Leona, Crocodyne, Lon Berk (ebbene vedremo anche lui), Matoriv, Chu, Gome-chan… insomma, ci siamo capiti.
Ciò che era molto positivo nel manga, e che è stato pedissequamente riportato anche in questa versione animata, è che la storia non lascia nessuno per strada, come invece è brutto vizio per tante storie, anche famosissime, dei tempi di oggi che pure all’Avventura di Dai devono molto. Starà quindi allo spettatore tenere sempre d’occhio chiunque entri in scena e interagisca con il gruppo dei protagonisti, perché pur se non lo si vede più da molto tempo al momento più importante potrebbe tornare in scena e risultare, a suo modo, decisivo.
Riagganciandoci però al discorso sui protagonisti dobbiamo almeno spendere qualche rigo anche sul gruppo degli antagonisti che, come il famoso yin-yang, completa l’armonia d’insieme di tutto il cast, del resto se c’è luce deve esserci anche la tenebra o il mondo non si completerebbe.
Alla luce dei fatti quindi, la scuderia dei malvagi non è certo inferiore o meno privo di dignità rispetto a quello degli eroi. Emblema di questo aspetto è la figura di Hadler, il comandante sul campo dell’esercito demoniaco, che da principale arcigna nemesi di Avan prima, e di Dai poi, attraversa anch’egli una strada di caduta e risalita che lo porta a diventare un rivale (quasi sportivo) munito di un suo orgoglio di combattente. Non di meno vanno citati, vere e proprie new entry, anche la pattuglia dei guerrieri di Oliargon comandata dallo stesso Hadler e soprattutto il vero re delle Tenebre Vearn, cattivone assai malvagio quanto carismatico e affascinante che ora apparirà in tutta la sua presenza e potenza. Davvero non si comprende come non sia stato rievocato e richiamato in qualche occasione tra le migliori nemesi delle opere di Shueisha.
Aggiornato ai tempi attuali il comparto tecnico, si nota quasi da subito, e ancora di più con l’andare degli episodi quando la situazione lo richiede, come lo staff della Toei abbia profuso un grande impegno nella produzione. Difficile infatti trovare disegni brutti o approssimativi. I colori sono in generale sempre ben vividi e molto accesi ma anche adeguatamente cupi e scuri, e per certi versi solenni, quando la situazione lo richiede.
Sul lato delle animazioni, ogni sequenza è realizzata in modo curato e apprezzabile specialmente per quanto riguarda le fasi di combattimento come è lecito aspettarsi da questo tipo di opere. In generale però a emergere è la cura complessiva con cui si vede che l’anime è stato realizzato, dai disegni alla regia che, con il supporto di una colonna sonora a tratti sontuosa, ci regala in varie occasioni delle sequenze di grande effetto.
“Fedeltà” è invece la parola che viene spontanea nel descrivere la serie nell’ottica della trasposizione dal manga originale. Fatta salva una certa e decisa opera di sintesi e snellimento rispetto alla vecchia serie (46 episodi avevano adattato circa un terzo della storia mentre qui siamo arrivati alla soglia dei cento) con la rivisitazione di alcune parti molto secondarie, si può dire che tutte le pagine del manga sono state animate in modo pedissequo. Tutto ciò è ovviamente molto apprezzabile. Peccato solo che, per via della recente ondata neobigottista e egualitaria nei generi, molte delle sequenze ecchi (da Eremita della Tartaruga diciamo…) che davano pepe e andavano assai in voga ai tempi della pubblicazione del manga sono state sacrificate sull’altare del grande pubblico e del perbenismo.
Nota di merito finale per il cast di doppiaggio che offre un vivace e affiatato mix tra nomi di punta dello scenario attuale come la Saori Hayami (Leona), Yuuki Kaji (Hyunkel), Mikako Komatsu (Maam), ovviamente rimarcando una superba prestazione di Toshiyuki Toyonaga che dà lustro ulteriore al ruolo di Popp, oltre poi a nomi oramai affermati da più tempo come Tomokazu Seki per Hadler, Takahiro Sakurai per Avan, Akira Ishida per il cavaliere Larhalt o anche Yukari Tamura (Albinass), fino a giungere a super veterani come Tesshou Genda o anche di Ryuusei Nakano che con questo ampio roster di personaggi ottengono dei ruoli e neanche tanto secondari.
Una pecca, se così possiamo dirla, risiede nella scelta di adattamento dei sottotitoli ufficiali dove per le formule è stato scelto l’adattamento occidentale delle formule magiche. A parte il fatto che, tanto per fare un esempio fra molti, sentir urlare per lanciare un “Vegiragon!” e leggere più sotto “Baboom!” fa strano assai, così pronunciato il nome di uno degli incantesimi più devastanti su piazza tanto temibile non è.
L’avventura di Dai è un’opera importante sotto più di un aspetto. Da un lato per la mole della stessa con cento episodi di durata che non si vedono di frequente al giorno d’oggi, dall’altro perché rende giustizia a un grande classico del manga per ragazzi che in patria ha lasciato il segno (meno ahinoi in occidente) e da un altro ancora perché è uno sforzo produttivo non indifferente.
Il suo grande e miglior pregio, ovvero quello di andare in un costante crescendo alla distanza, se vogliamo è anche il suo principale limite perché occorrerà tempo affinché la storia entri nella sua parte viva e fino a lì c’è il rischio che lo spettatore più frettoloso si possa spazientire.
Vederlo (ad anni di distanza dall’ultima lettura del manga) è stato come rifare un viaggio, non catartico come può essere stato Naruto, a tratti anche faticoso, ma alla fine sicuramente appagante. Una grande avventura, insomma.
"L'anime di Jojo, il remake di Sailor Moon, la nuova serie di Saint Seiya, la nuova serie di Digimon Adventure, la nuova serie di Dragon Ball... ora fatemi un nuovo Kinnikuman, un nuovo Otoko Juku e un remake di Dragon Quest: Dai no daibouken, per cortesia"
Così scrivevo su Facebook in un aprile 2015 che sembra ormai una vita fa. E chi me lo doveva dire che dei tre remake che chiedevo sarebbe poi arrivato quello a cui sì, tenevo di più, ma che mi sembrava anche il più improbabile?
Non ci credevo io così come probabilmente non ci credevano nemmeno i giapponesi, che nel settembre del 1992 erano rimasti orfani del primo adattamento animato di "Dragon Quest: Dai no daibouken" (da qui in poi riportato col titolo internazionale "Dragon Quest: The adventure of Dai" per comodità). Il vecchio anime, andato in onda tra il 1991 e il 1992 su TBS, adatta solo 10 dei 37 volumi del manga firmato da Riku Sanjo (storia) e Koji Inada (disegni) per Shueisha tra il 1989 e il 1997, prima di venire cancellato in seguito a una riorganizzazione del palinsesto che abolisce la fascia anime per far spazio a un varietà. Una ferita che è rimasta aperta per molto tempo, dato che la storia si fermava sul più bello con un finale posticcio che rendeva impossibile continuarla in maniera fedele al manga, nonostante la possibilità di vedere il continuo della storia su carta.
"Dragon Quest: The adventure of Dai" è stato negli anni novanta uno dei padri dello shounen manga moderno. Figlio diretto di Dragon Ball, ha settato praticamente tutto lo schema degli shounen fantasy d'azione/avventura dei decenni a venire e creato archetipi riutilizzati un po' ovunque (da Naruto a Magi, passando per One Piece), con una serializzazione quasi decennale, 47 milioni di copie vendute e un nome importante, quello della saga di giochi di ruolo giapponesi per antonomasia, da cui The adventure of Dai riprende mostri, magie e termini pur senza adattare nessun videogioco in particolare, che ha fatto sì la serie non venisse dimenticata nel corso degli anni, con i personaggi a fare camei in giochi per cellulare più moderni e diverse magie o tecniche create appositamente per il manga che poi sono state introdotte in maniera più o meno ufficiale nei giochi.
Il legame di The adventure of Dai con la saga di Dragon Quest era però un'arma a doppio taglio: perché mai avrebbero dovuto fare un nuovo anime di The adventure of Dai, un vecchio manga di Dragon Quest di venticinque anni fa, invece di fare un anime basato ad esempio sugli amatissimi Dragon Quest IV o V (poi l'hanno fatto, il film in CGI Dragon Quest: Your Story), su Dragon Quest VIII (il primo episodio interamente poligonale della saga) o su Dragon Quest XI (il gioco più recente)?
Non ci credeva nessuno, invece alla Jump Festa del 2019 è arrivato totalmente a sorpresa l'annuncio di Toei Animation: un remake animato di "Dragon Quest: The adventure of Dai" sarebbe stato trasmesso su Tv Tokyo a partire da ottobre 2020.
I dieci mesi d'attesa tra dicembre 2019 e ottobre 2020 sono sembrati infiniti, anche perché di mezzo c'è stata una certa brutta cosa che ha sfalsato le nostre percezioni temporali e ha fatto sì che il remake di "Dragon Quest: The adventure of Dai" fosse praticamente l'unica cosa buona dell'anno, ma si è capito sin da subito che sarebbe stato un progetto ben diverso da molti altri remake o adattamenti di vecchi manga che lo hanno preceduto e che sono stati realizzati un po' alla carlona, saltando di palo in frasca e tagliando intere porzioni di trama importanti per far rientrare storie di 30-40 volumi in 20-30 episodi, col risultato che non ci si capiva granché senza aver letto il manga (sto guardando malissimo voi, Hoshin Engi e Karakuri Circus).
L'anime, ci è stato detto durante un lunghissimo evento live tenutosi il 27 maggio (il "Giorno di Dragon Quest" in Giappone) 2020, sarebbe stata solo la punta dell'iceberg di un rilancio totale di The adventure of Dai, che avrebbe compreso anche una nuova edizione Kanzenban del manga, un paio di nuovi manga spin off, un gioco di carte, ben tre videogiochi (un gioco di carte arcade, un gioco per cellulare e un action RPG per console), una collezione in blu-ray del vecchio anime e dei tre film anni novanta, un nuovo fanbook (anche in edizione di super lusso), un romanzo, collaborazioni con marchi di abbigliamento e altre serie di videogiochi e altro infinito merchandise di vario tipo, con aziende come la Takara/Tomy a produrre giocattoli, peluche e gadgets vari, la Square-Enix a dedicarsi allo sviluppo dei videogiochi e la Shueisha, tramite la sua rivista di videogiochi V-Jump, dei manga.
L'evento, durato ben quattro ore, ha mostrato anche un primo trailer nonché ha presentato il regista, Kazuya Karasawa, e il cast dei doppiatori dei personaggi principali, a cui sono state fatte lunghe interviste. È la prima di una lunghissima serie di live, circa un centinaio, mostrate sul canale Youtube di V-Jump prima, durante e dopo la trasmissione dell'anime, col redattore di V-Jump coadiuvato dal regista o da questo o quel doppiatore a presentare i nuovi gadget, a commentare l'episodio immediatamente dopo la sua trasmissione TV, a presentare effettivamente i dietro le quinte del lavoro del regista che mostrava storyboard e filmati con le animazioni di prova e chi più ne ha più ne metta. Sono poi stati fatti un grande evento live per celebrare il primo anno di trasmissione e un ulteriore evento, con tanto di proiezione degli ultimi 4 episodi in un cinema di Shinjuku, per festeggiare la fine dell'anime, a cui nel frattempo è stata dedicata anche una mostra itinerante in continuo aggiornamento che ha già toccato Tokyo e Nagoya e si appresta a debuttare a Osaka.
L'amore di tutto lo staff nei confronti di The adventure of Dai è sempre stato palpabilissimo: dal regista Karasawa che non vedeva l'ora di conoscere gli sviluppi futuri e si tuffava avidamente fra le pagine del manga ai doppiatori Toshiyuki Toyonaga (Pop) e Yuki Kaji (Hyunkel) che sono super fan di vecchia data della serie e ogni settimana commentavano l'episodio su Twitter rifacendo i dialoghi dei loro personaggi, passando per gli animatori delle varie puntate che ogni settimana lasciavano su Twitter un disegno celebrativo. E non è mancato l'amore dei fan, perlomeno in Giappone, dove il nuovo anime ha rinverdito la produzione di gadget, ha fatto esplodere il numero delle fanart, dei disegni celebrativi, dei commenti agli episodi sui social, delle parodie ("Hitler reagisce all'hacking della Toei" su tutte) e ha fatto venire alla luce vecchie interviste agli autori con dettagli sulla serie di cui per anni nessuno era a conoscenza.
Al punto che la settimana dopo la conclusione della serie, col centesimo episodio trasmesso nell'ottobre del 2022, tra gli hashtag in tendenza su Twitter giapponese è apparso anche "Dai episodio 101", con i fan che si dichiaravano dispiaciutissimi per la fine della serie e lasciavano commenti falsi citando cose shock accadute nel fantomatico episodio 101 che in realtà non esiste, ma anche con lo stesso staff della serie, come il regista Karasawa e il compositore delle musiche Yuki Hayashi che si ringraziavano su Twitter per il lavoro svolto, speranzosi di ritrovarsi a lavorare ancora insieme sull'adattamento anime del prequel attualmente pubblicato su V-Jump o della "saga del mondo demoniaco", il sequel inizialmente previsto per il manga e poi sfortunatamaente abortito per via delle precarie condizioni di salute del disegnatore Inada.
Tra i tantissimi remake di vecchi adattamenti incompleti o adattamenti animati di vecchi manga, si può tranquillamente dire che, insieme a quello di JoJo della David Production, questo The adventure of Dai del 2020 sia il migliore mai realizzato. I 100 (più un riassuntivo extra trascurabile, ma ci torniamo dopo) episodi della serie adattano i 37 volumi del manga con una fedeltà del 95%. Il restante 5% è dovuto a qualche piccolo taglietto, in primis scenette fanservice o scene un po' più sanguinose, che sono state eliminate o addolcite rispetto al manga (ad esempio ridisegnando la sequenza e mettendo i personaggi di spalle invece che di fronte, in modo da far capire cosa succede senza mostrarlo direttamente).
Del resto, The adventure of Dai è andato in tv alle nove e mezza di sabato mattina, in un orario solitamente dedicato ai bambini, e nelle trasmissioni per bambini in Giappone di recente sono stati fissati diversi limiti su cosa si può o non si può mostrare a livello di violenza e siparietti ecchi. Poco male, ciò che accade si capisce lo stesso e alcune scenette ecchi tolte erano sì divertenti ma non essenziali, così come non sono essenziali il sangue e la violenza, dato che The adventure of Dai è pur sempre tratto da Dragon Quest, una serie che ha il design giocoso e colorato di Akira Toriyama. Qualche piccolo dialogo è stato modificato e qualche piccola scenetta è stata cambiata rispetto al manga (ad esempio i simboli cristiani o religiosi sono stati modificati, ma questo succede anche nei videogiochi e nelle nuove edizioni del manga). Le modifiche maggiori sono nel primo episodio, dove l'ambientazione del combattimento è stata spostata da un castello a una nave al largo in mare e lo scontro stesso è stato riscritto rendendolo un po' più action e vivace, mentre si è giocato un po' con Dragon Quest inserendo qua e là qualche piccola citazione ai giochi più recenti che all'epoca del manga non erano ancora stati prodotti.
I tagli rispetto al manga sono minimi, ma due sono più gravi di altri e meritano una menzione particolare. In primis l'episodio 38, il peggiore della serie, condensa in sé parecchi fatti e taglia/velocizza l'introduzione del fabbro Lon Beruk e il background del padre di Pop, facendo così perdere un po' di punti in caratterizzazione a questi personaggi. È chiaro che qualcosa è andato storto nella produzione, che erano previsti due episodi per narrare quella parte e che per un problema X (uno degli animatori della serie in quel periodo si è dovuto sottoporre a un intervento, coincidenze?) sono invece stati fusi in uno solo, tanto più che la settimana prima la serie è andata inspiegabilmente in pausa per trasmettere uno speciale episodio "37.5", un riassuntivo carino per via dello stile da programma televisivo giapponese, ma a conti fatti inutile.
L'altro taglio piuttosto grave sta verso il finale, dove anche qui viene tagliata l'introduzione di un paio di personaggi minori e la sottotrama che li vedeva protagonisti (che aiutava anche a dare spessore a un altro personaggio) ma poi in episodi successivi questi compaiono sullo sfondo come se invece fossero stati presentati, e lo spettatore che non ha letto il manga se li vede lì e non capisce chi siano. Si tratta di taglietti minimi, che non danno alcun fastidio a chi non conosce il manga originale ma per chi invece, come il sottoscritto, lo conosce a memoria, inficiano un po' la valutazione di un adattamento che altrimenti sarebbe stato perfetto, impedendo per pochissimo l'en plein "Episodi visti 100 su 100, voto 100". Bastavano anche solo uno o due episodi in più per recuperare queste e altre piccole cosette e avere un adattamento assolutamente perfetto, ma direi che anche così non ci si può lamentare assolutamente, visti gli scempi che sono stati fatti con gli adattamenti di altri vecchi manga.
Per qualcosa che è stato tolto, c'è anche di rimando qualcosa che è stato aggiunto. Lo staff ha avuto la possibilità di leggere tutto il manga e studiarlo per benino prima di lavorare all'anime, quindi sapevano benissimo come calcolare i tempi, cosa sarebbe successo in futuro e ci hanno giocato a più riprese, inserendo già dai primi episodi piccolissimi rimandi (impercettibili per chi non conosce il manga, ma perfettamente comprensibili a chi invece lo ha letto tutto, che capisce subito ed è felicissimo della cosa) a cose che saranno mostrate mesi o anche un anno dopo. Da questo punto di vista le sigle sono impietose: spoilerano praticamente tutto quello che c'è da spoilerare, anche se lo fanno in una maniera non chiarissima, che solo chi ha letto tutto il manga e conosce tutta la storia può capire.
Eventi futuri suggeriti dalle scene delle sigle, dai testi delle canzoni, persino dalla grafica dei credits che scorrono su schermo, rifacimenti di scene iconiche del manga, citazioni a illustrazioni presenti nel primo fanbook uscito negli anni novanta: c'è di tutto e di più, l'amore dello staff per l'opera originale è chiaro, fortissimo, e a un fan non può che fare un immenso piacere, soprattutto quando si vede che ci si prende la briga di aggiungere al materiale originale siparietti di interazione tra i personaggi, animare cose che venivano solo raccontate, animare quello che originariamente era un capitolo prequel extra pubblicato su un'altra rivista, inserito nei volumetti in un punto a caso, e invece qui rinarrato dandogli una connotazione sensata e ben precisa. Aggiunte molto belle, che fanno pesare ancor di più ciò che invece è stato tolto, ma non così tanto da non riuscire a ringraziare uno staff che ha lavorato a quest'opera con un amore mai visto altrove.
Il ritmo è piuttosto rapido, cosa voluta e confermata da uno dei membri dello staff in una recente intervista, nei primi 25 episodi, corrispondenti alla parte già animata in passato, perché era già stato deciso il numero totale degli episodi e perciò hanno deciso di velocizzare la parte già nota. È un procedimento che si fa spesso, quando si fa il remake di un anime che ha già avuto un adattamento parziale (vedi il nuovo Shaman King o Full Metal Alchemist Brotherhood). In realtà, al netto di confronti con la vecchia versione che era più lunga e stiracchiata, del manga non manca praticamente nulla e la storia è ampiamente godibile, anzi è stato giusto velocizzare la parte iniziale, dato che The adventure of Dai è una serie che parte in maniera molto lenta, debitrice del fatto che il manga originale è nato come un paio di episodi pilota e poi è stato serializzato e allungato più volte per via del successo. Un ritmo lento come quello del vecchio anime, che indugiava su primi piani, paesaggi, riassunti e quant'altro avrebbe probabilmente fatto scappare gli spettatori moderni, che invece si possono trovare a loro agio con un ritmo rapido ma non superficiale. In ogni caso, una volta superata la parte già animata si perde anche questa sensazione, anche perché si è arrivati nel clou della storia e a quel punto è impossibile non essersi fatti coinvolgere.
La storia è semplice, del resto è basata su Dragon Quest e su un manga iniziato nel 1989: Dai è un ragazzino orfano cresciuto in un’isola deserta abitata da mostri che gli fanno da famiglia e amici. Con sommo dispiacere del nonno adottivo, che vorrebbe fare di lui un grande mago, Dai è una schiappa nell’uso della magia e ha invece il sogno di diventare un prode guerriero, come quello che anni orsono salvò il mondo dal male. La rinascita del demone Hadler, più potente e cattivo che mai, e l’incontro con Avan, ex prode guerriero ora istruttore degli eroi che si offre di fargli da insegnante, gli daranno l’occasione di realizzare il suo desiderio, spingendo il piccolo Dai a partire per la più grande delle avventure insieme a fidati compagni, primi fra tutti il pavido mago Pop, la coraggiosa combattente/chierica Maam, la principessa senza peli sulla lingua Leona e il buffo Slime alato Gome. Ma il nostro giovane eroe ha un segreto, un enigmatico emblema a forma di drago che appare sulla sua fronte quando è arrabbiato, che gli conferisce poteri inimmaginabili e di cui lui non conosce il mistero, così come non conosce le sue vere origini…
Alla semplicità della storia di base fa da contraltare la straordinaria abilità di narratore di Riku Sanjo (che gli amanti dei telefilm tokusatsu possono ammirare ad esempio in Zyuden Sentai Kyoryuger, altra serie attentissima ai suoi personaggi), un autore attentissimo ai piccoli dettagli, che ama i suoi personaggi e ha in serbo progetti ben precisi per loro, come quello di creare un personaggio sfigatissimo che il suo editor voleva fargli uccidere immediatamente perché convinto sarebbe stato odiato dai lettori. Ma l'autore si è impuntato a crearlo apposta in quel modo, sfigato e sgradevole, perché aveva in serbo per lui di trasformarlo nel più grande eroe di questa storia, e sapeva che i lettori che all'inizio lo odiavano sarebbero poi stati dalla sua parte. E così fu...
Non è una di quelle seriette da pochi episodi dove succede tutto e subito perché bisogna far cassa immediatamente e poi chiudere baracca e burattini dopo tre o sei mesi, The adventure of Dai va vissuto passo per passo nei suoi cento episodi, affezionandosi ai suoi personaggi e assaporando il loro viaggio (fisico e interiore) tappa dopo tappa sin nei minimi dettagli.
È in realtà piuttosto difficile parlare di The adventure of Dai col freno a mano tirato. senza poter parlare liberamente dei personaggi facendo anche esempi precisi risulta anche difficile parlare di The adventure of Dai e far capire perché è così bello, quindi se qualche spoiler scapperà spero mi si perdoni.
Dei personaggi della serie sapremo tutto. Nessuno è inutile, nessuno viene abbandonato, tutti tornano a dare un contributo anche minimo nel corso dell'infinita battaglia finale. Sono personaggi che lottano, soffrono, amano, crescono, cambiano, non sono incapsulati in rigidi stereotipi e anche quando sembra che lo siano l'autore fa di tutto per renderteli più umani possibile, raccontandoti cosa provano, cosa li tormenta, di cosa hanno paura. Arrivati all'ultimo episodio, ci si rende conto che nessun personaggio della serie è identico a come lo abbiamo incontrato la prima volta. La vicenda si svolge solo nell'arco di tre mesi, quindi i personaggi non cresceranno così tanto a livello fisico, ma le origini da RPG della vicenda gli permettono di progredire cambiando armi ed equipaggiamenti, imparando incantesimi e tecniche via via più potenti, cambiando "classe" (e di conseguenza abilità o stile di combattimento) e, soprattutto, crescono tantissimo psicologicamente, tutti.
Ognuno di loro ha un suo percorso personale da portare a termine lungo la vicenda, che si interseca con quello di altri personaggi, viene influenzato dagli incontri e dalle conversazioni con essi e a sua volta influenza il loro. E l'autore è attentissimo a mostrarci cosa i personaggi pensano, a farli interagire fra loro, a farli crescere. Sono estremamente rari i casi come questo, di una serie per ragazzi in cui l'identificazione tra lo spettatore e i personaggi può arrivare ad essere totale, lanciando messaggi estremamente positivi e formativi: uno spettatore adolescente potrebbe avere la sua vita anche cambiata radicalmente dopo l'incontro con certe cose di questa serie (come è successo a me ai tempi della mia prima lettura del manga, da adolescente); uno spettatore già grande potrà riconnettersi col sé adolescente e riscoprire emozioni sopite.
The adventure of Dai ci offre personaggi a tutto tondo, che crescono, fanno scelte, cambiano. Cattivi che non sono mai tali solo perché sono stati disegnati così ma hanno motivazioni anche condivisibili e hanno sempre uno scambio ideologico coi buoni e anche loro un percorso da portare a termine; cambi di fronte; personaggi che fanno scelte sbagliate e se ne rendono conto, traendone insegnamenti e crescendo; storie d'amore dalla forma di intricatissimi poligoni amorosi che per una volta non sono buttate lì per contratto ma diventano parte integrante del carattere e della crescita dei personaggi.
Lo stesso protagonista Dai, caratterizzato dall'autore come il classico eroe invincibile, in realtà non lo è: è un bambino, ingenuo, puro, solo, che non sa nulla del mondo, vede il suo sogno di diventare un eroe come un gioco infantile, poi si rende conto che essere un eroe ha un peso che forse è troppo grande perché un bambino possa riuscire a sopportarlo. La ricerca delle sue origini, l'accettazione del suo destino e allo stesso tempo il suo essere un bambino puro che per quel destino ancora non è pronto lo rendono un personaggio forse un po' troppo infantile agli occhi di uno spettatore adulto, ma il suo fascino sta proprio qui, nel suo essere un bambino candido, innocente, fragile dietro la scorza di prode guerriero dal destino segnato dall'eroismo.
È un personaggio che viene messo a nudo in tutta la sua sensibilità, ben diversa dai classici protagonisti shounen super esaltati che urlano ai quattro venti il loro sogno, sbraitano, si abbuffano e pensano solo a combattere perché si divertono a farlo. "Hai sempre detto che la giustizia risiede nella forza. Allora, ti stai divertendo a venire pestato da qualcuno più forte di te? Ti sembra giustizia, questa?" dirà al boss durante lo scontro finale, con una purezza e una sensibilità tali da straziare il cuore dello spettatore. Forse perché influenzato nel suo percorso dai discorsi del suo maestro, convinto che "La forza senza la giustizia non è vera forza, ma la giustizia senza la forza è inutile".
Sebbene nei primi episodi sia lui a salvare la situazione in più occasioni, Dai non potrebbe nulla senza i propri compagni. Il proprio percorso non lo si può compiere da soli, nemmeno se si è un eroe.
E i suoi compagni sono tutti personaggi splendidi, caratterizzati in ogni minimo dettaglio, che compiono una lunga evoluzione nel corso della storia e che spessissimo rubano la scena a Dai, al punto che il sottotitolo della serie potrebbe benissimo essere The adventure of Pop o The adventure of Maam o The adventure of tantissimi altri personaggi. È anche quello, questa è una storia corale dove ognuno ha un suo ruolo, ogni spettatore può trovare qualcuno in cui identificarsi, trovare in lui un compagno, un amico, un eroe e crescere con lui.
A livello personale, il mio eroe di questa storia è un mago vestito di verde a cui, sin dalla mia adolescenza, devo più di quanto si possa immaginare: come me ai tempi in cui conobbi The adventure of Dai la prima volta circa venticinque anni fa, è un personaggio pavido, insicuro, che non ha fiducia in se stesso, ha una ragazza che ama ma non ha il coraggio di dichiararsi, si sente inferiore al più affascinante rivale, vorrebbe diventare un vero uomo degno dell'amore della sua bella... e lo farà, attraversando un percorso tanto sofferto quanto bellissimo ed emozionante che lo porterà a diventare il vero eroe di questa serie, un compagno e un amico affidabile e il cuore pulsante di questo gruppo di personaggi di cui diventerà il membro più coraggioso e più umano al tempo stesso.
Ma di personaggi magnifici ce ne sono a decine, tra cattivi ricchi di onore, personaggi che ottengono una toccante redenzione e personaggi femminili forti e dolci allo stesso tempo, come la splendida Maam, personaggio amato da moltissimi fan per il suo carattere forte e generoso allo stesso tempo, ma anche per una certa scelta che fa durante la serie e che ha ispirato e dato un buon esempio a molti.
The adventure of Dai è ispirato ad un RPG ma è pur sempre uno shounen di Jump figlio diretto di Dragon Ball, perciò affianca all'avventura (viaggi in regni lontani, foreste infestate dai mostri, lande ghiacciate, città portuali, santuari in fondo ai laghi e tanto altro) e al summenzionato approfondimento dei personaggi anche tanta azione e combattimenti.
Parte come un gioco di ruolo fantasy e poi diventa via via sempre più simile a Dragon Ball, con tornei di arti marziali, trasformazioni, onde di energia, personaggi che volano e si scontrano avvolti da aure energetiche. Ma è un Dragon Ball con più cuore e più abile nel tratteggiare i suoi personaggi, in quanto sono tutti diversi uno dall'altro anche nel modo in cui combattono, rendendo gli scontri imprevedibili, ricchi di variabili, incantesimi di ogni tipo, colpi di scena, salvataggi e deus ex machina in extremis, questi ultimi tuttavia sempre giustificati anche dalle meccaniche dei giochi di Dragon Quest a cui la storia si ispira, dove un oggetto magico può letteralmente salvarti la vita. Ed è giusto così, perché i personaggi hanno un loro percorso da compiere e sarebbe un torto troppo grande toglierli di mezzo senza che lo abbiano concluso, specie se (e succede spesso) può ancora influenzare quello di un altro personaggio.
Toei Animation non ha badato a spese per rendere al meglio un materiale di base già bellissimo. Innanzitutto rimediando agli sbagli commessi dal vecchio adattamento, che aveva usato una palette di colori piuttosto scura e pesante, non riuscendo a rendere al meglio lo stile luminoso del manga. The adventure of Dai del 2020 è fedelissimo ai colori scelti nelle illustrazioni del manga, che sono sempre piuttosto chiari e perciò ridona a Maam una chioma rosa chiaro invece che fucsia e a Leona dei capelli castano chiaro invece che giallo limone, nonno Brass è azzurrino invece che rosso e così via, scegliendo sempre toni leggeri e colori accesi. E' uno stile perfetto per rappresentare The adventure of Dai, molto fedele al manga. Non è scuro e cupo come molti anime recenti, ha colori accesi e vivaci come da consuetudine della Toei recente, ma non è plasticoso e bambinesco come Pretty Cure.
Il character design di Emiko Miyamoto (Mahoutsukai Pretty Cure) rende benissimo i personaggi: fedeli al manga e perciò debitori di quello stile anni novanta di cui un anime come questo ha bisogno. Lo stile di disegno di Koji Inada, assistente di Masakazu Katsura, parte con un tratto incerto, leggerissimo, quasi impalpabile per poi farsi via via più marcato e diventare sempre più luminoso, personale, ricco di dettagli e di effetti speciali particolari, raggiungendo negli ultimi volumi del fumetto livelli di chiarezza e bellezza elevatissimi, tanto da far dubitare che sia la stessa persona che ha disegnato i primi.
L'anime ovviamente si basa sullo stile più recente per disegnare i personaggi, quindi il cambiamento si avverte meno ma c'è, con i vari animatori che fanno propri gli effetti e i dettagli tipici dell'ultimo Inada (come ad esempio i riflessi bianchi degli occhi che "escono" dagli occhi stessi quando i personaggi piangono o sono emotivamente molto coinvolti, gli "occhi alla Kenshin", come li chiamo io) nel disegnare gli ultimi episodi, mostrando quindi in un certo senso anche una sorta di evoluzione grafica anche nell'anime, che più va avanti e più diventa dettagliato e spettacolare.
A The adventure of Dai hanno lavorato fior fior di animatori espertissimi. Tra gli altri Hisashi Kagawa (che non mancava mai di dedicare alla serie un disegno per pubblicizzare sui social il suo coinvolgimento in un dato episodio), Mamoru Yokota (rimasto talmente affezionato alla serie che, nonostante la conclusione, continua a postare fanart dei personaggi in versione Halloween o disegni di scene relative a un fantomatico "episodio 102"), Chikashi Kubota, Junichi Hayama, il francese Sanda (grande fan di Dragon Ball e Dragon Quest che ha lavorato a Tokyo alla Toei e allo Studio OLM), Naotoshi Shida, Takao Kiriyama e chi più ne ha più ne metta.
Mostri sacri dell'animazione che si sono formati con Toei, con Dragon Ball, con gli anime anni novanta e quindi hanno reso il nuovo The adventure of Dai un anime anni novanta realizzato con le tecnologie moderne, atte a impreziosire tutta una serie di artifizi retrò che non si vedono molto negli anime recenti ma che hanno decisamente fatto piacere: i capelli mossi dal vento, le schermate fisse colorate ad acquarello a enfatizzare i momenti topici, i riflessi di luce sugli oggetti metallici, gli eyecatch con illustrazioni personalizzate in base al contenuto dell'episodio, le schermate tipo RPG che mostrano i punti vita dei personaggi, una resa dei momenti umoristici tipicamente retrò, flashback disegnati come libri illustrati ad acquarello, una dichiarazione d'amore girata con lo schermo incorniciato da bande nere come se fosse un film.
Nei momenti clou le animazioni sono stupende, la resa grafica degli incantesimi e delle varie aure di energia è spettacolare, spesso ci si sofferma anche su piccoli dettagli come spade che riflettono i volti dei contendenti quando si scontrano, focus su oggetti particolari che vengono inquadrati molto lentamente o movimenti di camera particolari per enfatizzare il momento. Non ci sono mai particolari cali di qualità nella grafica, The adventure of Dai è sopravvissuto indenne al covid (rispettando la data prevista quando altre serie del 2020 sono invece state rimandate) e all'attacco hacking ai danni di Toei, che gli ha fatto saltare circa un mese di programmazione ma gli ha permesso di tornare con un episodio, il 73, che è stato eccezionale sotto ogni punto di vista tecnico ed emozionale ed è stato trasmesso il sabato prima di Pasqua (e chi ha visto l'episodio può cogliere l'involontario simbolismo della cosa).
È' stata usata molto la CGI, per realizzare movimenti di camera durante i combattimenti, per animare masse di mostri sullo sfondo (ma ai mostri di Dragon Quest in CGI siamo abituati quindi non dà fastidio, anzi) o oggetti o personaggi particolari e in (fortunatamente) pochissime occasioni anche per animare i personaggi umani con risultati non sempre bellissimi, ma si tratta di scene sperimentali di pochissimi secondi mescolate ad altre in spettacolare animazione tradizionale, quindi alla cosa non si fa caso più tanto, non quando hai potuto vedere come gli animatori abbiano usato tutto il loro sapere anni novanta per rendere al meglio una serie che doveva essere rappresentata quanto più in stile anni novanta possibile.
Toei negli ultimi anni si è fatta notare in negativo con produzioni abbastanza scarse come animazioni e disegni, rispetto ad altri studi che invece facevano faville e settavano nuovi standard, ma stavolta è Toei stessa ad apprendere dagli altri studi, dagli scontri spettacolari e dalle animazioni stratosferiche di un Demon Slayer che usa giramenti di camera e computer grafica anche per mostrare un personaggio che cammina e a farle sue, interiorizzarle, renderle moderne ma con un tocco tradizionale, che è ciò di cui The adventure of Dai ha bisogno. Il risultato è una serie piacevolissima all'occhio, dove non c'è nessun personaggio che ha un design di cattivo gusto, nessun disegno brutto, nessuna sbavatura, è tutto super pulito, luminoso, fluido, spettacolare ma sobrio.
Gli animatori sanno quando devono mettere l'acceleratore e quando devono tirare il freno a mano, si divertono tantissimo a giocare con tanti piccoli dettagli, ad arricchire la resa grafica dei momenti più iconici del manga, a giocare coi sentimenti dello spettatore che si trova inaspettatamente un'animazione fighissima solo per mostrare un personaggio che corre e poi un momento clou reso invece con altrettanto inaspettata sobrietà, con più attenzione ai dettagli piuttosto che a stratosferici effetti speciali, mentre magari un altro momento clou invece è un'esplosione di emozioni che il manga di partenza ti dava in maniera più contenuta.
Una enorme parte del fascino della serie deriva anche dalla sua colonna sonora. La serie anni novanta utilizzava le musiche orchestrate di Koichi Sugiyama, direttamente prese dai giochi di Dragon Quest o realizzate ex novo con uno stile piuttosto simile, epico, medievale, cavalleresco, che non sempre si confaceva a The adventure of Dai e ritengo non sarebbe stato adatto ad accompagnare le fasi più avanzate, quelle più "Dragon Ball", della storia. Il compositore scelto per il nuovo anime è Yuki Hayashi, e quindi già sappiamo che dovremo elogiarlo.
Compositore eclettico, epico, perfettamente riconoscibile ma sempre diverso perché si adatta alle diverse atmosfere delle storie per cui compone, Yuki Hayashi firma per The adventure of Dai circa cento brani orchestrati raccolti in due doppi album, dove i ritmi epici, medievali e cavallereschi, quelli generati da trombe, tamburi e strumenti a fiato, si mescolano con melodie più moderne e accattivanti, nel perfetto stile di Yuki Hayashi che sin dai tempi di Haikyu sai ti farà un epico tema portante che poi verrà ripreso in mille versioni una più bella dell'altra. The adventure of Dai non fa eccezione: i due brani portanti "Dai no daibouken" (La grande avventura di Dai) e "Ryuu no kishi" (Il cavaliere del drago) vengono ripresi in mille versioni diverse, più ballad, più emotive, più esaltanti, più oscure.
Nella seconda metà della serie si unisce alla già ricca partitura la splendida "Gonin no shito no chikara" (La forza dei cinque discepoli), che diventa un ulteriore nuovo tema portante, compaiono echi delle musiche di Sugiyama che si accompagnano alla parte più classicamente "Dragon Quest" della storia, mentre il boss finale viene accompagnato da lugubri cori eseguiti da Paolo Andrea Di Pietro, nostro connazionale trasferito in Giappone per lavorare come tenore. Lo dico ogni volta che compone musica per un anime, lo so, ma la colonna sonora della serie è uno dei migliori lavori di Yuki Hayashi, esaltante ed emozionante come poche. Fa poi particolarmente piacere vedere come Yuki Hayashi si sia affezionato alla serie, al punto da aver composto le musiche anche per i vari videogiochi da essa tratti, come il mobile game Tamashii no kizuna (noto in occidente come Hero's bond), che contiene anche diversi brani cantati e il cui lancio è stato festeggiato da un quarto d'ora di concerto live di Yuki Hayashi sui brani dell'anime.
Alla colonna sonora posso recriminare solo una cosa, ma si tratta di una lamentela mia basata su miei film mentali privi di fondamento: dopo averlo fatto in My hero academia e in Shaman King, sarebbe stato stupendo se Yuki Hayashi ci avesse regalato anche qui una versione cantata di una delle musiche orchestrate. Più o meno succede, durante la battaglia finale, ma non nel modo in cui mi immaginavo, dato che prende il tema principale e lo rende più annacquato e con cori, invece di cantarci sopra interamente.
Due sigle d'apertura (in doppia versione con video modificato man mano che la storia va avanti) e quattro di chiusura. La prima coppia di sigle, "Ikiru wo suru" (Vivere) e "Mother" sono eseguite dai Macaroni Enpitsu, band amatissima dal regista Karasawa. La musica della opening non è particolarmente bella, ma ci si affeziona, il testo è inaspettatamente molto calzante e il video fatto da tanti piccoli tocchi di classe affascina i fan, mentre la prima ending è praticamente un remake della ending della serie anni novanta, con Dai, Pop e Maam intenti a viaggiare.
Segue poi "Bravest" di Taichi Mukai, una sigla energica che però si fa ricordare maggiormente per il video, ricchissimo di anticipazioni ben nascoste a ciò che avverrà nella parte finale della serie, più che per il brano. Più belle, invece, le altre ending. "Akashi" (Simbolo) dei XIIX con diversi episodi di anticipo rimanda a uno dei momenti salienti della serie ma solo chi sa già può capirlo, e ha ottenuto un particolare successo sui social giapponesi, con diverse fanart che ne hanno rifatto le inquadrature sostituendo ai cinque personaggi principali altri personaggi più secondari. "Namae" (Nome) dei Humbreaders è straziante, col suo testo che può riferirsi a tantissime cose della serie toccando le corde più emotive degli spettatori che sanno, e l'ultima ending, "Tobutori wa" (Volatile) dei Mitei no hanashi, riesce a fare anche di peggio, tra testo e video ricchissimi di simbolismi e rimandi ad una delle parti più commoventi della serie di cui lo spettatore anime-only non immagina nulla ma chi ha letto il manga sente già il cuore in mille pezzi.
Un plauso particolare va fatto anche al doppiaggio della serie, soprattutto ai doppiatori dei personaggi principali che hanno dimostrato un affetto particolare nei confronti di The adventure of Dai prestandosi alle varie live, agli eventi o commentando con fervore sui social. Per i personaggi principali sono stati scelti dei doppiatori giovani, mentre i cattivi e i personaggi adulti hanno la voce di pezzi grossi del doppiaggio giapponese: Mitsuo Iwata, Takaya Hashi, Tomokazu Seki, Keiko Toda, Takahiro Sakurai, Kazuhiro Yamaji, Ai Horikasa, Yu Mizushima, Sho Hayami, Akira Ishida, Shinichiro Miki, Takehito Koyasu (l'aver scelto lui per un personaggio in particolare dimostra quanto lo staff si sia studiato il manga e abbia voluto impreziosirlo). Toei non ha badato a spese e ha richiamato ulteriori mostri sacri anche solo per una comparsata di secondo piano: c'è Kenta Miyake, c'è Ryusei Nakao, c'è Tessho Genda, c'è Toshio Furukawa, c'è Yasuhiro Takato.
Un cast di grand'ordine dove non mancano le belle interpretazioni, tra uno Yuki Kaji che non si discosta troppo dal suo "tono Todoroki" ma è talmente appassionato della serie che gli perdoniamo tutto e un Tomoaki Maeno sotto steroidi che qui deve anche recitare insieme alla moglie Mikako Komatsu (e sapendo questo, le poche ma significative scene in cui i loro personaggi interagiscono diventano particolarmente divertenti). Ma a beccarsi gli elogi migliori sono inevitabilmente i doppiatori dei personaggi principali. Atsumi Tanezaki, la doppiatrice di Dai, che mi ha conquistato col suo entusiasmo e la sua tenerezza durante le live e che dà al giovane protagonista una voce estremamente umana, dolce e battagliera allo stesso tempo, ma anche piacevolmente cavernosa in un certo punto del finale. E Toshiyuki Toyonaga, il doppiatore di Pop, al quale vanno tutti gli elogi possibili per la sua estrema connessione emotiva col personaggio, per l'interpretazione ricchissima di sentimento, per il suo essere un fan sfegatato della serie, per esserne stato l'ambasciatore alle live e agli eventi e per aver reso vivo il mio eroe dell'adolescenza in una maniera straordinaria.
Dragon Quest: The adventure of Dai è una serie alla cui visione non ci si può sottrarre, se vi piacciono gli shounen d'azione/avventura. In quel caso, ha tutto ciò che possiate desiderare ed è anche superiore a certi titoli più blasonati a cui interessano solo le battaglie ma non si curano di sviluppare i personaggi. The adventure of Dai lo fa, in maniera praticamente unica nel suo genere, ed è per questo che rappresenta un viaggio che val la pena di essere fatto, al fianco di amici che non dimenticherete mai, a patto di aver pazienza e di seguirne l'evoluzione pian piano. E' una grande avventura, lo dice il titolo, e una grande avventura non si fa in 12 o in 20 episodi, no? Ci vuole un po' di tempo, ma vi conquisterà, garantito.
Come adattamento di un vecchio manga è tra le migliori cose che siano mai state fatte. Al netto di qualche taglietto che dispiace ma neanche più di tanto, è completo, è comprensibile, è soddisfacente (sì, il finale vi ucciderà e magari non vi piacerà, ma visto nell'ottica di Dragon Quest e del seguito che spero prima o poi si faccia ha senso), prende un ottimo materiale di partenza e lo arricchisce, trattandolo con un amore che raramente si è visto nelle produzioni di questo tipo (ai più famosi Dragon Ball Super, Sailor Moon Crystal, i mille sequel/reboot orribili di Digimon Adventure o i mille spin off di Saint Seiya Toei non ha riservato lo stesso amore). Da fan di questa serie da quasi venticinque anni posso ritenermi più che soddisfatto, il fatto che la mia serie preferita di quando ero ragazzo sia diventata per due anni argomento di discussione in tutto il mondo mi ha reso felicissimo, con l'unico rammarico che nel mio paese non sembra aver avuto chissà quale risonanza (al contrario di Francia, paesi di lingua spagnola e paesi arabi dove è stata accolta con un calore incredibile e paesi di lingua inglese che non lo conoscevano affatto ma hanno imparato ad amarlo, al punto da ottenere anche un doppiaggio). Tuttavia, ritengo che anche gli adolescenti di questa generazione possano e debbano vivere la loro grande avventura insieme a Dai, a Pop, a Maam e a tutti gli altri.
La serie è interamente disponibile su Crunchyroll con sottotitoli in italiano (l'adattamento di nomi, termini, mostri e incantesimi non è bellissimo, ma è mutuato da quello dei videogiochi in tutto il mondo per imposizione della casa giapponese e dunque purtroppo bisogna farsene una ragione), persino lo stesso regista Karasawa invoglia i fan a vederla in un video pubblicitario realizzato appositamente per Crunchryoll, quindi non ci sono proprio scuse. Ora però torniamo a dieci pagine di Word fa, all'incipit della recensione, all'aprile 2015 e al mio post su Facebook. Dai no daibouken me l'hai fatto, e te ne sarò per sempre grato, ora aspetto il nuovo Kinnikuman e il nuovo Otoko Juku. Ci conto, Toei, eh?
Così scrivevo su Facebook in un aprile 2015 che sembra ormai una vita fa. E chi me lo doveva dire che dei tre remake che chiedevo sarebbe poi arrivato quello a cui sì, tenevo di più, ma che mi sembrava anche il più improbabile?
Non ci credevo io così come probabilmente non ci credevano nemmeno i giapponesi, che nel settembre del 1992 erano rimasti orfani del primo adattamento animato di "Dragon Quest: Dai no daibouken" (da qui in poi riportato col titolo internazionale "Dragon Quest: The adventure of Dai" per comodità). Il vecchio anime, andato in onda tra il 1991 e il 1992 su TBS, adatta solo 10 dei 37 volumi del manga firmato da Riku Sanjo (storia) e Koji Inada (disegni) per Shueisha tra il 1989 e il 1997, prima di venire cancellato in seguito a una riorganizzazione del palinsesto che abolisce la fascia anime per far spazio a un varietà. Una ferita che è rimasta aperta per molto tempo, dato che la storia si fermava sul più bello con un finale posticcio che rendeva impossibile continuarla in maniera fedele al manga, nonostante la possibilità di vedere il continuo della storia su carta.
"Dragon Quest: The adventure of Dai" è stato negli anni novanta uno dei padri dello shounen manga moderno. Figlio diretto di Dragon Ball, ha settato praticamente tutto lo schema degli shounen fantasy d'azione/avventura dei decenni a venire e creato archetipi riutilizzati un po' ovunque (da Naruto a Magi, passando per One Piece), con una serializzazione quasi decennale, 47 milioni di copie vendute e un nome importante, quello della saga di giochi di ruolo giapponesi per antonomasia, da cui The adventure of Dai riprende mostri, magie e termini pur senza adattare nessun videogioco in particolare, che ha fatto sì la serie non venisse dimenticata nel corso degli anni, con i personaggi a fare camei in giochi per cellulare più moderni e diverse magie o tecniche create appositamente per il manga che poi sono state introdotte in maniera più o meno ufficiale nei giochi.
Il legame di The adventure of Dai con la saga di Dragon Quest era però un'arma a doppio taglio: perché mai avrebbero dovuto fare un nuovo anime di The adventure of Dai, un vecchio manga di Dragon Quest di venticinque anni fa, invece di fare un anime basato ad esempio sugli amatissimi Dragon Quest IV o V (poi l'hanno fatto, il film in CGI Dragon Quest: Your Story), su Dragon Quest VIII (il primo episodio interamente poligonale della saga) o su Dragon Quest XI (il gioco più recente)?
Non ci credeva nessuno, invece alla Jump Festa del 2019 è arrivato totalmente a sorpresa l'annuncio di Toei Animation: un remake animato di "Dragon Quest: The adventure of Dai" sarebbe stato trasmesso su Tv Tokyo a partire da ottobre 2020.
I dieci mesi d'attesa tra dicembre 2019 e ottobre 2020 sono sembrati infiniti, anche perché di mezzo c'è stata una certa brutta cosa che ha sfalsato le nostre percezioni temporali e ha fatto sì che il remake di "Dragon Quest: The adventure of Dai" fosse praticamente l'unica cosa buona dell'anno, ma si è capito sin da subito che sarebbe stato un progetto ben diverso da molti altri remake o adattamenti di vecchi manga che lo hanno preceduto e che sono stati realizzati un po' alla carlona, saltando di palo in frasca e tagliando intere porzioni di trama importanti per far rientrare storie di 30-40 volumi in 20-30 episodi, col risultato che non ci si capiva granché senza aver letto il manga (sto guardando malissimo voi, Hoshin Engi e Karakuri Circus).
L'anime, ci è stato detto durante un lunghissimo evento live tenutosi il 27 maggio (il "Giorno di Dragon Quest" in Giappone) 2020, sarebbe stata solo la punta dell'iceberg di un rilancio totale di The adventure of Dai, che avrebbe compreso anche una nuova edizione Kanzenban del manga, un paio di nuovi manga spin off, un gioco di carte, ben tre videogiochi (un gioco di carte arcade, un gioco per cellulare e un action RPG per console), una collezione in blu-ray del vecchio anime e dei tre film anni novanta, un nuovo fanbook (anche in edizione di super lusso), un romanzo, collaborazioni con marchi di abbigliamento e altre serie di videogiochi e altro infinito merchandise di vario tipo, con aziende come la Takara/Tomy a produrre giocattoli, peluche e gadgets vari, la Square-Enix a dedicarsi allo sviluppo dei videogiochi e la Shueisha, tramite la sua rivista di videogiochi V-Jump, dei manga.
L'evento, durato ben quattro ore, ha mostrato anche un primo trailer nonché ha presentato il regista, Kazuya Karasawa, e il cast dei doppiatori dei personaggi principali, a cui sono state fatte lunghe interviste. È la prima di una lunghissima serie di live, circa un centinaio, mostrate sul canale Youtube di V-Jump prima, durante e dopo la trasmissione dell'anime, col redattore di V-Jump coadiuvato dal regista o da questo o quel doppiatore a presentare i nuovi gadget, a commentare l'episodio immediatamente dopo la sua trasmissione TV, a presentare effettivamente i dietro le quinte del lavoro del regista che mostrava storyboard e filmati con le animazioni di prova e chi più ne ha più ne metta. Sono poi stati fatti un grande evento live per celebrare il primo anno di trasmissione e un ulteriore evento, con tanto di proiezione degli ultimi 4 episodi in un cinema di Shinjuku, per festeggiare la fine dell'anime, a cui nel frattempo è stata dedicata anche una mostra itinerante in continuo aggiornamento che ha già toccato Tokyo e Nagoya e si appresta a debuttare a Osaka.
L'amore di tutto lo staff nei confronti di The adventure of Dai è sempre stato palpabilissimo: dal regista Karasawa che non vedeva l'ora di conoscere gli sviluppi futuri e si tuffava avidamente fra le pagine del manga ai doppiatori Toshiyuki Toyonaga (Pop) e Yuki Kaji (Hyunkel) che sono super fan di vecchia data della serie e ogni settimana commentavano l'episodio su Twitter rifacendo i dialoghi dei loro personaggi, passando per gli animatori delle varie puntate che ogni settimana lasciavano su Twitter un disegno celebrativo. E non è mancato l'amore dei fan, perlomeno in Giappone, dove il nuovo anime ha rinverdito la produzione di gadget, ha fatto esplodere il numero delle fanart, dei disegni celebrativi, dei commenti agli episodi sui social, delle parodie ("Hitler reagisce all'hacking della Toei" su tutte) e ha fatto venire alla luce vecchie interviste agli autori con dettagli sulla serie di cui per anni nessuno era a conoscenza.
Al punto che la settimana dopo la conclusione della serie, col centesimo episodio trasmesso nell'ottobre del 2022, tra gli hashtag in tendenza su Twitter giapponese è apparso anche "Dai episodio 101", con i fan che si dichiaravano dispiaciutissimi per la fine della serie e lasciavano commenti falsi citando cose shock accadute nel fantomatico episodio 101 che in realtà non esiste, ma anche con lo stesso staff della serie, come il regista Karasawa e il compositore delle musiche Yuki Hayashi che si ringraziavano su Twitter per il lavoro svolto, speranzosi di ritrovarsi a lavorare ancora insieme sull'adattamento anime del prequel attualmente pubblicato su V-Jump o della "saga del mondo demoniaco", il sequel inizialmente previsto per il manga e poi sfortunatamaente abortito per via delle precarie condizioni di salute del disegnatore Inada.
Tra i tantissimi remake di vecchi adattamenti incompleti o adattamenti animati di vecchi manga, si può tranquillamente dire che, insieme a quello di JoJo della David Production, questo The adventure of Dai del 2020 sia il migliore mai realizzato. I 100 (più un riassuntivo extra trascurabile, ma ci torniamo dopo) episodi della serie adattano i 37 volumi del manga con una fedeltà del 95%. Il restante 5% è dovuto a qualche piccolo taglietto, in primis scenette fanservice o scene un po' più sanguinose, che sono state eliminate o addolcite rispetto al manga (ad esempio ridisegnando la sequenza e mettendo i personaggi di spalle invece che di fronte, in modo da far capire cosa succede senza mostrarlo direttamente).
Del resto, The adventure of Dai è andato in tv alle nove e mezza di sabato mattina, in un orario solitamente dedicato ai bambini, e nelle trasmissioni per bambini in Giappone di recente sono stati fissati diversi limiti su cosa si può o non si può mostrare a livello di violenza e siparietti ecchi. Poco male, ciò che accade si capisce lo stesso e alcune scenette ecchi tolte erano sì divertenti ma non essenziali, così come non sono essenziali il sangue e la violenza, dato che The adventure of Dai è pur sempre tratto da Dragon Quest, una serie che ha il design giocoso e colorato di Akira Toriyama. Qualche piccolo dialogo è stato modificato e qualche piccola scenetta è stata cambiata rispetto al manga (ad esempio i simboli cristiani o religiosi sono stati modificati, ma questo succede anche nei videogiochi e nelle nuove edizioni del manga). Le modifiche maggiori sono nel primo episodio, dove l'ambientazione del combattimento è stata spostata da un castello a una nave al largo in mare e lo scontro stesso è stato riscritto rendendolo un po' più action e vivace, mentre si è giocato un po' con Dragon Quest inserendo qua e là qualche piccola citazione ai giochi più recenti che all'epoca del manga non erano ancora stati prodotti.
I tagli rispetto al manga sono minimi, ma due sono più gravi di altri e meritano una menzione particolare. In primis l'episodio 38, il peggiore della serie, condensa in sé parecchi fatti e taglia/velocizza l'introduzione del fabbro Lon Beruk e il background del padre di Pop, facendo così perdere un po' di punti in caratterizzazione a questi personaggi. È chiaro che qualcosa è andato storto nella produzione, che erano previsti due episodi per narrare quella parte e che per un problema X (uno degli animatori della serie in quel periodo si è dovuto sottoporre a un intervento, coincidenze?) sono invece stati fusi in uno solo, tanto più che la settimana prima la serie è andata inspiegabilmente in pausa per trasmettere uno speciale episodio "37.5", un riassuntivo carino per via dello stile da programma televisivo giapponese, ma a conti fatti inutile.
L'altro taglio piuttosto grave sta verso il finale, dove anche qui viene tagliata l'introduzione di un paio di personaggi minori e la sottotrama che li vedeva protagonisti (che aiutava anche a dare spessore a un altro personaggio) ma poi in episodi successivi questi compaiono sullo sfondo come se invece fossero stati presentati, e lo spettatore che non ha letto il manga se li vede lì e non capisce chi siano. Si tratta di taglietti minimi, che non danno alcun fastidio a chi non conosce il manga originale ma per chi invece, come il sottoscritto, lo conosce a memoria, inficiano un po' la valutazione di un adattamento che altrimenti sarebbe stato perfetto, impedendo per pochissimo l'en plein "Episodi visti 100 su 100, voto 100". Bastavano anche solo uno o due episodi in più per recuperare queste e altre piccole cosette e avere un adattamento assolutamente perfetto, ma direi che anche così non ci si può lamentare assolutamente, visti gli scempi che sono stati fatti con gli adattamenti di altri vecchi manga.
Per qualcosa che è stato tolto, c'è anche di rimando qualcosa che è stato aggiunto. Lo staff ha avuto la possibilità di leggere tutto il manga e studiarlo per benino prima di lavorare all'anime, quindi sapevano benissimo come calcolare i tempi, cosa sarebbe successo in futuro e ci hanno giocato a più riprese, inserendo già dai primi episodi piccolissimi rimandi (impercettibili per chi non conosce il manga, ma perfettamente comprensibili a chi invece lo ha letto tutto, che capisce subito ed è felicissimo della cosa) a cose che saranno mostrate mesi o anche un anno dopo. Da questo punto di vista le sigle sono impietose: spoilerano praticamente tutto quello che c'è da spoilerare, anche se lo fanno in una maniera non chiarissima, che solo chi ha letto tutto il manga e conosce tutta la storia può capire.
Eventi futuri suggeriti dalle scene delle sigle, dai testi delle canzoni, persino dalla grafica dei credits che scorrono su schermo, rifacimenti di scene iconiche del manga, citazioni a illustrazioni presenti nel primo fanbook uscito negli anni novanta: c'è di tutto e di più, l'amore dello staff per l'opera originale è chiaro, fortissimo, e a un fan non può che fare un immenso piacere, soprattutto quando si vede che ci si prende la briga di aggiungere al materiale originale siparietti di interazione tra i personaggi, animare cose che venivano solo raccontate, animare quello che originariamente era un capitolo prequel extra pubblicato su un'altra rivista, inserito nei volumetti in un punto a caso, e invece qui rinarrato dandogli una connotazione sensata e ben precisa. Aggiunte molto belle, che fanno pesare ancor di più ciò che invece è stato tolto, ma non così tanto da non riuscire a ringraziare uno staff che ha lavorato a quest'opera con un amore mai visto altrove.
Il ritmo è piuttosto rapido, cosa voluta e confermata da uno dei membri dello staff in una recente intervista, nei primi 25 episodi, corrispondenti alla parte già animata in passato, perché era già stato deciso il numero totale degli episodi e perciò hanno deciso di velocizzare la parte già nota. È un procedimento che si fa spesso, quando si fa il remake di un anime che ha già avuto un adattamento parziale (vedi il nuovo Shaman King o Full Metal Alchemist Brotherhood). In realtà, al netto di confronti con la vecchia versione che era più lunga e stiracchiata, del manga non manca praticamente nulla e la storia è ampiamente godibile, anzi è stato giusto velocizzare la parte iniziale, dato che The adventure of Dai è una serie che parte in maniera molto lenta, debitrice del fatto che il manga originale è nato come un paio di episodi pilota e poi è stato serializzato e allungato più volte per via del successo. Un ritmo lento come quello del vecchio anime, che indugiava su primi piani, paesaggi, riassunti e quant'altro avrebbe probabilmente fatto scappare gli spettatori moderni, che invece si possono trovare a loro agio con un ritmo rapido ma non superficiale. In ogni caso, una volta superata la parte già animata si perde anche questa sensazione, anche perché si è arrivati nel clou della storia e a quel punto è impossibile non essersi fatti coinvolgere.
La storia è semplice, del resto è basata su Dragon Quest e su un manga iniziato nel 1989: Dai è un ragazzino orfano cresciuto in un’isola deserta abitata da mostri che gli fanno da famiglia e amici. Con sommo dispiacere del nonno adottivo, che vorrebbe fare di lui un grande mago, Dai è una schiappa nell’uso della magia e ha invece il sogno di diventare un prode guerriero, come quello che anni orsono salvò il mondo dal male. La rinascita del demone Hadler, più potente e cattivo che mai, e l’incontro con Avan, ex prode guerriero ora istruttore degli eroi che si offre di fargli da insegnante, gli daranno l’occasione di realizzare il suo desiderio, spingendo il piccolo Dai a partire per la più grande delle avventure insieme a fidati compagni, primi fra tutti il pavido mago Pop, la coraggiosa combattente/chierica Maam, la principessa senza peli sulla lingua Leona e il buffo Slime alato Gome. Ma il nostro giovane eroe ha un segreto, un enigmatico emblema a forma di drago che appare sulla sua fronte quando è arrabbiato, che gli conferisce poteri inimmaginabili e di cui lui non conosce il mistero, così come non conosce le sue vere origini…
Alla semplicità della storia di base fa da contraltare la straordinaria abilità di narratore di Riku Sanjo (che gli amanti dei telefilm tokusatsu possono ammirare ad esempio in Zyuden Sentai Kyoryuger, altra serie attentissima ai suoi personaggi), un autore attentissimo ai piccoli dettagli, che ama i suoi personaggi e ha in serbo progetti ben precisi per loro, come quello di creare un personaggio sfigatissimo che il suo editor voleva fargli uccidere immediatamente perché convinto sarebbe stato odiato dai lettori. Ma l'autore si è impuntato a crearlo apposta in quel modo, sfigato e sgradevole, perché aveva in serbo per lui di trasformarlo nel più grande eroe di questa storia, e sapeva che i lettori che all'inizio lo odiavano sarebbero poi stati dalla sua parte. E così fu...
Non è una di quelle seriette da pochi episodi dove succede tutto e subito perché bisogna far cassa immediatamente e poi chiudere baracca e burattini dopo tre o sei mesi, The adventure of Dai va vissuto passo per passo nei suoi cento episodi, affezionandosi ai suoi personaggi e assaporando il loro viaggio (fisico e interiore) tappa dopo tappa sin nei minimi dettagli.
È in realtà piuttosto difficile parlare di The adventure of Dai col freno a mano tirato. senza poter parlare liberamente dei personaggi facendo anche esempi precisi risulta anche difficile parlare di The adventure of Dai e far capire perché è così bello, quindi se qualche spoiler scapperà spero mi si perdoni.
Dei personaggi della serie sapremo tutto. Nessuno è inutile, nessuno viene abbandonato, tutti tornano a dare un contributo anche minimo nel corso dell'infinita battaglia finale. Sono personaggi che lottano, soffrono, amano, crescono, cambiano, non sono incapsulati in rigidi stereotipi e anche quando sembra che lo siano l'autore fa di tutto per renderteli più umani possibile, raccontandoti cosa provano, cosa li tormenta, di cosa hanno paura. Arrivati all'ultimo episodio, ci si rende conto che nessun personaggio della serie è identico a come lo abbiamo incontrato la prima volta. La vicenda si svolge solo nell'arco di tre mesi, quindi i personaggi non cresceranno così tanto a livello fisico, ma le origini da RPG della vicenda gli permettono di progredire cambiando armi ed equipaggiamenti, imparando incantesimi e tecniche via via più potenti, cambiando "classe" (e di conseguenza abilità o stile di combattimento) e, soprattutto, crescono tantissimo psicologicamente, tutti.
Ognuno di loro ha un suo percorso personale da portare a termine lungo la vicenda, che si interseca con quello di altri personaggi, viene influenzato dagli incontri e dalle conversazioni con essi e a sua volta influenza il loro. E l'autore è attentissimo a mostrarci cosa i personaggi pensano, a farli interagire fra loro, a farli crescere. Sono estremamente rari i casi come questo, di una serie per ragazzi in cui l'identificazione tra lo spettatore e i personaggi può arrivare ad essere totale, lanciando messaggi estremamente positivi e formativi: uno spettatore adolescente potrebbe avere la sua vita anche cambiata radicalmente dopo l'incontro con certe cose di questa serie (come è successo a me ai tempi della mia prima lettura del manga, da adolescente); uno spettatore già grande potrà riconnettersi col sé adolescente e riscoprire emozioni sopite.
The adventure of Dai ci offre personaggi a tutto tondo, che crescono, fanno scelte, cambiano. Cattivi che non sono mai tali solo perché sono stati disegnati così ma hanno motivazioni anche condivisibili e hanno sempre uno scambio ideologico coi buoni e anche loro un percorso da portare a termine; cambi di fronte; personaggi che fanno scelte sbagliate e se ne rendono conto, traendone insegnamenti e crescendo; storie d'amore dalla forma di intricatissimi poligoni amorosi che per una volta non sono buttate lì per contratto ma diventano parte integrante del carattere e della crescita dei personaggi.
Lo stesso protagonista Dai, caratterizzato dall'autore come il classico eroe invincibile, in realtà non lo è: è un bambino, ingenuo, puro, solo, che non sa nulla del mondo, vede il suo sogno di diventare un eroe come un gioco infantile, poi si rende conto che essere un eroe ha un peso che forse è troppo grande perché un bambino possa riuscire a sopportarlo. La ricerca delle sue origini, l'accettazione del suo destino e allo stesso tempo il suo essere un bambino puro che per quel destino ancora non è pronto lo rendono un personaggio forse un po' troppo infantile agli occhi di uno spettatore adulto, ma il suo fascino sta proprio qui, nel suo essere un bambino candido, innocente, fragile dietro la scorza di prode guerriero dal destino segnato dall'eroismo.
È un personaggio che viene messo a nudo in tutta la sua sensibilità, ben diversa dai classici protagonisti shounen super esaltati che urlano ai quattro venti il loro sogno, sbraitano, si abbuffano e pensano solo a combattere perché si divertono a farlo. "Hai sempre detto che la giustizia risiede nella forza. Allora, ti stai divertendo a venire pestato da qualcuno più forte di te? Ti sembra giustizia, questa?" dirà al boss durante lo scontro finale, con una purezza e una sensibilità tali da straziare il cuore dello spettatore. Forse perché influenzato nel suo percorso dai discorsi del suo maestro, convinto che "La forza senza la giustizia non è vera forza, ma la giustizia senza la forza è inutile".
Sebbene nei primi episodi sia lui a salvare la situazione in più occasioni, Dai non potrebbe nulla senza i propri compagni. Il proprio percorso non lo si può compiere da soli, nemmeno se si è un eroe.
E i suoi compagni sono tutti personaggi splendidi, caratterizzati in ogni minimo dettaglio, che compiono una lunga evoluzione nel corso della storia e che spessissimo rubano la scena a Dai, al punto che il sottotitolo della serie potrebbe benissimo essere The adventure of Pop o The adventure of Maam o The adventure of tantissimi altri personaggi. È anche quello, questa è una storia corale dove ognuno ha un suo ruolo, ogni spettatore può trovare qualcuno in cui identificarsi, trovare in lui un compagno, un amico, un eroe e crescere con lui.
A livello personale, il mio eroe di questa storia è un mago vestito di verde a cui, sin dalla mia adolescenza, devo più di quanto si possa immaginare: come me ai tempi in cui conobbi The adventure of Dai la prima volta circa venticinque anni fa, è un personaggio pavido, insicuro, che non ha fiducia in se stesso, ha una ragazza che ama ma non ha il coraggio di dichiararsi, si sente inferiore al più affascinante rivale, vorrebbe diventare un vero uomo degno dell'amore della sua bella... e lo farà, attraversando un percorso tanto sofferto quanto bellissimo ed emozionante che lo porterà a diventare il vero eroe di questa serie, un compagno e un amico affidabile e il cuore pulsante di questo gruppo di personaggi di cui diventerà il membro più coraggioso e più umano al tempo stesso.
Ma di personaggi magnifici ce ne sono a decine, tra cattivi ricchi di onore, personaggi che ottengono una toccante redenzione e personaggi femminili forti e dolci allo stesso tempo, come la splendida Maam, personaggio amato da moltissimi fan per il suo carattere forte e generoso allo stesso tempo, ma anche per una certa scelta che fa durante la serie e che ha ispirato e dato un buon esempio a molti.
The adventure of Dai è ispirato ad un RPG ma è pur sempre uno shounen di Jump figlio diretto di Dragon Ball, perciò affianca all'avventura (viaggi in regni lontani, foreste infestate dai mostri, lande ghiacciate, città portuali, santuari in fondo ai laghi e tanto altro) e al summenzionato approfondimento dei personaggi anche tanta azione e combattimenti.
Parte come un gioco di ruolo fantasy e poi diventa via via sempre più simile a Dragon Ball, con tornei di arti marziali, trasformazioni, onde di energia, personaggi che volano e si scontrano avvolti da aure energetiche. Ma è un Dragon Ball con più cuore e più abile nel tratteggiare i suoi personaggi, in quanto sono tutti diversi uno dall'altro anche nel modo in cui combattono, rendendo gli scontri imprevedibili, ricchi di variabili, incantesimi di ogni tipo, colpi di scena, salvataggi e deus ex machina in extremis, questi ultimi tuttavia sempre giustificati anche dalle meccaniche dei giochi di Dragon Quest a cui la storia si ispira, dove un oggetto magico può letteralmente salvarti la vita. Ed è giusto così, perché i personaggi hanno un loro percorso da compiere e sarebbe un torto troppo grande toglierli di mezzo senza che lo abbiano concluso, specie se (e succede spesso) può ancora influenzare quello di un altro personaggio.
Toei Animation non ha badato a spese per rendere al meglio un materiale di base già bellissimo. Innanzitutto rimediando agli sbagli commessi dal vecchio adattamento, che aveva usato una palette di colori piuttosto scura e pesante, non riuscendo a rendere al meglio lo stile luminoso del manga. The adventure of Dai del 2020 è fedelissimo ai colori scelti nelle illustrazioni del manga, che sono sempre piuttosto chiari e perciò ridona a Maam una chioma rosa chiaro invece che fucsia e a Leona dei capelli castano chiaro invece che giallo limone, nonno Brass è azzurrino invece che rosso e così via, scegliendo sempre toni leggeri e colori accesi. E' uno stile perfetto per rappresentare The adventure of Dai, molto fedele al manga. Non è scuro e cupo come molti anime recenti, ha colori accesi e vivaci come da consuetudine della Toei recente, ma non è plasticoso e bambinesco come Pretty Cure.
Il character design di Emiko Miyamoto (Mahoutsukai Pretty Cure) rende benissimo i personaggi: fedeli al manga e perciò debitori di quello stile anni novanta di cui un anime come questo ha bisogno. Lo stile di disegno di Koji Inada, assistente di Masakazu Katsura, parte con un tratto incerto, leggerissimo, quasi impalpabile per poi farsi via via più marcato e diventare sempre più luminoso, personale, ricco di dettagli e di effetti speciali particolari, raggiungendo negli ultimi volumi del fumetto livelli di chiarezza e bellezza elevatissimi, tanto da far dubitare che sia la stessa persona che ha disegnato i primi.
L'anime ovviamente si basa sullo stile più recente per disegnare i personaggi, quindi il cambiamento si avverte meno ma c'è, con i vari animatori che fanno propri gli effetti e i dettagli tipici dell'ultimo Inada (come ad esempio i riflessi bianchi degli occhi che "escono" dagli occhi stessi quando i personaggi piangono o sono emotivamente molto coinvolti, gli "occhi alla Kenshin", come li chiamo io) nel disegnare gli ultimi episodi, mostrando quindi in un certo senso anche una sorta di evoluzione grafica anche nell'anime, che più va avanti e più diventa dettagliato e spettacolare.
A The adventure of Dai hanno lavorato fior fior di animatori espertissimi. Tra gli altri Hisashi Kagawa (che non mancava mai di dedicare alla serie un disegno per pubblicizzare sui social il suo coinvolgimento in un dato episodio), Mamoru Yokota (rimasto talmente affezionato alla serie che, nonostante la conclusione, continua a postare fanart dei personaggi in versione Halloween o disegni di scene relative a un fantomatico "episodio 102"), Chikashi Kubota, Junichi Hayama, il francese Sanda (grande fan di Dragon Ball e Dragon Quest che ha lavorato a Tokyo alla Toei e allo Studio OLM), Naotoshi Shida, Takao Kiriyama e chi più ne ha più ne metta.
Mostri sacri dell'animazione che si sono formati con Toei, con Dragon Ball, con gli anime anni novanta e quindi hanno reso il nuovo The adventure of Dai un anime anni novanta realizzato con le tecnologie moderne, atte a impreziosire tutta una serie di artifizi retrò che non si vedono molto negli anime recenti ma che hanno decisamente fatto piacere: i capelli mossi dal vento, le schermate fisse colorate ad acquarello a enfatizzare i momenti topici, i riflessi di luce sugli oggetti metallici, gli eyecatch con illustrazioni personalizzate in base al contenuto dell'episodio, le schermate tipo RPG che mostrano i punti vita dei personaggi, una resa dei momenti umoristici tipicamente retrò, flashback disegnati come libri illustrati ad acquarello, una dichiarazione d'amore girata con lo schermo incorniciato da bande nere come se fosse un film.
Nei momenti clou le animazioni sono stupende, la resa grafica degli incantesimi e delle varie aure di energia è spettacolare, spesso ci si sofferma anche su piccoli dettagli come spade che riflettono i volti dei contendenti quando si scontrano, focus su oggetti particolari che vengono inquadrati molto lentamente o movimenti di camera particolari per enfatizzare il momento. Non ci sono mai particolari cali di qualità nella grafica, The adventure of Dai è sopravvissuto indenne al covid (rispettando la data prevista quando altre serie del 2020 sono invece state rimandate) e all'attacco hacking ai danni di Toei, che gli ha fatto saltare circa un mese di programmazione ma gli ha permesso di tornare con un episodio, il 73, che è stato eccezionale sotto ogni punto di vista tecnico ed emozionale ed è stato trasmesso il sabato prima di Pasqua (e chi ha visto l'episodio può cogliere l'involontario simbolismo della cosa).
È' stata usata molto la CGI, per realizzare movimenti di camera durante i combattimenti, per animare masse di mostri sullo sfondo (ma ai mostri di Dragon Quest in CGI siamo abituati quindi non dà fastidio, anzi) o oggetti o personaggi particolari e in (fortunatamente) pochissime occasioni anche per animare i personaggi umani con risultati non sempre bellissimi, ma si tratta di scene sperimentali di pochissimi secondi mescolate ad altre in spettacolare animazione tradizionale, quindi alla cosa non si fa caso più tanto, non quando hai potuto vedere come gli animatori abbiano usato tutto il loro sapere anni novanta per rendere al meglio una serie che doveva essere rappresentata quanto più in stile anni novanta possibile.
Toei negli ultimi anni si è fatta notare in negativo con produzioni abbastanza scarse come animazioni e disegni, rispetto ad altri studi che invece facevano faville e settavano nuovi standard, ma stavolta è Toei stessa ad apprendere dagli altri studi, dagli scontri spettacolari e dalle animazioni stratosferiche di un Demon Slayer che usa giramenti di camera e computer grafica anche per mostrare un personaggio che cammina e a farle sue, interiorizzarle, renderle moderne ma con un tocco tradizionale, che è ciò di cui The adventure of Dai ha bisogno. Il risultato è una serie piacevolissima all'occhio, dove non c'è nessun personaggio che ha un design di cattivo gusto, nessun disegno brutto, nessuna sbavatura, è tutto super pulito, luminoso, fluido, spettacolare ma sobrio.
Gli animatori sanno quando devono mettere l'acceleratore e quando devono tirare il freno a mano, si divertono tantissimo a giocare con tanti piccoli dettagli, ad arricchire la resa grafica dei momenti più iconici del manga, a giocare coi sentimenti dello spettatore che si trova inaspettatamente un'animazione fighissima solo per mostrare un personaggio che corre e poi un momento clou reso invece con altrettanto inaspettata sobrietà, con più attenzione ai dettagli piuttosto che a stratosferici effetti speciali, mentre magari un altro momento clou invece è un'esplosione di emozioni che il manga di partenza ti dava in maniera più contenuta.
Una enorme parte del fascino della serie deriva anche dalla sua colonna sonora. La serie anni novanta utilizzava le musiche orchestrate di Koichi Sugiyama, direttamente prese dai giochi di Dragon Quest o realizzate ex novo con uno stile piuttosto simile, epico, medievale, cavalleresco, che non sempre si confaceva a The adventure of Dai e ritengo non sarebbe stato adatto ad accompagnare le fasi più avanzate, quelle più "Dragon Ball", della storia. Il compositore scelto per il nuovo anime è Yuki Hayashi, e quindi già sappiamo che dovremo elogiarlo.
Compositore eclettico, epico, perfettamente riconoscibile ma sempre diverso perché si adatta alle diverse atmosfere delle storie per cui compone, Yuki Hayashi firma per The adventure of Dai circa cento brani orchestrati raccolti in due doppi album, dove i ritmi epici, medievali e cavallereschi, quelli generati da trombe, tamburi e strumenti a fiato, si mescolano con melodie più moderne e accattivanti, nel perfetto stile di Yuki Hayashi che sin dai tempi di Haikyu sai ti farà un epico tema portante che poi verrà ripreso in mille versioni una più bella dell'altra. The adventure of Dai non fa eccezione: i due brani portanti "Dai no daibouken" (La grande avventura di Dai) e "Ryuu no kishi" (Il cavaliere del drago) vengono ripresi in mille versioni diverse, più ballad, più emotive, più esaltanti, più oscure.
Nella seconda metà della serie si unisce alla già ricca partitura la splendida "Gonin no shito no chikara" (La forza dei cinque discepoli), che diventa un ulteriore nuovo tema portante, compaiono echi delle musiche di Sugiyama che si accompagnano alla parte più classicamente "Dragon Quest" della storia, mentre il boss finale viene accompagnato da lugubri cori eseguiti da Paolo Andrea Di Pietro, nostro connazionale trasferito in Giappone per lavorare come tenore. Lo dico ogni volta che compone musica per un anime, lo so, ma la colonna sonora della serie è uno dei migliori lavori di Yuki Hayashi, esaltante ed emozionante come poche. Fa poi particolarmente piacere vedere come Yuki Hayashi si sia affezionato alla serie, al punto da aver composto le musiche anche per i vari videogiochi da essa tratti, come il mobile game Tamashii no kizuna (noto in occidente come Hero's bond), che contiene anche diversi brani cantati e il cui lancio è stato festeggiato da un quarto d'ora di concerto live di Yuki Hayashi sui brani dell'anime.
Alla colonna sonora posso recriminare solo una cosa, ma si tratta di una lamentela mia basata su miei film mentali privi di fondamento: dopo averlo fatto in My hero academia e in Shaman King, sarebbe stato stupendo se Yuki Hayashi ci avesse regalato anche qui una versione cantata di una delle musiche orchestrate. Più o meno succede, durante la battaglia finale, ma non nel modo in cui mi immaginavo, dato che prende il tema principale e lo rende più annacquato e con cori, invece di cantarci sopra interamente.
Due sigle d'apertura (in doppia versione con video modificato man mano che la storia va avanti) e quattro di chiusura. La prima coppia di sigle, "Ikiru wo suru" (Vivere) e "Mother" sono eseguite dai Macaroni Enpitsu, band amatissima dal regista Karasawa. La musica della opening non è particolarmente bella, ma ci si affeziona, il testo è inaspettatamente molto calzante e il video fatto da tanti piccoli tocchi di classe affascina i fan, mentre la prima ending è praticamente un remake della ending della serie anni novanta, con Dai, Pop e Maam intenti a viaggiare.
Segue poi "Bravest" di Taichi Mukai, una sigla energica che però si fa ricordare maggiormente per il video, ricchissimo di anticipazioni ben nascoste a ciò che avverrà nella parte finale della serie, più che per il brano. Più belle, invece, le altre ending. "Akashi" (Simbolo) dei XIIX con diversi episodi di anticipo rimanda a uno dei momenti salienti della serie ma solo chi sa già può capirlo, e ha ottenuto un particolare successo sui social giapponesi, con diverse fanart che ne hanno rifatto le inquadrature sostituendo ai cinque personaggi principali altri personaggi più secondari. "Namae" (Nome) dei Humbreaders è straziante, col suo testo che può riferirsi a tantissime cose della serie toccando le corde più emotive degli spettatori che sanno, e l'ultima ending, "Tobutori wa" (Volatile) dei Mitei no hanashi, riesce a fare anche di peggio, tra testo e video ricchissimi di simbolismi e rimandi ad una delle parti più commoventi della serie di cui lo spettatore anime-only non immagina nulla ma chi ha letto il manga sente già il cuore in mille pezzi.
Un plauso particolare va fatto anche al doppiaggio della serie, soprattutto ai doppiatori dei personaggi principali che hanno dimostrato un affetto particolare nei confronti di The adventure of Dai prestandosi alle varie live, agli eventi o commentando con fervore sui social. Per i personaggi principali sono stati scelti dei doppiatori giovani, mentre i cattivi e i personaggi adulti hanno la voce di pezzi grossi del doppiaggio giapponese: Mitsuo Iwata, Takaya Hashi, Tomokazu Seki, Keiko Toda, Takahiro Sakurai, Kazuhiro Yamaji, Ai Horikasa, Yu Mizushima, Sho Hayami, Akira Ishida, Shinichiro Miki, Takehito Koyasu (l'aver scelto lui per un personaggio in particolare dimostra quanto lo staff si sia studiato il manga e abbia voluto impreziosirlo). Toei non ha badato a spese e ha richiamato ulteriori mostri sacri anche solo per una comparsata di secondo piano: c'è Kenta Miyake, c'è Ryusei Nakao, c'è Tessho Genda, c'è Toshio Furukawa, c'è Yasuhiro Takato.
Un cast di grand'ordine dove non mancano le belle interpretazioni, tra uno Yuki Kaji che non si discosta troppo dal suo "tono Todoroki" ma è talmente appassionato della serie che gli perdoniamo tutto e un Tomoaki Maeno sotto steroidi che qui deve anche recitare insieme alla moglie Mikako Komatsu (e sapendo questo, le poche ma significative scene in cui i loro personaggi interagiscono diventano particolarmente divertenti). Ma a beccarsi gli elogi migliori sono inevitabilmente i doppiatori dei personaggi principali. Atsumi Tanezaki, la doppiatrice di Dai, che mi ha conquistato col suo entusiasmo e la sua tenerezza durante le live e che dà al giovane protagonista una voce estremamente umana, dolce e battagliera allo stesso tempo, ma anche piacevolmente cavernosa in un certo punto del finale. E Toshiyuki Toyonaga, il doppiatore di Pop, al quale vanno tutti gli elogi possibili per la sua estrema connessione emotiva col personaggio, per l'interpretazione ricchissima di sentimento, per il suo essere un fan sfegatato della serie, per esserne stato l'ambasciatore alle live e agli eventi e per aver reso vivo il mio eroe dell'adolescenza in una maniera straordinaria.
Dragon Quest: The adventure of Dai è una serie alla cui visione non ci si può sottrarre, se vi piacciono gli shounen d'azione/avventura. In quel caso, ha tutto ciò che possiate desiderare ed è anche superiore a certi titoli più blasonati a cui interessano solo le battaglie ma non si curano di sviluppare i personaggi. The adventure of Dai lo fa, in maniera praticamente unica nel suo genere, ed è per questo che rappresenta un viaggio che val la pena di essere fatto, al fianco di amici che non dimenticherete mai, a patto di aver pazienza e di seguirne l'evoluzione pian piano. E' una grande avventura, lo dice il titolo, e una grande avventura non si fa in 12 o in 20 episodi, no? Ci vuole un po' di tempo, ma vi conquisterà, garantito.
Come adattamento di un vecchio manga è tra le migliori cose che siano mai state fatte. Al netto di qualche taglietto che dispiace ma neanche più di tanto, è completo, è comprensibile, è soddisfacente (sì, il finale vi ucciderà e magari non vi piacerà, ma visto nell'ottica di Dragon Quest e del seguito che spero prima o poi si faccia ha senso), prende un ottimo materiale di partenza e lo arricchisce, trattandolo con un amore che raramente si è visto nelle produzioni di questo tipo (ai più famosi Dragon Ball Super, Sailor Moon Crystal, i mille sequel/reboot orribili di Digimon Adventure o i mille spin off di Saint Seiya Toei non ha riservato lo stesso amore). Da fan di questa serie da quasi venticinque anni posso ritenermi più che soddisfatto, il fatto che la mia serie preferita di quando ero ragazzo sia diventata per due anni argomento di discussione in tutto il mondo mi ha reso felicissimo, con l'unico rammarico che nel mio paese non sembra aver avuto chissà quale risonanza (al contrario di Francia, paesi di lingua spagnola e paesi arabi dove è stata accolta con un calore incredibile e paesi di lingua inglese che non lo conoscevano affatto ma hanno imparato ad amarlo, al punto da ottenere anche un doppiaggio). Tuttavia, ritengo che anche gli adolescenti di questa generazione possano e debbano vivere la loro grande avventura insieme a Dai, a Pop, a Maam e a tutti gli altri.
La serie è interamente disponibile su Crunchyroll con sottotitoli in italiano (l'adattamento di nomi, termini, mostri e incantesimi non è bellissimo, ma è mutuato da quello dei videogiochi in tutto il mondo per imposizione della casa giapponese e dunque purtroppo bisogna farsene una ragione), persino lo stesso regista Karasawa invoglia i fan a vederla in un video pubblicitario realizzato appositamente per Crunchryoll, quindi non ci sono proprio scuse. Ora però torniamo a dieci pagine di Word fa, all'incipit della recensione, all'aprile 2015 e al mio post su Facebook. Dai no daibouken me l'hai fatto, e te ne sarò per sempre grato, ora aspetto il nuovo Kinnikuman e il nuovo Otoko Juku. Ci conto, Toei, eh?