Snoopy & Friends - Il film dei Peanuts
Un compendio gradevole che rispetta l'opera del compianto Schultz.
Quando anni fa vidi il trailer, ebbi molti dubbi sul film, la mia prima impressione fu di un buonismo eccessivo, che invece fui felice di constatare essere dosato con cura. I personaggi principali sono tutti presenti e si riconoscono benissimo nei loro atteggiamenti: l'acida Lucy, la rozza Piperita, l'ispirato Schroeder, il saggio Linus, l'intellettuale Marcie... ma, ovviamente, considerando il mezzo diverso e pure gli oltre sessant'anni che dividono le prime strisce da questo film, ci sono differenze.
"Snoopy & Friends - Il film dei Peanuts" è un lungometraggio incentrato sul facilmente digeribile romanticismo. Un film semplificato nelle autoanalisi dei suoi personaggi e più vicino alle strisce sfornate dagli anni '70/'80 in poi, quelle con uno Snoopy più centrale e sempre più umanizzato, piuttosto che su quelle dei primi vent'anni di pubblicazione, aventi tematiche e atmosfere occasionalmente più adulte. Contrariamente all'impostazione però, mancheranno alcuni personaggi introdotti nell'ultimo periodo del fumetto, per portare disperatamente... un po' di linfa vitale. Mi riferisco a Replica Van Pelt, il fratello minore di Linus e Lucy, e a Peggy Jean, una ragazzina molto vicina a Charlie Brown. Peggy in particolare fu un elemento di rottura col passato, al punto da destare malumori sia nella sua venuta che, dopo un decennio, nel suo improvviso accantonamento.
Ovviamente, a tutto ciò si unisce anche il tocco del regista, Steve Martino, che in precedenza aveva fatto pratica con "Ortone e il mondo dei Chi" e con il quarto capitolo de "L'era Glaciale - Continenti alla deriva". Se non ricordo male, venne scelto proprio per il suo lavoro sull'opera del dottor Seuss, ritenuta dalla famiglia del defunto Schulz un buon connubio di modernità e garbo.
La storia che ci troveremo davanti è la tipica voglia di riscatto del bravo ragazzo, con una strizzata d'occhio all'intento educativo per i più giovani. Non vedremo Linus fare un picchetto in favore della maestra né lo vedremo andare a far visita ad amiche gravemente malate, come successo in altre passate trasposizioni, l'obiettivo principale sarà piuttosto quello di raggruppare tutti gli elementi storici sotto lo stesso tetto, a costo di accennarli molto flebilmente. Parliamo di cose come il campo di cocomeri (zucche), il ritrovo della quercia, la cotta di Piperita Patty per 'Ciccio', quella di Lucy per l'inespugnabile seguace di Beethoven, il campeggio estivo, Joe Falchetto (Cool), la fissazione di Frieda per i suoi riccioli naturali, l'incalciabile pallone da football, l'albero mangia-aquiloni, la posa da avvoltoio di Snoopy ecc., il tutto solo ed esclusivamente per gli ammiratori storici, ormai grandicelli e in grado di coglierli. Di queste chicche, l'unica veramente approfondita sarà quella della tenzone 'spielberghiana' col Barone Rosso e di riflesso della mania di Snoopy di scrivere romanzi con la sua storica frase d'inizio, "Era una notte buia e tempestosa", elemento permesso da un'antiquata macchina per scrivere, che ci ricorda il suo essere nato in un'altra epoca.
Riguardo alle differenze tra le due opere, quella che salta per prima all'occhio è proprio Snoopy. Per il geniale bracchetto (beagle) del caro vecchio Charlie Brown, il suo padrone è sempre stato "il buffo bambino dalla testa rotonda", un umano poco più importante degli altri e solo perché lo sfama. Anche se odia e teme i gatti del vicinato, Snoopy nell'opera di Schultz è un gatto-umanoide travestito da cane, costantemente indipendente, menefreghista ed estremamente egocentrico. Al contrario quello del film, anche se rimane dispettosetto e altrettanto sognatore, è molto più vicino alla figura dell'amico fedele a quattro zampe, e il sostegno che in origine sarebbe stato breve e incostante qui viene mantenuto. Personalmente non l'ho trovato un male, anzi, e ho gradito pure le modifiche secondarie, ma incisive, al personaggio di Charlie Brown. Mi riferisco al suo nuovo potere distruttivo, che lo ha fatto passare da semplice complessato a terremoto fantozziano da cui stare alla larga.
Si badi bene, l'ho definito un complessato, non un perdente come molti hanno amato definirlo negli anni. Lo stesso Schultz disse di non averlo mai visto in quei termini, infatti Charlie Brown in tutte le sue incarnazioni è un bambino incredibilmente stoico, fallisce e rimugina costantemente, ma non molla mai, e non per troppa stupidità o machismo rabbioso come certi protagonisti shonen, ma per l'incrollabile fede personale che, se provi e ti impegni in qualcosa che ti piace, prima o poi qualcosa di buono dovrai ottenere. Tendiamo a dimenticarci troppo spesso quanto sia difficile rialzarsi dalla sconfitta, specie quando nessuno, nemmeno gli amici più stretti, credono davvero in te.
Tornando al film, la generale riuscita di questo progetto si può imputare anche alla sorveglianza del figlio e del nipote dell'autore, che hanno lottato duramente sia per non fare seguiti inutili sia piuttosto per concentrarsi su un solo buon prodotto, e, secondariamente, respingendo molte proposte comiche durante i lavori. Durante le loro interviste, principalmente del figlio di Schultz, si capiva bene quanto "I Peanuts" siano visti come un tesoro di famiglia e come, nonostante le differenze caratteriali, abbiano trasmesso nella loro piccola cerchia quel concetto di buon gusto ed educazione rigida che tanto sembra alieno oltreoceano e crescentemente anche nel vecchio continente. I due vigilanti comunque non sono stati eccessivamente rigidi, infatti, consci del cambiamento dei tempi, hanno permesso variazioni e anche l'infrangimento di un grande tabù, mostrando il volto di un certo personaggio, che prima di allora aveva avuto tale occasione solo in un breve speciale televisivo del 1977, intitolato "It's Your First Kiss, Charlie Brown". Questa decisione da parte loro non è da sottovalutare, in quanto era un elemento legato strettamente alla sfera privata della giovinezza di Schultz.
Per quanto riguarda il doppiaggio, siamo su livelli di sufficienza, ma onestamente non mi ha convinto. In passato "I Peanuts" non hanno mai brillato sotto questo aspetto, specialmente per quanto riguardava Charlie Brown, che invece stavolta è tra quelli che se la cavano meglio. La differenza è che al tempo venivano usati dei comuni doppiatori adulti, non sempre di prima scelta, mentre per questo film, seguendo l'esempio americano, sono state utilizzate voci di ragazzini. Questo ha conferito alle "noccioline" toni genuinamente giovanili, ma d'altra parte ha prodotto un mediocre risultato per i livelli qualitativi di oggi e soprattutto non ha evitato un indubbio divario nella prestazione, basta confrontare Lucy e Sally per rendersene conto. A livello tecnico invece hanno fatto il colpaccio, utilizzando uno stile grafico che trasmettesse la piattezza delle tavole originali, per poi sommargli pure piccole parti letteralmente disegnate sopra, come le sopracciglia, i contorni degli occhi, alcuni ricordi ed altro ancora. Infine, la colonna sonora aggiunge ai classici tocchi da pianoforte due elementi fortemente estranei al marchio, ovvero: un breve assaggio dei Gipsy Kings e una canzone composta e cantata per l'occasione dalla brava Meghan Trainor. La prima riporta alla mente tempi ben più lieti, ma relativamente avanzati per "I Peanuts", mentre la seconda segue lo stile delle produzioni più contemporanee, quantomeno senza usare troppa musica pop di tendenza. Il tentativo di abbracciare due fasce distinte di pubblico appare abbastanza chiaro.
"Snoopy e Friends" non è perfetto e non è nemmeno la cosa più divertente che sia stata sfornata nel suo decennio, ma in qualche modo mantiene la sua identità e, guardando a tutte le terribili trasposizioni de "I Puffi", è decisamente cosa rara oggigiorno. Non è un titolo per giovani adulti né un titolo rovinato da brutte scelte nazi-progressiste, e nemmeno un titolo solo per piccoli, si mantiene sempre equilibrato, come Schultz stesso avrebbe voluto, in modo da deliziare sia figli che genitori. È un titolo che possono vedere tutte le fasce di spettatori, senza strapparsi i capelli di gioia, ma anche senza pentirsene, e onestamente, nei suoi limiti, qualche risata me l'ha procurata.
Quando anni fa vidi il trailer, ebbi molti dubbi sul film, la mia prima impressione fu di un buonismo eccessivo, che invece fui felice di constatare essere dosato con cura. I personaggi principali sono tutti presenti e si riconoscono benissimo nei loro atteggiamenti: l'acida Lucy, la rozza Piperita, l'ispirato Schroeder, il saggio Linus, l'intellettuale Marcie... ma, ovviamente, considerando il mezzo diverso e pure gli oltre sessant'anni che dividono le prime strisce da questo film, ci sono differenze.
"Snoopy & Friends - Il film dei Peanuts" è un lungometraggio incentrato sul facilmente digeribile romanticismo. Un film semplificato nelle autoanalisi dei suoi personaggi e più vicino alle strisce sfornate dagli anni '70/'80 in poi, quelle con uno Snoopy più centrale e sempre più umanizzato, piuttosto che su quelle dei primi vent'anni di pubblicazione, aventi tematiche e atmosfere occasionalmente più adulte. Contrariamente all'impostazione però, mancheranno alcuni personaggi introdotti nell'ultimo periodo del fumetto, per portare disperatamente... un po' di linfa vitale. Mi riferisco a Replica Van Pelt, il fratello minore di Linus e Lucy, e a Peggy Jean, una ragazzina molto vicina a Charlie Brown. Peggy in particolare fu un elemento di rottura col passato, al punto da destare malumori sia nella sua venuta che, dopo un decennio, nel suo improvviso accantonamento.
Ovviamente, a tutto ciò si unisce anche il tocco del regista, Steve Martino, che in precedenza aveva fatto pratica con "Ortone e il mondo dei Chi" e con il quarto capitolo de "L'era Glaciale - Continenti alla deriva". Se non ricordo male, venne scelto proprio per il suo lavoro sull'opera del dottor Seuss, ritenuta dalla famiglia del defunto Schulz un buon connubio di modernità e garbo.
La storia che ci troveremo davanti è la tipica voglia di riscatto del bravo ragazzo, con una strizzata d'occhio all'intento educativo per i più giovani. Non vedremo Linus fare un picchetto in favore della maestra né lo vedremo andare a far visita ad amiche gravemente malate, come successo in altre passate trasposizioni, l'obiettivo principale sarà piuttosto quello di raggruppare tutti gli elementi storici sotto lo stesso tetto, a costo di accennarli molto flebilmente. Parliamo di cose come il campo di cocomeri (zucche), il ritrovo della quercia, la cotta di Piperita Patty per 'Ciccio', quella di Lucy per l'inespugnabile seguace di Beethoven, il campeggio estivo, Joe Falchetto (Cool), la fissazione di Frieda per i suoi riccioli naturali, l'incalciabile pallone da football, l'albero mangia-aquiloni, la posa da avvoltoio di Snoopy ecc., il tutto solo ed esclusivamente per gli ammiratori storici, ormai grandicelli e in grado di coglierli. Di queste chicche, l'unica veramente approfondita sarà quella della tenzone 'spielberghiana' col Barone Rosso e di riflesso della mania di Snoopy di scrivere romanzi con la sua storica frase d'inizio, "Era una notte buia e tempestosa", elemento permesso da un'antiquata macchina per scrivere, che ci ricorda il suo essere nato in un'altra epoca.
Riguardo alle differenze tra le due opere, quella che salta per prima all'occhio è proprio Snoopy. Per il geniale bracchetto (beagle) del caro vecchio Charlie Brown, il suo padrone è sempre stato "il buffo bambino dalla testa rotonda", un umano poco più importante degli altri e solo perché lo sfama. Anche se odia e teme i gatti del vicinato, Snoopy nell'opera di Schultz è un gatto-umanoide travestito da cane, costantemente indipendente, menefreghista ed estremamente egocentrico. Al contrario quello del film, anche se rimane dispettosetto e altrettanto sognatore, è molto più vicino alla figura dell'amico fedele a quattro zampe, e il sostegno che in origine sarebbe stato breve e incostante qui viene mantenuto. Personalmente non l'ho trovato un male, anzi, e ho gradito pure le modifiche secondarie, ma incisive, al personaggio di Charlie Brown. Mi riferisco al suo nuovo potere distruttivo, che lo ha fatto passare da semplice complessato a terremoto fantozziano da cui stare alla larga.
Si badi bene, l'ho definito un complessato, non un perdente come molti hanno amato definirlo negli anni. Lo stesso Schultz disse di non averlo mai visto in quei termini, infatti Charlie Brown in tutte le sue incarnazioni è un bambino incredibilmente stoico, fallisce e rimugina costantemente, ma non molla mai, e non per troppa stupidità o machismo rabbioso come certi protagonisti shonen, ma per l'incrollabile fede personale che, se provi e ti impegni in qualcosa che ti piace, prima o poi qualcosa di buono dovrai ottenere. Tendiamo a dimenticarci troppo spesso quanto sia difficile rialzarsi dalla sconfitta, specie quando nessuno, nemmeno gli amici più stretti, credono davvero in te.
Tornando al film, la generale riuscita di questo progetto si può imputare anche alla sorveglianza del figlio e del nipote dell'autore, che hanno lottato duramente sia per non fare seguiti inutili sia piuttosto per concentrarsi su un solo buon prodotto, e, secondariamente, respingendo molte proposte comiche durante i lavori. Durante le loro interviste, principalmente del figlio di Schultz, si capiva bene quanto "I Peanuts" siano visti come un tesoro di famiglia e come, nonostante le differenze caratteriali, abbiano trasmesso nella loro piccola cerchia quel concetto di buon gusto ed educazione rigida che tanto sembra alieno oltreoceano e crescentemente anche nel vecchio continente. I due vigilanti comunque non sono stati eccessivamente rigidi, infatti, consci del cambiamento dei tempi, hanno permesso variazioni e anche l'infrangimento di un grande tabù, mostrando il volto di un certo personaggio, che prima di allora aveva avuto tale occasione solo in un breve speciale televisivo del 1977, intitolato "It's Your First Kiss, Charlie Brown". Questa decisione da parte loro non è da sottovalutare, in quanto era un elemento legato strettamente alla sfera privata della giovinezza di Schultz.
Per quanto riguarda il doppiaggio, siamo su livelli di sufficienza, ma onestamente non mi ha convinto. In passato "I Peanuts" non hanno mai brillato sotto questo aspetto, specialmente per quanto riguardava Charlie Brown, che invece stavolta è tra quelli che se la cavano meglio. La differenza è che al tempo venivano usati dei comuni doppiatori adulti, non sempre di prima scelta, mentre per questo film, seguendo l'esempio americano, sono state utilizzate voci di ragazzini. Questo ha conferito alle "noccioline" toni genuinamente giovanili, ma d'altra parte ha prodotto un mediocre risultato per i livelli qualitativi di oggi e soprattutto non ha evitato un indubbio divario nella prestazione, basta confrontare Lucy e Sally per rendersene conto. A livello tecnico invece hanno fatto il colpaccio, utilizzando uno stile grafico che trasmettesse la piattezza delle tavole originali, per poi sommargli pure piccole parti letteralmente disegnate sopra, come le sopracciglia, i contorni degli occhi, alcuni ricordi ed altro ancora. Infine, la colonna sonora aggiunge ai classici tocchi da pianoforte due elementi fortemente estranei al marchio, ovvero: un breve assaggio dei Gipsy Kings e una canzone composta e cantata per l'occasione dalla brava Meghan Trainor. La prima riporta alla mente tempi ben più lieti, ma relativamente avanzati per "I Peanuts", mentre la seconda segue lo stile delle produzioni più contemporanee, quantomeno senza usare troppa musica pop di tendenza. Il tentativo di abbracciare due fasce distinte di pubblico appare abbastanza chiaro.
"Snoopy e Friends" non è perfetto e non è nemmeno la cosa più divertente che sia stata sfornata nel suo decennio, ma in qualche modo mantiene la sua identità e, guardando a tutte le terribili trasposizioni de "I Puffi", è decisamente cosa rara oggigiorno. Non è un titolo per giovani adulti né un titolo rovinato da brutte scelte nazi-progressiste, e nemmeno un titolo solo per piccoli, si mantiene sempre equilibrato, come Schultz stesso avrebbe voluto, in modo da deliziare sia figli che genitori. È un titolo che possono vedere tutte le fasce di spettatori, senza strapparsi i capelli di gioia, ma anche senza pentirsene, e onestamente, nei suoi limiti, qualche risata me l'ha procurata.