Maetel Legend - Sinfonia d'inverno
<b>Attenzione: la recensione contiene spoiler</b>
Parto col confessare che prima di questa piccola serie OAV non avevo visto niente del famoso Leiji Matsumoto e, data la sua fama, mi ero avvicinato a questo breve anime per cominciare a conoscere alcuni dei personaggi delle sue popolari saghe.
Probabilmente l'errore principale è stato quello di volermi avvicinare a questo autore partendo proprio da un prodotto dedicato principalmente alla fanbase piuttosto che ai neofiti.
Però andiamo con ordine partendo da un breve riassunto della trama: il pianeta Lametal si sta progressivamente allontanando dal suo sole e sta sprofondando in un sempre più lungo e rigido inverno. La regina del pianeta ha due figlie, le principesse Esmeralda e Maetel. Lametal è un pianeta in gran parte costituito da macchine umane e non, in particolar modo il consigliere reale Ar Gear appartiene a questo ultimo genere di cyborg. A causa delle sempre più rigide temperature e quindi della scarsa reperibilità del cibo, tutte le forme di vita stanno progressivamente morendo. Da ciò nasce la proposta di Ar Gear di trasformare le regina e le sue figlie in macchine, per far sì che non rischino anch'esse di morire. Sebbene la regina decida di sottoporsi alla trasformazione, le principesse scelgono di mantenere la loro natura umana. Man mano che la sovrana si sottopone alla trasformazione, Ar Gear guadagna sempre più potere: infatti egli, durante il processo, inserisce nella mente della regina dei piccoli robot-insetti per controllarla. Scoperto ciò, le principesse combattono il malvagio consigliere, senza però riuscire a impedirgli di completare la trasformazione della loro madre. Una volta robotizzata, ella sprigiona un incredibile potere col quale elimina Ar Gear e si oppone alle sue stesse figlie. Alla fine solo Maetel riuscirà a scappare da Lametal grazie al Galaxy Express, che proprio nei giorni dello scontro passa su quel pianeta.
Come avrete notato la trama non è delle più originali, anzi, sa veramente di visto e stravisto. La cosa che di più lascia l'amaro in bocca è che tutto ciò che viene offerto allo spettatore è proprio questa insipida trama. Tutti gli avvenimenti accadono susseguendosi senza lasciare la minima traccia dietro di loro, non uno spunto di riflessione, non una minima "scintilla" che possa accendere davvero la curiosità di chi guarda. Inutile dire che il tutto risulta piuttosto noioso.
Inoltre non lasciatevi trarre in inganno dal titolo completo dell'opera, "Sinfonia d'Inverno", perché la colonna sonora non fa che rafforzare la piattezza generale dell'anime (spesso non mi ero neanche accorto che c'era la musica di sottofondo alle scene).
In sostanza, questa breve serie di OAV è consigliata solo a chi già conosce Matsumoto e le sue altre opere, in particolare a chi magari vuole conoscere meglio le origini di alcuni dei suoi personaggi. Per chiunque altro consiglio vivamente di dirigersi verso le più esaustive saghe di "Galaxy Express 999" o "Capitan Harlock" dello stesso autore.
Parto col confessare che prima di questa piccola serie OAV non avevo visto niente del famoso Leiji Matsumoto e, data la sua fama, mi ero avvicinato a questo breve anime per cominciare a conoscere alcuni dei personaggi delle sue popolari saghe.
Probabilmente l'errore principale è stato quello di volermi avvicinare a questo autore partendo proprio da un prodotto dedicato principalmente alla fanbase piuttosto che ai neofiti.
Però andiamo con ordine partendo da un breve riassunto della trama: il pianeta Lametal si sta progressivamente allontanando dal suo sole e sta sprofondando in un sempre più lungo e rigido inverno. La regina del pianeta ha due figlie, le principesse Esmeralda e Maetel. Lametal è un pianeta in gran parte costituito da macchine umane e non, in particolar modo il consigliere reale Ar Gear appartiene a questo ultimo genere di cyborg. A causa delle sempre più rigide temperature e quindi della scarsa reperibilità del cibo, tutte le forme di vita stanno progressivamente morendo. Da ciò nasce la proposta di Ar Gear di trasformare le regina e le sue figlie in macchine, per far sì che non rischino anch'esse di morire. Sebbene la regina decida di sottoporsi alla trasformazione, le principesse scelgono di mantenere la loro natura umana. Man mano che la sovrana si sottopone alla trasformazione, Ar Gear guadagna sempre più potere: infatti egli, durante il processo, inserisce nella mente della regina dei piccoli robot-insetti per controllarla. Scoperto ciò, le principesse combattono il malvagio consigliere, senza però riuscire a impedirgli di completare la trasformazione della loro madre. Una volta robotizzata, ella sprigiona un incredibile potere col quale elimina Ar Gear e si oppone alle sue stesse figlie. Alla fine solo Maetel riuscirà a scappare da Lametal grazie al Galaxy Express, che proprio nei giorni dello scontro passa su quel pianeta.
Come avrete notato la trama non è delle più originali, anzi, sa veramente di visto e stravisto. La cosa che di più lascia l'amaro in bocca è che tutto ciò che viene offerto allo spettatore è proprio questa insipida trama. Tutti gli avvenimenti accadono susseguendosi senza lasciare la minima traccia dietro di loro, non uno spunto di riflessione, non una minima "scintilla" che possa accendere davvero la curiosità di chi guarda. Inutile dire che il tutto risulta piuttosto noioso.
Inoltre non lasciatevi trarre in inganno dal titolo completo dell'opera, "Sinfonia d'Inverno", perché la colonna sonora non fa che rafforzare la piattezza generale dell'anime (spesso non mi ero neanche accorto che c'era la musica di sottofondo alle scene).
In sostanza, questa breve serie di OAV è consigliata solo a chi già conosce Matsumoto e le sue altre opere, in particolare a chi magari vuole conoscere meglio le origini di alcuni dei suoi personaggi. Per chiunque altro consiglio vivamente di dirigersi verso le più esaustive saghe di "Galaxy Express 999" o "Capitan Harlock" dello stesso autore.
I primi due Oav di una serie che quattro anni dopo si completerà con altri tredici Oav, ovvero "Space Symphony Maetel". A differenza della serie del 2004 qua abbiamo una grafica ed un chara design migliori, con disegni più morbidi e dettagliati, riflessi e dettagli più accurati e colori migliori, infine Maetel con gli occhi più fedeli all' originale. Detto questo la trama narra appunto l'inizio dell'impero meccanico e la trasformazione della regina Promethium da madre a fredda macchina. La regina prende questa scelta per salvare lei e gli abitanti del pianeta Lamethal dal gelido clima di un pianeta destinato a morire; senza rendersi conto che la presunta salvezza altro non è che la fine della loro umanità. Davvero belle le scene della trasformzzione in macchina della regina e del cambio di carattere, mentre una debole e indifesa Maetel viene supportata dalla sorella Emeraldas, che invece già manifesta la sua forza di carattere. Alla fine fuggiranno entrambe sul Galaxy Express 999 (non digitale e più dettagliato, ovviamente) giurando di tornare per combattere insieme la ormai diabolica e meccanica Regina. Qui a differenza della serie del 2004 Maetel indossa il famoso abito scuro che tutti ricordiamo nella serie originale e quello doveva mantenere, secondo me.
Quando un’opera delude profondamente chi è affezionato all’universo di cui essa fa parte è difficile trarne le dovute conclusioni. Ancora più doloroso è dovere ammettere che di quella stessa opera le cose da dimenticare sono molto più numerose di quelle da ricordare.
È questo, per chi scrive, il caso di Maetel Legend, un bis di OAV usciti nel 2000 e nel 2001. Un soggetto pieno di tante potenzialità distrutto dalla bufera di un budget scarso, dalla fretta della produzione, dalla qualità scadente che ne è risultata.
Il tutto si ripercuote su un impianto narrativo che la sola conduzione di Matsumoto avrebbe reso eccelso. Ma purtroppo il maestro si sofferma al solo soggetto, segnando con questa scelta la sfortuna dell’opera.
Cosa resta allo spettatore? Ben poco. La linea discendente della produzione cinematografica e OAV su Galaxy Express non garantisce la giusta profondità a tematiche fin troppo complesse. Una complessità mortificata qui dalla mancanza di coerenza, da una conduzione della trama pessima, da ripetizioni inutili, da momenti morti, da assenza di vera riflessione.
Vuoti sono i dialoghi, segnati da una monotonia che punta sulla sofferenza della condizione dell’uomo, dell’impotenza del suo corpo <i>“fatto di carne e sangue”</i>. Sì, sono queste le parole, sempre uguali, con cui si possono riassumere tutte le frasi che i protagonisti pronunciano nei due OAV.
L’approfondimento caratteriale è appena abbozzato, soprattutto nella regina madre Promethium, nel suo continuo oscillare tra la durezza d’acciaio di una macchina e la dolcezza di un cuore materno. Peccato che non si capisca per nulla la risolutezza della decisione della regina di meccanizzare il suo corpo, che si contrappone decisamente per coerenza alla sua titubanza posteriore. La sofferenza di una regina nella decisione di rinunciare per sempre ai sentimenti umani viene dimenticata nel momento in cui in maniera ingiustificata appare così crudele, così risoluta con le sue figlie. Il motivo è uno solo: economia tempistica. I tempi di un OAV stringono, gli OAV che si possono fare sono solo due, per cui non si può dare spazio a tutto. Risultato? Se si perde un anello si perdono tutti gli altri e l’intero prodotto diventa il simbolo della superficialità, la beffa peggiore, vista la tematica profonda del soggetto.
Personaggi che nelle opere cartacee di Matsumoto avevano avuto sempre una forte personalità qui diventano dei manichini blateranti, i cui sentimenti vengono resi in maniera così superflua, automatica, ridicola, scialba, da sembrare il massimo della finzione. Esmeralda è la vittima di questo meccanismo di appiattimento caratteriale: le resta solo un po’ di temerarietà, ma la complessità interiore, che ne fa uno dei personaggi più introversi e misteriosi di Matsumoto, viene dimenticata, così come non viene esplorato neanche uno dei fili conduttori che porteranno alla sua decisione di vagare per sempre nell’universo.
Maetel è l’unica il cui animo viene esplorato nelle sue pieghe più intime, ma la superficialità del prodotto la rende infine una triste nota stonata nella cacofonia dei vani personaggi dell’opera. Piattezza, sciatteria, banalità: è ciò che caratterizza la narrazione delle vicende. Non di più. La sensazione che se ricava è quella della presa in giro, seguita dallo sconforto della consapevolezza che il miraggio del business finisce per rovinare grandi progetti.
Il comparto tecnico si attesta su livelli davvero mediocri. A confronto i vecchi lungometraggi del ’79 e dell’81 sembrano opere verdissime.
Si parte da una regia dai ritmi completamente fuori sincrono con la velocità della narrazione, che giustappone scene in modo meccanico e automatico senza quel minimo di fluidità e di lentezza che ci si aspetterebbe da opere complesse.
Due OAV sono poca cosa, quello che vi si può narrare è veramente esiguo. L’impressione di esiguità aumenta se le scelte registiche, opera di Kazuyoshi Yokota, vanno per ritmi convulsi e immotivatamente accelerati. La poca profondità dei contenuti finisce così per svanire del tutto. Tralasciamo anche i fotogrammi ripetuti fino all’esaurimento, che finiscono per saturare la già snervata memoria dello spettatore.
La fotografia non è per niente eccellente. Colori elementari lasciano il posto a poche sfumature nei fondali dei paesaggi innevati di Lamethal. Sono totalmente assenti le diverse tonalità delle nevi del pianeta. È altrettanto elementare e superflua la resa dei vortici gravitazionali dei pianeti nelle scene di raccordo.
Le animazioni, di Shimazu Ikuo, sono altalenanti, ma in generale sono mediocri anch’esse: spesso i movimenti sono a scatti, ripetuti, stereotipati.
Una nota ancora più dolente riguarda il chara-design, opera dello stesso Ikuo: il tratto di Matsumoto viene “caricaturizzato” accentuandone in maniera eccessiva le peculiarità, fino a farle apparire come difetti inguardabili e inaccettabili. Gli occhi espressivi, raffinati, barocchi, diventano enormi trapezi, spesso strabici. Le teste hanno una forma conica, troppo vicina alla geometria. Le bocche sono totalmente attaccate a nasi spropositati che non sono il massimo dell’eleganza. Come non denunciare infine la scomparsa dei longilinei e filiformi corpi femminili di Matsumoto? La loro linea aggraziata ed elegante lascia il posto a linee grosse, tozze, per corpi tarchiati, irriconoscibili.
Le musiche, di Amano Masamichi, segnano un altro punto a sfavore dell’opera, rendendola definitivamente ridicola. Il titolo parla di un poema sinfonico in due atti. Dove sta la sinfonia? Una sinfonia è connotata dalla varietà di temi musicali, varietà che il primo OAV non ha minimamente, caratterizzato com’è da temi monotoni, ricorrenti fino alla nausea e spesso inappropriati alle situazioni narrate. Peccano di eccessiva maestosità, sconfinando in un ensemble musicale esuberante e fuori luogo, troppo pompato. L’unica eccezione la costituisce l’ending conclusiva, <i>“Eternally”</i>. Lo spettatore al suo ascolto e alla bellezza delle immagini può finalmente rinfrancarsi, e perché la sofferenza è finalmente conclusa e perché la bellezza dei violini, degli strumenti a corde, la ricchezza delle melodie di questo pezzo è unica. Intensità, passione, trasporto, vitalità, travolgimento insistono in questa ending come non hanno fatto negli OAV, lasciando l’amaro in bocca per cosa quest’opera avrebbe potuto essere se solo fosse stata realizzata per come si deve.
È con grande rammarico che si può pensare a questi OAV. Il rammarico di chi si sente preso in giro, di chi si aspetta grandi promesse e si ritrova solo una parvenza trasparente dell’inutilità cui certi temi possono essere ridotti. Un quattro esprime la delusione cocente di chi si aspettava la narrazione definitiva e degna della storia di un personaggio del calibro di Maetel.
È questo, per chi scrive, il caso di Maetel Legend, un bis di OAV usciti nel 2000 e nel 2001. Un soggetto pieno di tante potenzialità distrutto dalla bufera di un budget scarso, dalla fretta della produzione, dalla qualità scadente che ne è risultata.
Il tutto si ripercuote su un impianto narrativo che la sola conduzione di Matsumoto avrebbe reso eccelso. Ma purtroppo il maestro si sofferma al solo soggetto, segnando con questa scelta la sfortuna dell’opera.
Cosa resta allo spettatore? Ben poco. La linea discendente della produzione cinematografica e OAV su Galaxy Express non garantisce la giusta profondità a tematiche fin troppo complesse. Una complessità mortificata qui dalla mancanza di coerenza, da una conduzione della trama pessima, da ripetizioni inutili, da momenti morti, da assenza di vera riflessione.
Vuoti sono i dialoghi, segnati da una monotonia che punta sulla sofferenza della condizione dell’uomo, dell’impotenza del suo corpo <i>“fatto di carne e sangue”</i>. Sì, sono queste le parole, sempre uguali, con cui si possono riassumere tutte le frasi che i protagonisti pronunciano nei due OAV.
L’approfondimento caratteriale è appena abbozzato, soprattutto nella regina madre Promethium, nel suo continuo oscillare tra la durezza d’acciaio di una macchina e la dolcezza di un cuore materno. Peccato che non si capisca per nulla la risolutezza della decisione della regina di meccanizzare il suo corpo, che si contrappone decisamente per coerenza alla sua titubanza posteriore. La sofferenza di una regina nella decisione di rinunciare per sempre ai sentimenti umani viene dimenticata nel momento in cui in maniera ingiustificata appare così crudele, così risoluta con le sue figlie. Il motivo è uno solo: economia tempistica. I tempi di un OAV stringono, gli OAV che si possono fare sono solo due, per cui non si può dare spazio a tutto. Risultato? Se si perde un anello si perdono tutti gli altri e l’intero prodotto diventa il simbolo della superficialità, la beffa peggiore, vista la tematica profonda del soggetto.
Personaggi che nelle opere cartacee di Matsumoto avevano avuto sempre una forte personalità qui diventano dei manichini blateranti, i cui sentimenti vengono resi in maniera così superflua, automatica, ridicola, scialba, da sembrare il massimo della finzione. Esmeralda è la vittima di questo meccanismo di appiattimento caratteriale: le resta solo un po’ di temerarietà, ma la complessità interiore, che ne fa uno dei personaggi più introversi e misteriosi di Matsumoto, viene dimenticata, così come non viene esplorato neanche uno dei fili conduttori che porteranno alla sua decisione di vagare per sempre nell’universo.
Maetel è l’unica il cui animo viene esplorato nelle sue pieghe più intime, ma la superficialità del prodotto la rende infine una triste nota stonata nella cacofonia dei vani personaggi dell’opera. Piattezza, sciatteria, banalità: è ciò che caratterizza la narrazione delle vicende. Non di più. La sensazione che se ricava è quella della presa in giro, seguita dallo sconforto della consapevolezza che il miraggio del business finisce per rovinare grandi progetti.
Il comparto tecnico si attesta su livelli davvero mediocri. A confronto i vecchi lungometraggi del ’79 e dell’81 sembrano opere verdissime.
Si parte da una regia dai ritmi completamente fuori sincrono con la velocità della narrazione, che giustappone scene in modo meccanico e automatico senza quel minimo di fluidità e di lentezza che ci si aspetterebbe da opere complesse.
Due OAV sono poca cosa, quello che vi si può narrare è veramente esiguo. L’impressione di esiguità aumenta se le scelte registiche, opera di Kazuyoshi Yokota, vanno per ritmi convulsi e immotivatamente accelerati. La poca profondità dei contenuti finisce così per svanire del tutto. Tralasciamo anche i fotogrammi ripetuti fino all’esaurimento, che finiscono per saturare la già snervata memoria dello spettatore.
La fotografia non è per niente eccellente. Colori elementari lasciano il posto a poche sfumature nei fondali dei paesaggi innevati di Lamethal. Sono totalmente assenti le diverse tonalità delle nevi del pianeta. È altrettanto elementare e superflua la resa dei vortici gravitazionali dei pianeti nelle scene di raccordo.
Le animazioni, di Shimazu Ikuo, sono altalenanti, ma in generale sono mediocri anch’esse: spesso i movimenti sono a scatti, ripetuti, stereotipati.
Una nota ancora più dolente riguarda il chara-design, opera dello stesso Ikuo: il tratto di Matsumoto viene “caricaturizzato” accentuandone in maniera eccessiva le peculiarità, fino a farle apparire come difetti inguardabili e inaccettabili. Gli occhi espressivi, raffinati, barocchi, diventano enormi trapezi, spesso strabici. Le teste hanno una forma conica, troppo vicina alla geometria. Le bocche sono totalmente attaccate a nasi spropositati che non sono il massimo dell’eleganza. Come non denunciare infine la scomparsa dei longilinei e filiformi corpi femminili di Matsumoto? La loro linea aggraziata ed elegante lascia il posto a linee grosse, tozze, per corpi tarchiati, irriconoscibili.
Le musiche, di Amano Masamichi, segnano un altro punto a sfavore dell’opera, rendendola definitivamente ridicola. Il titolo parla di un poema sinfonico in due atti. Dove sta la sinfonia? Una sinfonia è connotata dalla varietà di temi musicali, varietà che il primo OAV non ha minimamente, caratterizzato com’è da temi monotoni, ricorrenti fino alla nausea e spesso inappropriati alle situazioni narrate. Peccano di eccessiva maestosità, sconfinando in un ensemble musicale esuberante e fuori luogo, troppo pompato. L’unica eccezione la costituisce l’ending conclusiva, <i>“Eternally”</i>. Lo spettatore al suo ascolto e alla bellezza delle immagini può finalmente rinfrancarsi, e perché la sofferenza è finalmente conclusa e perché la bellezza dei violini, degli strumenti a corde, la ricchezza delle melodie di questo pezzo è unica. Intensità, passione, trasporto, vitalità, travolgimento insistono in questa ending come non hanno fatto negli OAV, lasciando l’amaro in bocca per cosa quest’opera avrebbe potuto essere se solo fosse stata realizzata per come si deve.
È con grande rammarico che si può pensare a questi OAV. Il rammarico di chi si sente preso in giro, di chi si aspetta grandi promesse e si ritrova solo una parvenza trasparente dell’inutilità cui certi temi possono essere ridotti. Un quattro esprime la delusione cocente di chi si aspettava la narrazione definitiva e degna della storia di un personaggio del calibro di Maetel.
Che dire? Io sono sempre stato un grandissimo fan di Matsumoto ed ho sempre avuto un amore particolare per "La regina dei Mille Anni" e "Galaxy Express 999". "Maetel Legend" è la fusione di queste due serie, quindi non potevo assolutamente perdermela. Sicuramente l'anime non delude dal punto di vista visuale e le donne di Matsumoto sono stupende come sempre; ciò detto, devo ammettere che le serie realizzate da Matsumoto dopo gli anni ottanta non hanno la magia di un tempo e "Maetel Legend" non fa eccezione. Forse sono io che sono cresciuto? Oppure le serie originali di Matsumoto erano di altissimo livello paragonate alle serie di quegli anni, ma paragonate a quelle di adesso non reggono? Oppure l'autore con l'età si è rimbecillito? O semplicemente gli spettatori si sono stufati di vedere sempre la stessa storia riscritta per l'ennesima volta? Sia come sia, i lavori moderni di Matsumoto non hanno più l'impatto che avevano una volta. Lo stesso si può dire per Go Nagai, del resto.
Fatta questa premessa, devo dire che "Maetel Legend" è piuttosto buona paragonata alle opere moderne di Matsumoto (sicuramente superiore all'abominevole saga dell'Oro del Reno, ai livelli della saga di "Queen Emeraldas"). Graficamente è a livelli di eccellenza e non c'è nulla da eccepire; sicuramente l'animazione è di molto superiore a quella delle serie del passato. Ma questo va da sé, siamo negli anni 2000 dopotutto e gli standard tecnici si sono alzati. Le cose vanno bene dal punto di vista della storia. "Maetel Legend" è al di sotto delle serie classiche e anche nei punti migliori come al solito c'è un forte sapore di già detto e già visto. Tutto sommato si tratta di una serie discreta, ma come fan di Matsumoto mi resta il rimpianto che non sia una serie da 10. Insieme a "Maetel Legend" (in due episodi) andrebbe vista anche "Space Symphony Maetel", che ne è la continuazione in 13 episodi ed è più o meno sullo stesso livello come storia e disegni.
Fatta questa premessa, devo dire che "Maetel Legend" è piuttosto buona paragonata alle opere moderne di Matsumoto (sicuramente superiore all'abominevole saga dell'Oro del Reno, ai livelli della saga di "Queen Emeraldas"). Graficamente è a livelli di eccellenza e non c'è nulla da eccepire; sicuramente l'animazione è di molto superiore a quella delle serie del passato. Ma questo va da sé, siamo negli anni 2000 dopotutto e gli standard tecnici si sono alzati. Le cose vanno bene dal punto di vista della storia. "Maetel Legend" è al di sotto delle serie classiche e anche nei punti migliori come al solito c'è un forte sapore di già detto e già visto. Tutto sommato si tratta di una serie discreta, ma come fan di Matsumoto mi resta il rimpianto che non sia una serie da 10. Insieme a "Maetel Legend" (in due episodi) andrebbe vista anche "Space Symphony Maetel", che ne è la continuazione in 13 episodi ed è più o meno sullo stesso livello come storia e disegni.