Wolfwalkers - Il popolo dei lupi
È da tipo un'ora che sono con il foglio bianco, senza idee su cosa scrivere per questo film.
Ed è anche paradossale, perché questo film di cose da dire ne ha parecchie.
Chi è senza parola però non è quel folletto occhialuto di Tomm Moore. Sono io.
Ogni paragrafo che tento di scrivere mi sembra quasi inutile.
Mi sto convincendo sia inutile che io ti scriva riguardo a degli aspetti o delle dinamiche che, se il film non l'hai visto, te lo anticipano (e quasi faresti meglio a vedertelo), mentre, se il film l'hai già visto, le hai già capite anche tu. Non penso ci voglia una cima.
Però mi spiacerebbe davvero tanto non lasciare un segno anche mio tra le recensioni di questo film, perché in fondo è un film che mi ha sorpreso parecchio; e a distanza di mesi lo ricordo con enorme piacere, sia per la sua parte grafica fresca che mi è in qualche modo rimasta impressa sia per dei temi trattati, a me molto cari (ma non solo a me).
Un film che racconta una storia magari non molto originale, ma che lo fa dannatamente bene, prendendosi tutto il tempo necessario per farti entrare nel mondo a pastello che hanno costruito. Anzi... è quasi troppo lungo per essere un film per bambini. Un po' "Red e Toby", un po' "Wolf Children", ma anche un po' Miyazaki, e chissà cos'altro.
Moore e il suo studio hanno saputo prendere il giusto dai giganti dell'animazione tradizionale e farlo loro, portandoselo 'letteralmente' nella loro casa a Kilkenny. Circondando il tutto con una accesa bandiera irlandese verde, bianca e arancione.
Il verde della natura.
Il bianco per la purezza incontaminata.
E l'arancione per la chioma selvaggia di Mebh.
Davvero non saprei più andare avanti, ti direi delle banalità, che però penso sia meglio tu senta (e veda) direttamente dal film, certo che ti arriverebbero sicuramente meglio di come potrei fare io.
La mia recensione quindi è banale anch'essa, ed è solo questa.
Il film è bello.
Guardatelo.
Ed è anche paradossale, perché questo film di cose da dire ne ha parecchie.
Chi è senza parola però non è quel folletto occhialuto di Tomm Moore. Sono io.
Ogni paragrafo che tento di scrivere mi sembra quasi inutile.
Mi sto convincendo sia inutile che io ti scriva riguardo a degli aspetti o delle dinamiche che, se il film non l'hai visto, te lo anticipano (e quasi faresti meglio a vedertelo), mentre, se il film l'hai già visto, le hai già capite anche tu. Non penso ci voglia una cima.
Però mi spiacerebbe davvero tanto non lasciare un segno anche mio tra le recensioni di questo film, perché in fondo è un film che mi ha sorpreso parecchio; e a distanza di mesi lo ricordo con enorme piacere, sia per la sua parte grafica fresca che mi è in qualche modo rimasta impressa sia per dei temi trattati, a me molto cari (ma non solo a me).
Un film che racconta una storia magari non molto originale, ma che lo fa dannatamente bene, prendendosi tutto il tempo necessario per farti entrare nel mondo a pastello che hanno costruito. Anzi... è quasi troppo lungo per essere un film per bambini. Un po' "Red e Toby", un po' "Wolf Children", ma anche un po' Miyazaki, e chissà cos'altro.
Moore e il suo studio hanno saputo prendere il giusto dai giganti dell'animazione tradizionale e farlo loro, portandoselo 'letteralmente' nella loro casa a Kilkenny. Circondando il tutto con una accesa bandiera irlandese verde, bianca e arancione.
Il verde della natura.
Il bianco per la purezza incontaminata.
E l'arancione per la chioma selvaggia di Mebh.
Davvero non saprei più andare avanti, ti direi delle banalità, che però penso sia meglio tu senta (e veda) direttamente dal film, certo che ti arriverebbero sicuramente meglio di come potrei fare io.
La mia recensione quindi è banale anch'essa, ed è solo questa.
Il film è bello.
Guardatelo.
Oh cielo, questa volta mi è toccato un lupo...
Suppongo di non potermi lamentare. Tra vecchi russi che anziché giocare alla bocciofila si dilettano a Risiko su scala reale e balde scimmiette che decidono di riesumare virus estinti da decenni, immagino che fare l’autopsia di un film di Moore non sia poi così male.
Referto n.22 (22/05/2022): “Wolfwalkers - Il popolo dei lupi”
Irlanda, XVII secolo. Gli Inglesi, con il benestare di un Dio chiuso chissà dove a fumarsi dei sigari, entrano a gamba tesa in Irlanda, conquistando con avidità ogni singolo frammento di terra. Lord Protector, Signore (acquisito) dell’Irlanda, da bravo capitalista decide di ergere città in ogni dove, incurante della popolazione e della fauna locale. In particolare ce l’ha con i lupi del bosco limitrofo, che ogni due per tre gli sottraggono l'agnello domenicale. Tra i suoi seguaci c’è Bill Goodfellowe, eccellente cacciatore e padre di Robyn, protagonista della storia. La ragazzina, rimasta orfana di madre in tenera età, vorrebbe seguirlo nelle pericolose battute. Il padre, d’altro canto, la ostacola in tutti i modi, indirizzandola a mansioni più “consone” per una donna. Ovviamente la biondina, con una testardaggine seconda solo alla sua scarsa mira, marina la scuola di Levi Ackerman e si lancia alla sfrenata caccia dei gigant... ehm, volevo dire lupi. La nostra aspirante hunter capisce presto che sparare dardi a un foglio di carta non è esattamente un allenamento congeniale, e finisce per trovarsi circondata dalle feroci fiere. Ma non si lascia abbattere, impugna la balestra e... fa 1 col dado (facepalm...)! Merlyn, il falco domestico, forse unica voce della coscienza della ragazza, ci resta apparentemente secco, trafitto con precisione chirurgica. I lupi, dopo essersi fatti una sonora risata, capiscono che non c’è bisogno di continuare la guerra con gli umani, giacché ci penserà la nostra novella cacciatrice a farli fuori uno ad uno a suon di colpi sbilenchi, pertanto optano per la ritirata, portandosi appresso il falco come spuntino pomeridiano.
Per fortuna il dispiacere per la perdita è breve: il falco torna da Robyn, scoppiettante di salute. Comunque non c'è neanche il tempo di esultare che la ragazza finisce vittima della sua stessa trappola (secondo facepalm...), venendo poi accidentalmente graffiata da Mebh, una wolfwalker, venuta in realtà in suo soccorso.
Il padre, dopo aver assistito all’ennesima performance impietosa della figlia, la iscrive forzatamente al club delle domestiche di Lord Protector, convinto (solo lui) di fare la cosa giusta. Tra una scarpa rattoppata, lenzuola da stendere e preghiere stucchevoli, la vita di Robyn sembra prendere una noiosissima piega, ma il destino ha in serbo qualcosa di diverso...
La trama di “Wolfwalkers”, film d’animazione del 2020, non brilla certo per complessità. A tratti si potrebbe definire quasi scarna. E non potrebbe essere diversamente. Trattasi infatti di una fiaba, e come tale accompagna linearmente lo spettatore verso poche ma incisive tematiche. Natura e civiltà, segregazione e libertà sono i principali cardini dell’intera sceneggiatura. L'introduzione di Moore è lenta, evocativa, a tratti simile ad un libro animato. C'è inoltre un particolare focus sull'espressioni del volto, suggestive delle emozioni provate dai personaggi. Eppure, rispetto a “La canzone del mare”, in “Wolfwalkers” emerge un’interessante componente action, che tiene in suspense lo spettatore per tutta la seconda parte della pellicola. Non che ci siano particolari colpi di scena, ma la sceneggiatura, supportata da un eccellente comparto grafico/sonoro, fa sì che anche uno spettatore più adulto non si annoi nel corso della visione.
I personaggi sono semplici, ma ben strutturati. Robyn, nonostante per metà film sia gradevole quanto un porcospino tra le mutande, funge da ponte, legame tra il mondo degli umani e quello dei lupi. Ma è anche una figura d’emancipazione, di ribellione. Una tematica certamente già affrontata, ma che trova un perfetto inserimento in una trama semplice, senza troppi fronzoli. Bill è il principale filo conduttore della storia, una sorta di riassunto formato personaggio degli eventi del film. La sua trasformazione, non solo caratteriale, altro non è che l’emblema dello sviluppo delle tematiche affrontate. È comunque interessante il rapporto che ha con la figlia, anche qui poco originale ma perfettamente congeniale alla trama. Mebh e la madre, le due wolfwalker, rappresentano una sponda, la fazione non-umana, mentre Lord Protector rappresenta la civiltà moderna, capitalista, proiettata al progresso. È curioso notare come entrambe siano nel giusto, almeno nelle premesse. Ma poi Lord Protector, accecato da una fede fanatica, decide di occupare ciò che non è suo, arrogandosi il diritto di potere decidere per migliaia di persone. Ed è qui che si trasforma in un villain crudele, tanto semplice quanto ben riuscito. Ho molto apprezzato il suo percorso, sia nelle premesse che nell’epilogo. Anche le wolfwalker all’inizio non sono completamente esenti da colpe, seppur di entità assai più lieve. La loro ferocia, aggressività, impedisce infatti qualsiasi dialogo con gli umani, persino con gli stessi Irlandesi i quali in realtà nutrirebbero un profondo rispetto nei loro confronti. Queste tematiche, incentrate sul conflitto e sulla non comprensione tra parti, sono un toccasana, soprattutto in questo particolare momento storico.
Passiamo poi al punto forte. Mai, come in questo caso, sento il bisogno di soffermarmi sul cuore dell’opera, la pompa emotiva che anima, letteralmente, i film d’animazione: il comparto tecnico.
L’animazione, completamente manuale e lontanissima dalla computer grafica, riesce a conferire unicità al film, un pregio già riscontrato ne “La canzone del mare”. I colori accesi, e il character design spigoloso, conferiscono un'atmosfera molto simile a una miniatura iconografica, che ricorda per certi aspetti i disegni delle vetrate gotiche. Le linee di fuga sono gestite in maniera egregia, poiché sommate ai movimenti accelerano il dinamismo delle scene d’azione. Molto interessante è la scelta dei colori di fondo, mirata a simbolizzare le emozioni dei personaggi: verde per le scene spensierate, rosso per le scene di tensione, grigio per la monotonia della città, blu per le scene tristi e misteriose. Particolare è infine la rappresentazione dei lupi: non sono diversificati, bensì tutti uguali, quasi a simboleggiare il senso di “branco”. Questo aspetto emerge particolarmente nelle scene d’azione, dove le linee si mescolano in una figura omogenea.
Il compartimento sonoro non è da meno. La scelta delle OST è focalizzata sul violino, gestito con dei motivetti che ricordano un po’ la musica di inizio Romanticismo. La colonna sonora comunque non è invadente, bensì accompagna i (pochi) momenti statici rafforzando così il dinamismo dell’intero film. Ovviamente “I’m Running With The Wolf Tonight” di Aurora è il pezzo forte, ma sarebbe scorretto non menzionare l’intero apparato musicale.
Concludendo l’analisi, il referto è positivo. “Wolfwalkers” non è un capolavoro, bensì un ottimo film d’autore che saprà accontentare tutti: i piccini, con una trama semplice e avvincente, gli adulti, con tematiche semplici ma al tempo stesso mature, e infine gli appassionati, con un comparto tecnico a tratti pionieristico. Mi congedo con un ultimo consiglio clinico (in realtà personale): far sentire a casa uno spettatore è difficile, per niente scontato, e questo film ci riesce appieno, forse persino meglio de "La canzone del mare". Pertanto avvicinatevi a questo lupetto, non abbiate paura del branco... riceverete un affetto nuovo, diverso, e proprio per questo ancor più caloroso.
Suppongo di non potermi lamentare. Tra vecchi russi che anziché giocare alla bocciofila si dilettano a Risiko su scala reale e balde scimmiette che decidono di riesumare virus estinti da decenni, immagino che fare l’autopsia di un film di Moore non sia poi così male.
Referto n.22 (22/05/2022): “Wolfwalkers - Il popolo dei lupi”
Irlanda, XVII secolo. Gli Inglesi, con il benestare di un Dio chiuso chissà dove a fumarsi dei sigari, entrano a gamba tesa in Irlanda, conquistando con avidità ogni singolo frammento di terra. Lord Protector, Signore (acquisito) dell’Irlanda, da bravo capitalista decide di ergere città in ogni dove, incurante della popolazione e della fauna locale. In particolare ce l’ha con i lupi del bosco limitrofo, che ogni due per tre gli sottraggono l'agnello domenicale. Tra i suoi seguaci c’è Bill Goodfellowe, eccellente cacciatore e padre di Robyn, protagonista della storia. La ragazzina, rimasta orfana di madre in tenera età, vorrebbe seguirlo nelle pericolose battute. Il padre, d’altro canto, la ostacola in tutti i modi, indirizzandola a mansioni più “consone” per una donna. Ovviamente la biondina, con una testardaggine seconda solo alla sua scarsa mira, marina la scuola di Levi Ackerman e si lancia alla sfrenata caccia dei gigant... ehm, volevo dire lupi. La nostra aspirante hunter capisce presto che sparare dardi a un foglio di carta non è esattamente un allenamento congeniale, e finisce per trovarsi circondata dalle feroci fiere. Ma non si lascia abbattere, impugna la balestra e... fa 1 col dado (facepalm...)! Merlyn, il falco domestico, forse unica voce della coscienza della ragazza, ci resta apparentemente secco, trafitto con precisione chirurgica. I lupi, dopo essersi fatti una sonora risata, capiscono che non c’è bisogno di continuare la guerra con gli umani, giacché ci penserà la nostra novella cacciatrice a farli fuori uno ad uno a suon di colpi sbilenchi, pertanto optano per la ritirata, portandosi appresso il falco come spuntino pomeridiano.
Per fortuna il dispiacere per la perdita è breve: il falco torna da Robyn, scoppiettante di salute. Comunque non c'è neanche il tempo di esultare che la ragazza finisce vittima della sua stessa trappola (secondo facepalm...), venendo poi accidentalmente graffiata da Mebh, una wolfwalker, venuta in realtà in suo soccorso.
Il padre, dopo aver assistito all’ennesima performance impietosa della figlia, la iscrive forzatamente al club delle domestiche di Lord Protector, convinto (solo lui) di fare la cosa giusta. Tra una scarpa rattoppata, lenzuola da stendere e preghiere stucchevoli, la vita di Robyn sembra prendere una noiosissima piega, ma il destino ha in serbo qualcosa di diverso...
La trama di “Wolfwalkers”, film d’animazione del 2020, non brilla certo per complessità. A tratti si potrebbe definire quasi scarna. E non potrebbe essere diversamente. Trattasi infatti di una fiaba, e come tale accompagna linearmente lo spettatore verso poche ma incisive tematiche. Natura e civiltà, segregazione e libertà sono i principali cardini dell’intera sceneggiatura. L'introduzione di Moore è lenta, evocativa, a tratti simile ad un libro animato. C'è inoltre un particolare focus sull'espressioni del volto, suggestive delle emozioni provate dai personaggi. Eppure, rispetto a “La canzone del mare”, in “Wolfwalkers” emerge un’interessante componente action, che tiene in suspense lo spettatore per tutta la seconda parte della pellicola. Non che ci siano particolari colpi di scena, ma la sceneggiatura, supportata da un eccellente comparto grafico/sonoro, fa sì che anche uno spettatore più adulto non si annoi nel corso della visione.
I personaggi sono semplici, ma ben strutturati. Robyn, nonostante per metà film sia gradevole quanto un porcospino tra le mutande, funge da ponte, legame tra il mondo degli umani e quello dei lupi. Ma è anche una figura d’emancipazione, di ribellione. Una tematica certamente già affrontata, ma che trova un perfetto inserimento in una trama semplice, senza troppi fronzoli. Bill è il principale filo conduttore della storia, una sorta di riassunto formato personaggio degli eventi del film. La sua trasformazione, non solo caratteriale, altro non è che l’emblema dello sviluppo delle tematiche affrontate. È comunque interessante il rapporto che ha con la figlia, anche qui poco originale ma perfettamente congeniale alla trama. Mebh e la madre, le due wolfwalker, rappresentano una sponda, la fazione non-umana, mentre Lord Protector rappresenta la civiltà moderna, capitalista, proiettata al progresso. È curioso notare come entrambe siano nel giusto, almeno nelle premesse. Ma poi Lord Protector, accecato da una fede fanatica, decide di occupare ciò che non è suo, arrogandosi il diritto di potere decidere per migliaia di persone. Ed è qui che si trasforma in un villain crudele, tanto semplice quanto ben riuscito. Ho molto apprezzato il suo percorso, sia nelle premesse che nell’epilogo. Anche le wolfwalker all’inizio non sono completamente esenti da colpe, seppur di entità assai più lieve. La loro ferocia, aggressività, impedisce infatti qualsiasi dialogo con gli umani, persino con gli stessi Irlandesi i quali in realtà nutrirebbero un profondo rispetto nei loro confronti. Queste tematiche, incentrate sul conflitto e sulla non comprensione tra parti, sono un toccasana, soprattutto in questo particolare momento storico.
Passiamo poi al punto forte. Mai, come in questo caso, sento il bisogno di soffermarmi sul cuore dell’opera, la pompa emotiva che anima, letteralmente, i film d’animazione: il comparto tecnico.
L’animazione, completamente manuale e lontanissima dalla computer grafica, riesce a conferire unicità al film, un pregio già riscontrato ne “La canzone del mare”. I colori accesi, e il character design spigoloso, conferiscono un'atmosfera molto simile a una miniatura iconografica, che ricorda per certi aspetti i disegni delle vetrate gotiche. Le linee di fuga sono gestite in maniera egregia, poiché sommate ai movimenti accelerano il dinamismo delle scene d’azione. Molto interessante è la scelta dei colori di fondo, mirata a simbolizzare le emozioni dei personaggi: verde per le scene spensierate, rosso per le scene di tensione, grigio per la monotonia della città, blu per le scene tristi e misteriose. Particolare è infine la rappresentazione dei lupi: non sono diversificati, bensì tutti uguali, quasi a simboleggiare il senso di “branco”. Questo aspetto emerge particolarmente nelle scene d’azione, dove le linee si mescolano in una figura omogenea.
Il compartimento sonoro non è da meno. La scelta delle OST è focalizzata sul violino, gestito con dei motivetti che ricordano un po’ la musica di inizio Romanticismo. La colonna sonora comunque non è invadente, bensì accompagna i (pochi) momenti statici rafforzando così il dinamismo dell’intero film. Ovviamente “I’m Running With The Wolf Tonight” di Aurora è il pezzo forte, ma sarebbe scorretto non menzionare l’intero apparato musicale.
Concludendo l’analisi, il referto è positivo. “Wolfwalkers” non è un capolavoro, bensì un ottimo film d’autore che saprà accontentare tutti: i piccini, con una trama semplice e avvincente, gli adulti, con tematiche semplici ma al tempo stesso mature, e infine gli appassionati, con un comparto tecnico a tratti pionieristico. Mi congedo con un ultimo consiglio clinico (in realtà personale): far sentire a casa uno spettatore è difficile, per niente scontato, e questo film ci riesce appieno, forse persino meglio de "La canzone del mare". Pertanto avvicinatevi a questo lupetto, non abbiate paura del branco... riceverete un affetto nuovo, diverso, e proprio per questo ancor più caloroso.
Abbiamo condannato il lupo non per quello che è, ma per quello che abbiamo deliberatamente ed erroneamente percepito che fosse - l’immagine mitizzata di uno spietato assassino selvaggio - che, in realtà, non è altro che l’immagine riflessa di noi stessi.
- Farley Mowat
Bastano pochi secondi dei titoli di testa per invaghirsi di questo favoloso ricamo animato: dal sapore anticato e affascinante, lesti si viene trascinati in un indistinto Medioevo dal retrogusto vagamente disneyano, ove celebrità come il volpesco “Robin Hood” o la merliniana “Spada nella roccia” d’avventurosa e spassosa memoria riecheggiano fra pagine tinteggiate d’autunnale magia anglosassone. Campi incolti, alberi confusi, “ritagliati” dai fondali e posti a varie profondità come un libro pop-up ricco di fascino: se le lettere maiuscole dei titoli iniziali appaiono miniate, rimembrando una perizia da amanuense di tardo 1300, il design dei personaggi è una sorta di moderno retrò (dai medesimi autori de “La canzone del mare”, per intenderci), spigoloso, minimale, dai connotati riassunti ma espliciti, incisivi quel tanto che basta da assolvere al proprio fascinoso compito e nel contempo rievocare atmosfere e animazioni di quasi mezzo secolo fa.
Scopriamo così di trovarci a Kilkenny, nell’Irlanda del 1650, una landa bruna, selvaggia, irrorata da freddi raggi solari in una tarda sera d’autunno, poco prima che l’algido tramonto inghiotta l’orizzonte. Come per le più classiche fiabe dark, l’incipit ci mostra un taglialegna che, intento ad abbattere alberi sempre più grandi e antichi, è ormai prossimo alla macchia oscura e fitta del bosco. Dal cuore di quest’ultimo compare un branco di lupi che attacca il taglialegna e lo ferisce; tuttavia, i lupi non finiscono né divorano il malcapitato, poiché, una volta disarmato della sua ascia, accade l’imponderabile: nel momento più critico, dal sottobosco ecco palesarsi un’altra figura - una donna per l’esattezza - femminile dai capelli rossi come foglie autunnali e dalla silhouette abbondante, generosa, quasi sferica, vesti larghe, accoglienti e protettive, tant’è che in braccio culla una bambina che in tutto e per tutto le assomiglia. I suoi occhi verde giada fissano il taglialegna, e mentre i lupi si allontanano silenziosi, la donna s’avvicina, e, senza proferir parola, lenisce le sue ferite.
Allora l’uomo, sgomento, comincia a comprendere: non una donna, bensì una wolfwalker, uno spirito della foresta, qualcosa a metà fra un lupo mannaro e un’entità ancestrale, indissolubilmente legata al Branco, anzi, il fulcro, la mente, il nucleo di esso.
L’uomo è scosso, allibito, senza parole, mentre osserva il branco svanire nel fitto del bosco.
Cos’ha visto? Cos’ha vissuto?
Come potrà raccontarlo ai suoi amici?
Poco importa, ormai: la notizia dei lupi è ormai di dominio pubblico all’interno delle mura cittadine, non troppo distanti dalla natura selvaggia. Così, non trascorre molto tempo che, inevitabilmente, una feroce caccia ai lupi si scatena in lungo e in largo. Si tratta d’un pericolo troppo grande per tutta la comunità e motivo di grattacapi per chi governa il borgo.
Sin dal principio, la ruvida austerità neocoloniale che si respira è direttamente proporzionale al misticismo che permea il tutto, alla stregua d’una copertina sgualcita, ostinatamente rigida, eppure consumata ai bordi, ricamata da sfumature druidiche e litanie arcane: un estremo bilancia l’altro, ma entrambi si ignorano a vicenda.
Ogni passo della trama è accompagnato da una colonna sonora favolosa, emotivamente impattante e di stampo tipicamente irish, lunghissime radici che attingono dal folklore nordirlandese e ancor più antico celtico e sassone: ogni nota è color verde rigoglioso o arancio acceso, così intense da poterle vedere, tanto quanto udire.
Dopo tale, movimentato prologo, ecco esordire la nostra giovane protagonista, Robin, graziosa scavezzacollo dagli occhi di ghiaccio e dai capelli color miele soleggiato, figlia di uno dei più noti cacciatori di lupi della città, che, sebbene dovrebbe preoccuparsi del focolare, mentre il padre rischia la vita cacciando le fiere nel fitto dei boschi, in realtà sogna anch’ella di abbattere quelle terribili, spaventose bestie, magari al fianco del genitore, compiendo imprese eroiche che verranno tramandate ai posteri dai menestrelli, di taverna in taverna. Mantello verde edera, lunghe calze di lana, balestra, dardi e un fedele falco al seguito: la mira c’è, l’incoscienza pure. Fantastico, nevvero?
Robin non è propriamente l’esempio di figlia ubbidiente, così, quando il padre esce per l’ennesima caccia, lei lo segue di soppiatto, ed è così che la storia s’innesca: mai sciocchezza fu più grande, poiché i lupi ben presto finiscono per circondare la ragazzina, e un dardo scoccato maldestramente ferisce il povero falchetto accompagnatore (Merlin il suo nome), subitamente prelevato (o rapito?) proprio dalla più giovane delle wolfwalker, si presume quella bimba che, ad inizio storia, si trovava in grembo alla ben più autoritaria madre.
Si dipana da qui in poi un’altalena di emozioni, dapprima alla disperata ricerca di Merlin, un tuffo in quell’oscura foresta, sempre più mistica, dai calamitanti toni celtici e pagani, fondali dalle tinte fosche e tremendamente suggestive trasportanti lo spettatore scenario dopo scenario nel cuore della trama, un susseguirsi di dinamici eventi che avvicinerà Robin alla giovanissima wolfwalker, formando così un duetto di protagoniste insospettabilmente genuino, allegramente infantile, dolcissimo e spassoso.
Gli autori impostano facilmente il film sul concetto della difficoltà di accettarsi e accettare chi riteniamo troppo diverso da noi per non nutrire sospetto o, ancor peggio, paura. Immersi in fondali più da libro illustrato che da lungometraggio moderno, le scene si susseguono come rigide, affascinanti pagine di cartoncino tinteggiato da decisi acquarelli e tratti di carboncino dal gusto rustico e misterioso, di poesie desuete e nordiche armonie, un districarsi nel fitto sottobosco che condurrà lo spettatore lungo un itinerario artistico eccezionale, ricco di scorci e di allegorie visive che si rifanno al più basilare concetto cubista - un vero e proprio schiudersi delle tre dimensioni per poterle comprendere in due, proponendo uno scorrimento laterale della scena capace di valorizzare i protagonisti al centro dell’attenzione, in modo che emergano in maniera netta, proprio come l’effetto sortente un libro pop-up. Il tutto appare fluido, spontaneo, piacevole, immersivo e al tempo stesso sorprendente, un vero diletto per gli occhi.
“Al mondo non c'è bestia tanto temibile per l'uomo quanto l'uomo”, suggeriva Michel de Montaigne, e il punto focale di tutto wolfwalker è certamente questo: ciò che non capiamo, spesso o lo rifuggiamo o lo distruggiamo.
Fa parte della nostra natura, e sebbene esistano mille e mille eccezioni di buon cuore, la storia ci ha insegnato che, essendo noi bestie fortemente territoriali, egoiste e possessive, presto o tardi, secondo le necessità espansionistiche di un dato regno o nazione, sarà sicuramente il più debole e meno evoluto a rimetterci. Non si tratta di bene o male, ma di semplice attitudine, per quanto terribile; essendo il film ambientato nel 1650, superstizioni, religione e ignoranza rafforzano i timori del popolo (ergo, la tesi di De Montaigne), imbastendo una vera e propria caccia ai lupi senza quartiere.
Ma in “Wolfwalkers” non viene raccontato solo il cinismo dell’uomo. Parallelamente, viaggia al fianco della curiosità e dell’ingenuità delle due giovani protagoniste: una forte componente sovrannaturale permea la vicenda, rendendo vivi, potenti e reali vecchi racconti sussurrati intorno al fuoco e antiche leggende tramandate di padre in figlio; fortunatamente, dove non arriverà la crudeltà di gente ottusa e senza scrupoli, lo faranno il coraggio dell’amore e dell’amicizia.
Il film vola, corre selvaggiamente a tratti, scivola piacevolmente forte di un estetismo originalissimo, un crescendo che porta a un epilogo drammatico, tuttavia consolatorio e, perché no, lieto. Un tripudio di colori e allegorie di forti tonalità, rimandi a un paganesimo sepolto sotto secoli di leggende e affascinante mitologia ormai smarrita, una sequenza animata, luminosa e ricca di stupefacenti livree che terrà incollati allo schermo e sfiorerà il cuore nel profondo, grazie anche a indimenticabili note di violini e flauti ridondanti fino ai titoli di coda, melodie capaci di donare pace all’anima, in gemellaggio ai verdeggianti paesaggi e agli accenni di orizzonti incontaminati dalla mano spietata di quella fetta di umanità, che tutt’oggi, ha dimenticato la sacralità e l’importanza di Madre Natura e di tutti i suoi figli, ma spesso si lascia suggestionare da sciocche credenze o ridicole paure.
Un lungometraggio speciale, si potrebbe dire unico nella sua magica originalità, vessillo di una filosofia ineccepibile: soltanto abbracciando le nostre origini potremo convivere in pace con ciò che ci circonda. Accettiamoci per ciò che siamo e smetteremo di essere i principali nemici di noi stessi, incapaci di vedere il buono dentro di noi e, di conseguenza, dentro il prossimo.
Fiducia, altruismo, paura, discriminazione: è davvero il lupo che abita nel bosco la bestia malvagia o è l’uomo armato di fucile che vive fra alte mura di pietra la vera minaccia? Se il punto di vista cambia, cambia anche l’aggressore? O tutto è relativo in base alle proprie origini?
“Wolfwalkers” è la metafora di una società in rotta con sé stessa da sempre: far parte del branco equivale a far parte della famiglia, e proteggere il territorio - cacciare chi ci spaventa - sembra legittimo per autodifesa... almeno fino a quando non ci si rende conto che la Terra non è di nostra proprietà, e tutti abbiamo lo stesso diritto di abitarla, dal più piccolo e semplice degli esseri viventi, al più grande e complesso.
Analogie che ci portano a riflettere sull’importanza del rispetto verso ogni forma di vita, microcosmi che spesso molti ignorano, preferendo le mura dell’ignoranza rispetto alla vastità che può generare un’introspezione non facile da affrontare.
Sì, avete capito bene: “Wolfwalkers” merita tutta la vostra attenzione.
- Farley Mowat
Bastano pochi secondi dei titoli di testa per invaghirsi di questo favoloso ricamo animato: dal sapore anticato e affascinante, lesti si viene trascinati in un indistinto Medioevo dal retrogusto vagamente disneyano, ove celebrità come il volpesco “Robin Hood” o la merliniana “Spada nella roccia” d’avventurosa e spassosa memoria riecheggiano fra pagine tinteggiate d’autunnale magia anglosassone. Campi incolti, alberi confusi, “ritagliati” dai fondali e posti a varie profondità come un libro pop-up ricco di fascino: se le lettere maiuscole dei titoli iniziali appaiono miniate, rimembrando una perizia da amanuense di tardo 1300, il design dei personaggi è una sorta di moderno retrò (dai medesimi autori de “La canzone del mare”, per intenderci), spigoloso, minimale, dai connotati riassunti ma espliciti, incisivi quel tanto che basta da assolvere al proprio fascinoso compito e nel contempo rievocare atmosfere e animazioni di quasi mezzo secolo fa.
Scopriamo così di trovarci a Kilkenny, nell’Irlanda del 1650, una landa bruna, selvaggia, irrorata da freddi raggi solari in una tarda sera d’autunno, poco prima che l’algido tramonto inghiotta l’orizzonte. Come per le più classiche fiabe dark, l’incipit ci mostra un taglialegna che, intento ad abbattere alberi sempre più grandi e antichi, è ormai prossimo alla macchia oscura e fitta del bosco. Dal cuore di quest’ultimo compare un branco di lupi che attacca il taglialegna e lo ferisce; tuttavia, i lupi non finiscono né divorano il malcapitato, poiché, una volta disarmato della sua ascia, accade l’imponderabile: nel momento più critico, dal sottobosco ecco palesarsi un’altra figura - una donna per l’esattezza - femminile dai capelli rossi come foglie autunnali e dalla silhouette abbondante, generosa, quasi sferica, vesti larghe, accoglienti e protettive, tant’è che in braccio culla una bambina che in tutto e per tutto le assomiglia. I suoi occhi verde giada fissano il taglialegna, e mentre i lupi si allontanano silenziosi, la donna s’avvicina, e, senza proferir parola, lenisce le sue ferite.
Allora l’uomo, sgomento, comincia a comprendere: non una donna, bensì una wolfwalker, uno spirito della foresta, qualcosa a metà fra un lupo mannaro e un’entità ancestrale, indissolubilmente legata al Branco, anzi, il fulcro, la mente, il nucleo di esso.
L’uomo è scosso, allibito, senza parole, mentre osserva il branco svanire nel fitto del bosco.
Cos’ha visto? Cos’ha vissuto?
Come potrà raccontarlo ai suoi amici?
Poco importa, ormai: la notizia dei lupi è ormai di dominio pubblico all’interno delle mura cittadine, non troppo distanti dalla natura selvaggia. Così, non trascorre molto tempo che, inevitabilmente, una feroce caccia ai lupi si scatena in lungo e in largo. Si tratta d’un pericolo troppo grande per tutta la comunità e motivo di grattacapi per chi governa il borgo.
Sin dal principio, la ruvida austerità neocoloniale che si respira è direttamente proporzionale al misticismo che permea il tutto, alla stregua d’una copertina sgualcita, ostinatamente rigida, eppure consumata ai bordi, ricamata da sfumature druidiche e litanie arcane: un estremo bilancia l’altro, ma entrambi si ignorano a vicenda.
Ogni passo della trama è accompagnato da una colonna sonora favolosa, emotivamente impattante e di stampo tipicamente irish, lunghissime radici che attingono dal folklore nordirlandese e ancor più antico celtico e sassone: ogni nota è color verde rigoglioso o arancio acceso, così intense da poterle vedere, tanto quanto udire.
Dopo tale, movimentato prologo, ecco esordire la nostra giovane protagonista, Robin, graziosa scavezzacollo dagli occhi di ghiaccio e dai capelli color miele soleggiato, figlia di uno dei più noti cacciatori di lupi della città, che, sebbene dovrebbe preoccuparsi del focolare, mentre il padre rischia la vita cacciando le fiere nel fitto dei boschi, in realtà sogna anch’ella di abbattere quelle terribili, spaventose bestie, magari al fianco del genitore, compiendo imprese eroiche che verranno tramandate ai posteri dai menestrelli, di taverna in taverna. Mantello verde edera, lunghe calze di lana, balestra, dardi e un fedele falco al seguito: la mira c’è, l’incoscienza pure. Fantastico, nevvero?
Robin non è propriamente l’esempio di figlia ubbidiente, così, quando il padre esce per l’ennesima caccia, lei lo segue di soppiatto, ed è così che la storia s’innesca: mai sciocchezza fu più grande, poiché i lupi ben presto finiscono per circondare la ragazzina, e un dardo scoccato maldestramente ferisce il povero falchetto accompagnatore (Merlin il suo nome), subitamente prelevato (o rapito?) proprio dalla più giovane delle wolfwalker, si presume quella bimba che, ad inizio storia, si trovava in grembo alla ben più autoritaria madre.
Si dipana da qui in poi un’altalena di emozioni, dapprima alla disperata ricerca di Merlin, un tuffo in quell’oscura foresta, sempre più mistica, dai calamitanti toni celtici e pagani, fondali dalle tinte fosche e tremendamente suggestive trasportanti lo spettatore scenario dopo scenario nel cuore della trama, un susseguirsi di dinamici eventi che avvicinerà Robin alla giovanissima wolfwalker, formando così un duetto di protagoniste insospettabilmente genuino, allegramente infantile, dolcissimo e spassoso.
Gli autori impostano facilmente il film sul concetto della difficoltà di accettarsi e accettare chi riteniamo troppo diverso da noi per non nutrire sospetto o, ancor peggio, paura. Immersi in fondali più da libro illustrato che da lungometraggio moderno, le scene si susseguono come rigide, affascinanti pagine di cartoncino tinteggiato da decisi acquarelli e tratti di carboncino dal gusto rustico e misterioso, di poesie desuete e nordiche armonie, un districarsi nel fitto sottobosco che condurrà lo spettatore lungo un itinerario artistico eccezionale, ricco di scorci e di allegorie visive che si rifanno al più basilare concetto cubista - un vero e proprio schiudersi delle tre dimensioni per poterle comprendere in due, proponendo uno scorrimento laterale della scena capace di valorizzare i protagonisti al centro dell’attenzione, in modo che emergano in maniera netta, proprio come l’effetto sortente un libro pop-up. Il tutto appare fluido, spontaneo, piacevole, immersivo e al tempo stesso sorprendente, un vero diletto per gli occhi.
“Al mondo non c'è bestia tanto temibile per l'uomo quanto l'uomo”, suggeriva Michel de Montaigne, e il punto focale di tutto wolfwalker è certamente questo: ciò che non capiamo, spesso o lo rifuggiamo o lo distruggiamo.
Fa parte della nostra natura, e sebbene esistano mille e mille eccezioni di buon cuore, la storia ci ha insegnato che, essendo noi bestie fortemente territoriali, egoiste e possessive, presto o tardi, secondo le necessità espansionistiche di un dato regno o nazione, sarà sicuramente il più debole e meno evoluto a rimetterci. Non si tratta di bene o male, ma di semplice attitudine, per quanto terribile; essendo il film ambientato nel 1650, superstizioni, religione e ignoranza rafforzano i timori del popolo (ergo, la tesi di De Montaigne), imbastendo una vera e propria caccia ai lupi senza quartiere.
Ma in “Wolfwalkers” non viene raccontato solo il cinismo dell’uomo. Parallelamente, viaggia al fianco della curiosità e dell’ingenuità delle due giovani protagoniste: una forte componente sovrannaturale permea la vicenda, rendendo vivi, potenti e reali vecchi racconti sussurrati intorno al fuoco e antiche leggende tramandate di padre in figlio; fortunatamente, dove non arriverà la crudeltà di gente ottusa e senza scrupoli, lo faranno il coraggio dell’amore e dell’amicizia.
Il film vola, corre selvaggiamente a tratti, scivola piacevolmente forte di un estetismo originalissimo, un crescendo che porta a un epilogo drammatico, tuttavia consolatorio e, perché no, lieto. Un tripudio di colori e allegorie di forti tonalità, rimandi a un paganesimo sepolto sotto secoli di leggende e affascinante mitologia ormai smarrita, una sequenza animata, luminosa e ricca di stupefacenti livree che terrà incollati allo schermo e sfiorerà il cuore nel profondo, grazie anche a indimenticabili note di violini e flauti ridondanti fino ai titoli di coda, melodie capaci di donare pace all’anima, in gemellaggio ai verdeggianti paesaggi e agli accenni di orizzonti incontaminati dalla mano spietata di quella fetta di umanità, che tutt’oggi, ha dimenticato la sacralità e l’importanza di Madre Natura e di tutti i suoi figli, ma spesso si lascia suggestionare da sciocche credenze o ridicole paure.
Un lungometraggio speciale, si potrebbe dire unico nella sua magica originalità, vessillo di una filosofia ineccepibile: soltanto abbracciando le nostre origini potremo convivere in pace con ciò che ci circonda. Accettiamoci per ciò che siamo e smetteremo di essere i principali nemici di noi stessi, incapaci di vedere il buono dentro di noi e, di conseguenza, dentro il prossimo.
Fiducia, altruismo, paura, discriminazione: è davvero il lupo che abita nel bosco la bestia malvagia o è l’uomo armato di fucile che vive fra alte mura di pietra la vera minaccia? Se il punto di vista cambia, cambia anche l’aggressore? O tutto è relativo in base alle proprie origini?
“Wolfwalkers” è la metafora di una società in rotta con sé stessa da sempre: far parte del branco equivale a far parte della famiglia, e proteggere il territorio - cacciare chi ci spaventa - sembra legittimo per autodifesa... almeno fino a quando non ci si rende conto che la Terra non è di nostra proprietà, e tutti abbiamo lo stesso diritto di abitarla, dal più piccolo e semplice degli esseri viventi, al più grande e complesso.
Analogie che ci portano a riflettere sull’importanza del rispetto verso ogni forma di vita, microcosmi che spesso molti ignorano, preferendo le mura dell’ignoranza rispetto alla vastità che può generare un’introspezione non facile da affrontare.
Sì, avete capito bene: “Wolfwalkers” merita tutta la vostra attenzione.
Nella letteratura favolistica occidentale, europea in particolare, credo non esista animale più bistrattato del lupo; cattivo per antonomasia, pericolo costante di adulti e bambini, ingannatore affabulante e mietitore di greggi, questa nobile fiera (che per chi non lo sapesse è anche l’animale simbolo nazionale del nostro Paese) ha vissuto solo in parte dell’ultimo secolo, dopo aver rischiato anche l’estinzione a causa dei danni recati agli insediamenti umani nel suo territorio, una platonica rinascita che l’ha portato ad essere conosciuto davvero quale animale fiero, forte e gregario, persino timido nel suo rapporto diretto con l’uomo. Anche in virtù di questo nuovo modo di vederlo, la sua figura immaginaria si è molto riabilitata negli ultimi anni, assurgendo spesso ad occupare un ruolo positivo e rassicurante rispetto al pericolo che doveva idealmente rappresentare per i bambini delle epoche precedenti, e un film che sottolinea particolarmente questa nuova posizione, sfruttando la figura del lupo come potenziale nemico in realtà non capito dell’uomo, è senza dubbio l’ultima opera di Tomm Moore e del suo studio irlandese Cartoon Saloon, ovvero “Wolfwalkers - Il popolo dei lupi”.
La pellicola è ambientata in Irlanda nel 1650, nella città meridionale di Kilkenny; qui troviamo la famiglia Goddfellowe composta dal padre Bill e dalla figlia Robyn, recentemente trasferitosi lì dall’Inghilterra in quanto il padre, noto cacciatore, è stato ingaggiato dal comandante del posto, Lord Protector, per eliminare i lupi che contrastano l’attività espansiva della città nella foresta lì vicino. Desiderosa di aiutare il padre nel suo lavoro, Robyn sgattaiola fuori dalle mura della città, nonostante lui le chieda ripetutamente di evitarlo per la sua sicurezza. In una di queste scorribande incontra un lupo che finisce per morderla, rivelando così la sua vera natura: il lupo in realtà è una ragazzina chiamata Mebh, ed è una wolfwalker, un essere che vive in simbiosi coi lupi e il cui spirito assume proprio la forma di un lupo quando va a dormire. Il morso ricevuto prima trasforma anche Robyn in una wolfwalker, e questo permette alle due ragazze di conoscersi meglio e cominciare a capirsi nelle loro differenze, ma, quando Robyn chiede a Mebh di allontanarsi da quel luogo insieme al branco di lupi, visto che gli abitanti della città vicina vogliono ucciderli, lei si rifiuta, in quanto è in attesa della madre, allontanatasi giorni prima per cercare un nuovo posto dove spostarsi col branco e tuttora dispersa.
Ignoranza contro conoscenza, scontro uomo natura, paura del diverso, sono questi insomma i temi principali che affronta “Wolfwalkers”, temi universali riscontrabili in tante produzioni (solo per restare in campo animato penso a “Principessa Mononoke” di Miyazaki o “Pocahontas” della Disney), ma riproposti in una storia coinvolgente con personaggi di facile presa ma non per questo meno interessanti, adatta al pubblico più giovane quanto a quello più adulto. In questo contesto spicca la dolce amicizia, ma tutt’altro che facile da gestire, tra le due bambine protagoniste, il vincolo capace di far superare reciproche differenze e diffidenze, una piccola fiammella in grado di illuminare il buio dell’inconsapevolezza nonostante l’ostilità dei cittadini di Kilkenny, incapaci di cogliere i loro errori, chiusi in una gretta ignoranza che si palesa tanto nei confronti dei lupi quanto dell’inglese Robyn. Tutto questo si esprime in un film armonioso, un’avventura avvincente e dal ritmo calibrato, ora vibrante negli scontri ideali e fisici tra i personaggi e le parti in causa, ora placido nei momenti più riflessivi e suggestivi, quando le beghe terrene lasciano il posto alla componente spirituale legata all’universo mistico dei wolfwalker.
Quest’immersione sensoriale nella visione del film è frutto della sua storia sì, ma soprattutto dei suoi disegni e della sua bellezza, perché “Wolfwalkers” è veramente uno di quei film che vale la pena vedere anche solo per come sono realizzati. Alla sua terza prova da regista di un lungometraggio, Tomm Moore (coadiuvato da Ross Stewart) chiude la personale trilogia legata al folklore irlandese come meglio non potrebbe, raccogliendo l’eredità di “The secret of Kells” e “La canzone del mare”, e riproponendo il proprio stile stilizzato e apparentemente semplice dove personaggi dai tratti spigolosi e un po’ grezzi si muovono su fondali meravigliosi, acquerelli lussureggianti dove la natura si esprime in tutta la primordiale bellezza, veri lavori artistici capaci di fare bella mostra di sé in qualsiasi raccolta di dipinti a tema. Tutto questo lascia piena libertà all’animazione in 2D (più o meno) classica, che qui si esprime in tutto il suo fascino e la sua immutata potenza; ogni movimento è fluido: l’acqua dei ruscelli che fanno capolino più volte nel fitto della foresta e scene come il branco di lupi che corre compatto come fosse un elemento unico valgono da sole il prezzo di un, metaforico in questo caso, biglietto. E ad amplificare ulteriormente questa sensazione, fa capolino l’incantevole colonna sonora, opera di Bruno Coulais e del gruppo folk irlandese Kíla, dove spicca un ri-arrangiamento del brano “Running With the Wolves” della cantante Aurora, canzone simbolo del film con la sua intensità e il suo testo espressivo che accompagna magistralmente il frammento del film che ho preferito. Buono è anche il doppiaggio italiano, scevro di non richiesti talent una volta tanto, ma affidato a validi esponenti del settore come Pasquale Anselmo e Christian Iansante, a cui si affiancano le giovanissime, ma già convincenti, Sofia Fronzi e Cinzia Virale nei panni delle due protagoniste Mebh e Robyn.
In sostanza, è davvero difficile restare impassibili di fronte a “Wolfwalkers”: avevo già apprezzato lo stile di Moore e dello studio Cartoon Saloon nel loro lavoro precedente, ma qui ho trovato anche una storia più coinvolgente e un ulteriore miglioramento di tutto il comparto tecnico. “Wolfwalkers” è un film che non ha niente da invidiare a produzioni più blasonate e anche più pubblicizzate, ma del resto la candidatura nella cinquina finale agli Oscar come miglior film d’animazione nel 2021 vale come biglietto da visita più di quanto possa mai dire, probabilmente; peccato che nel nostro Paese sia passato molto in sordina, mai uscito al cinema e solo in digitale su Apple TV+, un triste destino comune ormai sempre a più produzioni che si discostano da pochi blockbuster annunciati, giapponesi come occidentali, verso un parità prima invocata e oggi un po’ più vicina sì, ma nel senso opposto.
La pellicola è ambientata in Irlanda nel 1650, nella città meridionale di Kilkenny; qui troviamo la famiglia Goddfellowe composta dal padre Bill e dalla figlia Robyn, recentemente trasferitosi lì dall’Inghilterra in quanto il padre, noto cacciatore, è stato ingaggiato dal comandante del posto, Lord Protector, per eliminare i lupi che contrastano l’attività espansiva della città nella foresta lì vicino. Desiderosa di aiutare il padre nel suo lavoro, Robyn sgattaiola fuori dalle mura della città, nonostante lui le chieda ripetutamente di evitarlo per la sua sicurezza. In una di queste scorribande incontra un lupo che finisce per morderla, rivelando così la sua vera natura: il lupo in realtà è una ragazzina chiamata Mebh, ed è una wolfwalker, un essere che vive in simbiosi coi lupi e il cui spirito assume proprio la forma di un lupo quando va a dormire. Il morso ricevuto prima trasforma anche Robyn in una wolfwalker, e questo permette alle due ragazze di conoscersi meglio e cominciare a capirsi nelle loro differenze, ma, quando Robyn chiede a Mebh di allontanarsi da quel luogo insieme al branco di lupi, visto che gli abitanti della città vicina vogliono ucciderli, lei si rifiuta, in quanto è in attesa della madre, allontanatasi giorni prima per cercare un nuovo posto dove spostarsi col branco e tuttora dispersa.
Ignoranza contro conoscenza, scontro uomo natura, paura del diverso, sono questi insomma i temi principali che affronta “Wolfwalkers”, temi universali riscontrabili in tante produzioni (solo per restare in campo animato penso a “Principessa Mononoke” di Miyazaki o “Pocahontas” della Disney), ma riproposti in una storia coinvolgente con personaggi di facile presa ma non per questo meno interessanti, adatta al pubblico più giovane quanto a quello più adulto. In questo contesto spicca la dolce amicizia, ma tutt’altro che facile da gestire, tra le due bambine protagoniste, il vincolo capace di far superare reciproche differenze e diffidenze, una piccola fiammella in grado di illuminare il buio dell’inconsapevolezza nonostante l’ostilità dei cittadini di Kilkenny, incapaci di cogliere i loro errori, chiusi in una gretta ignoranza che si palesa tanto nei confronti dei lupi quanto dell’inglese Robyn. Tutto questo si esprime in un film armonioso, un’avventura avvincente e dal ritmo calibrato, ora vibrante negli scontri ideali e fisici tra i personaggi e le parti in causa, ora placido nei momenti più riflessivi e suggestivi, quando le beghe terrene lasciano il posto alla componente spirituale legata all’universo mistico dei wolfwalker.
Quest’immersione sensoriale nella visione del film è frutto della sua storia sì, ma soprattutto dei suoi disegni e della sua bellezza, perché “Wolfwalkers” è veramente uno di quei film che vale la pena vedere anche solo per come sono realizzati. Alla sua terza prova da regista di un lungometraggio, Tomm Moore (coadiuvato da Ross Stewart) chiude la personale trilogia legata al folklore irlandese come meglio non potrebbe, raccogliendo l’eredità di “The secret of Kells” e “La canzone del mare”, e riproponendo il proprio stile stilizzato e apparentemente semplice dove personaggi dai tratti spigolosi e un po’ grezzi si muovono su fondali meravigliosi, acquerelli lussureggianti dove la natura si esprime in tutta la primordiale bellezza, veri lavori artistici capaci di fare bella mostra di sé in qualsiasi raccolta di dipinti a tema. Tutto questo lascia piena libertà all’animazione in 2D (più o meno) classica, che qui si esprime in tutto il suo fascino e la sua immutata potenza; ogni movimento è fluido: l’acqua dei ruscelli che fanno capolino più volte nel fitto della foresta e scene come il branco di lupi che corre compatto come fosse un elemento unico valgono da sole il prezzo di un, metaforico in questo caso, biglietto. E ad amplificare ulteriormente questa sensazione, fa capolino l’incantevole colonna sonora, opera di Bruno Coulais e del gruppo folk irlandese Kíla, dove spicca un ri-arrangiamento del brano “Running With the Wolves” della cantante Aurora, canzone simbolo del film con la sua intensità e il suo testo espressivo che accompagna magistralmente il frammento del film che ho preferito. Buono è anche il doppiaggio italiano, scevro di non richiesti talent una volta tanto, ma affidato a validi esponenti del settore come Pasquale Anselmo e Christian Iansante, a cui si affiancano le giovanissime, ma già convincenti, Sofia Fronzi e Cinzia Virale nei panni delle due protagoniste Mebh e Robyn.
In sostanza, è davvero difficile restare impassibili di fronte a “Wolfwalkers”: avevo già apprezzato lo stile di Moore e dello studio Cartoon Saloon nel loro lavoro precedente, ma qui ho trovato anche una storia più coinvolgente e un ulteriore miglioramento di tutto il comparto tecnico. “Wolfwalkers” è un film che non ha niente da invidiare a produzioni più blasonate e anche più pubblicizzate, ma del resto la candidatura nella cinquina finale agli Oscar come miglior film d’animazione nel 2021 vale come biglietto da visita più di quanto possa mai dire, probabilmente; peccato che nel nostro Paese sia passato molto in sordina, mai uscito al cinema e solo in digitale su Apple TV+, un triste destino comune ormai sempre a più produzioni che si discostano da pochi blockbuster annunciati, giapponesi come occidentali, verso un parità prima invocata e oggi un po’ più vicina sì, ma nel senso opposto.
Diretto dallo stesso regista de "La canzone del mare", Tomm Moore ci ripropone un nuovo film, uscito nel 2020, ispirato ancora una volta alla mitologia celtica.
La storia si ispira al folklore irlandese, più precisamente alla leggenda legata a San Patrizio, il quale malediceva le persone che non si convertivano al cristianesimo trasformandole in lupi.
Questa è la storia di una strana amicizia, nata tra una giovane cacciatrice di lupi e una altrettanto giovane wolfwalker.
Ma chi sono i wolfwalker? I wolfwalker sono esseri lupo che di giorno hanno un aspetto umano, e la notte, mentre dormono, lasciano il proprio corpo dalle sembianze umane per riappropriarsi di un corpo canino.
Robyn, ragazzina inglese, giunge a Kilkenny, in Irlanda, insieme al padre, che di mestiere fa proprio il cacciatore di wolfwalker, considerati dagli uomini degli esseri demoniaci. La ragazza è vivace e disobbediente, vorrebbe emulare al più presto le gesta del padre che stima tanto. Ma riesce solamente a cacciarsi in un guaio dietro l'altro, facendocela risultare, di primo acchito, un personaggio un po' fastidioso. Robyn, però, non mette in conto l'incontro con Nath, una giovane wolfwalker con cui, inaspettatamente, stringerà amicizia, facendo barcollare tutte le sue convinzioni, e cambiando radicalmente i suoi punti di vista.
Per la nuova amica, e per sé stessa, lotterà con coraggio per affermare le sue nuove ideologie, andando contro pure al padre stesso, colui che ama tanto.
La lotta per la propria libertà e per l'affermazione della propria crescita personale, per il rispetto della natura, e del prossimo, seppur tanto diverso da noi stessi, sono argomenti talmente attuali, e così ampiamente discussi nei più svariati contesti, che c'è quasi da irritarsi al pensiero che il genere umano non abbia ancora acquisito queste battaglie interiori, che non abbia ancora vinto questa guerra ingiustificata. "Il diverso" fa paura. Fa paura perché non si conosce. Ma in pochi fanno la fatica di capire, e in molti intraprendono la strada della negazione, della soppressione, e, quindi, della violenza. Robyn conosce, capisce e si immedesima, e sogna un mondo dove tutti possano coesistere in pace, nel rispetto della natura. Non vi sembra quindi che tutto ciò sia maledettamente contemporaneo? Eppure, dalla storia, dai nostri errori, pare non abbiamo imparato nulla e continuiamo a perseverare nel temere ciò che consideriamo diverso, oscuro, irraggiungibile, etichettandolo, come fanno gli abitanti di Kilkenny, come demoniaco, e quindi meritevole di essere giudicato, colpevolizzato, escluso e soppresso.
Ma la nostra eroina riuscirà ad averla vinta, contro tutto il resto del mondo, dando anche a noi spettatori una piccola fiammella di speranza? Chi lo sa? Ovviamente non ve lo posso svelare.
Quale ambientazione migliore dell'Irlanda se si vuol parlare di natura? Il verde esplosivo di questo Paese ben si presta a lanciare allo spettatore un chiaro messaggio visivo.
Ma non solo.
La forza espressiva dello stile animato di Moore, e la sua ricerca sul segno grafico, crea un preciso design visivo, inconfondibile.
Il mondo della natura, degli animali e dell'uomo, si differenziano fra loro: le foreste hanno uno stile morbido in cui predominano due colori caldi e decisi, il verde e il marrone, che ci danno sensazioni corroboranti cariche di simboli, che sembrano quasi degli scarabocchi. I cittadini e l'esercito inglese sono invece rappresentati con segni netti, rigidi, graffiati, dandoti sensazioni fredde. Mentre il mondo dei wolfwalker è lavorato con una linea più sciolta, libera e rotonda, e quindi più espressiva. Tutto rigorosamente bidimensionale, uno stile che si presta magnificamente nel raccontare storie dal sapore di leggenda e folklore.
Ci sono varie scene a cui darei particolare rilievo, ma ne scelgo solamente alcune su cui spendere due parole: Robyn che pettina la folta capigliatura dell'amica, che, con quel rosso mattone avvolgente, rappresenta sia la sua natura selvaggia, che la natura incontaminata d'Irlanda; la madre di Mébh con i lupi a cerchio tutti intorno, un'immagine stilizzata, che sembra un mosaico (così come tante altre sequenze animate), un gioco geometrico perfetto che simboleggia la rotondità della Terra, della Madre, della Natura (una scena che ha un impatto visivo molto potente); il mondo visto dagli occhi dei lupi, in una sequenza realizzata con animazioni a carboncino che ha creato un effetto di dinamismo eccezionale, il tutto accompagnato dalle note di "Running With The Wolves", canzone sapientemente inserita nel contesto e capace di acuire sensazioni di grande emozione.
Rimanendo sul comparto sonoro, direi che non si poteva far di meglio. Per una storia ambientata in Irlanda, rinunciare a sonorità dal timbro tipicamente celtico (che personalmente gradisco molto) sarebbe stato controproducente.
Bruno Coulais, Kìla e Aurora sono gli artisti a cui è stata affidata la colonna sonora.
Del primo vorrei ricordare "I'm a Wolfwalker", un coro di voci accompagnate da violini dai toni tormentati che descrive perfettamente la sequenza animata alla quale è stata abbinata. Dei Kìla, le canzoni "Howls the Wolf" e "Mebh's Tune" ben rappresentano la musica tradizionale celtica. D'altronde il suddetto gruppo irlandese è noto per questo. E infine Aurora, la cui voce melodica e a tratti disperata, nella già citata "Running With The Wolves", sa portarti in luoghi lontani, suggestivi e tristi. Se amate questo tipo di sonorità, vi invito ad ascoltare tutti i pezzi di questa favolosa colonna sonora.
Sul doppiaggio non posso che ripetermi in un altro elogio: voci calde, luminose e graffianti, in perfetta linea con i temi trattati e lo stile animato.
Concludendo con un paragone, se in "La canzone del mare" i temi trattati ruotano soprattutto intorno alla famiglia, al senso di abbandono e all'accettazione del dolore, in questo nuovo lungometraggio di Moore, il tema principale è l'amicizia, l'accettazione del diverso e di sé stessi, il coraggio, e il rispetto per la natura. Entrambi hanno lo stesso stile grafico, iconico, bidimensionale, ed entrambi hanno una colonna sonora avvolgente che si sposa egregiamente ai film in questione. Tuttavia mi permetto di dire che "Wolfwalkers" ha saputo essere più coinvolgente, forse anche perché dal ritmo più incalzante. E parlando di lupi e lotte per la libertà, non poteva essere altrimenti!
Consigliato a chi ha apprezzato "La canzone del mare" e il suo stile inconfondibile, agli amanti della cultura celtica e della sua musica.
La storia si ispira al folklore irlandese, più precisamente alla leggenda legata a San Patrizio, il quale malediceva le persone che non si convertivano al cristianesimo trasformandole in lupi.
Questa è la storia di una strana amicizia, nata tra una giovane cacciatrice di lupi e una altrettanto giovane wolfwalker.
Ma chi sono i wolfwalker? I wolfwalker sono esseri lupo che di giorno hanno un aspetto umano, e la notte, mentre dormono, lasciano il proprio corpo dalle sembianze umane per riappropriarsi di un corpo canino.
Robyn, ragazzina inglese, giunge a Kilkenny, in Irlanda, insieme al padre, che di mestiere fa proprio il cacciatore di wolfwalker, considerati dagli uomini degli esseri demoniaci. La ragazza è vivace e disobbediente, vorrebbe emulare al più presto le gesta del padre che stima tanto. Ma riesce solamente a cacciarsi in un guaio dietro l'altro, facendocela risultare, di primo acchito, un personaggio un po' fastidioso. Robyn, però, non mette in conto l'incontro con Nath, una giovane wolfwalker con cui, inaspettatamente, stringerà amicizia, facendo barcollare tutte le sue convinzioni, e cambiando radicalmente i suoi punti di vista.
Per la nuova amica, e per sé stessa, lotterà con coraggio per affermare le sue nuove ideologie, andando contro pure al padre stesso, colui che ama tanto.
La lotta per la propria libertà e per l'affermazione della propria crescita personale, per il rispetto della natura, e del prossimo, seppur tanto diverso da noi stessi, sono argomenti talmente attuali, e così ampiamente discussi nei più svariati contesti, che c'è quasi da irritarsi al pensiero che il genere umano non abbia ancora acquisito queste battaglie interiori, che non abbia ancora vinto questa guerra ingiustificata. "Il diverso" fa paura. Fa paura perché non si conosce. Ma in pochi fanno la fatica di capire, e in molti intraprendono la strada della negazione, della soppressione, e, quindi, della violenza. Robyn conosce, capisce e si immedesima, e sogna un mondo dove tutti possano coesistere in pace, nel rispetto della natura. Non vi sembra quindi che tutto ciò sia maledettamente contemporaneo? Eppure, dalla storia, dai nostri errori, pare non abbiamo imparato nulla e continuiamo a perseverare nel temere ciò che consideriamo diverso, oscuro, irraggiungibile, etichettandolo, come fanno gli abitanti di Kilkenny, come demoniaco, e quindi meritevole di essere giudicato, colpevolizzato, escluso e soppresso.
Ma la nostra eroina riuscirà ad averla vinta, contro tutto il resto del mondo, dando anche a noi spettatori una piccola fiammella di speranza? Chi lo sa? Ovviamente non ve lo posso svelare.
Quale ambientazione migliore dell'Irlanda se si vuol parlare di natura? Il verde esplosivo di questo Paese ben si presta a lanciare allo spettatore un chiaro messaggio visivo.
Ma non solo.
La forza espressiva dello stile animato di Moore, e la sua ricerca sul segno grafico, crea un preciso design visivo, inconfondibile.
Il mondo della natura, degli animali e dell'uomo, si differenziano fra loro: le foreste hanno uno stile morbido in cui predominano due colori caldi e decisi, il verde e il marrone, che ci danno sensazioni corroboranti cariche di simboli, che sembrano quasi degli scarabocchi. I cittadini e l'esercito inglese sono invece rappresentati con segni netti, rigidi, graffiati, dandoti sensazioni fredde. Mentre il mondo dei wolfwalker è lavorato con una linea più sciolta, libera e rotonda, e quindi più espressiva. Tutto rigorosamente bidimensionale, uno stile che si presta magnificamente nel raccontare storie dal sapore di leggenda e folklore.
Ci sono varie scene a cui darei particolare rilievo, ma ne scelgo solamente alcune su cui spendere due parole: Robyn che pettina la folta capigliatura dell'amica, che, con quel rosso mattone avvolgente, rappresenta sia la sua natura selvaggia, che la natura incontaminata d'Irlanda; la madre di Mébh con i lupi a cerchio tutti intorno, un'immagine stilizzata, che sembra un mosaico (così come tante altre sequenze animate), un gioco geometrico perfetto che simboleggia la rotondità della Terra, della Madre, della Natura (una scena che ha un impatto visivo molto potente); il mondo visto dagli occhi dei lupi, in una sequenza realizzata con animazioni a carboncino che ha creato un effetto di dinamismo eccezionale, il tutto accompagnato dalle note di "Running With The Wolves", canzone sapientemente inserita nel contesto e capace di acuire sensazioni di grande emozione.
Rimanendo sul comparto sonoro, direi che non si poteva far di meglio. Per una storia ambientata in Irlanda, rinunciare a sonorità dal timbro tipicamente celtico (che personalmente gradisco molto) sarebbe stato controproducente.
Bruno Coulais, Kìla e Aurora sono gli artisti a cui è stata affidata la colonna sonora.
Del primo vorrei ricordare "I'm a Wolfwalker", un coro di voci accompagnate da violini dai toni tormentati che descrive perfettamente la sequenza animata alla quale è stata abbinata. Dei Kìla, le canzoni "Howls the Wolf" e "Mebh's Tune" ben rappresentano la musica tradizionale celtica. D'altronde il suddetto gruppo irlandese è noto per questo. E infine Aurora, la cui voce melodica e a tratti disperata, nella già citata "Running With The Wolves", sa portarti in luoghi lontani, suggestivi e tristi. Se amate questo tipo di sonorità, vi invito ad ascoltare tutti i pezzi di questa favolosa colonna sonora.
Sul doppiaggio non posso che ripetermi in un altro elogio: voci calde, luminose e graffianti, in perfetta linea con i temi trattati e lo stile animato.
Concludendo con un paragone, se in "La canzone del mare" i temi trattati ruotano soprattutto intorno alla famiglia, al senso di abbandono e all'accettazione del dolore, in questo nuovo lungometraggio di Moore, il tema principale è l'amicizia, l'accettazione del diverso e di sé stessi, il coraggio, e il rispetto per la natura. Entrambi hanno lo stesso stile grafico, iconico, bidimensionale, ed entrambi hanno una colonna sonora avvolgente che si sposa egregiamente ai film in questione. Tuttavia mi permetto di dire che "Wolfwalkers" ha saputo essere più coinvolgente, forse anche perché dal ritmo più incalzante. E parlando di lupi e lotte per la libertà, non poteva essere altrimenti!
Consigliato a chi ha apprezzato "La canzone del mare" e il suo stile inconfondibile, agli amanti della cultura celtica e della sua musica.
Una bugia fa in tempo a viaggiare mezzo mondo mentre la verità si sta ancora mettendo le scarpe. Non è importante confermare se la citazione sia di Mark Twain o di Jonathan Swift o, addirittura, di qualcun altro. Quello che conta è che, lo sappiamo tutti, sulla bocca del popolo le notizie viaggiano alla velocità della luce, in un processo di progressiva distorsione da fare invidia ai risultati dell’antico gioco del telefono senza fili, che chi ha diversi decenni sulle spalle probabilmente conosce molto bene. Se tale processo viene voluto, appoggiato e favorito dal potere in carica, i risultati per la verità non possono che essere disastrosi.
“Wolfwalkers - Il popolo dei lupi” di Tomm Moore e Ross Stewart giunge a noi come compimento ideale di una trilogia dal sapore irlandese, dopo “The Secret of Kells” e “La canzone del mare”.
Nel 1650 a Kilkenny, in Irlanda, gli Inglesi stanno cercando di ampliare possedimenti e sfere di influenza, ovviamente a scapito degli Irlandesi autoctoni. Sono capitanati da Lord Protector, che un po’ ricorda l’Oliver Cromwell realmente vissuto e che, storicamente, guidò gli inglesi nella loro conquista e assimilazione delle popolazioni irlandesi. Come si assimila e sottomette un popolo? Cancellandone le radici e le tradizioni. Così, in parallelo con quanto storicamente accaduto, in nome di un Dio intransigente, quel Dio la cui presunta volontà viene usata da terzi per commettere qualsiasi atrocità, il nostro tiranno decide di abbattere la foresta alle porte della città e, soprattutto, di uccidere tutti i lupi che, a suo dire, minacciano la vita della altrimenti tranquilla cittadina. Sono feroci, terribili, devono essere sterminati! Peccato che, almeno nell’universo piuttosto edulcorato dei cartoni animati, i ferocissimi lupi non li vediamo mai uccidere niente e nessuno. Ringhiano, ululano, corrono, digrignano i denti, e al massimo ti graffiano con gli artigli o mordono per difesa.
La grande truffa dell’informazione fornita al popolo ignorante dell’epoca vuole che qualsiasi minaccia alle aspirazioni di conquista di qualcuno diventi automaticamente un inganno del demonio. E, quando c’è di mezzo il demonio, nulla è troppo crudele o feroce per batterlo, qualsiasi azione, anche la più immonda, è giustificata dal fatto che il nemico è un accolito di Satana. Ma il branco dei lupi che vive nel bosco, improvvisamente assediato su tutti i fronti, cacciato, minacciato, cosa dovrebbe fare? Più che feroce, è confuso e sbandato!
I nomi sono emblematici: c’è un Lord Protector - da cui in realtà ci si dovrebbe proteggere - e un certo Goodfellowe, il cacciatore inglese ispirato ad un uomo realmente esistito, che viene incaricato dello sterminio di tutti i lupi. L’intransigenza e la follia del governante traspaiono già dai suoi ordini assurdi: Lord Protector vorrebbe la sparizione di tutti i lupi di una foresta non in due anni, e nemmeno in due mesi o settimane... no: egli concede ben due giorni, per questo immane compito!
Ma l’eroina della nostra storia è la figlia di detto cacciatore, Robyn, inizialmente la solita ragazzina/bambina ribelle che pensa di sapere e poter fare tutto, con l’intransigenza dei giovani che ritengono di essere i soli ad avere le risposte a tutti i problemi del mondo. È venuta in Irlanda col padre, perché la madre è morta tempo prima. A questa ragazzina il mondo riservato alle donne del suo tempo, rigorosamente circoscritto alle faccende domestiche, sta stretto. Giustamente! E se un po’ ci irrita la sua supponenza, d’altro canto come donna non posso che plaudire alla sua ribellione. Una femminista antesignana? Ma già al minuto 10 siamo pronti a prenderla a schiaffi. A me, almeno, prudevano le mani: è il prototipo della piccola idiota che si crede onnipotente e onnisciente, si caccia nei guai e costringe gli altri a mettersi in pericolo per andarla a salvare... un po’ come certi surfisti cretini che escono con la tempesta. E magari a causa loro qualcuno ci rimette la pelle o le piume.
Inizialmente Robyn, aspirante cacciatrice sulle orme del padre, è decisa ad aiutarlo a sterminare i lupi, nonostante il diktat di Lord Protector che vuole tutte le donne con lo strofinaccio in mano o dietro i fornelli. Ma, ben presto, l’incontro con Mebh, una misteriosa e selvaggia ragazzina, sarà il seme da cui germoglieranno cambiamenti di pensiero, di fronte e di vita. La piccola Mebh, smaliziata e selvatica, nasconde un grande segreto: è una Wolfwalker, una che, anche se non balla, coi lupi ci cammina. Le sue capacità possono essere trasmesse ad altri e saranno causa di gran disturbo al meccanismo solo apparentemente ben oliato di Lord Protector.
Mebh sta cercando la sua mamma scomparsa e l’aiuto di Robyn sarà cruciale. Sullo sfondo della lotta all’ultimo sangue tra il popolo dei lupi e quello dei cittadini, si svilupperà l’amicizia sbocciata nel punto di contatto fra i due mondi: le due ragazzine inizialmente di opposte fazioni ci insegneranno come due realtà completamente diverse possano convivere armoniosamente. È un film di ragazze, e per questo a me ancor più gradito.
I temi trattati sono importanti: la paura e il rifiuto del diverso, la colonizzazione, la distruzione, lo sterminio. Ma, dall’altra parte, stanno la forza dell’amicizia, della comprensione, dell’apertura a concetti nuovi e a nuovi stili di vita. Quando guardi la vita dal punto di vista dei lupi, ti rendi conto che forse - forse! - ti hanno propinato un sacco di fandonie. Il tutto è raccontato con una mano gentile che lascia veramente incantati. Trattandosi di un racconto per giovanissimi - ma anche per non più giovani - l’assenza di perdite fra i “buoni” e il finale felice sono praticamente d’obbligo, anche se il quasi indispensabile romanzetto di fine pellicola poteva esserci risparmiato. Evidentemente si voleva far passare il messaggio dell’importanza della famiglia, e quale miglior integrazione di questa?
Ma tutto ciò non può ovviamente prescindere dal comparto grafico e audio. Se i temi trattati sono importanti, lo stile grafico non è da meno. Dimenticatevi i disegni in stile orientale. Qui siamo in piena favola: la grafica solo apparentemente ricorda, almeno in principio, lo stile Disney di antica memoria, o di altri cartoni molto vecchi, con rimandi a “Robin Hood”, probabilmente perché anglosassone. Molto presto, ci si rende conto che lo stile è personalissimo e interessante. In rigoroso 2D fatto a mano, i disegni hanno un’aria antica e apparentemente infantile ma, dopo pochi minuti di acclimatazione, molto gradevole. Soprattutto, i fondali acquarellati, nei vari toni di marrone e verde utilizzati nel bosco, contribuiscono con la loro esplosione di colori a dare l’idea di mondi fatati due passi al di là del nostro cancello. Per contro, gli ambienti cittadini risultano volutamente più spenti e grigi, rigidi. E, nei momenti di maggiore paura e tensione, i colori passano ai toni del blu, contribuendo a veicolare le sensazioni.
La prospettiva, questa sconosciuta! Si è scelto di disegnare le costruzioni in maniera bidimensionale, senza ricorrere alle leggi prospettiche. All’interno di un edificio, ho visto persone salire delle scale come le avrei disegnate io alle elementari (non che ora le disegnerei meglio, anzi). L’effetto è incredibilmente interessante e bizzarro, davvero peculiare.
È soprattutto emblematica la contrapposizione fra il mondo della città, racchiusa in un rettangolo di linee dritte, e la natura, coi suoi tratti più gentili e tondeggianti. Una, chiusa e intransigente, costretta dalle sue regole imposte e assurde. L’altra, più aperta alle possibilità e alla vita secondo le regole mutevoli dell’ambiente. La stessa Mebh è dotata di occhi verdi e di una gran criniera tonda di capelli rossi che la identificano nettamente come irlandese, una di quegli Irlandesi che i colonizzatori inglesi vogliono in ogni modo soggiogare. Storicamente, il lupo è il simbolo spirituale del Paese, e il suo sterminio e la distruzione delle foreste contribuirono non poco a cambiare la percezione di sé degli Irlandesi. Sono storie che non si dovrebbe smettere mai di raccontare, specie perché purtroppo sono tristemente attuali.
E le musiche? Il commento musicale di Bruno Coulais è ben degno di questo piccolo gioiello. La colonna sonora in sé è splendida, l’opening è molto bella e suggestiva, ma il momento forse culminante di tutto il film è la canzone “Running With The Wolves” di Aurora, che accompagna le prime esperienze di Robyn sotto forma di lupo, nella sua prima corsa sotto la luna. Sono minuti di intenso pathos, così come, finalmente, la riunione di Mebh con la sua mamma, una scena di incredibile poesia.
Riassumendo, “Wolfwalkers - Il popolo dei lupi” è un’opera veramente ben riuscita a cui, forse, si può muovere il solo appunto di essere un po’ troppo “buonista”: i conflitti vengono risolti fin troppo facilmente e, per così dire, tutti i santi finiscono in gloria. Ma si tratta, se vogliamo, praticamente di un obbligo, in un prodotto del genere. Promosso abbondantemente e caldamente consigliato a tutti, con la sola accortezza di accompagnare eventualmente i bambini più piccoli, che in qualche scena potrebbero spaventarsi. Ma, questo, andrebbe fatto sempre.
“Wolfwalkers - Il popolo dei lupi” di Tomm Moore e Ross Stewart giunge a noi come compimento ideale di una trilogia dal sapore irlandese, dopo “The Secret of Kells” e “La canzone del mare”.
Nel 1650 a Kilkenny, in Irlanda, gli Inglesi stanno cercando di ampliare possedimenti e sfere di influenza, ovviamente a scapito degli Irlandesi autoctoni. Sono capitanati da Lord Protector, che un po’ ricorda l’Oliver Cromwell realmente vissuto e che, storicamente, guidò gli inglesi nella loro conquista e assimilazione delle popolazioni irlandesi. Come si assimila e sottomette un popolo? Cancellandone le radici e le tradizioni. Così, in parallelo con quanto storicamente accaduto, in nome di un Dio intransigente, quel Dio la cui presunta volontà viene usata da terzi per commettere qualsiasi atrocità, il nostro tiranno decide di abbattere la foresta alle porte della città e, soprattutto, di uccidere tutti i lupi che, a suo dire, minacciano la vita della altrimenti tranquilla cittadina. Sono feroci, terribili, devono essere sterminati! Peccato che, almeno nell’universo piuttosto edulcorato dei cartoni animati, i ferocissimi lupi non li vediamo mai uccidere niente e nessuno. Ringhiano, ululano, corrono, digrignano i denti, e al massimo ti graffiano con gli artigli o mordono per difesa.
La grande truffa dell’informazione fornita al popolo ignorante dell’epoca vuole che qualsiasi minaccia alle aspirazioni di conquista di qualcuno diventi automaticamente un inganno del demonio. E, quando c’è di mezzo il demonio, nulla è troppo crudele o feroce per batterlo, qualsiasi azione, anche la più immonda, è giustificata dal fatto che il nemico è un accolito di Satana. Ma il branco dei lupi che vive nel bosco, improvvisamente assediato su tutti i fronti, cacciato, minacciato, cosa dovrebbe fare? Più che feroce, è confuso e sbandato!
I nomi sono emblematici: c’è un Lord Protector - da cui in realtà ci si dovrebbe proteggere - e un certo Goodfellowe, il cacciatore inglese ispirato ad un uomo realmente esistito, che viene incaricato dello sterminio di tutti i lupi. L’intransigenza e la follia del governante traspaiono già dai suoi ordini assurdi: Lord Protector vorrebbe la sparizione di tutti i lupi di una foresta non in due anni, e nemmeno in due mesi o settimane... no: egli concede ben due giorni, per questo immane compito!
Ma l’eroina della nostra storia è la figlia di detto cacciatore, Robyn, inizialmente la solita ragazzina/bambina ribelle che pensa di sapere e poter fare tutto, con l’intransigenza dei giovani che ritengono di essere i soli ad avere le risposte a tutti i problemi del mondo. È venuta in Irlanda col padre, perché la madre è morta tempo prima. A questa ragazzina il mondo riservato alle donne del suo tempo, rigorosamente circoscritto alle faccende domestiche, sta stretto. Giustamente! E se un po’ ci irrita la sua supponenza, d’altro canto come donna non posso che plaudire alla sua ribellione. Una femminista antesignana? Ma già al minuto 10 siamo pronti a prenderla a schiaffi. A me, almeno, prudevano le mani: è il prototipo della piccola idiota che si crede onnipotente e onnisciente, si caccia nei guai e costringe gli altri a mettersi in pericolo per andarla a salvare... un po’ come certi surfisti cretini che escono con la tempesta. E magari a causa loro qualcuno ci rimette la pelle o le piume.
Inizialmente Robyn, aspirante cacciatrice sulle orme del padre, è decisa ad aiutarlo a sterminare i lupi, nonostante il diktat di Lord Protector che vuole tutte le donne con lo strofinaccio in mano o dietro i fornelli. Ma, ben presto, l’incontro con Mebh, una misteriosa e selvaggia ragazzina, sarà il seme da cui germoglieranno cambiamenti di pensiero, di fronte e di vita. La piccola Mebh, smaliziata e selvatica, nasconde un grande segreto: è una Wolfwalker, una che, anche se non balla, coi lupi ci cammina. Le sue capacità possono essere trasmesse ad altri e saranno causa di gran disturbo al meccanismo solo apparentemente ben oliato di Lord Protector.
Mebh sta cercando la sua mamma scomparsa e l’aiuto di Robyn sarà cruciale. Sullo sfondo della lotta all’ultimo sangue tra il popolo dei lupi e quello dei cittadini, si svilupperà l’amicizia sbocciata nel punto di contatto fra i due mondi: le due ragazzine inizialmente di opposte fazioni ci insegneranno come due realtà completamente diverse possano convivere armoniosamente. È un film di ragazze, e per questo a me ancor più gradito.
I temi trattati sono importanti: la paura e il rifiuto del diverso, la colonizzazione, la distruzione, lo sterminio. Ma, dall’altra parte, stanno la forza dell’amicizia, della comprensione, dell’apertura a concetti nuovi e a nuovi stili di vita. Quando guardi la vita dal punto di vista dei lupi, ti rendi conto che forse - forse! - ti hanno propinato un sacco di fandonie. Il tutto è raccontato con una mano gentile che lascia veramente incantati. Trattandosi di un racconto per giovanissimi - ma anche per non più giovani - l’assenza di perdite fra i “buoni” e il finale felice sono praticamente d’obbligo, anche se il quasi indispensabile romanzetto di fine pellicola poteva esserci risparmiato. Evidentemente si voleva far passare il messaggio dell’importanza della famiglia, e quale miglior integrazione di questa?
Ma tutto ciò non può ovviamente prescindere dal comparto grafico e audio. Se i temi trattati sono importanti, lo stile grafico non è da meno. Dimenticatevi i disegni in stile orientale. Qui siamo in piena favola: la grafica solo apparentemente ricorda, almeno in principio, lo stile Disney di antica memoria, o di altri cartoni molto vecchi, con rimandi a “Robin Hood”, probabilmente perché anglosassone. Molto presto, ci si rende conto che lo stile è personalissimo e interessante. In rigoroso 2D fatto a mano, i disegni hanno un’aria antica e apparentemente infantile ma, dopo pochi minuti di acclimatazione, molto gradevole. Soprattutto, i fondali acquarellati, nei vari toni di marrone e verde utilizzati nel bosco, contribuiscono con la loro esplosione di colori a dare l’idea di mondi fatati due passi al di là del nostro cancello. Per contro, gli ambienti cittadini risultano volutamente più spenti e grigi, rigidi. E, nei momenti di maggiore paura e tensione, i colori passano ai toni del blu, contribuendo a veicolare le sensazioni.
La prospettiva, questa sconosciuta! Si è scelto di disegnare le costruzioni in maniera bidimensionale, senza ricorrere alle leggi prospettiche. All’interno di un edificio, ho visto persone salire delle scale come le avrei disegnate io alle elementari (non che ora le disegnerei meglio, anzi). L’effetto è incredibilmente interessante e bizzarro, davvero peculiare.
È soprattutto emblematica la contrapposizione fra il mondo della città, racchiusa in un rettangolo di linee dritte, e la natura, coi suoi tratti più gentili e tondeggianti. Una, chiusa e intransigente, costretta dalle sue regole imposte e assurde. L’altra, più aperta alle possibilità e alla vita secondo le regole mutevoli dell’ambiente. La stessa Mebh è dotata di occhi verdi e di una gran criniera tonda di capelli rossi che la identificano nettamente come irlandese, una di quegli Irlandesi che i colonizzatori inglesi vogliono in ogni modo soggiogare. Storicamente, il lupo è il simbolo spirituale del Paese, e il suo sterminio e la distruzione delle foreste contribuirono non poco a cambiare la percezione di sé degli Irlandesi. Sono storie che non si dovrebbe smettere mai di raccontare, specie perché purtroppo sono tristemente attuali.
E le musiche? Il commento musicale di Bruno Coulais è ben degno di questo piccolo gioiello. La colonna sonora in sé è splendida, l’opening è molto bella e suggestiva, ma il momento forse culminante di tutto il film è la canzone “Running With The Wolves” di Aurora, che accompagna le prime esperienze di Robyn sotto forma di lupo, nella sua prima corsa sotto la luna. Sono minuti di intenso pathos, così come, finalmente, la riunione di Mebh con la sua mamma, una scena di incredibile poesia.
Riassumendo, “Wolfwalkers - Il popolo dei lupi” è un’opera veramente ben riuscita a cui, forse, si può muovere il solo appunto di essere un po’ troppo “buonista”: i conflitti vengono risolti fin troppo facilmente e, per così dire, tutti i santi finiscono in gloria. Ma si tratta, se vogliamo, praticamente di un obbligo, in un prodotto del genere. Promosso abbondantemente e caldamente consigliato a tutti, con la sola accortezza di accompagnare eventualmente i bambini più piccoli, che in qualche scena potrebbero spaventarsi. Ma, questo, andrebbe fatto sempre.
È pensiero comune che le fiabe debbano essere oggetto di interesse soltanto dei più piccoli e che, raggiunta una certa età, non servano oltre ai fini della formazione di un bambino. Questo perché, come in molti credono, a dei ragazzi nel pieno dell’adolescenza devono essere propinati i soliti classici della letteratura mondiale, da “I promessi sposi” a “I fratelli Karamazov”. Letture che, non lo metto in dubbio, conferiscono “un’aura di letterarietà” maggiore rispetto ad un evergreen come “La bella e la bestia”. D’altronde, lo stesso Giambattista Basile, il primo vero scrittore di fiabe di tutto il mondo, colui che ispirò i fratelli Grimm e Walt Disney, intitolò la sua raccolta “Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de peccerille”. Eppure, come in molti sanno, per sentito dire o perché ne hanno avuto esperienza diretta con le loro rivisitazioni in chiave moderna, ogni fiaba si fa portatrice di una morale. E continueranno a farlo anche quando ormai la nostra libreria pullulerà degli enormi mattoni che abbiamo deciso di leggere più per obbligo morale, che per reale interesse.
E io, che sto qui a sproloquiare, comodamente seduto sulla mia sedia in vimini, sono il primo che, spesso e volentieri, si dimentica di una cosa tanto importante. Ecco perché, anche per rinfrescarsi la memoria, credo sia estremamente salutare e propedeutico tornare, ogni tanto, ad essere bambini.
Questo è esattamente ciò che mi è capitato vedendo “Wolfwalkers - Il popolo dei lupi”, un anime che fa suoi i mezzi della fiaba e ci insegna quanto sia importante il dialogo con il prossimo. Tema, tra le altre cose, alquanto attuale, se pensiamo a cosa sta accadendo in questo momento, a poco più di duemila chilometri da noi.
Ambientata nell’Irlanda “repubblicana” del ‘600, la fiaba parla di un padre e una figlia che arrivano in terra straniera dopo aver abbandonato la propria patria, l’Inghilterra. Bill è un cacciatore di professione, a cui il Lord ha affidato l’importante compito di sterminare gli ultimi lupi che continuano ad aggirarsi nella foresta; Robyn è un’apprendista cacciatrice ancora alle prime armi, che vuole, a tutti i costi, seguire le orme del padre, e ha come migliore amico un falco di nome Merlyn. Il padre fa di tutto per tenere la figlia lontana dai pericoli in cui, sistematicamente, si caccia, e cerca con ogni mezzo di costringerla a casa a sbrigare le faccende domestiche, unico compito di cui, al tempo, si ritenevano capaci le donne. Intanto, in paese si sparge la voce dell’esistenza dei Wolfwalkers, creature magiche per metà umane e metà animali, in grado di parlare e comandare i lupi. Proprio durante uno dei giri di perlustrazione del padre, Robyn riesce ad intrufolarsi nella foresta, con l’intento di uccidere un lupo e dimostrare al padre il suo valore. Eppure, nei meandri della foresta, la ragazza si imbatte in qualcosa, all’apparenza, di più pericoloso di un semplice lupo, una Wolfwalker in carne ed ossa. Ben presto, però, prende conoscenza del fatto che tutte le storie sentite sul loro conto altro non sono che delle falsità, messe in piedi dagli umani, creature spregevoli e pericolose, per i loro sporchi fini.
Accompagnato dal suo stile d’animazione inusuale e a tratti antiquato, l’anime nella sua semplicità riesce a veicolare messaggi di grande spessore, seppur già sentiti, ma che è sempre bene riproporre. Dall’amore di un padre verso la propria figlia per cui vorrebbe soltanto il meglio, ma che concepisce per lei un’idea sbagliata di felicità (molto simile in questo a “La principessa splendente”), all’inebetimento di un popolo disposto a tutto pur di seguire il proprio Lord. Dalla difficoltà nel riuscire ad ambientarsi in una città sconosciuta, all’importanza, spesso sottovalutata, di un valore come l’amicizia, che può nascere anche nella più ostile delle situazioni, il che mi ricorda il detto che recita: “Il fiore che sboccia e cresce nelle avversità è il più raro e il più bello di tutti”. Fino ad arrivare a quello che ritengo il più importante dei messaggi che l’autore ci ha voluto trasmettere, la vera morale di questa fiaba stupenda e incorniciata da una colonna sonora da brividi, ovvero l’importanza, anzi la necessità del dialogo con il prossimo (e il diverso).
Come ci insegna la storia e, ahimè, gli avvenimenti più recenti, la guerra è sempre stata uno strumento barbaro utilizzato da uomini ignobili, per compiere i loro loschi propositi. Nonostante sia portatrice di morte e distruzione, la guerra è sempre stata preferita al dialogo, nella convinzione che i fatti siano più risolutivi delle parole. Contro i deboli, contro i diversi, in generale contro il prossimo, la guerra è stata usata indiscriminatamente, perché la guerra e chi la fa non guardano in faccia nessuno. Oggi più che mai, non serve sfogliare i libri di storia per vedere quali sono gli orrori della guerra, ma basta sintonizzarsi su un qualsiasi telegiornale, nazionale o regionale, per averne una prova. Gente che muore, case distrutte e città rase al suolo. Tutto questo per la pura sete di potere di un singolo uomo. Così per Putin e, allo stesso modo, per il nostro Lord Protettore. Intimorito dall’imperversare dei lupi nella foresta, decide di attaccare a testa bassa, mandando un esercito armato a combattere. Le conseguenze? Ovviamente, morte e distruzione. Eppure, in tutto questo caos, c’è qualcuno che ha capito come stanno realmente le cose, Robyn. La voce della verità che gli adulti e il padre stesso si rifiutano di ascoltare, e, quando nessuno ti ascolta, bisogna gridare con tutte le proprie forze, nella speranza che qualcuno ti senta e tenda la sua mano in segno di aiuto, cosa che ancora oggi ci rifiutiamo di fare e che ritroviamo, purtroppo, soltanto nelle belle fiabe come questa.
E io, che sto qui a sproloquiare, comodamente seduto sulla mia sedia in vimini, sono il primo che, spesso e volentieri, si dimentica di una cosa tanto importante. Ecco perché, anche per rinfrescarsi la memoria, credo sia estremamente salutare e propedeutico tornare, ogni tanto, ad essere bambini.
Questo è esattamente ciò che mi è capitato vedendo “Wolfwalkers - Il popolo dei lupi”, un anime che fa suoi i mezzi della fiaba e ci insegna quanto sia importante il dialogo con il prossimo. Tema, tra le altre cose, alquanto attuale, se pensiamo a cosa sta accadendo in questo momento, a poco più di duemila chilometri da noi.
Ambientata nell’Irlanda “repubblicana” del ‘600, la fiaba parla di un padre e una figlia che arrivano in terra straniera dopo aver abbandonato la propria patria, l’Inghilterra. Bill è un cacciatore di professione, a cui il Lord ha affidato l’importante compito di sterminare gli ultimi lupi che continuano ad aggirarsi nella foresta; Robyn è un’apprendista cacciatrice ancora alle prime armi, che vuole, a tutti i costi, seguire le orme del padre, e ha come migliore amico un falco di nome Merlyn. Il padre fa di tutto per tenere la figlia lontana dai pericoli in cui, sistematicamente, si caccia, e cerca con ogni mezzo di costringerla a casa a sbrigare le faccende domestiche, unico compito di cui, al tempo, si ritenevano capaci le donne. Intanto, in paese si sparge la voce dell’esistenza dei Wolfwalkers, creature magiche per metà umane e metà animali, in grado di parlare e comandare i lupi. Proprio durante uno dei giri di perlustrazione del padre, Robyn riesce ad intrufolarsi nella foresta, con l’intento di uccidere un lupo e dimostrare al padre il suo valore. Eppure, nei meandri della foresta, la ragazza si imbatte in qualcosa, all’apparenza, di più pericoloso di un semplice lupo, una Wolfwalker in carne ed ossa. Ben presto, però, prende conoscenza del fatto che tutte le storie sentite sul loro conto altro non sono che delle falsità, messe in piedi dagli umani, creature spregevoli e pericolose, per i loro sporchi fini.
Accompagnato dal suo stile d’animazione inusuale e a tratti antiquato, l’anime nella sua semplicità riesce a veicolare messaggi di grande spessore, seppur già sentiti, ma che è sempre bene riproporre. Dall’amore di un padre verso la propria figlia per cui vorrebbe soltanto il meglio, ma che concepisce per lei un’idea sbagliata di felicità (molto simile in questo a “La principessa splendente”), all’inebetimento di un popolo disposto a tutto pur di seguire il proprio Lord. Dalla difficoltà nel riuscire ad ambientarsi in una città sconosciuta, all’importanza, spesso sottovalutata, di un valore come l’amicizia, che può nascere anche nella più ostile delle situazioni, il che mi ricorda il detto che recita: “Il fiore che sboccia e cresce nelle avversità è il più raro e il più bello di tutti”. Fino ad arrivare a quello che ritengo il più importante dei messaggi che l’autore ci ha voluto trasmettere, la vera morale di questa fiaba stupenda e incorniciata da una colonna sonora da brividi, ovvero l’importanza, anzi la necessità del dialogo con il prossimo (e il diverso).
Come ci insegna la storia e, ahimè, gli avvenimenti più recenti, la guerra è sempre stata uno strumento barbaro utilizzato da uomini ignobili, per compiere i loro loschi propositi. Nonostante sia portatrice di morte e distruzione, la guerra è sempre stata preferita al dialogo, nella convinzione che i fatti siano più risolutivi delle parole. Contro i deboli, contro i diversi, in generale contro il prossimo, la guerra è stata usata indiscriminatamente, perché la guerra e chi la fa non guardano in faccia nessuno. Oggi più che mai, non serve sfogliare i libri di storia per vedere quali sono gli orrori della guerra, ma basta sintonizzarsi su un qualsiasi telegiornale, nazionale o regionale, per averne una prova. Gente che muore, case distrutte e città rase al suolo. Tutto questo per la pura sete di potere di un singolo uomo. Così per Putin e, allo stesso modo, per il nostro Lord Protettore. Intimorito dall’imperversare dei lupi nella foresta, decide di attaccare a testa bassa, mandando un esercito armato a combattere. Le conseguenze? Ovviamente, morte e distruzione. Eppure, in tutto questo caos, c’è qualcuno che ha capito come stanno realmente le cose, Robyn. La voce della verità che gli adulti e il padre stesso si rifiutano di ascoltare, e, quando nessuno ti ascolta, bisogna gridare con tutte le proprie forze, nella speranza che qualcuno ti senta e tenda la sua mano in segno di aiuto, cosa che ancora oggi ci rifiutiamo di fare e che ritroviamo, purtroppo, soltanto nelle belle fiabe come questa.