Robin e i due moschettieri e mezzo
“Robin e i 2 moschettieri e mezzo” è il titolo italiano dato al film del 1961 “Anju to Zushiōmaru". È tratto da un racconto, ed è stato diretto da Taiji Yabushita e Yugo Serikawa.
La trama vede protagonista Zushiomaru (Robin in Italia) che viene costretto a lasciare la propria casa, insieme alla sorella Anju (Anna) e al resto della famiglia, a causa dell’arresto perpetrato ai danni del padre, accusato ingiustamente dal signore della regione.
I due fratelli, con famiglia appresso, intendono raggiungere l’imperatore per scarcerare il padre, ma il viaggio si rivela un susseguirsi di tristi disavventure, durante le quali tutti perdono chi qualcosa e chi tutto…
Inutile svelare altro, perché è più corretto gustarsi la visione che, tutto sommato, visto anche l’anno di uscita, può risultare un po’ indigesta ai più. Non originale - anche se contestualizzata al suo anno di uscita non ne sarei così certa - la pellicola si distingue grossomodo, più che per lo svolgersi della trama, per il finale. Il lieto fine non è scontato, e soprattutto può arrivare ma solo con un retro gusto amaro, invaso di tristezza…
Sostanzialmente, non offre qualcosa di nuovo, né qualcosa di eccezionale, anche se le animazioni e i fondali sono di tutto rispetto. Lo consiglio principalmente a chi vuole andare alla ricerca del “datato” e piacevole.
La trama vede protagonista Zushiomaru (Robin in Italia) che viene costretto a lasciare la propria casa, insieme alla sorella Anju (Anna) e al resto della famiglia, a causa dell’arresto perpetrato ai danni del padre, accusato ingiustamente dal signore della regione.
I due fratelli, con famiglia appresso, intendono raggiungere l’imperatore per scarcerare il padre, ma il viaggio si rivela un susseguirsi di tristi disavventure, durante le quali tutti perdono chi qualcosa e chi tutto…
Inutile svelare altro, perché è più corretto gustarsi la visione che, tutto sommato, visto anche l’anno di uscita, può risultare un po’ indigesta ai più. Non originale - anche se contestualizzata al suo anno di uscita non ne sarei così certa - la pellicola si distingue grossomodo, più che per lo svolgersi della trama, per il finale. Il lieto fine non è scontato, e soprattutto può arrivare ma solo con un retro gusto amaro, invaso di tristezza…
Sostanzialmente, non offre qualcosa di nuovo, né qualcosa di eccezionale, anche se le animazioni e i fondali sono di tutto rispetto. Lo consiglio principalmente a chi vuole andare alla ricerca del “datato” e piacevole.
Negli anni Settanta arrivarono sugli schermi delle tv private italiane dei film di animazione diversi dal tipo americano a cui si era normalmente abituati nel nostro paese; si trattava della prima avanguardia animata giapponese, anche se pochi lo sapevano, forse neanche chi aveva comprato tali prodotti, visto che arrivarono con l'adattamento "made in Usa". "Robin e i due moschettieri e mezzo" è il ridicolo titolo con cui la distribuzione italiana ha cercato di attirare l'attenzione del pubblico quando venne mandata in onda nel 1975 quest'autentica "chicca" della Toei Doga, che in realtà era del 1961 e si chiamava "Anju to Zushiōmaru".
Tratto da un romanzo molto famoso in patria (da cui è stato tratto anche un film) e affidato ai due migliori registi di animazione dell'epoca, quali Taiji Yabushita ("Le tredici fatiche di Ercolino", "Sinbad, il marinaio") e Yugo Serikawa ("Orsetto Panda e gli amici della foresta"), questo titolo porta lo spettatore in un mistico e lontano Giappone che fu, quello del periodo Heian (794-1185) quando la capitale era Kyoto.
"Anju to Zushiōmaru" è la drammatica storia di Zushioumaru (Robin nell'edizione italiana), figlio del governatore della regione dell'odierna Tohoku, costretto a fuggire dalla sua casa insieme all'amata sorella e al resto della sua famiglia allorché il padre viene richiamato nella capitale dall'imperatore a rispondere delle calunnie avanzate contro di lui. Il giovane dovrà subire numerosi torti venendo rapito e venduto come schiavo insieme alla sorella Anju (Anna in Italia) presso un crudele intendente.
Il riscatto però è il giusto premio a tante traversie. Zushio riesce a scappare e a raggiungere Kyoto, dove però scopre con amarezza che il padre è morto ma, grazie all'aiuto del consigliere dell'imperatore, negli anni riesce a distinguersi nello studio e nelle armi e a riprendersi quel titolo ingiustamente tolto al padre.
Una storia di giustizia e riscatto, quindi, che seppur nella sua semplicità non tocca i picchi di banalità che, ad esempio, nello stesso periodo infarciva le produzioni disneyane: qui il lieto fine ha un retrogusto amaro, davvero poco ravvisabile nelle produzioni animate dell'epoca come la non celata tristezza che lo pervade.
Dal punto di vista tecnico vanno evidenziate inoltre ulteriori differenze con le produzioni americane, dovute ad animazioni estremamente fluide oltre che a un'iconografia tutta "orientaleggiante" dove sì, ci sono parecchi animaletti a fare da "mascotte", ma a differenza dei loro corrispettivi americani sono molto meno antropomorfi e disegnati secondo le caratteristiche nipponiche in cui spicca per la prima volta la figura dell'orsacchiotto, la quale sarà ripresa in parecchi film successivi.
I fondali, splendidamente disegnati dagli artigiani di quella "fabbrica di sogni" che era la Toei, contribuiscono all'atmosfera fiabesca che pervade quest'opera che, purtroppo, viene in parte rovinata dal classico pessimo doppiaggio italiano degli anni Settanta. A proposito di edizione italiana, in rete girano varie idee di cosa abbia ispirato un titolo tanto fuorviane quanto demenziale; l'idea più accreditata è quella che vede nei "due moschettieri e mezzo" i protagonisti animali (un orso, un cane e un topolino).
Al di là di ciò, però, non posso che consigliare di recuperare questo, come gli altri titoli Toei dell'epoca, vere pietre miliari di un cammino che ben presto avrebbe portato a un fenomeno quale l'esplosione dell'animazione giapponese nel nostro paese e nel mondo, di cui noi stessi siamo ancora oggi fieri appassionati.
Tratto da un romanzo molto famoso in patria (da cui è stato tratto anche un film) e affidato ai due migliori registi di animazione dell'epoca, quali Taiji Yabushita ("Le tredici fatiche di Ercolino", "Sinbad, il marinaio") e Yugo Serikawa ("Orsetto Panda e gli amici della foresta"), questo titolo porta lo spettatore in un mistico e lontano Giappone che fu, quello del periodo Heian (794-1185) quando la capitale era Kyoto.
"Anju to Zushiōmaru" è la drammatica storia di Zushioumaru (Robin nell'edizione italiana), figlio del governatore della regione dell'odierna Tohoku, costretto a fuggire dalla sua casa insieme all'amata sorella e al resto della sua famiglia allorché il padre viene richiamato nella capitale dall'imperatore a rispondere delle calunnie avanzate contro di lui. Il giovane dovrà subire numerosi torti venendo rapito e venduto come schiavo insieme alla sorella Anju (Anna in Italia) presso un crudele intendente.
Il riscatto però è il giusto premio a tante traversie. Zushio riesce a scappare e a raggiungere Kyoto, dove però scopre con amarezza che il padre è morto ma, grazie all'aiuto del consigliere dell'imperatore, negli anni riesce a distinguersi nello studio e nelle armi e a riprendersi quel titolo ingiustamente tolto al padre.
Una storia di giustizia e riscatto, quindi, che seppur nella sua semplicità non tocca i picchi di banalità che, ad esempio, nello stesso periodo infarciva le produzioni disneyane: qui il lieto fine ha un retrogusto amaro, davvero poco ravvisabile nelle produzioni animate dell'epoca come la non celata tristezza che lo pervade.
Dal punto di vista tecnico vanno evidenziate inoltre ulteriori differenze con le produzioni americane, dovute ad animazioni estremamente fluide oltre che a un'iconografia tutta "orientaleggiante" dove sì, ci sono parecchi animaletti a fare da "mascotte", ma a differenza dei loro corrispettivi americani sono molto meno antropomorfi e disegnati secondo le caratteristiche nipponiche in cui spicca per la prima volta la figura dell'orsacchiotto, la quale sarà ripresa in parecchi film successivi.
I fondali, splendidamente disegnati dagli artigiani di quella "fabbrica di sogni" che era la Toei, contribuiscono all'atmosfera fiabesca che pervade quest'opera che, purtroppo, viene in parte rovinata dal classico pessimo doppiaggio italiano degli anni Settanta. A proposito di edizione italiana, in rete girano varie idee di cosa abbia ispirato un titolo tanto fuorviane quanto demenziale; l'idea più accreditata è quella che vede nei "due moschettieri e mezzo" i protagonisti animali (un orso, un cane e un topolino).
Al di là di ciò, però, non posso che consigliare di recuperare questo, come gli altri titoli Toei dell'epoca, vere pietre miliari di un cammino che ben presto avrebbe portato a un fenomeno quale l'esplosione dell'animazione giapponese nel nostro paese e nel mondo, di cui noi stessi siamo ancora oggi fieri appassionati.