Panzer World Galient
"Panzer World Galient" è un robotico di metà anni ottanta, realizzato da un cast di tutto rispetto: Ryosuke Takahashi alla regia, Kunio Okawara al mecha design, Norio Shioyama al chara design. Si tratta di un team ben rodato, che aveva già realizzato "Dougram" e "Votoms", e che non delude neppure in questa occasione. A differenza di quanto possono lasciar supporre il titolo e il curriculum del regista, Galient non è un'opera di fantascienza militare: i Panzer del titolo sono centauri corazzati in stile cavaliere medievale, con tanto di lancia. Il mecha design, così come tutto l'anime, è a metà tra classico e moderno: i robot combattono con spade e alabarde, ma anche con fucili e cannoni; e se da un lato vi sono i robot centauri, dall'altro vi sono dei mecha in stile quasi real robot; viene riciclata anche la scivolata su cuscini d'aria, come in Votoms. Al mecha design ha collaborato anche l'ottimo Yutaka Izubuchi, anche se non so esattamente di cosa si sia occupato; propenderei per i centauri, mentre Galient ricorda molto di più i robot di Okawara, in particolare il vecchio Daikengo, di cui sembra essere una versione aggiornata e molto più bella. Notevole anche l'idea della frusta che si trasforma in spada.
Galient ha vari richiami alla tradizione classica del robotico, basta pensare che i Panzer non vengono costruiti, ma rinvenuti dal sottosuolo, come relique di un'antica civiltà: il miglior modo per giustificare l'origine dei robot fin dai tempi di Mazinga Z. Inoltre dai personaggi si capisce facilmente che il target di pubblico di Galient è lo stesso di quello dei super robot tradizionali: basta pensare che il protagonista e pilota del robot, il principe Jordy, ha solo dodici anni. A differenza di Dougram e Votoms, Galient è un robotico molto più leggero, adatto soprattuto ad un pubblico giovane, anche se non rinuncia qualche strizzatina d'occhio ai ragazzi più grandi, specialmente nelle forme delle coprotagonista Hilmuka, donna matura e prosperosa che ben si presta a vari accenni ecchi a scopo umoristico. Ma del resto le donne prosperose sono un classico anche del robotico nagaiano, tutto regolare quindi. Dove Galient dimostra di essere un robotico degli anni ottanta è nel rifiuto del format tokusatsu: nel 1984 il buon vecchio mostro della settimana è caduto in disuso e Galient cambia lo schema narrativo da episodi autoconclusivi a storia continua, con cliffhanger sul finire della puntata che obbligano lo spettatore a vedere l'episodio successivo.
Per il resto è tutto tradizionale: le solite ambientazioni su pianeti rocciosi, principesse e guerrieri, super armi e navi spaziali, insomma tutto l'armamentario della science fantasy, fin dai tempi della Principessa di Marte di E. R. Burroghs (1911). Ingredienti che funzionano sempre e che insieme a un'ottima regia, una buona sceneggiatura, un ottimo chara design e belle opening e ending, con un sound tutto anni Ottanta, rendono Galient un anime assai gradevole da seguire. Si difende bene rispetto ai robot in onda negli stessi anni, serie leggere come Xabungle, L-Gaim e anche serie drammatiche come Votoms e Dunbine, se si tiene conto del target di pubblico giovanile e si usa quindi il metro corretto. Rispetto ai concorrenti dell'epoca risulta più veloce e meno ripetitivo, e questo grazie alla breve durata (25 episodi, un'eccezione in tempi in cui 52 episodi erano la norma). L'unica pecca che posso riscontrare è nel finale, che lascia presagire una grande spettacolarità (entra in gioco l'antichissimo Eraser, un'arma spaziale in grado di annichilire interi sistemi stellari) ma che si chiude invece in maniera troppo sbrigativa lasciando lo spettatore a bocca asciutta. Per questo non mi sento di arrotondare il mio 7,5 a un 8, anche se ne sarei tentato. È comunque una serie che consiglio, da riscoprire.
Galient ha vari richiami alla tradizione classica del robotico, basta pensare che i Panzer non vengono costruiti, ma rinvenuti dal sottosuolo, come relique di un'antica civiltà: il miglior modo per giustificare l'origine dei robot fin dai tempi di Mazinga Z. Inoltre dai personaggi si capisce facilmente che il target di pubblico di Galient è lo stesso di quello dei super robot tradizionali: basta pensare che il protagonista e pilota del robot, il principe Jordy, ha solo dodici anni. A differenza di Dougram e Votoms, Galient è un robotico molto più leggero, adatto soprattuto ad un pubblico giovane, anche se non rinuncia qualche strizzatina d'occhio ai ragazzi più grandi, specialmente nelle forme delle coprotagonista Hilmuka, donna matura e prosperosa che ben si presta a vari accenni ecchi a scopo umoristico. Ma del resto le donne prosperose sono un classico anche del robotico nagaiano, tutto regolare quindi. Dove Galient dimostra di essere un robotico degli anni ottanta è nel rifiuto del format tokusatsu: nel 1984 il buon vecchio mostro della settimana è caduto in disuso e Galient cambia lo schema narrativo da episodi autoconclusivi a storia continua, con cliffhanger sul finire della puntata che obbligano lo spettatore a vedere l'episodio successivo.
Per il resto è tutto tradizionale: le solite ambientazioni su pianeti rocciosi, principesse e guerrieri, super armi e navi spaziali, insomma tutto l'armamentario della science fantasy, fin dai tempi della Principessa di Marte di E. R. Burroghs (1911). Ingredienti che funzionano sempre e che insieme a un'ottima regia, una buona sceneggiatura, un ottimo chara design e belle opening e ending, con un sound tutto anni Ottanta, rendono Galient un anime assai gradevole da seguire. Si difende bene rispetto ai robot in onda negli stessi anni, serie leggere come Xabungle, L-Gaim e anche serie drammatiche come Votoms e Dunbine, se si tiene conto del target di pubblico giovanile e si usa quindi il metro corretto. Rispetto ai concorrenti dell'epoca risulta più veloce e meno ripetitivo, e questo grazie alla breve durata (25 episodi, un'eccezione in tempi in cui 52 episodi erano la norma). L'unica pecca che posso riscontrare è nel finale, che lascia presagire una grande spettacolarità (entra in gioco l'antichissimo Eraser, un'arma spaziale in grado di annichilire interi sistemi stellari) ma che si chiude invece in maniera troppo sbrigativa lasciando lo spettatore a bocca asciutta. Per questo non mi sento di arrotondare il mio 7,5 a un 8, anche se ne sarei tentato. È comunque una serie che consiglio, da riscoprire.
Il regno del pianeta Arst è attaccato dall'esercito del malvagio Marder che, ucciso il sovrano, ne usurpa il posto. Il principe Jordy, neonato, è però salvato da un amico del padre, Asbeth, che fugge con lui a White Valley, pronto ad addestrarlo duramente per prepararlo, da grande, a guidare una ribellione. La guerra si scatena alcuni anni dopo, quando Marder cerca di distruggere il villaggio e Jordy, per difenderlo, rinviene sottoterra, custodito da tecnologie aliene, il possente robot Galient...
Per molto tempo Galient è stato stato una delle sconosciute e, per questo, sicuramente eccezionali serie mecha dei favolosi anni '80, solleticando il fandom internazionale dei robofan per lo staff artistico dietro, e frustrandolo oltre misura nell'attesa che qualcuno decidesse di sottotitolarlo amatorialmente. Ora che tale missione è adempiuta il fantasy/robotico di Ryousuke Takahashi è finalmente disponibile alla visione, pronto a deludere, come L-Gaim, chi pensa che ogni inedito realizzato da registi di razza sia per forza di cose di alto livello.
Nessun capolavoro da riscoprire: Galient è la tipica serie lenta di Takahashi/Shioyama, dai mecha bizzarri, personaggi stravaganti (il ladro Wind, successore del Vanilla di Votoms) e mille dialoghi, ma con una storia troppo sempliciotta e generica per giustificare addirittura 25 puntate. Lo spunto di partenza, assimilabile al fantasy più stereotipato, è mantenuto per la quasi totalità dell'avventura: Galient racconta essenzialmente la lunga guerra combattuta a White Valley tra gli uomini di Jordy e l'esercito di Marder, in puntate mediamente uguali nel quale il Galient guidato da Jordy annienta sistematicamente le truppe robotiche del nemico, talvolta compiendo raid nelle sue basi e a volte affrontandole in casa, con sporadici spezzettamenti dell'azione per privilegiare originali intermezzi fantascientifici di trama. Nessun segno di quella rilettura di scorci di storia contemporanea, marchio di fabbrica del regista, che rendono grandi i suoi precedenti Dougram e Votoms.
Gli intermezzi accennati, in compenso, sono quantomeno originali per l'epoca: anticipando di dodici anni il j-rpg "Star Ocean", Galient per la prima volta incrocia il fantasy epico/cavalleresco con la fantascienza pura, con l'arretrato e roccioso pianeta in cui è ambientata la storia, Arst, meta di viaggi ed esplorazioni da parte di navigatori o dittatori spaziali provenienti da distanti pianeti dell'universo, e che con le loro tecnologie avveniristiche (il Galient ad esempio) influenzano l'andamento della guerra. Sebbene, rispetto a Votoms e Gasaraki vari, il ritmo lento non è troppo asfiassiante e, anzi, le puntate si seguono con un certo piacere, c'è pochissima innovazione in questo primo "figlio" di Dunbine che ne copia, paro paro, buona parte dei tratti: c'è il re cattivissimo che propone sempre all'eroe di passare dalla sua parte, il suo braccio destro (Hy Shaltat) che di quest'ultimo è il principale rivale, un cast pressoché identico (Wind è Neal, Hilmuka Marvel), e come nell'opera di Tomino anche stavolta lo scenario è sfruttato ben poco: non fosse che gli eserciti usano in guerra robot da combattimento a forma centaurica (i cosidetti Panzer) e cavalcano i pennuti corridori (i Rolopper, antenati cornuti dei Chocobo), unica fauna "fantastica" che ci è dato di vedere, si potrebbe confondere Arst con un generico pianeta medievale. Da dimenticare scenari da fiaba et similia, perché qui le uniche scenografie, tre puntate finali escluse, sono sempre e solo la desertica White Valley e l'oscuro, anonimo castello di Marder.
Il problema di Galient è la sua difficoltà a coinvolgere in una storia banale dai personaggi incolore, troppo generici e già visti per comunicare qualcosa anche nel momento di una loro eventuale morte. Lode assoluta all'idea dei viaggiatori spaziali e delle attrezzature fantascientifiche, agli shorts di Hilmuka (decisamente tra le protagoniste più sexy mai viste), alle tante piccole chicche fanservice con cui Takahashi manda in brodo in giuggiole i robofan (le micidiali armi del possente robot protagonista - capace anche di trasformarsi in aeroveivolo all'occorrenza -, tra fruste che si trasformano in spadoni e un fucile laser a canne mozze che si equipaggia con una sequenza di "agganciamento" di rara sboroneria) e a qualche riuscito spunto narrativo, ma sono idee che non bastano a dare la spinta a un'ordinaria storia robotica che brilla poco e si ritrova un finale privo di climax. Senza contare un comparto tecnico, una volta tanto, non degno della fama che Sunrise si costruiva in quegli anni: il mecha design generale, a opera di Izubuchi e Okawara, è piatto e svogliato, per nulla carismatico, a volte addirittura pacchiano - quanto sono oscene le unità di Lambert e Slarzen? Le animazioni vanno dal buono al sufficiente e soprattutto, rispetto a Votoms, manca quella fluidità assoluta dei movimenti che rendeva realistiche come non mai le movenze degli AT.
Pur con alcuni spunti interessanti, i 25 episodi che compongono Galient sono troppi per quel poco che ha da offrire la trama. Una visione disimpegnata che, tirando le somme, non ha nessun difetto eclatante, ma fa riflettere il fatto che pochi anni dopo la stessa accoppiata di autori, Takahashi/Shioyama, con l'oscura miniserie OVA Mozaika di appena 4 puntate, sempre fantasy e oltretutto dal finale incompleto, dice decisamente di più sullo stesso argomento. Come intuibile, questa è una visione riservata unicamente ai fan del regista.
Come da prassi Sunrise di quegli anni, l'anno dopo, visto il successo della serie, escono tre OVA: i primi due, "Il capitolo della terra" e "Il capitolo del cielo", a rappresentare un inutile e mal fatto recap; il terzo, "Emblema di ferro", invece, una totale rilettura di fatti e personaggi della storia.
Per molto tempo Galient è stato stato una delle sconosciute e, per questo, sicuramente eccezionali serie mecha dei favolosi anni '80, solleticando il fandom internazionale dei robofan per lo staff artistico dietro, e frustrandolo oltre misura nell'attesa che qualcuno decidesse di sottotitolarlo amatorialmente. Ora che tale missione è adempiuta il fantasy/robotico di Ryousuke Takahashi è finalmente disponibile alla visione, pronto a deludere, come L-Gaim, chi pensa che ogni inedito realizzato da registi di razza sia per forza di cose di alto livello.
Nessun capolavoro da riscoprire: Galient è la tipica serie lenta di Takahashi/Shioyama, dai mecha bizzarri, personaggi stravaganti (il ladro Wind, successore del Vanilla di Votoms) e mille dialoghi, ma con una storia troppo sempliciotta e generica per giustificare addirittura 25 puntate. Lo spunto di partenza, assimilabile al fantasy più stereotipato, è mantenuto per la quasi totalità dell'avventura: Galient racconta essenzialmente la lunga guerra combattuta a White Valley tra gli uomini di Jordy e l'esercito di Marder, in puntate mediamente uguali nel quale il Galient guidato da Jordy annienta sistematicamente le truppe robotiche del nemico, talvolta compiendo raid nelle sue basi e a volte affrontandole in casa, con sporadici spezzettamenti dell'azione per privilegiare originali intermezzi fantascientifici di trama. Nessun segno di quella rilettura di scorci di storia contemporanea, marchio di fabbrica del regista, che rendono grandi i suoi precedenti Dougram e Votoms.
Gli intermezzi accennati, in compenso, sono quantomeno originali per l'epoca: anticipando di dodici anni il j-rpg "Star Ocean", Galient per la prima volta incrocia il fantasy epico/cavalleresco con la fantascienza pura, con l'arretrato e roccioso pianeta in cui è ambientata la storia, Arst, meta di viaggi ed esplorazioni da parte di navigatori o dittatori spaziali provenienti da distanti pianeti dell'universo, e che con le loro tecnologie avveniristiche (il Galient ad esempio) influenzano l'andamento della guerra. Sebbene, rispetto a Votoms e Gasaraki vari, il ritmo lento non è troppo asfiassiante e, anzi, le puntate si seguono con un certo piacere, c'è pochissima innovazione in questo primo "figlio" di Dunbine che ne copia, paro paro, buona parte dei tratti: c'è il re cattivissimo che propone sempre all'eroe di passare dalla sua parte, il suo braccio destro (Hy Shaltat) che di quest'ultimo è il principale rivale, un cast pressoché identico (Wind è Neal, Hilmuka Marvel), e come nell'opera di Tomino anche stavolta lo scenario è sfruttato ben poco: non fosse che gli eserciti usano in guerra robot da combattimento a forma centaurica (i cosidetti Panzer) e cavalcano i pennuti corridori (i Rolopper, antenati cornuti dei Chocobo), unica fauna "fantastica" che ci è dato di vedere, si potrebbe confondere Arst con un generico pianeta medievale. Da dimenticare scenari da fiaba et similia, perché qui le uniche scenografie, tre puntate finali escluse, sono sempre e solo la desertica White Valley e l'oscuro, anonimo castello di Marder.
Il problema di Galient è la sua difficoltà a coinvolgere in una storia banale dai personaggi incolore, troppo generici e già visti per comunicare qualcosa anche nel momento di una loro eventuale morte. Lode assoluta all'idea dei viaggiatori spaziali e delle attrezzature fantascientifiche, agli shorts di Hilmuka (decisamente tra le protagoniste più sexy mai viste), alle tante piccole chicche fanservice con cui Takahashi manda in brodo in giuggiole i robofan (le micidiali armi del possente robot protagonista - capace anche di trasformarsi in aeroveivolo all'occorrenza -, tra fruste che si trasformano in spadoni e un fucile laser a canne mozze che si equipaggia con una sequenza di "agganciamento" di rara sboroneria) e a qualche riuscito spunto narrativo, ma sono idee che non bastano a dare la spinta a un'ordinaria storia robotica che brilla poco e si ritrova un finale privo di climax. Senza contare un comparto tecnico, una volta tanto, non degno della fama che Sunrise si costruiva in quegli anni: il mecha design generale, a opera di Izubuchi e Okawara, è piatto e svogliato, per nulla carismatico, a volte addirittura pacchiano - quanto sono oscene le unità di Lambert e Slarzen? Le animazioni vanno dal buono al sufficiente e soprattutto, rispetto a Votoms, manca quella fluidità assoluta dei movimenti che rendeva realistiche come non mai le movenze degli AT.
Pur con alcuni spunti interessanti, i 25 episodi che compongono Galient sono troppi per quel poco che ha da offrire la trama. Una visione disimpegnata che, tirando le somme, non ha nessun difetto eclatante, ma fa riflettere il fatto che pochi anni dopo la stessa accoppiata di autori, Takahashi/Shioyama, con l'oscura miniserie OVA Mozaika di appena 4 puntate, sempre fantasy e oltretutto dal finale incompleto, dice decisamente di più sullo stesso argomento. Come intuibile, questa è una visione riservata unicamente ai fan del regista.
Come da prassi Sunrise di quegli anni, l'anno dopo, visto il successo della serie, escono tre OVA: i primi due, "Il capitolo della terra" e "Il capitolo del cielo", a rappresentare un inutile e mal fatto recap; il terzo, "Emblema di ferro", invece, una totale rilettura di fatti e personaggi della storia.