Aku no Hana
“O tu, che come un coltello sei penetrata nel mio cuore gemente: o tu, che come un branco di demoni, venisti, folle e ornatissima,
a fare del mio spirito umiliato il tuo letto e il tuo regno – infame cui sono legato come il forzato alla catena,
come il giocatore testardo al gioco, come l’ubbriaco alla bottiglia, come i vermi alla carogna – maledetta, sii tu maledetta!”
Quanto è arduo per un adolescente introverso svegliarsi ogni giorno, mettersi alla prova, affrontare nuove sfide, scacciare ansie e insicurezze, gestire le pulsioni, fare contenti gli altri, tornare a casa, andare a letto, combattere i propri demoni per poi cercare di addormentarsi… e risvegliarsi esattamente al punto di partenza?
“Paura e risate provengono dalla stessa emozione: lo stato di sorpresa.”
"Perché in questa città c’è così tanta ruggine?”, riflette il protagonista all’inizio.
Ambientata in un paesello isolato, antico, datato, immerso silenziosamente fra monti verdeggianti, "Aku no Hana" è un brevissimo arco di lunghissima introspezione. La ruggine è ovunque, e la peggiore la si trova spesso nei salotti borghesi o sui volti dei benpensanti, non certo aggrappata alle insegne sgangherate di officine in disuso, o attorno a torreggianti disclaimer della SONY che ammiccano sui tetti sgangherati. Ruggine velenosa, bugiarda, specchio delle menzogne dal sorriso di plastica, bugie perfette per vetrine da social perbenisti, passe-partout per essere accettati da tutti.
Niente che non conosciamo già.
“O dolore! Dolore!
il tempo divora la vita,
e l'oscuro Nemico che ci corrode il cuore,
col sangue che perdiamo,
cresce e si fortifica!”
Siamo di fronte a un prodotto di grande intellettualità, che per essere metabolizzato nella maniera più completa necessita per lo più un pubblico maturo, quantomeno empatico, riflessivo, interessato a tuffarsi nei meandri dell’animo umano, dove il torbido incontra il Vero. Dove spesso il torbido è il vero.
Artisticamente sperimentale e provocatorio, proprio come la raccolta di celebri poesie a cui vuole ispirarsi, suscita sensazioni discordanti già dai primi secondi, ove, su fondali ben lavorati si muovono i protagonisti della storia, figure ritratte in modo realistico nelle rappresentazioni sommarie, ma privi di dettagli, quasi ritagliati, come a distaccarsi da ciò che li circonda (almeno fino a quando non vedremo dei primi piani), sbalzati e appiattiti contemporaneamente, esseri umani fuori contesto nel loro stesso mondo, anime/anonime che scopriremo tormentate o inevitabilmente corrotte, pensiero arrendevole – eppur piacevole - in un audace parallelismo con le riflessioni di Baudelaire. I dettagli dei soggetti mancano volutamente, i dialoghi dei passanti sono distanti, banali. Ogni cosa scorre, come ad incorniciare pigramente le nostre esistenze cui nemmeno facciamo più caso.
L’intransigente desolazione con cui gli autori indugiano sulle ombre urbane (più che sulle luci) appaiono come sottili e caduchi suggerimenti atti a indicare un quadro generale diffusamente ansiogeno; come contraltare, le sfumature negative dei fondali, minuziose e dettagliate, ci dicono ancor prima dei dialoghi lo stato mentale da cui è generato il modus operandi: ogni scenario più terso e soleggiato, se filtrato dagli angoli più sofferti e angosciati del nostro pensiero, può incancrenirsi fino a divenire il vestibolo di un incubo ad occhi aperti.
Così, accompagnato da una colonna sonora minimale – malinconiche note di pianoforte che a tratti ricordano l’indimenticabile motivo di Thomas Newman in “American Beauty”, – seguiamo le monotone giornate di Takao, studente liceale come tanti, appassionato di letteratura ed in particolar modo di Baudelaire, giovincello che di tanto in tanto si perde fra righe, parole e riflessioni legate a poesie e racconti che ha imparato ad amare e comprendere, percependo significati reconditi e metafore gravanti, significati e metafore che rivede soprattutto in una certa Nanako, compagna di classe di cui è invaghito: Takao cerca il suo angelo, la sua musa ispiratrice, una figura candida, perfetta, incontaminata.
Cerca qualcosa che non esiste, un’illusione che alleggerisca il suo mal de vivre.
Alla tiepida luce d’un tardo pomeriggio, accade il misfatto: solo a scuola, proprio per recuperare l’amata raccolta di poesie abbandonata sotto al banco, mentre il sole cala e le ombre s’allungano, Takao nota un indumento che probabilmente Nanako ha dimenticato: una felpa usata nell’ora di educazione fisica, ben impregnata del suo odore. Il ragazzo, che mai aveva nemmeno osato lontanamente pensare ad azioni del genere, non resiste e si lascia andare all’istinto, impadronendosi del capo.
Purtroppo per lui, qualcuno che si trovava casualmente sul posto s’è accorto del furto. Ecco che le carte in tavola cambiano leste: la testimone è Sawa, altra compagna di scuola introversa, distaccata, in perenne rotta con chi la circonda e dai modi scurrili, stanca, anzi esausta, irritata e nauseata dal perbenismo imperante che ha infestato con le proprie radici ogni angolo della società.
Si viene subito a creare un dualismo altalenante: Takao è il classico liceale che cerca di apparire “a posto” proprio come famiglia e scuola lo vorrebbero; circondato da amici insulsi, anonimi e dai modi più infantili di lui, ha sempre pensato che la sua unica passione potesse essere la lettura, perdersi nei fantastici romanzi e nelle intriganti raccolte di grandi autori. Mai avrebbe potuto immaginare che la vera evasione cerebrale potesse essere sperimentata vivendo una sciagura sotto mentite spoglie, sciagura di nome Sawa, che dietro apparente sadismo, sfrontatezza e rabbia repressa nasconde un grande desiderio di libertà e sincerità.
“O Dio, dammi il coraggio, la forza di guardare
senza provar disgusto il mio corpo e il mio cuore!”
Proprio come ne I fiori del male, ogni elemento mondano ha una chiave di lettura apparentemente biunivoca e corrotta: Baudelaire intuisce che al di là delle ipocrisie si cela una realtà più vera e profonda dalla quale non si può fuggire, ma che per essere rivelata ha bisogno allusioni; una realtà dove non esistono maschere, fatta di fragilità, sofferenza, percorsi formativi, perdizione e autodistruzione. Tutto questo non è la meta di nulla, bensì atti di ribellione verso Dio, verso il mondano e addirittura verso la morte stessa, come se la corruzione stessa non fosse il prodotto degradato e fallimentare del percorso compiuto, ma un evolversi superiore ed inevitabile che vedremmo dentro ognuno di noi se arrivassimo a tale livello di coscienza e onestà.
Analogamente, Takao, dopo il furto dell’indumento, si osserva da fuori e si vede come uno dei germogli “malati”, autocritica che parrebbe esagerata per un’azione del genere (aver rubato la felpa della compagna di classe, di certo non un’azione da codice penale!)
L’esasperazione dell’illusione adolescenziale di un giovane nipponico, ben istruito ed eccessivamente morigerato è piuttosto evidente: colto sul fatto, comincia a tormentarsi ancor più di quanto dovrebbe. Sawa, difatti, innesca nei suoi confronti un gioco perverso e malato costruito su ricatti per non rivelare l’accaduto, mentre Takao, indugiando e spaventandosi, peggiora sempre più la situazione.
Ma questo giochetto lo sta davvero solo spaventando, o c’è dell’altro?
L’intento dell’autore è chiaramente quello d’esasperare in via più che sperimentale la sensazione inebriante che si ha quando si contravviene qualche regola, indotti da un istinto che porta piacere psicologico, ma che in seconda battuta va a cozzare contro le leggi e le abitudini quotidiane, ergo mette in una posizione di soggezione e vergogna. Elementi qui portati all’estremo, e nel quale il giovane protagonista si rifugia, citando continuamente il grande poeta francese, quando invece la verità è tutt’altra: la “follia” e i ricatti nei quali Sawa trascina Takao sono semplicemente la metafora dello svestirsi dalle ipocrisie mondane, decidendo d’abbracciare i propri pensieri senza filtri, smettendo di mentire a sé stessi e a chi ci circonda, abbandonandosi alle proprie pulsioni e alle proprie perversioni. Ma cosa significa, realmente, “perverso”? Non è forse il più perverso degli atti aderire all’etichetta che la società ci impone, invece che mostrarci per ciò che siamo davvero?
Se il peccato è negli occhi di chi guarda, allora chi è davvero l’ipocrita peccatore?
“Ci hanno fatto credere che è peccato, poiché è troppo piacere”
Sin da subito, la messa in animazione emana un’intensità incredibile.
Vi sono frangenti dove la tensione si riesce a percepire distintamente. Persino le pause vanno lette nella maniera corretta; talvolta comunicano messaggi impliciti e la trama fa spesso perno sulla fragilità di Takao, che vive in modo quasi devastante certe situazioni di difficile gestione. Sono silenzi, talvolta lunghissimi, carichi di una forza espressiva davvero intensa e tagliente.
Il contenuto comparto sonoro si rivela ancor più provocatorio delle animazioni.
L’opening, quando irrompe, spezza il leitmotiv depressivo sul quale tutto scivola apparendo quasi fuori luogo, giocando su note fin troppo gioviali rispetto al tenore generale, per poi ritornare al ritmo semi riservato che permea tutta l’opera. La ending è cacofonia pura, ansia sperimentale. Talvolta i toni cambiano e le note assumono altri colori, o mutano, accompagnando scene memorabili come il finale del settimo episodio.
Dei tre personaggi principali, Sawa è sicuramente quella più incentrante e criptica, sottile e tagliente, nonché il personaggio più sfaccettato e realistico dell’anime. Capro espiatorio delle compagne di classe (quelle composte e truccate, quelle perbene, quelle dell’orgoglio di mamma e papà), Sawa è spesso volgare, esasperata dalla marcia ipocrisia che la circonda e da ciò che l’ha fatta soffrire in passato; possiede una personalità borderline, a tratti inquietante e spigolosa. È come una pentola a pressione che finirà per sfogare le proprie frustrazioni e perversioni proprio su chi ritiene identico a lei, ovvero Takao; in egli si rispecchia, e come ogni carattere dall’animo frantumato che viaggia alla deriva, cerca di tirare a fondo chi ha vicino, abbattendo i muri del perbenismo sociale: ma è solo un processo di degrado irreversibile, o è semplice solitudine?
Tali voli pindarici portano alla semplice e disarmante conclusione che Sawa, semplice a dirsi, è l’unica libera.
Sola ma libera. Sembra pazza, mentre è solo arrabbiata, gelosa, insofferente, ferita dal mondo, oltre le convenzioni, l’unica “normale” proprio perché "pazza". Libera di dire ciò che pensa, lontana dai canoni e dai ritmi che tutti dovrebbero seguire per apparire “perbene”, lontana dall’ipocrisia di una società così malata da vedere in chi la rifugge ciò di cui invero è ammorbata.
Purtroppo, però, questo approccio dissoluto ne accelera la caduta, spingendola ogni volta un po' più in là, mettendo a briglia sciolta ogni sua bizzarria, coinvolgendo Takao che – attenzione – nonostante lo neghi disperatamente, desidera e apprezza codesta deriva, anche se scampoli di falso decoro tentano invano di riportarlo ad abitudini diametralmente opposte.
Quest’anime compie un nodo intricato e complesso per raccontarci qualcosa di sempre attuale e davvero semplice, Pirandelliano oseremmo dire, e cioè che in pubblico indossiamo delle maschere, simulacri del nostro vero Io, l’Io reale ben nascosto dietro regole che ci imponiamo di rispettare. E allora da Baudelaire, dissoluto, tormentato e fiero, il passo verso Pirandello è brevissimo, un passo che ci porta fra una, nessuna e centomila di queste maschere. Volti di cera che persone apparentemente folli, frustate o semplicemente libere come Sawa hanno deciso di rimuovere al prezzo della propria conformità in un mondo che non è sincero, e -da sempre- mente a sé stesso.
La verità risiede dentro di noi e non può essere rifuggita. Addirittura, Takao, che per quasi tutta l’opera tenta di riprendere la “retta via”, dimostra di quanta ipocrisia siano intrise talune sfaccettature della cultura medio borghese, tanto inattaccabile quanto posticcia.
Ognuno di noi ha le proprie fantasie che spesso identifica in perversioni, ma Sawa, a differenza di chi ostenta decoro, semplicemente non le nasconde.
Non esiste scandalo né peccato: ciò che consideriamo trasgressioni sono la messa nero su bianco del nostro io interiore, della maschera che cade. La moralità è un discorso a parte. Ciò che si pensa generato da un “lato oscuro” sono semplici pulsioni e istinti nati da fantasie e desideri della nostra mente. La società – in questo caso quella nipponica, - così rigida e inflessibile tanto da inculcare nelle menti degli adolescenti un certo tipo di approccio all’intimità, invita ad erigere muri mentali similari.
Riecco quindi la prigione.
Le mura attorno al “vero Io”: una tuta rubata alla compagna è solo uno dei pretesti per parlarci di ciò che la pudicizia e l’ipocrisia di un circondario ligio alle regole in fondo ci nausea, ma solo quando siamo troppo esausti per rimanere all’interno degli schemi.
I Fiori del Male è una lunghissima agonia che scivola verso un finale sempre più allegorico, corrotto e allucinato, un onirico impadronirsi delle noiose percezioni quotidiane tanto da ricordare i fantastici, deliranti viaggi dei migliori Pink Floyd. L’idea di Sawa di fuggire dal paesino-prigione che la soffoca e raggiungere l’agognata collina che conduce a vie di fuga da tempo bramate, simbolizza l’abbandono dei meschini e insulsi luoghi natii con l’intento di esplorare orizzonti lontani, mentalmente differenti, sterminati e liberi da più punti di vista. Dai pretesti scolastici che ora risultano ovviamente stolti e ridicoli, si raggiunge lentamente un’atmosfera di pericolosa perdizione e disperata follia: l’autoflagellamento che riporta al Peccato Originale con il quale - da millenni - l’uomo si mortifica negandosi una libertà spirituale, è chiaramente la matrice da cui deriva gran parte di disagi sociali più o meno gravi, una gabbia mentale attorno al nostro “vero Io”.
Così, l’opera scivola verso la sua parte "peggiore”, ovvero un finale incompiuto, in attesa di un seguito (stagione 2) che pare non arriverà mai. Peccato, perché l’epilogo sfiora vette di oscurità notevole, suscita grande curiosità, oltre che morbosa inquietudine.
E, soprattutto, ci fa riflettere a lungo riguardo elementi su cui raramente ci soffermiamo.
L’inevitabile verità è, per quanto ci sforziamo, scalpitiamo e sbraitiamo, che siamo comunque in trappola: sin dal giorno della nostra nascita, siamo stati plasmati e siamo cresciuti seguendo determinate regole, che, dolenti o nolenti, per quanto correremo lontano, almeno un poco faranno sempre parte di noi. Prendendo atto di ciò, con malinconica arrendevolezza, è facile comprendere come i due protagonisti, Sawa e Takao, non siano altro che semplici adolescenti schiacciati da un mondo che non li può capire, ma solo opprimere e fagocitare.
Ragazzi in eterna lotta con loro stessi ed in grave difficoltà ad inserirsi in una macchina stritolatrice alla quale ormai gli adulti sono tristemente anestetizzati.
Forse la libertà è davvero nella follia,
ma diamine,
a quale prezzo.
a fare del mio spirito umiliato il tuo letto e il tuo regno – infame cui sono legato come il forzato alla catena,
come il giocatore testardo al gioco, come l’ubbriaco alla bottiglia, come i vermi alla carogna – maledetta, sii tu maledetta!”
Quanto è arduo per un adolescente introverso svegliarsi ogni giorno, mettersi alla prova, affrontare nuove sfide, scacciare ansie e insicurezze, gestire le pulsioni, fare contenti gli altri, tornare a casa, andare a letto, combattere i propri demoni per poi cercare di addormentarsi… e risvegliarsi esattamente al punto di partenza?
“Paura e risate provengono dalla stessa emozione: lo stato di sorpresa.”
"Perché in questa città c’è così tanta ruggine?”, riflette il protagonista all’inizio.
Ambientata in un paesello isolato, antico, datato, immerso silenziosamente fra monti verdeggianti, "Aku no Hana" è un brevissimo arco di lunghissima introspezione. La ruggine è ovunque, e la peggiore la si trova spesso nei salotti borghesi o sui volti dei benpensanti, non certo aggrappata alle insegne sgangherate di officine in disuso, o attorno a torreggianti disclaimer della SONY che ammiccano sui tetti sgangherati. Ruggine velenosa, bugiarda, specchio delle menzogne dal sorriso di plastica, bugie perfette per vetrine da social perbenisti, passe-partout per essere accettati da tutti.
Niente che non conosciamo già.
“O dolore! Dolore!
il tempo divora la vita,
e l'oscuro Nemico che ci corrode il cuore,
col sangue che perdiamo,
cresce e si fortifica!”
Siamo di fronte a un prodotto di grande intellettualità, che per essere metabolizzato nella maniera più completa necessita per lo più un pubblico maturo, quantomeno empatico, riflessivo, interessato a tuffarsi nei meandri dell’animo umano, dove il torbido incontra il Vero. Dove spesso il torbido è il vero.
Artisticamente sperimentale e provocatorio, proprio come la raccolta di celebri poesie a cui vuole ispirarsi, suscita sensazioni discordanti già dai primi secondi, ove, su fondali ben lavorati si muovono i protagonisti della storia, figure ritratte in modo realistico nelle rappresentazioni sommarie, ma privi di dettagli, quasi ritagliati, come a distaccarsi da ciò che li circonda (almeno fino a quando non vedremo dei primi piani), sbalzati e appiattiti contemporaneamente, esseri umani fuori contesto nel loro stesso mondo, anime/anonime che scopriremo tormentate o inevitabilmente corrotte, pensiero arrendevole – eppur piacevole - in un audace parallelismo con le riflessioni di Baudelaire. I dettagli dei soggetti mancano volutamente, i dialoghi dei passanti sono distanti, banali. Ogni cosa scorre, come ad incorniciare pigramente le nostre esistenze cui nemmeno facciamo più caso.
L’intransigente desolazione con cui gli autori indugiano sulle ombre urbane (più che sulle luci) appaiono come sottili e caduchi suggerimenti atti a indicare un quadro generale diffusamente ansiogeno; come contraltare, le sfumature negative dei fondali, minuziose e dettagliate, ci dicono ancor prima dei dialoghi lo stato mentale da cui è generato il modus operandi: ogni scenario più terso e soleggiato, se filtrato dagli angoli più sofferti e angosciati del nostro pensiero, può incancrenirsi fino a divenire il vestibolo di un incubo ad occhi aperti.
Così, accompagnato da una colonna sonora minimale – malinconiche note di pianoforte che a tratti ricordano l’indimenticabile motivo di Thomas Newman in “American Beauty”, – seguiamo le monotone giornate di Takao, studente liceale come tanti, appassionato di letteratura ed in particolar modo di Baudelaire, giovincello che di tanto in tanto si perde fra righe, parole e riflessioni legate a poesie e racconti che ha imparato ad amare e comprendere, percependo significati reconditi e metafore gravanti, significati e metafore che rivede soprattutto in una certa Nanako, compagna di classe di cui è invaghito: Takao cerca il suo angelo, la sua musa ispiratrice, una figura candida, perfetta, incontaminata.
Cerca qualcosa che non esiste, un’illusione che alleggerisca il suo mal de vivre.
Alla tiepida luce d’un tardo pomeriggio, accade il misfatto: solo a scuola, proprio per recuperare l’amata raccolta di poesie abbandonata sotto al banco, mentre il sole cala e le ombre s’allungano, Takao nota un indumento che probabilmente Nanako ha dimenticato: una felpa usata nell’ora di educazione fisica, ben impregnata del suo odore. Il ragazzo, che mai aveva nemmeno osato lontanamente pensare ad azioni del genere, non resiste e si lascia andare all’istinto, impadronendosi del capo.
Purtroppo per lui, qualcuno che si trovava casualmente sul posto s’è accorto del furto. Ecco che le carte in tavola cambiano leste: la testimone è Sawa, altra compagna di scuola introversa, distaccata, in perenne rotta con chi la circonda e dai modi scurrili, stanca, anzi esausta, irritata e nauseata dal perbenismo imperante che ha infestato con le proprie radici ogni angolo della società.
Si viene subito a creare un dualismo altalenante: Takao è il classico liceale che cerca di apparire “a posto” proprio come famiglia e scuola lo vorrebbero; circondato da amici insulsi, anonimi e dai modi più infantili di lui, ha sempre pensato che la sua unica passione potesse essere la lettura, perdersi nei fantastici romanzi e nelle intriganti raccolte di grandi autori. Mai avrebbe potuto immaginare che la vera evasione cerebrale potesse essere sperimentata vivendo una sciagura sotto mentite spoglie, sciagura di nome Sawa, che dietro apparente sadismo, sfrontatezza e rabbia repressa nasconde un grande desiderio di libertà e sincerità.
“O Dio, dammi il coraggio, la forza di guardare
senza provar disgusto il mio corpo e il mio cuore!”
Proprio come ne I fiori del male, ogni elemento mondano ha una chiave di lettura apparentemente biunivoca e corrotta: Baudelaire intuisce che al di là delle ipocrisie si cela una realtà più vera e profonda dalla quale non si può fuggire, ma che per essere rivelata ha bisogno allusioni; una realtà dove non esistono maschere, fatta di fragilità, sofferenza, percorsi formativi, perdizione e autodistruzione. Tutto questo non è la meta di nulla, bensì atti di ribellione verso Dio, verso il mondano e addirittura verso la morte stessa, come se la corruzione stessa non fosse il prodotto degradato e fallimentare del percorso compiuto, ma un evolversi superiore ed inevitabile che vedremmo dentro ognuno di noi se arrivassimo a tale livello di coscienza e onestà.
Analogamente, Takao, dopo il furto dell’indumento, si osserva da fuori e si vede come uno dei germogli “malati”, autocritica che parrebbe esagerata per un’azione del genere (aver rubato la felpa della compagna di classe, di certo non un’azione da codice penale!)
L’esasperazione dell’illusione adolescenziale di un giovane nipponico, ben istruito ed eccessivamente morigerato è piuttosto evidente: colto sul fatto, comincia a tormentarsi ancor più di quanto dovrebbe. Sawa, difatti, innesca nei suoi confronti un gioco perverso e malato costruito su ricatti per non rivelare l’accaduto, mentre Takao, indugiando e spaventandosi, peggiora sempre più la situazione.
Ma questo giochetto lo sta davvero solo spaventando, o c’è dell’altro?
L’intento dell’autore è chiaramente quello d’esasperare in via più che sperimentale la sensazione inebriante che si ha quando si contravviene qualche regola, indotti da un istinto che porta piacere psicologico, ma che in seconda battuta va a cozzare contro le leggi e le abitudini quotidiane, ergo mette in una posizione di soggezione e vergogna. Elementi qui portati all’estremo, e nel quale il giovane protagonista si rifugia, citando continuamente il grande poeta francese, quando invece la verità è tutt’altra: la “follia” e i ricatti nei quali Sawa trascina Takao sono semplicemente la metafora dello svestirsi dalle ipocrisie mondane, decidendo d’abbracciare i propri pensieri senza filtri, smettendo di mentire a sé stessi e a chi ci circonda, abbandonandosi alle proprie pulsioni e alle proprie perversioni. Ma cosa significa, realmente, “perverso”? Non è forse il più perverso degli atti aderire all’etichetta che la società ci impone, invece che mostrarci per ciò che siamo davvero?
Se il peccato è negli occhi di chi guarda, allora chi è davvero l’ipocrita peccatore?
“Ci hanno fatto credere che è peccato, poiché è troppo piacere”
Sin da subito, la messa in animazione emana un’intensità incredibile.
Vi sono frangenti dove la tensione si riesce a percepire distintamente. Persino le pause vanno lette nella maniera corretta; talvolta comunicano messaggi impliciti e la trama fa spesso perno sulla fragilità di Takao, che vive in modo quasi devastante certe situazioni di difficile gestione. Sono silenzi, talvolta lunghissimi, carichi di una forza espressiva davvero intensa e tagliente.
Il contenuto comparto sonoro si rivela ancor più provocatorio delle animazioni.
L’opening, quando irrompe, spezza il leitmotiv depressivo sul quale tutto scivola apparendo quasi fuori luogo, giocando su note fin troppo gioviali rispetto al tenore generale, per poi ritornare al ritmo semi riservato che permea tutta l’opera. La ending è cacofonia pura, ansia sperimentale. Talvolta i toni cambiano e le note assumono altri colori, o mutano, accompagnando scene memorabili come il finale del settimo episodio.
Dei tre personaggi principali, Sawa è sicuramente quella più incentrante e criptica, sottile e tagliente, nonché il personaggio più sfaccettato e realistico dell’anime. Capro espiatorio delle compagne di classe (quelle composte e truccate, quelle perbene, quelle dell’orgoglio di mamma e papà), Sawa è spesso volgare, esasperata dalla marcia ipocrisia che la circonda e da ciò che l’ha fatta soffrire in passato; possiede una personalità borderline, a tratti inquietante e spigolosa. È come una pentola a pressione che finirà per sfogare le proprie frustrazioni e perversioni proprio su chi ritiene identico a lei, ovvero Takao; in egli si rispecchia, e come ogni carattere dall’animo frantumato che viaggia alla deriva, cerca di tirare a fondo chi ha vicino, abbattendo i muri del perbenismo sociale: ma è solo un processo di degrado irreversibile, o è semplice solitudine?
Tali voli pindarici portano alla semplice e disarmante conclusione che Sawa, semplice a dirsi, è l’unica libera.
Sola ma libera. Sembra pazza, mentre è solo arrabbiata, gelosa, insofferente, ferita dal mondo, oltre le convenzioni, l’unica “normale” proprio perché "pazza". Libera di dire ciò che pensa, lontana dai canoni e dai ritmi che tutti dovrebbero seguire per apparire “perbene”, lontana dall’ipocrisia di una società così malata da vedere in chi la rifugge ciò di cui invero è ammorbata.
Purtroppo, però, questo approccio dissoluto ne accelera la caduta, spingendola ogni volta un po' più in là, mettendo a briglia sciolta ogni sua bizzarria, coinvolgendo Takao che – attenzione – nonostante lo neghi disperatamente, desidera e apprezza codesta deriva, anche se scampoli di falso decoro tentano invano di riportarlo ad abitudini diametralmente opposte.
Quest’anime compie un nodo intricato e complesso per raccontarci qualcosa di sempre attuale e davvero semplice, Pirandelliano oseremmo dire, e cioè che in pubblico indossiamo delle maschere, simulacri del nostro vero Io, l’Io reale ben nascosto dietro regole che ci imponiamo di rispettare. E allora da Baudelaire, dissoluto, tormentato e fiero, il passo verso Pirandello è brevissimo, un passo che ci porta fra una, nessuna e centomila di queste maschere. Volti di cera che persone apparentemente folli, frustate o semplicemente libere come Sawa hanno deciso di rimuovere al prezzo della propria conformità in un mondo che non è sincero, e -da sempre- mente a sé stesso.
La verità risiede dentro di noi e non può essere rifuggita. Addirittura, Takao, che per quasi tutta l’opera tenta di riprendere la “retta via”, dimostra di quanta ipocrisia siano intrise talune sfaccettature della cultura medio borghese, tanto inattaccabile quanto posticcia.
Ognuno di noi ha le proprie fantasie che spesso identifica in perversioni, ma Sawa, a differenza di chi ostenta decoro, semplicemente non le nasconde.
Non esiste scandalo né peccato: ciò che consideriamo trasgressioni sono la messa nero su bianco del nostro io interiore, della maschera che cade. La moralità è un discorso a parte. Ciò che si pensa generato da un “lato oscuro” sono semplici pulsioni e istinti nati da fantasie e desideri della nostra mente. La società – in questo caso quella nipponica, - così rigida e inflessibile tanto da inculcare nelle menti degli adolescenti un certo tipo di approccio all’intimità, invita ad erigere muri mentali similari.
Riecco quindi la prigione.
Le mura attorno al “vero Io”: una tuta rubata alla compagna è solo uno dei pretesti per parlarci di ciò che la pudicizia e l’ipocrisia di un circondario ligio alle regole in fondo ci nausea, ma solo quando siamo troppo esausti per rimanere all’interno degli schemi.
I Fiori del Male è una lunghissima agonia che scivola verso un finale sempre più allegorico, corrotto e allucinato, un onirico impadronirsi delle noiose percezioni quotidiane tanto da ricordare i fantastici, deliranti viaggi dei migliori Pink Floyd. L’idea di Sawa di fuggire dal paesino-prigione che la soffoca e raggiungere l’agognata collina che conduce a vie di fuga da tempo bramate, simbolizza l’abbandono dei meschini e insulsi luoghi natii con l’intento di esplorare orizzonti lontani, mentalmente differenti, sterminati e liberi da più punti di vista. Dai pretesti scolastici che ora risultano ovviamente stolti e ridicoli, si raggiunge lentamente un’atmosfera di pericolosa perdizione e disperata follia: l’autoflagellamento che riporta al Peccato Originale con il quale - da millenni - l’uomo si mortifica negandosi una libertà spirituale, è chiaramente la matrice da cui deriva gran parte di disagi sociali più o meno gravi, una gabbia mentale attorno al nostro “vero Io”.
Così, l’opera scivola verso la sua parte "peggiore”, ovvero un finale incompiuto, in attesa di un seguito (stagione 2) che pare non arriverà mai. Peccato, perché l’epilogo sfiora vette di oscurità notevole, suscita grande curiosità, oltre che morbosa inquietudine.
E, soprattutto, ci fa riflettere a lungo riguardo elementi su cui raramente ci soffermiamo.
L’inevitabile verità è, per quanto ci sforziamo, scalpitiamo e sbraitiamo, che siamo comunque in trappola: sin dal giorno della nostra nascita, siamo stati plasmati e siamo cresciuti seguendo determinate regole, che, dolenti o nolenti, per quanto correremo lontano, almeno un poco faranno sempre parte di noi. Prendendo atto di ciò, con malinconica arrendevolezza, è facile comprendere come i due protagonisti, Sawa e Takao, non siano altro che semplici adolescenti schiacciati da un mondo che non li può capire, ma solo opprimere e fagocitare.
Ragazzi in eterna lotta con loro stessi ed in grave difficoltà ad inserirsi in una macchina stritolatrice alla quale ormai gli adulti sono tristemente anestetizzati.
Forse la libertà è davvero nella follia,
ma diamine,
a quale prezzo.
Con la visione dei 13 episodi della serie “Aku no Hana” mi è venuta in mente una semplice constatazione: allora esiste anche un genere di anime d’autore, coraggioso, originale e anche un po’ spregiudicato, che non rientra nel solito mainstream del “politically correct” sia a livello visivo di rappresentazione grafica, sia di contenuti.
Sui contenuti, c’è poco da discutere: l’anime prende spunto dal manga omonimo di Oshimi Shuzo e ritenuto il suo capolavoro assoluto… L’anime ne rappresenta quasi fedelmente quanto narrato nei primi quattro volumi sugli undici totali dell’opera completa, uscita nel 2009.
Ecco il primo e unico limite che trovo alla serie anime. Purtroppo la narrazione termina sul più bello quando inizia il vero viaggio nel “male” e i protagonisti -a vario titolo- iniziano ad evolvere e a manifestare i segnali di vera rottura contro il “sistema” o come si voglia chiamare quell’insieme di regole, ipocrisia, educazione formale all’eccesso, repressione del proprio ego e pulsioni che è posto alla base della vita e della società giapponese, prendendo come punto di vista privilegiato quello di due personaggi introversi e a loro modo “anormali” (nel senso di non “omologati”) o, come vengono definiti nell’anime, “hentai”: Takao Kasuga e Sawa Nakamura.
Da questo punto di vista, "Aku no hana" è un affresco autobiografico a tinte cupe dell'autore e della sua "insofferenza" al visione del mondo della società giapponese. Tale aspetto è particolarmente evidente nella difficoltà del protagonista Takao a vivere la propria esistenza in modo equilibrato all'interno delle rigide regole della società ma anche della famiglia, che brilla per il suo formalismo e la sua "assenza" dalle turbe e complicazioni psicologiche del loro ragazzo.
Il tutto prende spunto da un’opera di C. Baudelaire “Les fleurs du mal”, capolavoro del decadentismo più nichilista, permeando l’opera animata con ciò che ha rappresentato per l’autore e ciò che ha scatenato in lui lo scritto del poeta francese.
E così “I fiori del male” di Baudelaire diventa solo l’escamotage di ispirazione che viene utilizzato come miccia per scatenare l’esplosione del disagio represso di due ragazzi verso l’ambiente e il sistema in cui vivono. Non c’è una esegesi dell’opera del poeta francese, anzi, nell’anime Takao (e poi anche Nanako) dichiarano espressamente che la raccolta di poesie non l’hanno capita e che è difficile, ma di questa ne hanno percepito il messaggio dirompente anarchico/nichilista contro tutto ciò che rappresenta l’ordine delle cose in cui vivono…
Il protagonista Takao Kasuga è un ragazzo come tanti, studente e figlio unico di una normalissima coppia di un paese della sperduta provincia giapponese, con la passione per la letteratura che risulta essere il rifugio in cui rintanarsi per sfuggire alla mediocre normalità e sognare.
In un normale giorno di scuola, si accorge di aver dimenticato sotto il banco il suo libro preferito, “I fiori del male”. Tornato in classe, Takao trova i vestiti da ginnastica appartenenti alla bella compagna di classe Nanako Saeki della quale è segretamente innamorato; dopo qualche esitazione e in preda ai propri istinti irrazionali li nasconde e li porta con sé a casa.
Questo evento rappresenterà l’inizio del personale viaggio di Takao verso la scoperta (o meglio emersione) del suo lato “oscuro”. Della birichinata di Takao c’è una testimone: la sua compagna di classe Sawa Nakamura, che lo ricatterà costringendolo ad accettare di compiere quello che lei vuole, in cambio del suo silenzio.
Il clima di apparente normalità un po’ ingenua e felice della vita di Takao si trasforma in una sorta di incubo pregno di una tensione angosciosa e destabilizzante che l’anime riesce a trasmettere in modo molto diretto e marcato. A ciò contribuiscono le scelte stilistiche della produzione dello studio Zexcs sotto la direzione di Hiroshi Nagahama, del character desing di Hidekazu Shimamura e alle musiche di Hideyuki Fukasawa, con una particolare menzione alla ending "Hana - a last flower” di Asa-Chang & Junray.
L’anime è infatti molto particolare dal punto di vista tecnico soprattutto per le sue animazioni e per il character design che risulta parecchio diverso da quello del manga da cui è tratto.
Per le animazioni è stato utilizzata la tecnica del rotoscopio: una tecnica che prevede di ricalcare le figure da una pellicola precedentemente realizzata filmando degli attori veri, animandole. Il risultato finale potrebbe non essere di gradimento a tutti: è piuttosto piatto e poco dettagliato, ma dà un tocco di realismo ai personaggi, ben lontano dai classici stili tipici degli anime a cui si è abituati.
In più, per il world building, sono state usate immagini piuttosto realistiche (e tanto desolanti) di una cittadina ben lontana dalle grandi città tipiche del Giappone: case e strade piuttosto tetre, in pessimo stato di manutenzione, decadenti e povere che ben si amalgamano con la trama piuttosto lenta, angosciante e di sofferenza dei protagonisti della serie.
Il vero punto di forza di “Aku no Hana” sono comunque i personaggi. Nonostante il protagonista sia Takao Kasuga perché la trama viene raccontata dal suo punto di vista, Sawa Nakamura e Nanako Saeki non potrebbero essere considerate come dei semplici personaggi secondari, anzi… si potrebbero considerare come delle estensioni metaforiche di Takao, due “poli” della personalità tra cui oscilla il carattere ondivago di Takao. Paradigmatica una scena della serie in cui Takao si ritrova a dover scegliere proprio se seguire o l’una o l’altra: e per la prima volta dichiara chiaramente ad entrambe (e soprattutto a se stesso) che non riesce, avendo bisogno di entrambe. Ma cosa rappresentano Sawa e Nanako? Premesso che il manga è molto più esaustivo da questo punto di vista (soprattutto per Nanako), nell’anime Sawa è la ragazza ribelle e nichilista, che personifica la totale repulsione verso la società e la sua etica falsa e ipocrita. Inizialmente sembra il carnefice di Takao, ma poi si dimostrerà essere soltanto una sua complice … E da lei Takao è fatalmente attratto. Nanako rappresenta l’esatto opposto di Sawa, ossia il perfetto archetipo dell’essere “normale” nel senso di essere la migliore personificazione della “perfetta giapponese”: bella, gentile ed educata, popolare, brava a scuola… insomma la personificazione quasi “stilnovistica” degli stilemi delle virtù della società giapponese. Da lei Takao è attratto inizialmente come Dante da Beatrice, ma verso la fine della serie si intuirà che il protagonista tenderà a subire più le lunsighe del lato oscuro della forza…
Tra questi opposti, e in virtù dei “misfatti” compiuti prima in autonomia e poi in correità con Sawa, Takao ci conduce in una sorta di metaverso alienante in cui vive nelle sue percezioni del tutto personali della realtà, nei suoi costanti sensi di colpa dovuti all’impossibilità di riuscire a essere un ragazzo come tutti gli altri (ossia coerente con il sistema) e la necessità di voler spiccare il volo ed essere se stesso vivendo le sue pulsioni che fa a fatica a contenere una volta che trova in Sawa la complice per abbattere le sue barriere (paradigmatiche in questo senso le battute di Sawa a riguardo).
Purtroppo l’anime, pur nella sua originalità e valore, rappresenta un’occasione quasi sprecata per la sua incompletezza, soprattutto considerando che contiene una delle scene più belle che mi sia capitato di vedere, l’atto vandalico a scuola da parte di Takao e Sawa (riprese in slow motion) e la successiva scena di “quiete dopo la tempesta” in cui con una inquadratura “log take” e una musica lenta, ipnotica e alienante i due vengono ripresi a camminare alle luci dell’alba mano nella mano esausti e consapevoli del disvalore delle azioni appena compiute o come la la scena finale dell’ultimo episodio in cui Sawa e Takao dopo un lungo inseguimento in preda alla disperazione vedono in rapidissima sequenza in una sorta di “Aleph” alcuni frame del resto del loro viaggio verso la fioritura dei loro fiori del male…
Pur nel limite della ridotta trasposizione del manga da cui deriva, “Aku no Hana” è una sorta di viaggio che vuole documentare quel periodo critico della esistenza umana che si chiama adolescenza: una sorta di odissea o rollercoaster che può assumere molteplici sfumature esistenzialiste anche oscure e nichiliste.
Sui contenuti, c’è poco da discutere: l’anime prende spunto dal manga omonimo di Oshimi Shuzo e ritenuto il suo capolavoro assoluto… L’anime ne rappresenta quasi fedelmente quanto narrato nei primi quattro volumi sugli undici totali dell’opera completa, uscita nel 2009.
Ecco il primo e unico limite che trovo alla serie anime. Purtroppo la narrazione termina sul più bello quando inizia il vero viaggio nel “male” e i protagonisti -a vario titolo- iniziano ad evolvere e a manifestare i segnali di vera rottura contro il “sistema” o come si voglia chiamare quell’insieme di regole, ipocrisia, educazione formale all’eccesso, repressione del proprio ego e pulsioni che è posto alla base della vita e della società giapponese, prendendo come punto di vista privilegiato quello di due personaggi introversi e a loro modo “anormali” (nel senso di non “omologati”) o, come vengono definiti nell’anime, “hentai”: Takao Kasuga e Sawa Nakamura.
Da questo punto di vista, "Aku no hana" è un affresco autobiografico a tinte cupe dell'autore e della sua "insofferenza" al visione del mondo della società giapponese. Tale aspetto è particolarmente evidente nella difficoltà del protagonista Takao a vivere la propria esistenza in modo equilibrato all'interno delle rigide regole della società ma anche della famiglia, che brilla per il suo formalismo e la sua "assenza" dalle turbe e complicazioni psicologiche del loro ragazzo.
Il tutto prende spunto da un’opera di C. Baudelaire “Les fleurs du mal”, capolavoro del decadentismo più nichilista, permeando l’opera animata con ciò che ha rappresentato per l’autore e ciò che ha scatenato in lui lo scritto del poeta francese.
E così “I fiori del male” di Baudelaire diventa solo l’escamotage di ispirazione che viene utilizzato come miccia per scatenare l’esplosione del disagio represso di due ragazzi verso l’ambiente e il sistema in cui vivono. Non c’è una esegesi dell’opera del poeta francese, anzi, nell’anime Takao (e poi anche Nanako) dichiarano espressamente che la raccolta di poesie non l’hanno capita e che è difficile, ma di questa ne hanno percepito il messaggio dirompente anarchico/nichilista contro tutto ciò che rappresenta l’ordine delle cose in cui vivono…
Il protagonista Takao Kasuga è un ragazzo come tanti, studente e figlio unico di una normalissima coppia di un paese della sperduta provincia giapponese, con la passione per la letteratura che risulta essere il rifugio in cui rintanarsi per sfuggire alla mediocre normalità e sognare.
In un normale giorno di scuola, si accorge di aver dimenticato sotto il banco il suo libro preferito, “I fiori del male”. Tornato in classe, Takao trova i vestiti da ginnastica appartenenti alla bella compagna di classe Nanako Saeki della quale è segretamente innamorato; dopo qualche esitazione e in preda ai propri istinti irrazionali li nasconde e li porta con sé a casa.
Questo evento rappresenterà l’inizio del personale viaggio di Takao verso la scoperta (o meglio emersione) del suo lato “oscuro”. Della birichinata di Takao c’è una testimone: la sua compagna di classe Sawa Nakamura, che lo ricatterà costringendolo ad accettare di compiere quello che lei vuole, in cambio del suo silenzio.
Il clima di apparente normalità un po’ ingenua e felice della vita di Takao si trasforma in una sorta di incubo pregno di una tensione angosciosa e destabilizzante che l’anime riesce a trasmettere in modo molto diretto e marcato. A ciò contribuiscono le scelte stilistiche della produzione dello studio Zexcs sotto la direzione di Hiroshi Nagahama, del character desing di Hidekazu Shimamura e alle musiche di Hideyuki Fukasawa, con una particolare menzione alla ending "Hana - a last flower” di Asa-Chang & Junray.
L’anime è infatti molto particolare dal punto di vista tecnico soprattutto per le sue animazioni e per il character design che risulta parecchio diverso da quello del manga da cui è tratto.
Per le animazioni è stato utilizzata la tecnica del rotoscopio: una tecnica che prevede di ricalcare le figure da una pellicola precedentemente realizzata filmando degli attori veri, animandole. Il risultato finale potrebbe non essere di gradimento a tutti: è piuttosto piatto e poco dettagliato, ma dà un tocco di realismo ai personaggi, ben lontano dai classici stili tipici degli anime a cui si è abituati.
In più, per il world building, sono state usate immagini piuttosto realistiche (e tanto desolanti) di una cittadina ben lontana dalle grandi città tipiche del Giappone: case e strade piuttosto tetre, in pessimo stato di manutenzione, decadenti e povere che ben si amalgamano con la trama piuttosto lenta, angosciante e di sofferenza dei protagonisti della serie.
Il vero punto di forza di “Aku no Hana” sono comunque i personaggi. Nonostante il protagonista sia Takao Kasuga perché la trama viene raccontata dal suo punto di vista, Sawa Nakamura e Nanako Saeki non potrebbero essere considerate come dei semplici personaggi secondari, anzi… si potrebbero considerare come delle estensioni metaforiche di Takao, due “poli” della personalità tra cui oscilla il carattere ondivago di Takao. Paradigmatica una scena della serie in cui Takao si ritrova a dover scegliere proprio se seguire o l’una o l’altra: e per la prima volta dichiara chiaramente ad entrambe (e soprattutto a se stesso) che non riesce, avendo bisogno di entrambe. Ma cosa rappresentano Sawa e Nanako? Premesso che il manga è molto più esaustivo da questo punto di vista (soprattutto per Nanako), nell’anime Sawa è la ragazza ribelle e nichilista, che personifica la totale repulsione verso la società e la sua etica falsa e ipocrita. Inizialmente sembra il carnefice di Takao, ma poi si dimostrerà essere soltanto una sua complice … E da lei Takao è fatalmente attratto. Nanako rappresenta l’esatto opposto di Sawa, ossia il perfetto archetipo dell’essere “normale” nel senso di essere la migliore personificazione della “perfetta giapponese”: bella, gentile ed educata, popolare, brava a scuola… insomma la personificazione quasi “stilnovistica” degli stilemi delle virtù della società giapponese. Da lei Takao è attratto inizialmente come Dante da Beatrice, ma verso la fine della serie si intuirà che il protagonista tenderà a subire più le lunsighe del lato oscuro della forza…
Tra questi opposti, e in virtù dei “misfatti” compiuti prima in autonomia e poi in correità con Sawa, Takao ci conduce in una sorta di metaverso alienante in cui vive nelle sue percezioni del tutto personali della realtà, nei suoi costanti sensi di colpa dovuti all’impossibilità di riuscire a essere un ragazzo come tutti gli altri (ossia coerente con il sistema) e la necessità di voler spiccare il volo ed essere se stesso vivendo le sue pulsioni che fa a fatica a contenere una volta che trova in Sawa la complice per abbattere le sue barriere (paradigmatiche in questo senso le battute di Sawa a riguardo).
Purtroppo l’anime, pur nella sua originalità e valore, rappresenta un’occasione quasi sprecata per la sua incompletezza, soprattutto considerando che contiene una delle scene più belle che mi sia capitato di vedere, l’atto vandalico a scuola da parte di Takao e Sawa (riprese in slow motion) e la successiva scena di “quiete dopo la tempesta” in cui con una inquadratura “log take” e una musica lenta, ipnotica e alienante i due vengono ripresi a camminare alle luci dell’alba mano nella mano esausti e consapevoli del disvalore delle azioni appena compiute o come la la scena finale dell’ultimo episodio in cui Sawa e Takao dopo un lungo inseguimento in preda alla disperazione vedono in rapidissima sequenza in una sorta di “Aleph” alcuni frame del resto del loro viaggio verso la fioritura dei loro fiori del male…
Pur nel limite della ridotta trasposizione del manga da cui deriva, “Aku no Hana” è una sorta di viaggio che vuole documentare quel periodo critico della esistenza umana che si chiama adolescenza: una sorta di odissea o rollercoaster che può assumere molteplici sfumature esistenzialiste anche oscure e nichiliste.
"Aku no Hana" è un'anime basato sull'omonimo manga di Shuzo Oshimi.
Avendo adorato il manga non potevo farmi sfuggire questa serie.
E' assolutamente fedele al manga, ogni battuta, ogni parola, ma l'interpretazione degli attori l'ha resa incredibilmente emozionante e intensa. Per non parlare delle musiche che ti entrano fin dentro le ossa donando emozioni a non finire.
Fantastico! Davvero meraviglioso!!
Lode a questi attori e al regista che ha reso magistralmente tutti i sentimenti di inquietudine, disperazione, disagio tipici del protagonista Takao, e reso al meglio un personaggio complesso come Nakamura.
Purtroppo 13 episodi rappresentano la metà della serie manga, e sfortunatamente in patria non ha avuto abbastanza successo per dare una seconda stagione, e sono molto amareggiata perchè secondo me meritava tantissimo. Nonostante ci sia solo la prima stagione io ne consiglio caldamente la visione. Lo si può trovare sottotitolato in italiano.
Lo consiglio assolutamente a tutti i fan de "I Fiori del Male".
Avendo adorato il manga non potevo farmi sfuggire questa serie.
E' assolutamente fedele al manga, ogni battuta, ogni parola, ma l'interpretazione degli attori l'ha resa incredibilmente emozionante e intensa. Per non parlare delle musiche che ti entrano fin dentro le ossa donando emozioni a non finire.
Fantastico! Davvero meraviglioso!!
Lode a questi attori e al regista che ha reso magistralmente tutti i sentimenti di inquietudine, disperazione, disagio tipici del protagonista Takao, e reso al meglio un personaggio complesso come Nakamura.
Purtroppo 13 episodi rappresentano la metà della serie manga, e sfortunatamente in patria non ha avuto abbastanza successo per dare una seconda stagione, e sono molto amareggiata perchè secondo me meritava tantissimo. Nonostante ci sia solo la prima stagione io ne consiglio caldamente la visione. Lo si può trovare sottotitolato in italiano.
Lo consiglio assolutamente a tutti i fan de "I Fiori del Male".
Serie senza dubbio particolare, che merita che vengano spese alcune parole.
Parto subito col dire che non ho letto il manga, perciò la mia recensione si basa esclusivamente sull'anime fine a sé stesso.
Partendo dalla grafica, per animare i personaggi è stata usata la tecnica del rotoscopio. Qui ci si divide in due correnti di pensiero molto distinte, ovvero c'è chi odia questa tecnica e pertanto reputa quest'opera visivamente pessima, e c'è chi invece pensa che le dia un qualcosa in più. Io personalmente rientro in quest'ultima, a parer mio l'utilizzo del rotoscopio rende quest'anime davvero particolare a livello grafico, soprattutto per le ambientazioni. L'atmosfera è cupa e in qualsiasi scena si è pervasi da un forte senso di malinconia. Insomma, a livello grafico per me è promosso a pieni voti.
Mi sono piaciute molto anche le musiche e gli effetti sonori, si miscelano perfettamente con l'ambientazione e con le emozioni che si vuole far percepire.
Tutt'altra storia purtroppo per la trama.
Anime secondo me dall'enorme potenziale, non espresso come si deve purtroppo. È senza dubbio una serie che vuole raccontare una storia, che vuole mostrare gli aspetti nascosti e tetri dell'animo umano, e che ci riesce anche, ma che si perde in altro.
A volte la storia è potente e intensa, altre volte invece gli atteggiamenti dei personaggi sono strani e non proprio umani, anche nelle scelte che sarebbe davvero semplicissimo prendere ma che non vengono prese, finendo per complicare inutilmente le cose.
Per fare un esempio: sebbene Takao Kasuga, il protagonista, sia un ragazzo chiaramente debole e psicologicamente sottomesso (cosa che viene chiaramente mostrata dall'autore e anche molto bene, bisogna proprio dirlo), le sue azioni a volte sono davvero troppo. Anche per una persona con queste problematiche.
Per non parlare poi del finale, lasciato a metà, che annuncia addirittura una seconda stagione.
Per questo mi sento di dare solo 7, peccato, davvero peccato. Avrebbe potuto meritare davvero molto di più.
Detto tutto ciò, ve lo consiglio!
Rimane un'opera da vedere assolutamente, anche perché sarà un anime che apprezzerete o che disgusterete, a quanto pare non sembra esserci via di mezzo. Perché non scoprirlo?
Parto subito col dire che non ho letto il manga, perciò la mia recensione si basa esclusivamente sull'anime fine a sé stesso.
Partendo dalla grafica, per animare i personaggi è stata usata la tecnica del rotoscopio. Qui ci si divide in due correnti di pensiero molto distinte, ovvero c'è chi odia questa tecnica e pertanto reputa quest'opera visivamente pessima, e c'è chi invece pensa che le dia un qualcosa in più. Io personalmente rientro in quest'ultima, a parer mio l'utilizzo del rotoscopio rende quest'anime davvero particolare a livello grafico, soprattutto per le ambientazioni. L'atmosfera è cupa e in qualsiasi scena si è pervasi da un forte senso di malinconia. Insomma, a livello grafico per me è promosso a pieni voti.
Mi sono piaciute molto anche le musiche e gli effetti sonori, si miscelano perfettamente con l'ambientazione e con le emozioni che si vuole far percepire.
Tutt'altra storia purtroppo per la trama.
Anime secondo me dall'enorme potenziale, non espresso come si deve purtroppo. È senza dubbio una serie che vuole raccontare una storia, che vuole mostrare gli aspetti nascosti e tetri dell'animo umano, e che ci riesce anche, ma che si perde in altro.
A volte la storia è potente e intensa, altre volte invece gli atteggiamenti dei personaggi sono strani e non proprio umani, anche nelle scelte che sarebbe davvero semplicissimo prendere ma che non vengono prese, finendo per complicare inutilmente le cose.
Per fare un esempio: sebbene Takao Kasuga, il protagonista, sia un ragazzo chiaramente debole e psicologicamente sottomesso (cosa che viene chiaramente mostrata dall'autore e anche molto bene, bisogna proprio dirlo), le sue azioni a volte sono davvero troppo. Anche per una persona con queste problematiche.
Per non parlare poi del finale, lasciato a metà, che annuncia addirittura una seconda stagione.
Per questo mi sento di dare solo 7, peccato, davvero peccato. Avrebbe potuto meritare davvero molto di più.
Detto tutto ciò, ve lo consiglio!
Rimane un'opera da vedere assolutamente, anche perché sarà un anime che apprezzerete o che disgusterete, a quanto pare non sembra esserci via di mezzo. Perché non scoprirlo?
"Aku no Hana" è un anime che si discosta dagli altri per diversi motivi. Potrei parlare della storia in sé (che sembrerebbe banale, se non improbabile, a una prima lettura della trama), del comparto visivo (con l'utilizzo della tecnica del rotoscopio) oppure delle tematiche affrontate (inusuali e scomode per un pubblico giapponese), ma ciò che rende quest'opera davvero significativa nel panorama dell'animazione è senz'altro la modalità con cui è stato affrontato tutto ciò.
Qui le scelte stilistiche hanno portato a una vera e propria evoluzione del modo di percepire la storia da parte dello spettatore. Il turbamento e l'inquietudine nascono dalla quotidianità e dalle azioni più semplici. La routine giornaliera non è mai stata così spaventosa, mentre lo sfondo della storia (un piccolo paese di cui non sappiamo il nome) diviene una sorta di prigione all'interno della quale si consumano i tormenti dei protagonisti. L'estremo realismo dato dalla grafica e dalla recitazione degli attori contribuisce alla formazione di una atmosfera soggettiva perfettamente funzionale al drammatico quesito dinanzi al quale lo spettatore sarà posto. Kasuga, il protagonista, si ritrova suo malgrado nel mezzo di un "triangolo amoroso", nel quale la scelta della ragazza diviene metafora di una scelta ben più importante: l'omologazione e l'immobilità dell'esistenza (con Saeki) oppure la devianza e l'evasione (con Nakamura). Il finale si presta a una piccola anticipazione di ciò che avremmo dovuto vedere nella seconda stagione e che, complici le critiche negative dell'opinione pubblica giapponese, probabilmente non vedremo mai.
In conclusione, "Aku no Hana" è un anime imperdibile, in grado di coinvolgere lo spettatore sia dal punto di vista emotivo che critico; il "fiore del male" è sempre presente: sta a noi decidere se farlo fiorire oppure no.
Qui le scelte stilistiche hanno portato a una vera e propria evoluzione del modo di percepire la storia da parte dello spettatore. Il turbamento e l'inquietudine nascono dalla quotidianità e dalle azioni più semplici. La routine giornaliera non è mai stata così spaventosa, mentre lo sfondo della storia (un piccolo paese di cui non sappiamo il nome) diviene una sorta di prigione all'interno della quale si consumano i tormenti dei protagonisti. L'estremo realismo dato dalla grafica e dalla recitazione degli attori contribuisce alla formazione di una atmosfera soggettiva perfettamente funzionale al drammatico quesito dinanzi al quale lo spettatore sarà posto. Kasuga, il protagonista, si ritrova suo malgrado nel mezzo di un "triangolo amoroso", nel quale la scelta della ragazza diviene metafora di una scelta ben più importante: l'omologazione e l'immobilità dell'esistenza (con Saeki) oppure la devianza e l'evasione (con Nakamura). Il finale si presta a una piccola anticipazione di ciò che avremmo dovuto vedere nella seconda stagione e che, complici le critiche negative dell'opinione pubblica giapponese, probabilmente non vedremo mai.
In conclusione, "Aku no Hana" è un anime imperdibile, in grado di coinvolgere lo spettatore sia dal punto di vista emotivo che critico; il "fiore del male" è sempre presente: sta a noi decidere se farlo fiorire oppure no.
Ho trovato questo anime pieno di spunti interessanti. Al di là della tecnica con la quale è stato realizzato (certamente non nuova, ma pur tuttavia non così utilizzata al giorno d'oggi) ho colto, o per lo meno mi è sembrato di cogliere, un messaggio sociologico. Abbiamo innanzitutto una feroce critica alla società nipponica in primis, ma potremmo estendere il concetto a tutta la società occidentale. Conformismo, emarginazione di chi appare più in difficoltà, di chi denota problemi a socializzare, di chi non è sempre sull'onda, nevrosi, sono tutti temi trattati più o meno approfonditamente nell'anime. I continui riferimenti ai poeti maledetti (chiara allusione anche nel titolo della serie) fornisce una chiave di lettura dell'opera, anche se forse talvolta un po' forzata.Devo anche dire che alcune situazioni mi hanno un po' infastidito poichè, di primo acchito, mi sembravano fin troppo esagerate e caricaturali. Anche in questa serie non manca qualche situazione stereotipata, ma se facciamo un passo indietro e guardiamo il quadro generale, senza soffermarci troppo sui dettagli, la serie è un bell'affresco della realtà giovanile (e per fortuna, non è tutto da buttare via, si intende).
Se lo scopo dell'anime era di fare riflettere lo spettatore, almeno nel mio caso ha funzionato.
La sigla finale l'ho trovata semplicemente geniale, completamente adatta allo spirito della serie, ovvero straniante e allucinata al punto giusto.
Se lo scopo dell'anime era di fare riflettere lo spettatore, almeno nel mio caso ha funzionato.
La sigla finale l'ho trovata semplicemente geniale, completamente adatta allo spirito della serie, ovvero straniante e allucinata al punto giusto.
"Aku no Hana" è un'anime basato sull'omonimo manga di Shuzo Oshimi, prodotto nel 2013, rendendosi molto particolare e quasi unico. Purtroppo non avendo avuto molto successo, una seconda stagione è ormai fuori discussione, e ci tengo a dire che quest'opera è da molti sottovalutato a prima vista per via dell'animazione grafica scelta dal regista "Hiroshi Nagahama" (magari ci fossero altri registi come lui).
Inizio quindi con il comparto visivo, elogiandolo per l'ottimo uso del rotoscopio che ha reso più reale l'animazione e ha creato un'ambientazione davvero pazzesca che colpisce sin dal primo momento, proprio come il regista voleva che fosse e soprattutto per come l'ambientazione doveva porsi ai nostri sensi. Ovviamente quest'ottima ambientazione non è resa tale solo con la grafica, ma anche grazie ad una colonna sonora più che buona che conduce ai nostri sensi un'ambientazione cupa e solitaria.
TRAMA:
La storia è ambientata più o meno ai nostri giorni e vede protagonista Kasuga Takao, un ragazzo che si distingue dagli altri concentrando se stesso sulla lettura, principalmente sul libro "Fiori del male". Preso dalla cotta per una sua compagna di classe, Saeki Nanako, un giorno dopo la scuola trova la sua divisa da ginnastica in classe e di impulso decide di portarsela via, ma questo suo gesto sarà motivo di ricatto da parte di Nakamura Sawa, una sua compagna di classe evitata da tutti, che vuole far cadere la maschera di Kasuga così da mostrare a tutti che anche lui è un "deviato", proprio come lei. Da qui ha inizio la drammatica e psicologica vicenda di "Aku no Hana".
Lo sviluppo di questa storia è profondamente psicologica da mostrarsi difficile da comprendere, e questo aspetto non fa altro che aumentare la curiosità. Fin dal primo momento i nostri sensi noteranno che questa trama è fuori dal comune ed è anche merito dei personaggi che sono il cuore pulsante di quest'anime, infatti i loro comportamenti saranno così imprevedibili, strani e orrendi, da farci capire che il genere "psicologico" è più che azzeccato.
Il protagonista mi ha trasmesso tanta rabbia ma principalmente è un ragazzo che nasconde il suo "io", cercando di conoscere se stesso attraverso i libri, ma Nakamura è l'unica ad intravedere il suo vero volto e per questo farà passare l'inferno al povero Kasuga.
Non vi resta che immergervi nella vicenda e scoprire da voi cosa si nasconde all'interno del protagonista, cosa deciderà di fare e da quali eventi verrà trasportato. Concludo qui questa recensione, consigliando questo titolo davvero interessante e fuori dal comune.
Voto finale: 9.
Inizio quindi con il comparto visivo, elogiandolo per l'ottimo uso del rotoscopio che ha reso più reale l'animazione e ha creato un'ambientazione davvero pazzesca che colpisce sin dal primo momento, proprio come il regista voleva che fosse e soprattutto per come l'ambientazione doveva porsi ai nostri sensi. Ovviamente quest'ottima ambientazione non è resa tale solo con la grafica, ma anche grazie ad una colonna sonora più che buona che conduce ai nostri sensi un'ambientazione cupa e solitaria.
TRAMA:
La storia è ambientata più o meno ai nostri giorni e vede protagonista Kasuga Takao, un ragazzo che si distingue dagli altri concentrando se stesso sulla lettura, principalmente sul libro "Fiori del male". Preso dalla cotta per una sua compagna di classe, Saeki Nanako, un giorno dopo la scuola trova la sua divisa da ginnastica in classe e di impulso decide di portarsela via, ma questo suo gesto sarà motivo di ricatto da parte di Nakamura Sawa, una sua compagna di classe evitata da tutti, che vuole far cadere la maschera di Kasuga così da mostrare a tutti che anche lui è un "deviato", proprio come lei. Da qui ha inizio la drammatica e psicologica vicenda di "Aku no Hana".
Lo sviluppo di questa storia è profondamente psicologica da mostrarsi difficile da comprendere, e questo aspetto non fa altro che aumentare la curiosità. Fin dal primo momento i nostri sensi noteranno che questa trama è fuori dal comune ed è anche merito dei personaggi che sono il cuore pulsante di quest'anime, infatti i loro comportamenti saranno così imprevedibili, strani e orrendi, da farci capire che il genere "psicologico" è più che azzeccato.
Il protagonista mi ha trasmesso tanta rabbia ma principalmente è un ragazzo che nasconde il suo "io", cercando di conoscere se stesso attraverso i libri, ma Nakamura è l'unica ad intravedere il suo vero volto e per questo farà passare l'inferno al povero Kasuga.
Non vi resta che immergervi nella vicenda e scoprire da voi cosa si nasconde all'interno del protagonista, cosa deciderà di fare e da quali eventi verrà trasportato. Concludo qui questa recensione, consigliando questo titolo davvero interessante e fuori dal comune.
Voto finale: 9.
Catalogato come psicologico, direi che ha ben rispettato questa sua classificazione.
La storia è ambientata in una piccola cittadina, non nominata, del Giappone in cui alcuni adolescenti vivono con le loro famiglie e frequentano la scuola.
I protagonisti sono tre, tutti gli altri sono dei comprimari. Il protagonista maschile è Kasuga Takao e le due femminili sono Saeki Nanako e Nakamura Sawa.
Oltre a questi, pur non presente fisicamente nell'opera, una menzione e un dovuto ringraziamento spettano a Charles Baudelaire con la sua letteratura "maledetta".
La sua opera più conosciuta, che dà anche il nome all'anime, è presente nei pensieri di Kasuga sia come opera letteraria in senso stretto e sia come presenza di una musa ispiratrice come per il poeta fu Apollonie.
I ragazzi hanno dei caratteri e delle caratteristiche estremamente definite e complementari, e devo dire proprio che inizialmente ho fatto fatica a seguirlo perché non sopportavo il protagonista maschile. Kasuga Kun, infatti, è, fra i personaggi maschili molli che ho visto in tanti anime, probabilmente il peggiore. Saeki è la sua musa. Bella, dolce, buona, ottima studentessa, ammirata da tutta la classe.
Nakamura, invece merita un discorso a parte. Credo che sia proprio il punto di forza di questo anime e di tutta la vicenda. Un carattere molto, molto dominante, una personalità scontrosa, una di quelle persone che, se esistessero (probabilmente ci saranno anche, in giro) sarebbe un misto fra odiata, amata, temuta.
Mi soffermo sul disegno. Da assoluto profano, non conoscevo assolutamente questa tecnica ma a me pare proprio che si sia adattata perfettamente allo stile dell'opera e, proprio per far risaltare la purezza di Saeki, è stata sempre portata con pochi, pochissimi dettagli ed una espressione mite.
Il contrasto, invece, appare netto con Nakamura. La sua espressione è perfetta per quel tipo di personaggio. Dura, sospettosa, superba, cattiva, silenziosa o offensiva, sprezzante, maleducata (ma forse debole nell'intimo) e riesce ad esprimere una personalità anomala e rappresenta, oltre ad uno stile azzeccato, una arma in più per un'opera annoverata come psicologica.
Sono rimasto stranito dal finale, poiché non l'avevo compreso. Ho letto il manga e ho scoperto che l'opera video rappresenta poco più di un terzo di tutto il manga. Manga in cui i ragazzi mi paiono 12-13-enni mentre nel'anime sembrano ben più grandi, quasi maggiorenni.
Manga in cui, la personalità di Nakamura si deteriora e tutta l'opera ne soffre.
Una considerazione sulla colonna sonora e sulla messa in musica di alcuni estratti di Baudelaire.
Oltre ad avermi fatto venire la voglia, a distanza di anni ed anni, di rileggere qualcosa di questo autore, alcune poesie sono state musicate in maniera davvero interessante poiché questo stile vocale, un po' grattato, un po' urlato, un po' (esagero) growl metal, potrebbe rappresentare in musica una sorta di tormento interiore che, da profano, il poeta immagino volesse trasmettere.
Mi è dispiaciuto non essermi informato prima e non aver saputo a tempo debito che l'anime era solo una parte dell'opera completa. probabilmente avrei atteso ancora.
Voto 8. Spero in una adeguata continuazione e in un 10 a fine opera.
La storia è ambientata in una piccola cittadina, non nominata, del Giappone in cui alcuni adolescenti vivono con le loro famiglie e frequentano la scuola.
I protagonisti sono tre, tutti gli altri sono dei comprimari. Il protagonista maschile è Kasuga Takao e le due femminili sono Saeki Nanako e Nakamura Sawa.
Oltre a questi, pur non presente fisicamente nell'opera, una menzione e un dovuto ringraziamento spettano a Charles Baudelaire con la sua letteratura "maledetta".
La sua opera più conosciuta, che dà anche il nome all'anime, è presente nei pensieri di Kasuga sia come opera letteraria in senso stretto e sia come presenza di una musa ispiratrice come per il poeta fu Apollonie.
I ragazzi hanno dei caratteri e delle caratteristiche estremamente definite e complementari, e devo dire proprio che inizialmente ho fatto fatica a seguirlo perché non sopportavo il protagonista maschile. Kasuga Kun, infatti, è, fra i personaggi maschili molli che ho visto in tanti anime, probabilmente il peggiore. Saeki è la sua musa. Bella, dolce, buona, ottima studentessa, ammirata da tutta la classe.
Nakamura, invece merita un discorso a parte. Credo che sia proprio il punto di forza di questo anime e di tutta la vicenda. Un carattere molto, molto dominante, una personalità scontrosa, una di quelle persone che, se esistessero (probabilmente ci saranno anche, in giro) sarebbe un misto fra odiata, amata, temuta.
Mi soffermo sul disegno. Da assoluto profano, non conoscevo assolutamente questa tecnica ma a me pare proprio che si sia adattata perfettamente allo stile dell'opera e, proprio per far risaltare la purezza di Saeki, è stata sempre portata con pochi, pochissimi dettagli ed una espressione mite.
Il contrasto, invece, appare netto con Nakamura. La sua espressione è perfetta per quel tipo di personaggio. Dura, sospettosa, superba, cattiva, silenziosa o offensiva, sprezzante, maleducata (ma forse debole nell'intimo) e riesce ad esprimere una personalità anomala e rappresenta, oltre ad uno stile azzeccato, una arma in più per un'opera annoverata come psicologica.
Sono rimasto stranito dal finale, poiché non l'avevo compreso. Ho letto il manga e ho scoperto che l'opera video rappresenta poco più di un terzo di tutto il manga. Manga in cui i ragazzi mi paiono 12-13-enni mentre nel'anime sembrano ben più grandi, quasi maggiorenni.
Manga in cui, la personalità di Nakamura si deteriora e tutta l'opera ne soffre.
Una considerazione sulla colonna sonora e sulla messa in musica di alcuni estratti di Baudelaire.
Oltre ad avermi fatto venire la voglia, a distanza di anni ed anni, di rileggere qualcosa di questo autore, alcune poesie sono state musicate in maniera davvero interessante poiché questo stile vocale, un po' grattato, un po' urlato, un po' (esagero) growl metal, potrebbe rappresentare in musica una sorta di tormento interiore che, da profano, il poeta immagino volesse trasmettere.
Mi è dispiaciuto non essermi informato prima e non aver saputo a tempo debito che l'anime era solo una parte dell'opera completa. probabilmente avrei atteso ancora.
Voto 8. Spero in una adeguata continuazione e in un 10 a fine opera.
La prima cosa che sicuramente salta all'occhio nel momento in cui si parla di ''Aku No Hana'', sono i disegni. Questi, spesso molto criticati, sono diversi da quelli che ci si aspetta di vedere in un anime. A parer mio, l'avere dei disegni apparentemente ''diversi'', non può che essere un punto a favore per l'anime, poiché un anime del genere si ricorda molto meglio di uno con il solito stile. Per questo motivo i disegni non mi hanno disturbata più di tanto.
La cosa su cui bisognerebbe focalizzarsi realmente è la trama. Questa parte in modo semplice, da un semplice gesto impulsivo ne susseguono avvenimenti parecchio interessanti.
<b>Attenzione, da questo punto in poi la recensione contiene spoiler</b>
Il protagonista, Takao Kasuga, è un amante della lettura. Lui legge e rilegge continuamente un libro intitolato "I fiori del male". Questo, all'inizio mi intrigava. Spesso Kasuga ne cita qualche verso e ammetto che pur non capendolo del tutto, mi interessava. La vera e propria storia inizia nel momento in cui il protagonista "ruba" la tuta della sua compagna di classe, Nanako Saeki, che lui definisce la sua "musa".
Ho trovato i primi episodi noiosi. Il fatto che lui non riuscisse a ridare la tuta a Saeki aveva senso, poiché magari lei l'avrebbe odiato, o forse gli altri avrebbero pensato che lui fosse un pervertito... ma comunque la questione della tuta secondo me è presa troppo seriamente. In fondo si sente parlare di questa tuta per tutto l'anime, fino al momento in cui Saeki scoprirà la verità.
Il personaggio di Nakamura Sawa, che scopre il protagonista a rubare la tuta, mi è piaciuto fin dall'inizio. Più che piacere, non la capivo proprio. All'inizio pensavo solo che fosse strana, ma verso la fine, quando sotto la pioggia Kasuga dice quelle cose che la deludono, nel momento in cui piange credo di essermi ricordata che è una persona anche lei. Dopo tutte le cose che Nakamura fa, quasi l'avevo dimenticato. Per questo nel momento in cui piange ho capito che effettivamente lei non era il personaggio che pensavo che fosse, e cioé distaccato e indifferente, poiché anche lei ha dei sentimenti. In ogni caso mi è piaciuto vedere i vari tipi di tortura psicologica, se posso definirla tale, alla quale sottopone Kasuga.
Anche il personaggio di Saeki è interessante. Lei, nonostante tutto ciò che il protagonista le ha fatto, e cioé mentirle, rubarle la tuta, scappare con Nakamura e tutto il resto, dimostra come l'amore sia un qualcosa che non si ferma di fronte a nulla. Questa cosa non mi ha del tutto convinta. Insomma, i due prima di mettersi insieme si saranno parlati una volta, inoltre si sono dichiarati proprio nel loro primo appuntamento, quindi non comprendo il perché Saeki provi certi sentimenti. Motivo per il quale, quando si dichiara a Kasuga sono rimasta parecchio colpita, negativamente.
Non ho invece apprezzato il finale. La parte in cui lui capisce che Nakamura senza di lui sarebbe completamente sola, e si reca in casa sua, mi è piaciuta. Sentivo come se finalmente si capisse qualcosa su quel personaggio tanto strano, e ammetto che la frase ''non sono riuscita ad andare oltre la collina'', mi ha un po' spiazzata. La cosa che non ho invece apprezzato è che lascino tutto a metà annunciando una seconda stagione, eliminando un vero e proprio finale.
<b>Fine spoiler, leggete in pace</b>
La cosa brutta di "Aku no Hana", non è tanto la trama, poiché questa è interessante, a volte forse va oltre e diventa un po' ridicola, ma azzardo a dire che mi ha intrattenuta. La cosa invece terribile, è come questa venga presentata e trattata. L'anime, infatti, è incredibilmente lento. I ritmi di narrazione sono così lenti da rendere il tutto noioso e inguardabile. Capita molto spesso che ci siano interi minuti in cui non succede nulla. Troppo lento. Oppure nel momento in cui Kasuga cita parti del suo libro, che pur essendo interessanti, sono anche queste troppo lunghe e in questo contesto annoiano.
Ecco cosa non mi è piaciuto di "Aku no Hana", un anime con una trama apprezzabile, ma rovinato dal modo in cui questa viene narrata.
La cosa su cui bisognerebbe focalizzarsi realmente è la trama. Questa parte in modo semplice, da un semplice gesto impulsivo ne susseguono avvenimenti parecchio interessanti.
<b>Attenzione, da questo punto in poi la recensione contiene spoiler</b>
Il protagonista, Takao Kasuga, è un amante della lettura. Lui legge e rilegge continuamente un libro intitolato "I fiori del male". Questo, all'inizio mi intrigava. Spesso Kasuga ne cita qualche verso e ammetto che pur non capendolo del tutto, mi interessava. La vera e propria storia inizia nel momento in cui il protagonista "ruba" la tuta della sua compagna di classe, Nanako Saeki, che lui definisce la sua "musa".
Ho trovato i primi episodi noiosi. Il fatto che lui non riuscisse a ridare la tuta a Saeki aveva senso, poiché magari lei l'avrebbe odiato, o forse gli altri avrebbero pensato che lui fosse un pervertito... ma comunque la questione della tuta secondo me è presa troppo seriamente. In fondo si sente parlare di questa tuta per tutto l'anime, fino al momento in cui Saeki scoprirà la verità.
Il personaggio di Nakamura Sawa, che scopre il protagonista a rubare la tuta, mi è piaciuto fin dall'inizio. Più che piacere, non la capivo proprio. All'inizio pensavo solo che fosse strana, ma verso la fine, quando sotto la pioggia Kasuga dice quelle cose che la deludono, nel momento in cui piange credo di essermi ricordata che è una persona anche lei. Dopo tutte le cose che Nakamura fa, quasi l'avevo dimenticato. Per questo nel momento in cui piange ho capito che effettivamente lei non era il personaggio che pensavo che fosse, e cioé distaccato e indifferente, poiché anche lei ha dei sentimenti. In ogni caso mi è piaciuto vedere i vari tipi di tortura psicologica, se posso definirla tale, alla quale sottopone Kasuga.
Anche il personaggio di Saeki è interessante. Lei, nonostante tutto ciò che il protagonista le ha fatto, e cioé mentirle, rubarle la tuta, scappare con Nakamura e tutto il resto, dimostra come l'amore sia un qualcosa che non si ferma di fronte a nulla. Questa cosa non mi ha del tutto convinta. Insomma, i due prima di mettersi insieme si saranno parlati una volta, inoltre si sono dichiarati proprio nel loro primo appuntamento, quindi non comprendo il perché Saeki provi certi sentimenti. Motivo per il quale, quando si dichiara a Kasuga sono rimasta parecchio colpita, negativamente.
Non ho invece apprezzato il finale. La parte in cui lui capisce che Nakamura senza di lui sarebbe completamente sola, e si reca in casa sua, mi è piaciuta. Sentivo come se finalmente si capisse qualcosa su quel personaggio tanto strano, e ammetto che la frase ''non sono riuscita ad andare oltre la collina'', mi ha un po' spiazzata. La cosa che non ho invece apprezzato è che lascino tutto a metà annunciando una seconda stagione, eliminando un vero e proprio finale.
<b>Fine spoiler, leggete in pace</b>
La cosa brutta di "Aku no Hana", non è tanto la trama, poiché questa è interessante, a volte forse va oltre e diventa un po' ridicola, ma azzardo a dire che mi ha intrattenuta. La cosa invece terribile, è come questa venga presentata e trattata. L'anime, infatti, è incredibilmente lento. I ritmi di narrazione sono così lenti da rendere il tutto noioso e inguardabile. Capita molto spesso che ci siano interi minuti in cui non succede nulla. Troppo lento. Oppure nel momento in cui Kasuga cita parti del suo libro, che pur essendo interessanti, sono anche queste troppo lunghe e in questo contesto annoiano.
Ecco cosa non mi è piaciuto di "Aku no Hana", un anime con una trama apprezzabile, ma rovinato dal modo in cui questa viene narrata.
Guardando le novità primaverili sono rimasta subito colpita dal titolo di questa serie, " I fiori del male", ispirato alla famosa raccolta di poesie di Charles Boudelaire, non ho potuto fare a meno di andarlo a scovare e di guardarmelo!
Non nego che mi aspettavo una certa pesantezza psicologica, o almeno ero certa che non si trattasse di una delle tante serie da guardare solo per un chara design innovativo, comunque sono rimasta spiazzata già dalle prime puntate, tanto che verso le quarta avevo intenzione di smettere! Faccio presente che guardo anime principalmente la sera prima di andare a dormire e vi giuro che mi ci volevano ore prima di addormentarmi tanta era l'ansia che mi trasmetteva!
I temi trattati sono più che altro intenerenti alla coltura giapponese, ma è possibile collocarli globalmente anche in altri contesti, sempre che di disagio sociale si parla.
I profondi dilemmi del protagonista, i suoi conflitti interiori, la paura di mostrare sé stesso e di essere accettato da una società chiusa sono così forti ed espressi con una tale angoscia da rimanerci sotto. Un racconto dominato dalla paura, dall'ansia di non riuscire ad esprimersi o ancora meglio da aver paura di farlo!
Sono molte le riflessioni che questa storia ci porta a fare durante il suo percorso narrativo, l'emarginazione e l'inadeguatezza di alcuni individui, costretti a reprimere il proprio io a causa di una coltura falsa ed ipocrita che si basa solo sull'apparenza. Un po' un problema che viene sentito ovunque dalla fascia giovanile, chi più chi meno. Certo in alcuni paesi come il Giappone, l'essere etichettati in un certo modo influisce in modo decisivo sulla vita stessa di un individuo, mentre in altri luoghi questo fenomeno è localizzato in zone dove vige una mentalità chiusa e ristretta.
Avvincenti e interessanti sono le profonde riflessioni e mutamenti psicologici dei protagonisti, a partire dall' introverso Kasuga, un ragazzino che potrebbe essere definito quasi insignificante, il suo amore per la lettura e il suo amore platonico per la sua compagna di classe sono tutto il suo universo, che viene brutalmente sconvolto da Nakumura. Inquietante ragazza dai capelli rossi .Nakamura, si fa largo nella vita del protagonista iniziando così quella che diventerà per il ragazzo una vera e propria tortura psicologica da cui non riesce a trovare via d'uscita. Un contratto quello stipulato con la ragazza dal quale non riesce a sottrarsi, terrorizzato dalle conseguenze, ma quali sono i motivi che portano Nakamura a comportarsi in questo modo? Il suo odio per i compagni, per quel piccolo paese e per la sua smisurata voglia di trovare qualcuno come lei e di no sentirsi più sola, qualcuno con cui poter andare oltre quelle colline. E poi c'è Saeki la musa, l'angelo puro e intoccabile di Kasuga.
Una particolarità di Aku no hana che ha fatto discutere molto è stata la scelta del rotoscopio per la realizzazione delle animazioni, opera del regista Hiroshi Nagahama, una innovazione secondo me molto azzeccata data la predisposizione realistica del manga! Il regista stesso ha voluto azzardare questa tecnica da molti criticata per poter differenziarsi da quelle che sono le ormai comuni animazioni, creando qualcosa che avesse maggior impatto sugli spettatori. Non pensiate che il rotoscopio sia una tecnica da nulla, i disegnatori impiegano il doppio del tempo rispetto alla normale animazione, quindi non si puo' di certo dire che sia stata una scelta economica!
La colonna sonora, anche questa molto particolare in perfetta linea con lo stampo drammatico dell'anime, l'ending è a dir poco inquietante!
Tanta ma tanta angoscia, un anime che riesce davvero a toccare l'intimo di chi lo guarda, finalmente una produzione che si sceglie non come passatempo ma come viaggio introspettivo, anche se il tutto viene condito abbondantemente come già detto con tanta ma tanta angoscia!
Consiglio di concedersi un attimo di riflessione prima di decidere di far partire il primo episodio, ma se ne si è convinti non potrete fare a meno che apprezzarlo, almeno un 8 ci sta tutto!
Non nego che mi aspettavo una certa pesantezza psicologica, o almeno ero certa che non si trattasse di una delle tante serie da guardare solo per un chara design innovativo, comunque sono rimasta spiazzata già dalle prime puntate, tanto che verso le quarta avevo intenzione di smettere! Faccio presente che guardo anime principalmente la sera prima di andare a dormire e vi giuro che mi ci volevano ore prima di addormentarmi tanta era l'ansia che mi trasmetteva!
I temi trattati sono più che altro intenerenti alla coltura giapponese, ma è possibile collocarli globalmente anche in altri contesti, sempre che di disagio sociale si parla.
I profondi dilemmi del protagonista, i suoi conflitti interiori, la paura di mostrare sé stesso e di essere accettato da una società chiusa sono così forti ed espressi con una tale angoscia da rimanerci sotto. Un racconto dominato dalla paura, dall'ansia di non riuscire ad esprimersi o ancora meglio da aver paura di farlo!
Sono molte le riflessioni che questa storia ci porta a fare durante il suo percorso narrativo, l'emarginazione e l'inadeguatezza di alcuni individui, costretti a reprimere il proprio io a causa di una coltura falsa ed ipocrita che si basa solo sull'apparenza. Un po' un problema che viene sentito ovunque dalla fascia giovanile, chi più chi meno. Certo in alcuni paesi come il Giappone, l'essere etichettati in un certo modo influisce in modo decisivo sulla vita stessa di un individuo, mentre in altri luoghi questo fenomeno è localizzato in zone dove vige una mentalità chiusa e ristretta.
Avvincenti e interessanti sono le profonde riflessioni e mutamenti psicologici dei protagonisti, a partire dall' introverso Kasuga, un ragazzino che potrebbe essere definito quasi insignificante, il suo amore per la lettura e il suo amore platonico per la sua compagna di classe sono tutto il suo universo, che viene brutalmente sconvolto da Nakumura. Inquietante ragazza dai capelli rossi .Nakamura, si fa largo nella vita del protagonista iniziando così quella che diventerà per il ragazzo una vera e propria tortura psicologica da cui non riesce a trovare via d'uscita. Un contratto quello stipulato con la ragazza dal quale non riesce a sottrarsi, terrorizzato dalle conseguenze, ma quali sono i motivi che portano Nakamura a comportarsi in questo modo? Il suo odio per i compagni, per quel piccolo paese e per la sua smisurata voglia di trovare qualcuno come lei e di no sentirsi più sola, qualcuno con cui poter andare oltre quelle colline. E poi c'è Saeki la musa, l'angelo puro e intoccabile di Kasuga.
Una particolarità di Aku no hana che ha fatto discutere molto è stata la scelta del rotoscopio per la realizzazione delle animazioni, opera del regista Hiroshi Nagahama, una innovazione secondo me molto azzeccata data la predisposizione realistica del manga! Il regista stesso ha voluto azzardare questa tecnica da molti criticata per poter differenziarsi da quelle che sono le ormai comuni animazioni, creando qualcosa che avesse maggior impatto sugli spettatori. Non pensiate che il rotoscopio sia una tecnica da nulla, i disegnatori impiegano il doppio del tempo rispetto alla normale animazione, quindi non si puo' di certo dire che sia stata una scelta economica!
La colonna sonora, anche questa molto particolare in perfetta linea con lo stampo drammatico dell'anime, l'ending è a dir poco inquietante!
Tanta ma tanta angoscia, un anime che riesce davvero a toccare l'intimo di chi lo guarda, finalmente una produzione che si sceglie non come passatempo ma come viaggio introspettivo, anche se il tutto viene condito abbondantemente come già detto con tanta ma tanta angoscia!
Consiglio di concedersi un attimo di riflessione prima di decidere di far partire il primo episodio, ma se ne si è convinti non potrete fare a meno che apprezzarlo, almeno un 8 ci sta tutto!
Esistono anime che hanno senso solamente in Giappone. "Aku no Ana" è uno di questi. Spesso, italiani e stranieri, quando si ritrovano di fronte a questo tipo di opere, compiono un grosso errore, e le valutano trascurando la società e il contesto che le ha prodotte. Non si può valutare "Aku no Ana" secondo gli usi e costumi della società occidentale, molto meno rigida, formale e opprimente di quella giapponese. Chi ha studiato lingua giapponese conosce benissimo i numerosissimi suffissi onorifici i quali devono essere utilizzati per rivolgersi ad una persona a seconda del grado di confidenza, dell'età, della posizione sociale e così via. Già questa peculiarità della lingua di per sé rende benissimo l'idea di quanto questa società, da molti di noi sconosciuta, sia asettica e formale, così tanto da arrivare in alcuni casi ad annichilire la personalità degli individui, la loro sessualità, il loro amor proprio. Inoltre, i giapponesi hanno una concezione del voyeurismo molto marcata e sui generis; il feticismo e l'attaccamento patologico, morboso, all'oggetto dei desideri manifestato da molte persone del sol levante deriva dall'oppressione e dalla frustrazione che genera in esse la società, con i suoi ritmi alienanti e proibitivi. Il fortunato che ha studiato giapponese, o che comunque si è informato ed ha esperienza nel settore manga/anime, è anche ben a conoscenza del fatto che il termine "otaku" inteso nel suo senso originario è ben diverso dal significato occidentale. Non si tratta di un nomignolo simpatico per identificare esclusivamente un appassionato di manga/anime; nella società giapponese, un otaku è un individuo problematico, asociale, con forti difficoltà a rapportarsi con il prossimo, ossessionato da determinati oggetti e/o prodotti del consumismo giapponese. Un otaku è un emerginato, di sovente identificato come ritardato dalle altre persone. Un otaku s'interessa morbosamente a degli oggetti, spesso anche solo per la loro forma, il loro colore, i loro meccanismi. Possono esistere anche otaku che s'interessano di libri senza comprenderne veramente il significato, solo per il gusto di averli e di sentirsi speciali rispetto agli altri, quelle persone così asettiche ed omologate da quell'impersonale ed autoreferenziale organo il quale è la società giapponese. Il marcato voyeurismo è una dimensione tipica dell'otaku, quindi non mi stupirei affatto se esso degenerasse in feticismo a causa di un disagio interiore più patologico della media.
Nel contesto di un'animazione per la maggiorparte omologata a causa delle imposizioni del pubblico otaku, il regista Hiroshi Nagahama ("Mushishi", "Detroit Metal City") decide, molto coraggiosamente, di adattare l'omonimo manga di Shūzō Oshimi in modo visualmente provocatorio. "Aku no Ana" infatti è rivolto esclusivamente al pubblico di otaku giapponesi, e si rivolge a loro mettendoli a nudo, come uno specchio. Non ci sono lolite, moe, trovate fashion, voli pindarici di grafica. C'è un otaku disegnato al rotoscopio, con tutte le sue patologie e problemi tipici. La scelta del realismo nella grafica (rotoscopio vuol dire ricalcare i tratti di attori veri e poi animarli), nel dosaggio dei tempi, nella scelta dei numerosi silenzi, sono tutti elementi voluti al fine di far rispecchiare lo spettatore otaku in tutte le sue contraddizioni. Reali. "Aku no Ana" non è il classico prodotto di consumo il cui compito è alienare l'otaku medio dalla realtà. E' la realtà sbattuta in faccia al suo pubblico di riferimento.
La trama rientra nei canoni tipici di uno slice of life introspettivo: un otaku di nome Takao Kasuga è ossessionato da un libro che non riesce a comprendere, "Les fleurs du Mal" di Baudelaire. Egli vede in Nanako Saeki, una brava ragazza dalla bellezza acqua e sapone, un'angelica ed inarrivabile musa ispiratrice. L'attacamento morboso verso la compagna lo spinge a rubarle la tuta, molto probabilmente al fine di praticare la masturbazione con essa. Tuttavia, la pecora nera della classe, tale disadattata e asociale Sawa Nakamura, scoprirà il misfatto ed inizierà a ricattarlo...
Il mood della serie è abbastanza pesante, angoscioso. Sembra di entrare nella vita e nelle turbe di un otaku modello; si vivono le sue manie, paranoie, contraddizioni e tormenti interiori. Le lunghe passeggiate nella più completa solitudine; i deliri di Sawa Nakamura, quanto mai tormentata, alienata, rabbiosa nei confronti della società/scuola; e nei confronti di sé stessa, messa in disparte dagli altri per via della sua stranezza e diversità. Una discriminata che affronta la sua condizione nel peggiore dei modi, ovvero sottomettendo l'apatico Takao, sia psicologicamente che fisicamente; tormentandolo, gridandogli in faccia, guardandolo con lo sguardo freddo, tagliente, come s'egli fosse un cane malato di rabbia. La violenza psicologica è l'unico modo che Sawa ha di comunicare con Takao; viceversa, Takao è talmente vuoto e chiuso in sé stesso che non ci prova neanche, a comunicare con Sawa. Agisce passivamente rispetto ad ogni cosa, anche quando il suo sogno d'amore platonico sembrerà realizzarsi. Allo stesso modo dei suoi genitori, anch'essi alienati, freddi, di poche parole, che badano esclusivamente alle apparenze, esattamente secondo i canoni dell'imprinting che hanno a loro volta subito - i genitori sono gli araldi della società civile, la prima istituzione contro cui un giovane si deve prima o poi confrontare.
Allo stesso modo di Sawa, anche Nanako è incapace di comunicare in modo chiaro con Takao. Ella è troppo buonista, fiduciosa, ingenua, concentrata al massimo sul suo rendimento scolastico e sui suoi studi musicali. Se il protagonista da una parte assorbe tutta la rabbia e la frustrazione di un'emarginata sociale, dall'altra è l'oggetto di un'idealizzazione buonista indotta dall'imprinting borghese e benpensante di Nanako. Il culmine di tale dualismo mistificatorio che inficia la comunicazione dei tre sarà l'ottima scena nella quale Takao dovrà scegliere se seguire la sua musa ispiratrice o la sua "Femme Fatale". Egli dichiarerà alle due di sentirsi come un recipiente, un relitto umano svuotato di ogni passione e finalità. Infatti, nessuna delle due lo vede come è realmente; ognuna delle due vede in lui sé stessa. Sawa vede in lui - anzi, vuole vedere in lui - un pervertito, un emarginato, un vile; Nanako vede in lui - anzi, vuole vedere in lui - un bravo ragazzo come tanti altri e niente di più. Entrambe uccidono a loro modo l'identità del protagonista. Entrambe sono state a loro volta vittime di un imprinting sbagliato e cercano di plasmare l'alienato otaku in base alla programmazione ricevuta dai rigidi usi e costumi della loro società. Tuttavia, la cosa che differenzia sostanzialmente Nanako da Sawa è il fatto che quest'ultima vorrebbe in qualche modo evadere dall'ambiente che la rende infelice - Sawa vuole andare con Takao "al di là della collina", vuole fuggire dalla società/scuola, dai genitori ecc. -, mentre invece Nanako è passiva, si adatta al sistema senza rendersi conto delle sue contraddizioni, in modo molto meno consapevole della sua controparte violenta e disadattata.
Il triangolo sentimentale di "Aku no Ana" non è quindi un triangolo cliché, ma uno strumento utilizzato al fine di mettere a nudo le difficoltà dei giovani giapponesi di adesso. La regia dell'anime è molto ricercata, e sfrutta a suo vantaggio l'espressività facciale derivante dall'utilizzo del rotoscopio per giocare con primi piani intensi, nei quali gli sguardi dei personaggi comunicano il loro dominio interiore, e inquadrature ben studiate, le quali contribuiscono a creare il particolare mood opprimente dell'anime, assieme ai numerosi silenzi e alle quanto mai ricercate BGM. Le lunghe passeggiate di Takao sono estenuanti da vedere, in modo assolutamente voluto, al fine di trasmettere quell'ansia, quel vuoto interiore, quel senso di angosciosa alienazione che caratterizza la vita di un otaku medio in Giappone. Anche la sovente dilatazione dei volti dei personaggi è voluta: spesso il viso di Sawa assume espressioni mustruose, inquietanti, come il suo sguardo; tale è la percezione contrastante della ragazza che ha Takao nel dominio della sua interiorità - nonostante ne sia comunque attratto, esattamente come lo era Baudelaire dalla sua venefica "Femme Fatale", oppure come lo era Tarchetti dall'inquietante, oscura e psicopatica Fosca -. Le espressioni stesse dei personaggi si fondono con i tormenti interiori del protagonista, il quale, non riuscendo a comunicare, vede tutto quello che lo circonda in modo distorto e falsato.
In conclusione, "Aku no Ana" è certamente un anime diverso dal solito, una testimonianza della condizione dei giovani giapponesi attualissima e quanto mai fraintesa dagli occidentali. Ho apprezzato molto le scelte del regista, autore dall'indubbio talento e versatilità che ha avuto il coraggio di creare qualcosa di diverso in un panorama nel quale l'omologazione fa da padrona. Ovviamente, la reazione degli otaku giapponesi a "Aku no Ana" è stata molto negativa: a nessuno piace essere messo a nudo. Proprio per questo, dubito fortemente che la seconda stagione dell'anime vedrà mai luce (l'ultima puntata della serie non è il finale, ma una sorta di trailer della seconda stagione). Pertanto, per conoscere il finale è necessario passare al manga. Il mio personale modo di valutare un'opera attribuisce molta importanza alla sua conclusione, ergo il mio voto è un sette variabile, che si potrebbe arrotondare a otto nel caso di un degno finale in un'ipotetica seconda stagione.
Nel contesto di un'animazione per la maggiorparte omologata a causa delle imposizioni del pubblico otaku, il regista Hiroshi Nagahama ("Mushishi", "Detroit Metal City") decide, molto coraggiosamente, di adattare l'omonimo manga di Shūzō Oshimi in modo visualmente provocatorio. "Aku no Ana" infatti è rivolto esclusivamente al pubblico di otaku giapponesi, e si rivolge a loro mettendoli a nudo, come uno specchio. Non ci sono lolite, moe, trovate fashion, voli pindarici di grafica. C'è un otaku disegnato al rotoscopio, con tutte le sue patologie e problemi tipici. La scelta del realismo nella grafica (rotoscopio vuol dire ricalcare i tratti di attori veri e poi animarli), nel dosaggio dei tempi, nella scelta dei numerosi silenzi, sono tutti elementi voluti al fine di far rispecchiare lo spettatore otaku in tutte le sue contraddizioni. Reali. "Aku no Ana" non è il classico prodotto di consumo il cui compito è alienare l'otaku medio dalla realtà. E' la realtà sbattuta in faccia al suo pubblico di riferimento.
La trama rientra nei canoni tipici di uno slice of life introspettivo: un otaku di nome Takao Kasuga è ossessionato da un libro che non riesce a comprendere, "Les fleurs du Mal" di Baudelaire. Egli vede in Nanako Saeki, una brava ragazza dalla bellezza acqua e sapone, un'angelica ed inarrivabile musa ispiratrice. L'attacamento morboso verso la compagna lo spinge a rubarle la tuta, molto probabilmente al fine di praticare la masturbazione con essa. Tuttavia, la pecora nera della classe, tale disadattata e asociale Sawa Nakamura, scoprirà il misfatto ed inizierà a ricattarlo...
Il mood della serie è abbastanza pesante, angoscioso. Sembra di entrare nella vita e nelle turbe di un otaku modello; si vivono le sue manie, paranoie, contraddizioni e tormenti interiori. Le lunghe passeggiate nella più completa solitudine; i deliri di Sawa Nakamura, quanto mai tormentata, alienata, rabbiosa nei confronti della società/scuola; e nei confronti di sé stessa, messa in disparte dagli altri per via della sua stranezza e diversità. Una discriminata che affronta la sua condizione nel peggiore dei modi, ovvero sottomettendo l'apatico Takao, sia psicologicamente che fisicamente; tormentandolo, gridandogli in faccia, guardandolo con lo sguardo freddo, tagliente, come s'egli fosse un cane malato di rabbia. La violenza psicologica è l'unico modo che Sawa ha di comunicare con Takao; viceversa, Takao è talmente vuoto e chiuso in sé stesso che non ci prova neanche, a comunicare con Sawa. Agisce passivamente rispetto ad ogni cosa, anche quando il suo sogno d'amore platonico sembrerà realizzarsi. Allo stesso modo dei suoi genitori, anch'essi alienati, freddi, di poche parole, che badano esclusivamente alle apparenze, esattamente secondo i canoni dell'imprinting che hanno a loro volta subito - i genitori sono gli araldi della società civile, la prima istituzione contro cui un giovane si deve prima o poi confrontare.
Allo stesso modo di Sawa, anche Nanako è incapace di comunicare in modo chiaro con Takao. Ella è troppo buonista, fiduciosa, ingenua, concentrata al massimo sul suo rendimento scolastico e sui suoi studi musicali. Se il protagonista da una parte assorbe tutta la rabbia e la frustrazione di un'emarginata sociale, dall'altra è l'oggetto di un'idealizzazione buonista indotta dall'imprinting borghese e benpensante di Nanako. Il culmine di tale dualismo mistificatorio che inficia la comunicazione dei tre sarà l'ottima scena nella quale Takao dovrà scegliere se seguire la sua musa ispiratrice o la sua "Femme Fatale". Egli dichiarerà alle due di sentirsi come un recipiente, un relitto umano svuotato di ogni passione e finalità. Infatti, nessuna delle due lo vede come è realmente; ognuna delle due vede in lui sé stessa. Sawa vede in lui - anzi, vuole vedere in lui - un pervertito, un emarginato, un vile; Nanako vede in lui - anzi, vuole vedere in lui - un bravo ragazzo come tanti altri e niente di più. Entrambe uccidono a loro modo l'identità del protagonista. Entrambe sono state a loro volta vittime di un imprinting sbagliato e cercano di plasmare l'alienato otaku in base alla programmazione ricevuta dai rigidi usi e costumi della loro società. Tuttavia, la cosa che differenzia sostanzialmente Nanako da Sawa è il fatto che quest'ultima vorrebbe in qualche modo evadere dall'ambiente che la rende infelice - Sawa vuole andare con Takao "al di là della collina", vuole fuggire dalla società/scuola, dai genitori ecc. -, mentre invece Nanako è passiva, si adatta al sistema senza rendersi conto delle sue contraddizioni, in modo molto meno consapevole della sua controparte violenta e disadattata.
Il triangolo sentimentale di "Aku no Ana" non è quindi un triangolo cliché, ma uno strumento utilizzato al fine di mettere a nudo le difficoltà dei giovani giapponesi di adesso. La regia dell'anime è molto ricercata, e sfrutta a suo vantaggio l'espressività facciale derivante dall'utilizzo del rotoscopio per giocare con primi piani intensi, nei quali gli sguardi dei personaggi comunicano il loro dominio interiore, e inquadrature ben studiate, le quali contribuiscono a creare il particolare mood opprimente dell'anime, assieme ai numerosi silenzi e alle quanto mai ricercate BGM. Le lunghe passeggiate di Takao sono estenuanti da vedere, in modo assolutamente voluto, al fine di trasmettere quell'ansia, quel vuoto interiore, quel senso di angosciosa alienazione che caratterizza la vita di un otaku medio in Giappone. Anche la sovente dilatazione dei volti dei personaggi è voluta: spesso il viso di Sawa assume espressioni mustruose, inquietanti, come il suo sguardo; tale è la percezione contrastante della ragazza che ha Takao nel dominio della sua interiorità - nonostante ne sia comunque attratto, esattamente come lo era Baudelaire dalla sua venefica "Femme Fatale", oppure come lo era Tarchetti dall'inquietante, oscura e psicopatica Fosca -. Le espressioni stesse dei personaggi si fondono con i tormenti interiori del protagonista, il quale, non riuscendo a comunicare, vede tutto quello che lo circonda in modo distorto e falsato.
In conclusione, "Aku no Ana" è certamente un anime diverso dal solito, una testimonianza della condizione dei giovani giapponesi attualissima e quanto mai fraintesa dagli occidentali. Ho apprezzato molto le scelte del regista, autore dall'indubbio talento e versatilità che ha avuto il coraggio di creare qualcosa di diverso in un panorama nel quale l'omologazione fa da padrona. Ovviamente, la reazione degli otaku giapponesi a "Aku no Ana" è stata molto negativa: a nessuno piace essere messo a nudo. Proprio per questo, dubito fortemente che la seconda stagione dell'anime vedrà mai luce (l'ultima puntata della serie non è il finale, ma una sorta di trailer della seconda stagione). Pertanto, per conoscere il finale è necessario passare al manga. Il mio personale modo di valutare un'opera attribuisce molta importanza alla sua conclusione, ergo il mio voto è un sette variabile, che si potrebbe arrotondare a otto nel caso di un degno finale in un'ipotetica seconda stagione.
"Aku no Hana", ovvero "I fiori del male", in omaggio a Charles Baudelaire autore dell'omonima raccolta di poesie, è stato un anime che mi ha molto sorpreso.
Confesso che inizialmente mi ci ero avvicinato perché incuriosito dal fatto che bene o male in tanti ne parlassero. Onestamente le critiche mosse al comparto grafico erano così tante e così serrate che si è accesa in me la "lampadina dei film brutti". Avete presente quei film che sono così brutti che alla fine paradossalmente risultano belli, perché ti fai delle grasse risate sopra? Ecco, quello è il concetto.
E invece, come ho detto sopra, sono rimasto molto sorpreso dalla visione. Cioè, non dall'aspetto grafico. Quello è pessimo sul serio, e anzi: si organizzi una petizione per fare in modo che in futuro ci siano i fondi per aumentare un pelino il numero di fotogrammi per secondo!!
A lasciarmi una impressione molto positiva è stata l'analisi psicologica che viene fatta dei personaggi principali, spesso brutale e spietata, ma efficace. La trama in sé è semplice: si parte da un episodio apparentemente di poco conto che finisce col diventare, per il protagonista, più pesante di un grande macigno, e lo porterà a ritrovarsi succube di una compagna di classe particolarmente… eccentrica (ma si può sul serio definire solo "eccentrica"? Lascio ai posteri il giudizio!) e contemporaneamente a gestire un complicato rapporto con la ragazza di cui è innamorato.
Una storia a tre, dunque, che porterà ciascun membro del trio fin sull'orlo del baratro delle proprie emozioni e dei propri sentimenti, sollevando in loro e negli spettatori domande esistenziali circa il ruolo che abbiamo nella società o su quelle che sono le reali motivazioni che stanno dietro alle nostre azioni. A me è venuta in mente la metafora delle maschere di Pirandello, per dire.
Un altro aspetto che ho molto apprezzato è proprio il riferimento alla letteratura, anche se in realtà il ruolo che "i fiori del male" avranno non sarà quello che si potrebbe pensare in un primo istante, e invito a scoprire il perché di questo a chi si avventurerà nella visione di questa serie.
Prima di chiudere e passare al giudizio complessivo, voglio spendere due parole sull'aspetto audio. Ho apprezzato molto la musicalità delle opening, che messe insieme formano una sorta di botta e risposta aggiuntivo tra i personaggi principali. Di rimando, proprio non sono riuscito a farmi piacere l'ending, decisamente troppo lugubre per i miei gusti.
Bene, tiriamo le somme: per trama e personaggi penso che si potrebbe assegnare rispettivamente un 8 e un 10, per il finale mi astengo (poiché è evidente che si vuole preparare una seconda stagione), mentre per quanto riguarda grafica e sonoro assegno un 2 alla prima e un 7 alla seconda. Un complessivo 7 dunque. Chissà, magari nella seconda stagione migliorerà anche la grafica! Lo spero, anche se lo guarderei comunque.
Confesso che inizialmente mi ci ero avvicinato perché incuriosito dal fatto che bene o male in tanti ne parlassero. Onestamente le critiche mosse al comparto grafico erano così tante e così serrate che si è accesa in me la "lampadina dei film brutti". Avete presente quei film che sono così brutti che alla fine paradossalmente risultano belli, perché ti fai delle grasse risate sopra? Ecco, quello è il concetto.
E invece, come ho detto sopra, sono rimasto molto sorpreso dalla visione. Cioè, non dall'aspetto grafico. Quello è pessimo sul serio, e anzi: si organizzi una petizione per fare in modo che in futuro ci siano i fondi per aumentare un pelino il numero di fotogrammi per secondo!!
A lasciarmi una impressione molto positiva è stata l'analisi psicologica che viene fatta dei personaggi principali, spesso brutale e spietata, ma efficace. La trama in sé è semplice: si parte da un episodio apparentemente di poco conto che finisce col diventare, per il protagonista, più pesante di un grande macigno, e lo porterà a ritrovarsi succube di una compagna di classe particolarmente… eccentrica (ma si può sul serio definire solo "eccentrica"? Lascio ai posteri il giudizio!) e contemporaneamente a gestire un complicato rapporto con la ragazza di cui è innamorato.
Una storia a tre, dunque, che porterà ciascun membro del trio fin sull'orlo del baratro delle proprie emozioni e dei propri sentimenti, sollevando in loro e negli spettatori domande esistenziali circa il ruolo che abbiamo nella società o su quelle che sono le reali motivazioni che stanno dietro alle nostre azioni. A me è venuta in mente la metafora delle maschere di Pirandello, per dire.
Un altro aspetto che ho molto apprezzato è proprio il riferimento alla letteratura, anche se in realtà il ruolo che "i fiori del male" avranno non sarà quello che si potrebbe pensare in un primo istante, e invito a scoprire il perché di questo a chi si avventurerà nella visione di questa serie.
Prima di chiudere e passare al giudizio complessivo, voglio spendere due parole sull'aspetto audio. Ho apprezzato molto la musicalità delle opening, che messe insieme formano una sorta di botta e risposta aggiuntivo tra i personaggi principali. Di rimando, proprio non sono riuscito a farmi piacere l'ending, decisamente troppo lugubre per i miei gusti.
Bene, tiriamo le somme: per trama e personaggi penso che si potrebbe assegnare rispettivamente un 8 e un 10, per il finale mi astengo (poiché è evidente che si vuole preparare una seconda stagione), mentre per quanto riguarda grafica e sonoro assegno un 2 alla prima e un 7 alla seconda. Un complessivo 7 dunque. Chissà, magari nella seconda stagione migliorerà anche la grafica! Lo spero, anche se lo guarderei comunque.
Al suo debutto questo anime raccolse numerose critiche negative, ma dopo che venne droppato da molti, la sua valutazione globale (non sto considerando le recensioni su Animeclick.it) cominciò a risalire, fino a stabilizzarsi a una via di mezzo, che non mise d'accordo ne i fan, ne gli haters.
La storia è più semplice e banale di quel che sembra apparire: Takao è un giovane e diligente studente con la passione per la lettura, e prova un'amore platonico verso una sua bella compagna di classe, la gentile Nanako. Un giorno però, tornando da solo nella classe vuota dove aveva dimenticato il suo libro preferito, nota per caso la tuta da ginnastica proprio della ragazza che ama, che era casualmente caduta dallo scaffale su cui stava. Appena tocca la tuta per rimetterla a posto, sente dei rumori, e per paura di cadere in un malinteso, si nasconde addosso la tuta, e alla fine se la porta a casa, sembrando come se l'avesse rubata. Ma qualcuno ha visto ciò che ha fatto, e quel qualcuno è un'altra compagna di classe, Nakamura, che per sua sfortuna è la "pecora nera" della classe, una ragazzaccia emarginata, solitaria, dal pessimo carattere, e quella con i voti peggiori di tutti, una somara insomma, e pure teppista. Essa non spiffererà in giro quel che ha visto, ma ricatterà Takao rendendolo suo schiavetto. Da questo momento, nascono situazioni che vedono Takao soffrire e Nakamura cercare di convertire Takao al "male", o come sostiene lei, di risvegliare la sua vera indole nascosta da pervertito.
Lo svolgimento della trama è fatto in modo da far sembrare l'opera un capolavoro, ma in realtà è una storia piuttosto normale, spesso persino mediocre, banale e noiosa. Non sembra di stare guardare un'anime, ma ben sì un live action con attori in carne e ossa, il tutto dipende fortemente dallo stile grafico, quale è il rotoscopio, che detta prepotentemente le sue regole, sbriciolando quel che di fatto dovrebbe essere considerato un anime.
Se si fosse fatto un live action anzichè un anime, secondo me sarebbe stato molto meglio, il risultato grafico è oggettivamente molto inferiore della maggior parte degli anime, e della maggior parte dei live action. Certe volte è meglio non fondere due cose che da sole sarebbero state normali, e insieme diventare una mostruosità. L'anime comunque gioca sul misterioso carattere di Nakamura, e l'impegno maggiore è quello di comprendere la mentalità della strana ragazza, e di capire il suo scopo. Scopo che in realtà non è davvero nulla di speciale a mio avviso, e anzi, una volta appreso, sono rimasto molto perplesso dalla gran normalità e scarsa originalità offerta. Penso di non esagerare pensando che lo scopo dell'anime sia il nulla spacciato come gran cosa speciale, tutto ciò che ho visto in questo anime, sono banali turbe psichiche della pubertà adolescenziale, di una ragazza disgustata dalla realtà e che di conseguenza si comporta in modo disgustoso a modo suo anche lei, e trascina un coetaneo senza personalità, nelle sue deboli perversioni davvero senza senso. Una ragazzaccia mestruata che si crede sola contro il mondo, e che pensa di cambiarlo compiendo delle bravate inutili.
Detto questo, l'anime a livello di trama e svolgimento della storia per me sarebbe a mala pena sufficiente, ma non posso salvarlo, perchè il suo comparto tecnico è inaccettabile. Per me l'utilizzo del rotoscopio è stata una pessima idea, non accetto scusanti di basso budget, se doveva venire fuori una cosa del genere, secondo me era meglio non provare neanche a farla. Disegni e animazioni sono orribili, i colori monocromatici e la mancanza di ombre completano il disastro.
Se mi limito a dare 5 all'anime, invece che un voto inferiore, è grazie alle musiche, che sicuramente sono strane e a molti possono fare schifo, ma io le ho trovate decenti, non dico belle, però interessanti. Quantomeno le musiche si adattano abbastanza all'anime, che contribuiscono ad amplificare la paura che si prova a guardare il character design, che da solo fa concorrenza agli anime horror più spaventosi. Brutto anime secondo me, ma non del tutto pessimo, qualcosa è salvabile. Il finale lascia in sospeso l'anime, promettendo una possibile futura seconda serie. Lo consiglio a chi è appassionato di live action, perchè quest'opera è più simile ad un live action che ad un anime.
La storia è più semplice e banale di quel che sembra apparire: Takao è un giovane e diligente studente con la passione per la lettura, e prova un'amore platonico verso una sua bella compagna di classe, la gentile Nanako. Un giorno però, tornando da solo nella classe vuota dove aveva dimenticato il suo libro preferito, nota per caso la tuta da ginnastica proprio della ragazza che ama, che era casualmente caduta dallo scaffale su cui stava. Appena tocca la tuta per rimetterla a posto, sente dei rumori, e per paura di cadere in un malinteso, si nasconde addosso la tuta, e alla fine se la porta a casa, sembrando come se l'avesse rubata. Ma qualcuno ha visto ciò che ha fatto, e quel qualcuno è un'altra compagna di classe, Nakamura, che per sua sfortuna è la "pecora nera" della classe, una ragazzaccia emarginata, solitaria, dal pessimo carattere, e quella con i voti peggiori di tutti, una somara insomma, e pure teppista. Essa non spiffererà in giro quel che ha visto, ma ricatterà Takao rendendolo suo schiavetto. Da questo momento, nascono situazioni che vedono Takao soffrire e Nakamura cercare di convertire Takao al "male", o come sostiene lei, di risvegliare la sua vera indole nascosta da pervertito.
Lo svolgimento della trama è fatto in modo da far sembrare l'opera un capolavoro, ma in realtà è una storia piuttosto normale, spesso persino mediocre, banale e noiosa. Non sembra di stare guardare un'anime, ma ben sì un live action con attori in carne e ossa, il tutto dipende fortemente dallo stile grafico, quale è il rotoscopio, che detta prepotentemente le sue regole, sbriciolando quel che di fatto dovrebbe essere considerato un anime.
Se si fosse fatto un live action anzichè un anime, secondo me sarebbe stato molto meglio, il risultato grafico è oggettivamente molto inferiore della maggior parte degli anime, e della maggior parte dei live action. Certe volte è meglio non fondere due cose che da sole sarebbero state normali, e insieme diventare una mostruosità. L'anime comunque gioca sul misterioso carattere di Nakamura, e l'impegno maggiore è quello di comprendere la mentalità della strana ragazza, e di capire il suo scopo. Scopo che in realtà non è davvero nulla di speciale a mio avviso, e anzi, una volta appreso, sono rimasto molto perplesso dalla gran normalità e scarsa originalità offerta. Penso di non esagerare pensando che lo scopo dell'anime sia il nulla spacciato come gran cosa speciale, tutto ciò che ho visto in questo anime, sono banali turbe psichiche della pubertà adolescenziale, di una ragazza disgustata dalla realtà e che di conseguenza si comporta in modo disgustoso a modo suo anche lei, e trascina un coetaneo senza personalità, nelle sue deboli perversioni davvero senza senso. Una ragazzaccia mestruata che si crede sola contro il mondo, e che pensa di cambiarlo compiendo delle bravate inutili.
Detto questo, l'anime a livello di trama e svolgimento della storia per me sarebbe a mala pena sufficiente, ma non posso salvarlo, perchè il suo comparto tecnico è inaccettabile. Per me l'utilizzo del rotoscopio è stata una pessima idea, non accetto scusanti di basso budget, se doveva venire fuori una cosa del genere, secondo me era meglio non provare neanche a farla. Disegni e animazioni sono orribili, i colori monocromatici e la mancanza di ombre completano il disastro.
Se mi limito a dare 5 all'anime, invece che un voto inferiore, è grazie alle musiche, che sicuramente sono strane e a molti possono fare schifo, ma io le ho trovate decenti, non dico belle, però interessanti. Quantomeno le musiche si adattano abbastanza all'anime, che contribuiscono ad amplificare la paura che si prova a guardare il character design, che da solo fa concorrenza agli anime horror più spaventosi. Brutto anime secondo me, ma non del tutto pessimo, qualcosa è salvabile. Il finale lascia in sospeso l'anime, promettendo una possibile futura seconda serie. Lo consiglio a chi è appassionato di live action, perchè quest'opera è più simile ad un live action che ad un anime.
A giudicare dai giudizi espressi dagli altri lettori, Aku no hana è un titolo che o si ama o si odia. E' questo, forse, un destino inevitabile per tutte quelle opere che richiedono doti di comprensione superiore a quello dello spettatore comune; non vorrei esagerare con i parallelismi, ma a me ricorda un pò ciò che sta accadendo in questi giorni con "La grande bellezza" di Sorrentino, premio oscar 2014 come migliore film straniero. Credo che a tutti sia capitato di constatare, nella giornata successiva al suo primo passaggio televisivo (che poi era anche il giorno successivo alla vittoria), che il pubblico si era letteralmente diviso a metà: chi si era sforzato di capirlo lo osannava mentre chi non ha avuto questa pazienza si dichiarava delusissimo. Allo stesso modo anche questo Aku no Hana richiede un forte sforzo interpretativo. Tengo a precisare che con questo non intendo dire che chi ne ha parlato male non ci abbia riflettuto prima di farlo; dico solo che questo anime esprime concetti critici verso un tipo di società, quella giapponese, troppo lontana dalla nostra per cui è obiettivamente complicatissimo per noi coglierne il significato e l'importanza. E, in verità, non si capisce nemmeno perchè lo spettatore italico in cerca di puro svago dovrebbe cercare di farlo.
Aku no hana rappresenta una voce critica verso l'ipocrisia propagandistica del "sogno giapponese", ossia di quell'immagine di un paese operoso e volenteroso, in cui i saggi valori del passato si fondono senza traccia di contestazione ad una società assolutamente moderna. E' questa un'immagine che va diffusa sia all'interno del paese, al fine di creare dei veri e propri modelli comportamentali a cui i più giovani devono aspirare, che all'esterno, al fine di promuovere l'immagine nazionale. E questo, ovviamente, avviene cercando di nascondere sotto il tappeto tutti i lati più oscuri e inconfessabili della società nipponica.
La scelta di usare il giroscopio, a mio avviso, va considerata in linea con l'impostazione critica propria di quest'opera. Tutti noi, almeno una volta, ci siamo chiesti come mai i lineamenti dei protagonisti degli anime appaiono di stampo occidentale o neutro se poi invece si tratta di prodotti giapponesi e, in genere, sono ambientati in Giappone. L'uso di questo strumento, invece, ha reso possibile creare personaggi con lineamenti, mai come in questo caso, assolutamente orientali. E' un pò come se questo modo l'autore avesse voluto dire al pubblico: "Ehi, sto parlando di noi e solo di noi giapponesi".
L'impostazione critica poi si concretizza nella trama: colto nell'atto di trafugare la tuta da ginnastica della ragazza che amava, il giovano Takao è costretto a stringere un non ben specificato contratto con Sawa Nakamura, una ragazza dal carattere difficile. Da quel momento Takao cercherà di resistere inutilmente alle richieste sempre più spinte della ragazza ma finirà per cedere ogni volta. Inizialmente lo spettatore è portato a credere che ciò dipenda dalla debolezza di lui; poi però si renderà conto che Nakamura è dalla parte della ragione e le sue azioni servono effettivamente ad abbattere quei muri dietro i quali il ragazzo nascondeva la sua vera natura (quello di un pervertito).
Takao, in sostanza, rappresenta la parte malata di un paese che cerca con tutte le sue forze di reprimersi e rispettare i canoni tradizionali: amante dei libri e di Baudelaire; considera la ragazza che ama come una specie di Madonna; mai un problema in famiglia. In Nakamura io ho visto, invece, la trasfigurazione dell'autore di questo anime che sembra, di nuovo, dire:"Ehi, in realtà noi giapponesi non siamo così".
Le opere che vanno controcorrente in genere ottengono sempre il mio consenso: e anche per Aku no Hana il mio giudizio è positivo. Non è un lavoro eccelso, ogni tanto diventa noioso ed ha un irritante non-finale; ma a parte questo si è rivelato un prodotto difficile ma interessantissimo.
Aku no hana rappresenta una voce critica verso l'ipocrisia propagandistica del "sogno giapponese", ossia di quell'immagine di un paese operoso e volenteroso, in cui i saggi valori del passato si fondono senza traccia di contestazione ad una società assolutamente moderna. E' questa un'immagine che va diffusa sia all'interno del paese, al fine di creare dei veri e propri modelli comportamentali a cui i più giovani devono aspirare, che all'esterno, al fine di promuovere l'immagine nazionale. E questo, ovviamente, avviene cercando di nascondere sotto il tappeto tutti i lati più oscuri e inconfessabili della società nipponica.
La scelta di usare il giroscopio, a mio avviso, va considerata in linea con l'impostazione critica propria di quest'opera. Tutti noi, almeno una volta, ci siamo chiesti come mai i lineamenti dei protagonisti degli anime appaiono di stampo occidentale o neutro se poi invece si tratta di prodotti giapponesi e, in genere, sono ambientati in Giappone. L'uso di questo strumento, invece, ha reso possibile creare personaggi con lineamenti, mai come in questo caso, assolutamente orientali. E' un pò come se questo modo l'autore avesse voluto dire al pubblico: "Ehi, sto parlando di noi e solo di noi giapponesi".
L'impostazione critica poi si concretizza nella trama: colto nell'atto di trafugare la tuta da ginnastica della ragazza che amava, il giovano Takao è costretto a stringere un non ben specificato contratto con Sawa Nakamura, una ragazza dal carattere difficile. Da quel momento Takao cercherà di resistere inutilmente alle richieste sempre più spinte della ragazza ma finirà per cedere ogni volta. Inizialmente lo spettatore è portato a credere che ciò dipenda dalla debolezza di lui; poi però si renderà conto che Nakamura è dalla parte della ragione e le sue azioni servono effettivamente ad abbattere quei muri dietro i quali il ragazzo nascondeva la sua vera natura (quello di un pervertito).
Takao, in sostanza, rappresenta la parte malata di un paese che cerca con tutte le sue forze di reprimersi e rispettare i canoni tradizionali: amante dei libri e di Baudelaire; considera la ragazza che ama come una specie di Madonna; mai un problema in famiglia. In Nakamura io ho visto, invece, la trasfigurazione dell'autore di questo anime che sembra, di nuovo, dire:"Ehi, in realtà noi giapponesi non siamo così".
Le opere che vanno controcorrente in genere ottengono sempre il mio consenso: e anche per Aku no Hana il mio giudizio è positivo. Non è un lavoro eccelso, ogni tanto diventa noioso ed ha un irritante non-finale; ma a parte questo si è rivelato un prodotto difficile ma interessantissimo.
Pongo come premessa che ho gradito molto la tecnica del rotoscopio, che non mi pare appesantisca alcunché e che, anzi, credo conferisca un realismo altrimenti non raggiungibile contemporaneamente ad una certa aurea di indeterminatezza e di fumosità dovuta, forse, alla mancanza di confini nelle figure, in molti casi.
Detto ciò, a mio parere "Aku no hana" si è perso per strada. Ho davvero apprezzato i primi episodii. Mi sembrava che l'apatia del protagonista, la carenza di musiche, lo stallo dell'atmosfera rimandasse ad una sorta di Serial Experiments Lain del nuovo secolo. Questa mia convinzione non è durata troppo; credo 4-5 episodii. I continui piagnistei che il protagonista mi propinava sono riusciti a distruggere il rapporto che credevo di aver rilevato fra quest'opera e la suddetta, oltre a ciò anche quella sorta di triangolo amoroso che viene a crearsi non ha fatto altro che distogliermi dall'idea secondo cui si potesse arrivare ad un compromesso finale. Tutto ciò in Lain ovviamente non è presente: lì l'apatia è costante, indefessa, niente riesce effettivamente a scalfirla.
Ebbene, si può, perciò, asserire che similarità non ve ne sono, va perciò apprezzata come opera a sé stante. Apprezzata fino ad un certo punto. Credo che "Aku no hana" abbia la capacità di creare alcuni momenti di forte angoscia o comunque di uno sbarramento dei sensi, in particolare in chi ha familiarità con i pensieri di Nakamura e con la relativa atmosfera che ne deriva. Non credo, però, che la totale ed incomprensibile mancanza di spina dorsale del protagonista aiuti il tutto a mantenersi in piedi. Più che altro perché diviene incredibilmente insopportabile dopo un certo tempo. Diviene fisicamente doloroso accettare tale mancanza di scroto, si prova dolore alle articolazioni quando si comprende di non poter prenderlo per il colletto e schiaffeggiarlo.
Credo che il restante sia stato gestito bene, a partire dal legame di sottomissione che lega i due per finire col legame platonico anti-reale degli altri due.
In sostanza si può affermare che bisogna assolutamente togliersi dalla mente l'idea che "Aku no hana" possa assomigliare a prodotti come "Serial Experiments Lain" (e magari sono l'unico ad averci pensato, in questo caso sarà un memorandum a me rivolto) ed accettare quest'opera per quel che è, ossia uno psicologico-sentimentale in cui il sentimentale - coi suoi necessarii piagnistei, che sono causa e conseguenza del genere - prende un po' troppa importanza per i miei gusti.
Posso comunque dirvi che la ending è fantastica. Se non vi dovesse piacere l'anime aspetterete trepidanti il 20° minuto.
Detto ciò, a mio parere "Aku no hana" si è perso per strada. Ho davvero apprezzato i primi episodii. Mi sembrava che l'apatia del protagonista, la carenza di musiche, lo stallo dell'atmosfera rimandasse ad una sorta di Serial Experiments Lain del nuovo secolo. Questa mia convinzione non è durata troppo; credo 4-5 episodii. I continui piagnistei che il protagonista mi propinava sono riusciti a distruggere il rapporto che credevo di aver rilevato fra quest'opera e la suddetta, oltre a ciò anche quella sorta di triangolo amoroso che viene a crearsi non ha fatto altro che distogliermi dall'idea secondo cui si potesse arrivare ad un compromesso finale. Tutto ciò in Lain ovviamente non è presente: lì l'apatia è costante, indefessa, niente riesce effettivamente a scalfirla.
Ebbene, si può, perciò, asserire che similarità non ve ne sono, va perciò apprezzata come opera a sé stante. Apprezzata fino ad un certo punto. Credo che "Aku no hana" abbia la capacità di creare alcuni momenti di forte angoscia o comunque di uno sbarramento dei sensi, in particolare in chi ha familiarità con i pensieri di Nakamura e con la relativa atmosfera che ne deriva. Non credo, però, che la totale ed incomprensibile mancanza di spina dorsale del protagonista aiuti il tutto a mantenersi in piedi. Più che altro perché diviene incredibilmente insopportabile dopo un certo tempo. Diviene fisicamente doloroso accettare tale mancanza di scroto, si prova dolore alle articolazioni quando si comprende di non poter prenderlo per il colletto e schiaffeggiarlo.
Credo che il restante sia stato gestito bene, a partire dal legame di sottomissione che lega i due per finire col legame platonico anti-reale degli altri due.
In sostanza si può affermare che bisogna assolutamente togliersi dalla mente l'idea che "Aku no hana" possa assomigliare a prodotti come "Serial Experiments Lain" (e magari sono l'unico ad averci pensato, in questo caso sarà un memorandum a me rivolto) ed accettare quest'opera per quel che è, ossia uno psicologico-sentimentale in cui il sentimentale - coi suoi necessarii piagnistei, che sono causa e conseguenza del genere - prende un po' troppa importanza per i miei gusti.
Posso comunque dirvi che la ending è fantastica. Se non vi dovesse piacere l'anime aspetterete trepidanti il 20° minuto.
"Aku No Ana" è la seconda opera maggiore di Shuzo Oshimi e senza mezzi termini anche la più riuscita. Dopo aver letto la maggior parte della sua bibliografia ho notato tra i suoi lavori come ci sia sempre la stessa struttura di base, ovvero la presenza di protagonisti dal profilo psicologico insolito, spesso eccentrici e lunatici, sempre costituiti da una coppia composta da un uomo ed una donna che durante la narrazione si trovano spesso in situazioni a dir poco traumatiche che lasciano spaesati sia loro che i lettori. Con l'avanzare della trama queste situazioni diventano sempre più comuni, al punto che sia i protagonisti che i lettori arrivano a considerarle come consuete e normali, una sorta di assuefazione morale provocata dall'autore. Ovviamente tutto ciò è presente anche in "Aku No Ana", portato però alla sua massima espressione. La trasposizione ad anime è stata affidata a Nagahama Hiroshi, a parer miouno dei migliori animatori presenti attualmente, alla sua terza direzione dopo quelle mastodontiche di "Mushishi" e "Detroit Metal City".
PLOT
Takao Kasuga è un ragazzo normale, figlio unico di una normalissima coppia di borghesi e con la passione per la letteratura, in particolar modo de "I fiori del male" di Baudelaire. Tutto è nella mediocre normalità. Un giorno riceve una insufficienza in un test di matematica ma non sembra nemmeno accorgersene perché troppo preso, surrettiziamente, dalla sua passione incompresa per la letteratura. Finite le lezioni e in cammino verso casa con i suoi pseudo-amici si accorge di aver dimenticato sotto il suo banco il suo libro preferito. Tornato in classe, Takao trova a terra i vestiti da ginnastica appartenenti alla bella Nanako Saeki per la quale prova dei sentimenti ed in un momento di debolezza li nasconde nel suo zaino e corre verso casa. Purtroppo per Takao c'è un testimone del furto: Sawa Nakamura, una sua compagna di classe strana e solitaria che il giorno dopo lo ricatterà costringendolo a firmare un "contratto" con lei in cambio del suo silenzio sull'accaduto. Da qui vedremo Takao lottare interiormente sulla decisione di confessare o coprire i suoi misfatti, scelta che influenzerà la conquista della sua femme fatale e lo scioglimento del contratto con Nakamura, la sua nuova BFF (Best Friend Forever).
COMMENTO CRITICO
Essendo molti i punti che andrò a trattare il commento per questo anime sarà suddiviso in piccoli paragrafi così da avere una lettura meno pesante e più ordinata.
- IL DILEMMA DEL ROTOSCOPIO
La trasposizione ad anime di Aku No Hana è forse stata una delle più criticate di sempre. Gli appassionati del manga criticarono aspramente Nagahama per aver scelto il rotoscopio al posto del tipico "anime style", e quindi di essersi discostato troppo dai disegni originali del manga. Non mi è nuova l'ottusità delle persone. Qui ci troviamo davanti ad un vero e proprio miracolo. Un animatore che legge l'opera, la comprende e la fa sua; capisce che l'opera renderebbe meglio usando delle forme più realistiche e meno "cartoonesche". Non a caso lo stesso Oshimi non si oppose a tale scelta, anzi l'appoggia. Non solo il titolo dell'opera si rifà all'occidente, ma l'intera opera è ispirata ai capolavori di letteratura dell'ottocento francese. Quando avete letto "Madame Bovary", o qualsiasi altra opera di quel periodo, di certo non ve la sarete immaginata come un anime giapponese o come un cartoon disneyano ma sicuramente come un film, qualcosa di realistico insomma. La scelta del rotoscopio è proprio per dare un senso maggiore di realtà allo spettatore, per ridurre al minimo il distacco tra realtà e finzione. Pensate alle moltissime inquadrature di vicoli, strade deserte e passaggi a livello rese come delle fotografie (come nei film di Makoto Shinkai) per trasmettere meglio allo spettatore la sensazione di desolazione e monotonia. Per non parlare dei personaggi e delle animazioni dei movimenti dove il rotoscopio fa davvero la differenza. Finalmente non si hanno più personaggi con occhi e fisici sproporzionati o movimenti strambi o fuori dalle capacità umane; in breve Nagahama è riuscito ad annientare totalmente il fenomeno del mukokuseki.
Cosa dire ancora…dopo aver visto i precedenti lavori di Hiroshi Nagahama non avevo alcun dubbio sul fatto che fosse un eccellente animatore ma con Aku No Hana è andato oltre ogni mia aspettativa. Sublime.
- I "FLEURS DU MAL" E GLI "AKU NO HANA"
E' appurato come Oshimi sia stato ispirato dalla letteratura occidentale ed in particolar modo da "I fiori del male" di Baudelaire, ma non bisogna mai dimenticare che è un autore nipponico e che il suo non è stato un plagio al grade autore francese ma un adattamento, anzi una vera e propria evoluzione dell'originale. Oshimi in Aku No Hana segue solamente le tematiche alla base dell'opera baudelairiana: ovvero il concetto dello spleen e quello dell'albatro. La prima differenza è proprio nella concezione di "Fleurs du mal". Sappiamo che Baudelaire con "fiori del male" intende quei paradisi artificiali (droghe ed alcohol) e quegli amori proibiti e peccaminosi che danno l'illusoria speranza di un conforto in una vita di angoscia. Mentre per Oshimi gli "aku no hana" non sono assolutamente paradisi artificiali, ma sono gli stessi personaggi che diventano fiori del male. Mi spiego. Il primo fiore del male è ovviamente Nanako, quell'amore impossibile (e non proibito e peccaminoso come quelli di Baudelaire) che dona al protagonista quell'illusoria raison d'etre. Il secondo fiore del male altro non è che Takao stesso, divenuto il giocattolo preferito di Sawa, che annoiata ed angosciata dalla vita trova nel protagonista un'illusoria fonte di felicità. Nell'ultimo episodio infine quando Takao legge il diario di Sawa sboccia il terzo fiore e le parti si invertono, anzi, l'uno diventa il fiore del male dell'altra e viceversa.
- L'AMOR FOLLE E L'AMOR MATERNO
Da buon conoscitore della letteratura francese Oshimi non dimentica di inserire nella sua opera una delle tematiche più usate e famose del romanticismo : l'amor folle e l'amor materno. Con parole molto spicciole, per chi non conoscesse tale tematica, l'amor folle è rappresentato dalla femme fatale, ovvero la donna che si ama infinitamente e per la quale si sarebbe disposti a tutto, senza ricevere però nulla in cambio ne amore ne affetto. Al contrario l'amor materno è rappresentato da una donna che non si ama, ma è lei ad amarti imprescindibilmente, proprio come l'amore di una madre verso un figlio. Ne "L'Éducation sentimentale" di Flaubert questa tematica trova forse la sua massima espressione; nel romanzo l'autore fa sentire al lettore tutto il peso ed il dolore che prova il protagonista nello scegliere l'una (folle) o l'altra donna (materno), e come le conseguenze di tale scelta siano brutali ed immutabili. Ovviamente Oshimi non si limita ad una banale scopiazzatura, tantomeno al solo adeguamento storico e culturale, ma riesce con il suo tocco a dare ancora più spessore al concetto. Il triangolo c'è sempre (Takao, Nanako e Sawa) ma come i personaggi si evolvono da persone normali ad "aku no hana" lo stesso avviene anche per le figure di amor folle ed amor materno, anch'esse in continua evoluzione. Inizialmente la femme fatale per Takao come lui più volte confessa è Nanako, mentre Sawa sembra più amarlo (seppur sadicamente) per quello che secondo lei è in realtà, un deviato; ma con il prosieguo della trama le due protagoniste si scambiano di ruolo : Nanako, sotto la pioggia del decimo episodio, accetta Takao nonostante sia venuta a conoscenza di tutti i suoi misfatti; mentre Sawa, come Asuka in "Neon Genesis Evangelion", una volta scoperta la mediocrità di Takao cade nella disperazione più totale e l'unico sentimento rimasto verso di lui è il disgusto.
CONCLUSIONI
"Aku no Hana" è il fiore nel deserto dell'animazione degli ultimi anni, sublime in tutti i suoi aspetti : un lato narrativo ottimamente strutturato, dei personaggi con uno spessore psicologico enorme ed un lato artistico stupefacente. L'unica nota negativa dell'anime è data dal fatto che questa sia solamente la prima di n serie. Di fatti alla fine dei tredici episodi si ha la sensazione di aver letto i primi capitoli di un meraviglioso romanzo senza però conoscerne lo sviluppo ed il finale. Ovviamente non si tratta del primo anime rilasciato in più serie (anche perchè il manga è tuttora on-going), tuttavia in "Aku no Hana" questo ha un peso diverso e molto più pesante. Avrete ormai capito che non ci troviamo davanti ad un anime qualsiasi ma ad un'opera che punta molto in alto, dalle basi maestose, che potrebbe però crollare su stessa come un castello di carte. Cos'altro dire…non ci resta che aspettare ansiosamente la seconda serie ed incrociare le dita.
Tratta dal mio blog personale: http://hanagasaitayo.wordpress.com/2013/12/12/aku-no-hana-commento-critico/
PLOT
Takao Kasuga è un ragazzo normale, figlio unico di una normalissima coppia di borghesi e con la passione per la letteratura, in particolar modo de "I fiori del male" di Baudelaire. Tutto è nella mediocre normalità. Un giorno riceve una insufficienza in un test di matematica ma non sembra nemmeno accorgersene perché troppo preso, surrettiziamente, dalla sua passione incompresa per la letteratura. Finite le lezioni e in cammino verso casa con i suoi pseudo-amici si accorge di aver dimenticato sotto il suo banco il suo libro preferito. Tornato in classe, Takao trova a terra i vestiti da ginnastica appartenenti alla bella Nanako Saeki per la quale prova dei sentimenti ed in un momento di debolezza li nasconde nel suo zaino e corre verso casa. Purtroppo per Takao c'è un testimone del furto: Sawa Nakamura, una sua compagna di classe strana e solitaria che il giorno dopo lo ricatterà costringendolo a firmare un "contratto" con lei in cambio del suo silenzio sull'accaduto. Da qui vedremo Takao lottare interiormente sulla decisione di confessare o coprire i suoi misfatti, scelta che influenzerà la conquista della sua femme fatale e lo scioglimento del contratto con Nakamura, la sua nuova BFF (Best Friend Forever).
COMMENTO CRITICO
Essendo molti i punti che andrò a trattare il commento per questo anime sarà suddiviso in piccoli paragrafi così da avere una lettura meno pesante e più ordinata.
- IL DILEMMA DEL ROTOSCOPIO
La trasposizione ad anime di Aku No Hana è forse stata una delle più criticate di sempre. Gli appassionati del manga criticarono aspramente Nagahama per aver scelto il rotoscopio al posto del tipico "anime style", e quindi di essersi discostato troppo dai disegni originali del manga. Non mi è nuova l'ottusità delle persone. Qui ci troviamo davanti ad un vero e proprio miracolo. Un animatore che legge l'opera, la comprende e la fa sua; capisce che l'opera renderebbe meglio usando delle forme più realistiche e meno "cartoonesche". Non a caso lo stesso Oshimi non si oppose a tale scelta, anzi l'appoggia. Non solo il titolo dell'opera si rifà all'occidente, ma l'intera opera è ispirata ai capolavori di letteratura dell'ottocento francese. Quando avete letto "Madame Bovary", o qualsiasi altra opera di quel periodo, di certo non ve la sarete immaginata come un anime giapponese o come un cartoon disneyano ma sicuramente come un film, qualcosa di realistico insomma. La scelta del rotoscopio è proprio per dare un senso maggiore di realtà allo spettatore, per ridurre al minimo il distacco tra realtà e finzione. Pensate alle moltissime inquadrature di vicoli, strade deserte e passaggi a livello rese come delle fotografie (come nei film di Makoto Shinkai) per trasmettere meglio allo spettatore la sensazione di desolazione e monotonia. Per non parlare dei personaggi e delle animazioni dei movimenti dove il rotoscopio fa davvero la differenza. Finalmente non si hanno più personaggi con occhi e fisici sproporzionati o movimenti strambi o fuori dalle capacità umane; in breve Nagahama è riuscito ad annientare totalmente il fenomeno del mukokuseki.
Cosa dire ancora…dopo aver visto i precedenti lavori di Hiroshi Nagahama non avevo alcun dubbio sul fatto che fosse un eccellente animatore ma con Aku No Hana è andato oltre ogni mia aspettativa. Sublime.
- I "FLEURS DU MAL" E GLI "AKU NO HANA"
E' appurato come Oshimi sia stato ispirato dalla letteratura occidentale ed in particolar modo da "I fiori del male" di Baudelaire, ma non bisogna mai dimenticare che è un autore nipponico e che il suo non è stato un plagio al grade autore francese ma un adattamento, anzi una vera e propria evoluzione dell'originale. Oshimi in Aku No Hana segue solamente le tematiche alla base dell'opera baudelairiana: ovvero il concetto dello spleen e quello dell'albatro. La prima differenza è proprio nella concezione di "Fleurs du mal". Sappiamo che Baudelaire con "fiori del male" intende quei paradisi artificiali (droghe ed alcohol) e quegli amori proibiti e peccaminosi che danno l'illusoria speranza di un conforto in una vita di angoscia. Mentre per Oshimi gli "aku no hana" non sono assolutamente paradisi artificiali, ma sono gli stessi personaggi che diventano fiori del male. Mi spiego. Il primo fiore del male è ovviamente Nanako, quell'amore impossibile (e non proibito e peccaminoso come quelli di Baudelaire) che dona al protagonista quell'illusoria raison d'etre. Il secondo fiore del male altro non è che Takao stesso, divenuto il giocattolo preferito di Sawa, che annoiata ed angosciata dalla vita trova nel protagonista un'illusoria fonte di felicità. Nell'ultimo episodio infine quando Takao legge il diario di Sawa sboccia il terzo fiore e le parti si invertono, anzi, l'uno diventa il fiore del male dell'altra e viceversa.
- L'AMOR FOLLE E L'AMOR MATERNO
Da buon conoscitore della letteratura francese Oshimi non dimentica di inserire nella sua opera una delle tematiche più usate e famose del romanticismo : l'amor folle e l'amor materno. Con parole molto spicciole, per chi non conoscesse tale tematica, l'amor folle è rappresentato dalla femme fatale, ovvero la donna che si ama infinitamente e per la quale si sarebbe disposti a tutto, senza ricevere però nulla in cambio ne amore ne affetto. Al contrario l'amor materno è rappresentato da una donna che non si ama, ma è lei ad amarti imprescindibilmente, proprio come l'amore di una madre verso un figlio. Ne "L'Éducation sentimentale" di Flaubert questa tematica trova forse la sua massima espressione; nel romanzo l'autore fa sentire al lettore tutto il peso ed il dolore che prova il protagonista nello scegliere l'una (folle) o l'altra donna (materno), e come le conseguenze di tale scelta siano brutali ed immutabili. Ovviamente Oshimi non si limita ad una banale scopiazzatura, tantomeno al solo adeguamento storico e culturale, ma riesce con il suo tocco a dare ancora più spessore al concetto. Il triangolo c'è sempre (Takao, Nanako e Sawa) ma come i personaggi si evolvono da persone normali ad "aku no hana" lo stesso avviene anche per le figure di amor folle ed amor materno, anch'esse in continua evoluzione. Inizialmente la femme fatale per Takao come lui più volte confessa è Nanako, mentre Sawa sembra più amarlo (seppur sadicamente) per quello che secondo lei è in realtà, un deviato; ma con il prosieguo della trama le due protagoniste si scambiano di ruolo : Nanako, sotto la pioggia del decimo episodio, accetta Takao nonostante sia venuta a conoscenza di tutti i suoi misfatti; mentre Sawa, come Asuka in "Neon Genesis Evangelion", una volta scoperta la mediocrità di Takao cade nella disperazione più totale e l'unico sentimento rimasto verso di lui è il disgusto.
CONCLUSIONI
"Aku no Hana" è il fiore nel deserto dell'animazione degli ultimi anni, sublime in tutti i suoi aspetti : un lato narrativo ottimamente strutturato, dei personaggi con uno spessore psicologico enorme ed un lato artistico stupefacente. L'unica nota negativa dell'anime è data dal fatto che questa sia solamente la prima di n serie. Di fatti alla fine dei tredici episodi si ha la sensazione di aver letto i primi capitoli di un meraviglioso romanzo senza però conoscerne lo sviluppo ed il finale. Ovviamente non si tratta del primo anime rilasciato in più serie (anche perchè il manga è tuttora on-going), tuttavia in "Aku no Hana" questo ha un peso diverso e molto più pesante. Avrete ormai capito che non ci troviamo davanti ad un anime qualsiasi ma ad un'opera che punta molto in alto, dalle basi maestose, che potrebbe però crollare su stessa come un castello di carte. Cos'altro dire…non ci resta che aspettare ansiosamente la seconda serie ed incrociare le dita.
Tratta dal mio blog personale: http://hanagasaitayo.wordpress.com/2013/12/12/aku-no-hana-commento-critico/
Avere delle forti ambizioni porta ad essere divisivi, ma Hiroshi Nagahama, già noto al grande pubblico per aver firmato la regia di anime diversissimi tra loro quali "Detroit Metal City" e "Mushishi", sembra avere le spalle abbastanza larghe da prendere con filosofia le critiche valsegli dalla sua reinterpretazione del manga di Shūzō Oshimi: "Meglio che la gente senta qualcosa piuttosto che non senta nulla", ha dichiarato in una recente intervista, e personalmente non potrei essere più d'accordo. Difficile, comunque, se non impossibile, rimanere indifferenti di fronte a un prodotto tanto stratificato e ricercato, a meno di non confondere la noia con il disinteresse.
Takao Kasuga è un ragazzino introverso che, pur non rifuggendo in toto il contatto con gli altri esseri umani, si trova molto più a suo agio in mezzo ai libri, passione che condivide con il padre. Il suo preferito è "I fiori del male" di Baudelaire, che forse capisce meno di quanto crede, data la sua giovane età e la lirica a dir poco criptica e ampollosa marchio di fabbrica del poeta francese, ma che ritiene abbia cambiato la sua visione del mondo. La sua inconsapevole Apollonie, per così dire, è Nanako Saeki, una compagna di classe la cui bellezza e modestia incarnano alla perfezione l'ideale di purezza da lui perseguito.
Un giorno, proprio per recuperare la sua copia della suddetta raccolta di versi, trovandosi da solo in classe cede all'impulso di impossessarsi della tuta da ginnastica dell'amata: una bravata della quale si pente immediatamente, ma a cui stenta a porre rimedio per paura di venire etichettato come un pervertito. Proprio quando i sospetti di tutti sembrano convergere su un fantomatico maniaco, tuttavia, un'altra sua compagna, Sawa Nakamura, gli rivela di averlo visto in azione, e minaccia di raccontare la verità se lui non accetterà di stipulare un contratto che la legittimi a far germogliare il seme dell'abiezione che, a suo dire, alberga in lui. Le cose si complicheranno ulteriormente quando Nanako, divenuta la sua ragazza, cercherà in tutti i modi di capire la causa delle sue stranezze e il ruolo giocato dall'altra nella loro relazione.
Fa un po' sorridere che al centro di tutto vi sia qualcosa di così banale come il gesto inconsulto di un giovane innamorato, ma al tempo stesso è proprio qui che risiede la genialità di "Aku no Hana": anche nella vita reale, infatti, eventi apparentemente di poco conto possono rivelarsi cruciali, inoltre non c'è dubbio che Kasuga abbia dei problemi che soltanto Nakamura e Saeki dimostrano di prendere sul serio. È un anime d'atmosfera, questo, non di contenuti, il che significa che bisogna portare pazienza giacché le cose accadono soltanto quando devono accadere.
Kasuga vorrebbe poter vivere la sua storia d'amore con Saeki senza ombre, ma non si sente degno di lei a causa del suo lato oscuro; il fatto che lei sia disposta ad accettare senza riserve qualsiasi suo difetto o segreto, lungi dal farlo stare meglio, pare in qualche modo infastidirlo in quanto gli impedisce di allontanarla prima che finisca per insudiciarne l'anima. Contemporaneamente dipende, suo malgrado, da Nakamura, per certi aspetti dolorosamente simile all'immagine di se stesso che si fa sempre più strada nella sua mente. Volendo dare una chiave di lettura freudiana a questi tre personaggi si potrebbe conferire ad ognuno di loro le caratteristiche di una determinata componente della psiche umana: Kasuga incarna l'Ego, Saeki il Super Ego e Nakamura l'Id. Ad averli plasmati in questo modo è la stessa società giapponese, ivi rappresentata in maniera crudelmente accurata dai loro compagni di scuola, dediti all'abuso verbale, all'emarginazione per futili motivi, al pettegolezzo e al pregiudizio. I pochi adulti presenti, a cominciare dal coordinatore di classe per finire con i genitori dei ragazzi, spesso e volentieri scambiano le loro intemperanze per un maldestro desiderio di privacy o di attenzioni riconducibile alla pubertà, la classica non-risposta a una moltitudine di pigre domande nelle opere di finzione e non solo.
Come ormai sanno anche i sassi la tecnica utilizzata è quella del rotoscopio, che proprio l'anno prossimo spegnerà le sue prime cento candeline: una vera rarità nel panorama dell'animazione nipponica, fierissima - e a ragione - dei canoni che l'hanno resa unica al mondo. Nagahama, che in un primo tempo aveva declinato l'offerta di dirigere questo anime, sostiene che ad ispirarlo in tal senso sia stata la sensazione di estremo realismo provata durante la lettura del manga, e pare che lo stesso Oshimi, favorevole a un simile esperimento, si sia rammaricato di non aver saputo rendere certe scene con la medesima efficacia. Se è vero che l'occhio vuole la sua parte è anche vero che, a meno di non incaponircisi a bella posta, non è poi così difficile smettere di farci caso una volta che la storia comincia a ingranare. Non sono abbastanza ferrata sull'argomento per pronunciarmi con cognizione di causa circa la sua esecuzione, ma non posso che inchinarmi di fronte a una scelta tanto coraggiosa che, pur non conoscendo il materiale di riferimento (di cui a novembre dovrebbe uscire in Italia il primo numero ad opera di Planet Manga), mi è sembrata adatta per il tipo di storia in questione.
La colonna sonora è perfetta nella sua studiata essenzialità: lungi dal rubare la scena o dal distogliere l'attenzione da quello che sta succedendo, come talvolta può accadere, essa è al completo servizio della narrazione, aiutando a convogliare le emozioni dello spettatore esattamente dov'è necessario. Bellissima ed evocativa l'opening, che illustra il punto di vista dei tre protagonisti (le innumerevoli stecche infilate da Kasuga e Nakamura sono da intendersi come parte della performance), e deliziosamente terrificante l'ending.
Per quanto riguarda il doppiaggio, pur avendolo apprezzato nutro dei sentimenti contrastanti per quanto riguarda la prova di Shin`ichirou Ueda nei panni di Kasuga: da una parte trovo che abbia reso bene la sua indole "mollacciona", ma dall'altra mi pare che abbia fatto più fatica degli altri ad entrare nella parte. Brava Yōko Hikasa come Saeki e bravissima Mariya Ise come Nakamura.
Io ne voglio ancora, e voi? Spero proprio che prima o poi ne esca una seconda stagione, anche perché se così non fosse tutto l'hype generato dall'ultimo episodio andrebbe in fumo.
Takao Kasuga è un ragazzino introverso che, pur non rifuggendo in toto il contatto con gli altri esseri umani, si trova molto più a suo agio in mezzo ai libri, passione che condivide con il padre. Il suo preferito è "I fiori del male" di Baudelaire, che forse capisce meno di quanto crede, data la sua giovane età e la lirica a dir poco criptica e ampollosa marchio di fabbrica del poeta francese, ma che ritiene abbia cambiato la sua visione del mondo. La sua inconsapevole Apollonie, per così dire, è Nanako Saeki, una compagna di classe la cui bellezza e modestia incarnano alla perfezione l'ideale di purezza da lui perseguito.
Un giorno, proprio per recuperare la sua copia della suddetta raccolta di versi, trovandosi da solo in classe cede all'impulso di impossessarsi della tuta da ginnastica dell'amata: una bravata della quale si pente immediatamente, ma a cui stenta a porre rimedio per paura di venire etichettato come un pervertito. Proprio quando i sospetti di tutti sembrano convergere su un fantomatico maniaco, tuttavia, un'altra sua compagna, Sawa Nakamura, gli rivela di averlo visto in azione, e minaccia di raccontare la verità se lui non accetterà di stipulare un contratto che la legittimi a far germogliare il seme dell'abiezione che, a suo dire, alberga in lui. Le cose si complicheranno ulteriormente quando Nanako, divenuta la sua ragazza, cercherà in tutti i modi di capire la causa delle sue stranezze e il ruolo giocato dall'altra nella loro relazione.
Fa un po' sorridere che al centro di tutto vi sia qualcosa di così banale come il gesto inconsulto di un giovane innamorato, ma al tempo stesso è proprio qui che risiede la genialità di "Aku no Hana": anche nella vita reale, infatti, eventi apparentemente di poco conto possono rivelarsi cruciali, inoltre non c'è dubbio che Kasuga abbia dei problemi che soltanto Nakamura e Saeki dimostrano di prendere sul serio. È un anime d'atmosfera, questo, non di contenuti, il che significa che bisogna portare pazienza giacché le cose accadono soltanto quando devono accadere.
Kasuga vorrebbe poter vivere la sua storia d'amore con Saeki senza ombre, ma non si sente degno di lei a causa del suo lato oscuro; il fatto che lei sia disposta ad accettare senza riserve qualsiasi suo difetto o segreto, lungi dal farlo stare meglio, pare in qualche modo infastidirlo in quanto gli impedisce di allontanarla prima che finisca per insudiciarne l'anima. Contemporaneamente dipende, suo malgrado, da Nakamura, per certi aspetti dolorosamente simile all'immagine di se stesso che si fa sempre più strada nella sua mente. Volendo dare una chiave di lettura freudiana a questi tre personaggi si potrebbe conferire ad ognuno di loro le caratteristiche di una determinata componente della psiche umana: Kasuga incarna l'Ego, Saeki il Super Ego e Nakamura l'Id. Ad averli plasmati in questo modo è la stessa società giapponese, ivi rappresentata in maniera crudelmente accurata dai loro compagni di scuola, dediti all'abuso verbale, all'emarginazione per futili motivi, al pettegolezzo e al pregiudizio. I pochi adulti presenti, a cominciare dal coordinatore di classe per finire con i genitori dei ragazzi, spesso e volentieri scambiano le loro intemperanze per un maldestro desiderio di privacy o di attenzioni riconducibile alla pubertà, la classica non-risposta a una moltitudine di pigre domande nelle opere di finzione e non solo.
Come ormai sanno anche i sassi la tecnica utilizzata è quella del rotoscopio, che proprio l'anno prossimo spegnerà le sue prime cento candeline: una vera rarità nel panorama dell'animazione nipponica, fierissima - e a ragione - dei canoni che l'hanno resa unica al mondo. Nagahama, che in un primo tempo aveva declinato l'offerta di dirigere questo anime, sostiene che ad ispirarlo in tal senso sia stata la sensazione di estremo realismo provata durante la lettura del manga, e pare che lo stesso Oshimi, favorevole a un simile esperimento, si sia rammaricato di non aver saputo rendere certe scene con la medesima efficacia. Se è vero che l'occhio vuole la sua parte è anche vero che, a meno di non incaponircisi a bella posta, non è poi così difficile smettere di farci caso una volta che la storia comincia a ingranare. Non sono abbastanza ferrata sull'argomento per pronunciarmi con cognizione di causa circa la sua esecuzione, ma non posso che inchinarmi di fronte a una scelta tanto coraggiosa che, pur non conoscendo il materiale di riferimento (di cui a novembre dovrebbe uscire in Italia il primo numero ad opera di Planet Manga), mi è sembrata adatta per il tipo di storia in questione.
La colonna sonora è perfetta nella sua studiata essenzialità: lungi dal rubare la scena o dal distogliere l'attenzione da quello che sta succedendo, come talvolta può accadere, essa è al completo servizio della narrazione, aiutando a convogliare le emozioni dello spettatore esattamente dov'è necessario. Bellissima ed evocativa l'opening, che illustra il punto di vista dei tre protagonisti (le innumerevoli stecche infilate da Kasuga e Nakamura sono da intendersi come parte della performance), e deliziosamente terrificante l'ending.
Per quanto riguarda il doppiaggio, pur avendolo apprezzato nutro dei sentimenti contrastanti per quanto riguarda la prova di Shin`ichirou Ueda nei panni di Kasuga: da una parte trovo che abbia reso bene la sua indole "mollacciona", ma dall'altra mi pare che abbia fatto più fatica degli altri ad entrare nella parte. Brava Yōko Hikasa come Saeki e bravissima Mariya Ise come Nakamura.
Io ne voglio ancora, e voi? Spero proprio che prima o poi ne esca una seconda stagione, anche perché se così non fosse tutto l'hype generato dall'ultimo episodio andrebbe in fumo.
Capolavoro. Senza voler fare polemica con chi ha stroncato questa serie, rispettandone commento ed opinione, sono costretto a controbattere che quest'anime, uno dei più controversi degli ultimi tempi, non lascia niente al caso, non è assolutamente senza senso ed ha, anzi, una sua logica e un suo filo conduttore ben precisi, tutto questo fuso perfettamente in un affascinante mosaico.
L'intento evidente, e più o meno dichiarato, di questo anime è quello di suscitare disagio, disturbo (nel senso della reazione psicologica del termine) nella mente degli spettatori, attraverso una lenta ma inesorabile discesa nei meandri di due anime malate, neanche tanto dissimili da quelle dei protagonisti dei tanti episodi di cronaca nera che, ahimè, riempiono le pagine dei nostri quotidiani. E l'intento, amici di animeclik, è raggiunto in pieno con un mix perfetto, come dicevo poc'anzi, tra immagini, sonoro, trama, dialoghi e caratterizzazione dei personaggi.
Ma veniamo a sviscerare i vari punti che ho appena citato, partendo subito da quello che è senz'altro l'aspetto più controverso e discusso di questo prodotto : il comparto grafico. Com'è arcinoto questo anime è stato realizzato utilizzando la tecnica del rotoscopio. Ho trovato questa scelta azzeccatissima, perchè dovendo tratteggiare una vicenda dalle tinte così fosche e colme di disperazione come quella di questi 13 episodi, il solito aspetto "kawai" tipico di molti anime, sarebbe stato decisamente fuori luogo. Viceversa l'utilizzo del rotoscopio consente di ottenere un ottimo realismo dei personaggi e dell'ambiente in cui gli eventi si susseguono. Ci troviamo quindi di fronte a un anime che sembra più un live action che non un prodotto di animazione e con dei personaggi che hanno davvero dei tratti orientali, e questo non può che giovare al prodotto nel suo complesso. Ulteriore approfondimento va fatto per le immagini statiche che fanno da sfondo alle azioni dei protagonisti. Qui si può parlare veramente di stato dell'arte, di immagini letteralmente funzionali alla storia e alle intenzioni dell'autore, visto che gli scorci che intravediamo, con la ruggine che la fa da padrona, erbacce che crescono rigogliose in ogni zona dove possano attecchire, generano nello spettatore la stessa angoscia provata dal succedersi degli eventi, e sembrano volerci ricordare che aldilà della rassicurante facciata che siamo abituati a vedere (i palazzi, i cartelli, i semafori e tutto il panorama a noi familiare) il "male" è sempre pronto a insinuarsi, riuscendo a mettere radici e a svilupparsi anche dove non immagineremmo (la ruggine, le erbacce).
Se il comparto grafico raggiunge tale efficacia, è anche grazie a quello sonoro, che lo supporta in modo egregio. Quasi perennemente i venti minuti dei 13 episodi sono accompagnati da un ronzio, lieve ma ben presente, non fastidioso ma anche stavolta, angosciante, dai toni vagamente metallici, che sembra essere l'effetto sonoro della ruggine che mangia il metallo, dell'erbaccia che si avviluppa a una rete di cinta, o al male che si fa strada nell'animo dei protagonisti. Citazione a parte per le sigle. Se la opening, orecchiabilissima ci viene presentata in tre versioni diverse, con due interpretazioni femminili e una maschile (la versione di Takao, di Saeki e di Nakamura - davvero cattivissima, la sua) la ending è un'accozzaglia di suoni e voci, una maschile e una femminile, fusi insieme per creare una cacofonia allucinante, angosciante, dove però, all'interno del caos musicale di cui è pervasa, si cela, ancora una volta un filo logico ben preciso, che è quello del male che subdolamente serpeggia per raggiungere i suoi scopi.
Passando ai personaggi, se possiamo tranquillamente ignorare il chara design, visto che i personaggi sono abbastanza realistici e coerenti con individui dai tratti asiatici, ottimo è invece il lavoro compiuto dagli autori per quanto riguarda il tratteggio psicologico dei tre protagonisti. Se da una parte abbiamo Nakamura che ormai ha iniziato inesorabilmente il suo percorso verso la fioritura del suo fiore maligno, con comportamenti a volte ai limiti dell'irrazionale, ma sempre coerenti con la sua forte e deviata personalità, dall'altra troviamo Saeki, brava, responsabile e bellissima ragazza che ignara del male che si cela così vicina a lei, cerca di legarsi a Nakamura e Takao, cercando di salvare quest'ultimo dalla spirale negativa che lo sta risucchiando, in modo del tutto coerente al suo animo dolce e gentile. In mezzo a loro abbiamo il "lurido insetto", come spesso lo definisce Nakamura, il protagonista maschile, Takao, i cui comportamenti, indecisione, incapacità di ribellarsi alle angherie di Nakamura vengono criticati ferocemente dai detrattori della serie, ma che, anche stavolta, sono del tutto coerenti.
Se infatti, Nakamura ha già scelto la sua strada, Takao è davanti al bivio, e le sue inspiegabili reazioni, sono da legare a questo suo disorientamento. Nel finale, quando si renderà conto della scelta che la sua anima vorrà compiere, mostrerà un piglio molto più deciso. Se i comoportamenti dei protagonisti spesso e volentieri risultano estremi, e ciò è stato impietosamente sottolineato dai detrattori di Aku no hana, non dobbiamo dimenticare che la società è piena di Takao e Nakamura, in forme anche peggiori di loro.
In conclusione, ci troviamo di fronte a un capolavoro, un prodotto di nicchia, perchè molto particolare sia per il suo messaggio, che per le tecniche con cui è stato realizzato, ma proprio per questo una vera e propria perla. Chi deciderà di visionare questo prodotto, accettandone l'estrema particolarità, compierà un affascinante, ma drammatico e angosciante, viaggio nel profondo dell'animo umano, che a volte, come ben sappiamo, raggiunge abissi che non riusciamo a spiegarci, ma che non per questo, non sono reali.
L'intento evidente, e più o meno dichiarato, di questo anime è quello di suscitare disagio, disturbo (nel senso della reazione psicologica del termine) nella mente degli spettatori, attraverso una lenta ma inesorabile discesa nei meandri di due anime malate, neanche tanto dissimili da quelle dei protagonisti dei tanti episodi di cronaca nera che, ahimè, riempiono le pagine dei nostri quotidiani. E l'intento, amici di animeclik, è raggiunto in pieno con un mix perfetto, come dicevo poc'anzi, tra immagini, sonoro, trama, dialoghi e caratterizzazione dei personaggi.
Ma veniamo a sviscerare i vari punti che ho appena citato, partendo subito da quello che è senz'altro l'aspetto più controverso e discusso di questo prodotto : il comparto grafico. Com'è arcinoto questo anime è stato realizzato utilizzando la tecnica del rotoscopio. Ho trovato questa scelta azzeccatissima, perchè dovendo tratteggiare una vicenda dalle tinte così fosche e colme di disperazione come quella di questi 13 episodi, il solito aspetto "kawai" tipico di molti anime, sarebbe stato decisamente fuori luogo. Viceversa l'utilizzo del rotoscopio consente di ottenere un ottimo realismo dei personaggi e dell'ambiente in cui gli eventi si susseguono. Ci troviamo quindi di fronte a un anime che sembra più un live action che non un prodotto di animazione e con dei personaggi che hanno davvero dei tratti orientali, e questo non può che giovare al prodotto nel suo complesso. Ulteriore approfondimento va fatto per le immagini statiche che fanno da sfondo alle azioni dei protagonisti. Qui si può parlare veramente di stato dell'arte, di immagini letteralmente funzionali alla storia e alle intenzioni dell'autore, visto che gli scorci che intravediamo, con la ruggine che la fa da padrona, erbacce che crescono rigogliose in ogni zona dove possano attecchire, generano nello spettatore la stessa angoscia provata dal succedersi degli eventi, e sembrano volerci ricordare che aldilà della rassicurante facciata che siamo abituati a vedere (i palazzi, i cartelli, i semafori e tutto il panorama a noi familiare) il "male" è sempre pronto a insinuarsi, riuscendo a mettere radici e a svilupparsi anche dove non immagineremmo (la ruggine, le erbacce).
Se il comparto grafico raggiunge tale efficacia, è anche grazie a quello sonoro, che lo supporta in modo egregio. Quasi perennemente i venti minuti dei 13 episodi sono accompagnati da un ronzio, lieve ma ben presente, non fastidioso ma anche stavolta, angosciante, dai toni vagamente metallici, che sembra essere l'effetto sonoro della ruggine che mangia il metallo, dell'erbaccia che si avviluppa a una rete di cinta, o al male che si fa strada nell'animo dei protagonisti. Citazione a parte per le sigle. Se la opening, orecchiabilissima ci viene presentata in tre versioni diverse, con due interpretazioni femminili e una maschile (la versione di Takao, di Saeki e di Nakamura - davvero cattivissima, la sua) la ending è un'accozzaglia di suoni e voci, una maschile e una femminile, fusi insieme per creare una cacofonia allucinante, angosciante, dove però, all'interno del caos musicale di cui è pervasa, si cela, ancora una volta un filo logico ben preciso, che è quello del male che subdolamente serpeggia per raggiungere i suoi scopi.
Passando ai personaggi, se possiamo tranquillamente ignorare il chara design, visto che i personaggi sono abbastanza realistici e coerenti con individui dai tratti asiatici, ottimo è invece il lavoro compiuto dagli autori per quanto riguarda il tratteggio psicologico dei tre protagonisti. Se da una parte abbiamo Nakamura che ormai ha iniziato inesorabilmente il suo percorso verso la fioritura del suo fiore maligno, con comportamenti a volte ai limiti dell'irrazionale, ma sempre coerenti con la sua forte e deviata personalità, dall'altra troviamo Saeki, brava, responsabile e bellissima ragazza che ignara del male che si cela così vicina a lei, cerca di legarsi a Nakamura e Takao, cercando di salvare quest'ultimo dalla spirale negativa che lo sta risucchiando, in modo del tutto coerente al suo animo dolce e gentile. In mezzo a loro abbiamo il "lurido insetto", come spesso lo definisce Nakamura, il protagonista maschile, Takao, i cui comportamenti, indecisione, incapacità di ribellarsi alle angherie di Nakamura vengono criticati ferocemente dai detrattori della serie, ma che, anche stavolta, sono del tutto coerenti.
Se infatti, Nakamura ha già scelto la sua strada, Takao è davanti al bivio, e le sue inspiegabili reazioni, sono da legare a questo suo disorientamento. Nel finale, quando si renderà conto della scelta che la sua anima vorrà compiere, mostrerà un piglio molto più deciso. Se i comoportamenti dei protagonisti spesso e volentieri risultano estremi, e ciò è stato impietosamente sottolineato dai detrattori di Aku no hana, non dobbiamo dimenticare che la società è piena di Takao e Nakamura, in forme anche peggiori di loro.
In conclusione, ci troviamo di fronte a un capolavoro, un prodotto di nicchia, perchè molto particolare sia per il suo messaggio, che per le tecniche con cui è stato realizzato, ma proprio per questo una vera e propria perla. Chi deciderà di visionare questo prodotto, accettandone l'estrema particolarità, compierà un affascinante, ma drammatico e angosciante, viaggio nel profondo dell'animo umano, che a volte, come ben sappiamo, raggiunge abissi che non riusciamo a spiegarci, ma che non per questo, non sono reali.
Aku no Hana è stata una sorpresa in tutti i sensi che fin dal primo episodio ha fatto parlare subito di sé nel bene o nel male.
La tecnica utilizzata è stata propensa verso il rotoscopio, il quale per via dei disegni "grezzi" e ben lontani dal chara design a cui si è abituati, ha fatto infiammare tutti gli amanti dell'opera nipponica.
Secondo il regista Hiroshi Nagahama, questa scelta è stata appurata per dar vita alla finzione e connetterla al mondo reale. La live action non avrebbe reso la stessa idea che aveva in mente: gli attori reali non avrebbero rappresentato appieno i personaggi del manga e lo spettatore avrebbe visto passivamente degli attori che semplicemente interpretano.
A mio parere la sua scelta ha voluto scuotere gli animi di tutti per, forse, voler dimostrare che un chara design non è l'unica misura su cui si può giudicare un anime.
Un modo per voler esaltare la trama dal resto.
Il clima creato in Aku no Hana è alienante e pare vedere i Fiori Del Male "sporcare" la realtà tralasciando molte volte i visi dei personaggi (ma con occhio attento si può notare che i dettagli di sfondo sono ben curati) e aggiunta ad una musica inquietante, rende l'idea del "deviato" che è argomento centrale dell'anime.
I personaggi sono ben caratterizzati e affronta un tema delicato come il sentirsi fuori posto in una società... e si comprende inoltre che non tutto ciò che appare è veritiero.
L'anime nonostante abbia toni cupi, mi ha strappato un sorriso perché la tragedia che mostra suona totalmente esagerato. In ogni caso è proprio per questo che non si è voluto usare la solita tecnica.
E' un peccato che la parte migliore sarà vista solo nella seconda parte e ammetto che i tempi morti negli ultimi episodi si sono fatti sentire parecchio (alias le lunghissime camminate silenziose di Takao).
La tecnica utilizzata è stata propensa verso il rotoscopio, il quale per via dei disegni "grezzi" e ben lontani dal chara design a cui si è abituati, ha fatto infiammare tutti gli amanti dell'opera nipponica.
Secondo il regista Hiroshi Nagahama, questa scelta è stata appurata per dar vita alla finzione e connetterla al mondo reale. La live action non avrebbe reso la stessa idea che aveva in mente: gli attori reali non avrebbero rappresentato appieno i personaggi del manga e lo spettatore avrebbe visto passivamente degli attori che semplicemente interpretano.
A mio parere la sua scelta ha voluto scuotere gli animi di tutti per, forse, voler dimostrare che un chara design non è l'unica misura su cui si può giudicare un anime.
Un modo per voler esaltare la trama dal resto.
Il clima creato in Aku no Hana è alienante e pare vedere i Fiori Del Male "sporcare" la realtà tralasciando molte volte i visi dei personaggi (ma con occhio attento si può notare che i dettagli di sfondo sono ben curati) e aggiunta ad una musica inquietante, rende l'idea del "deviato" che è argomento centrale dell'anime.
I personaggi sono ben caratterizzati e affronta un tema delicato come il sentirsi fuori posto in una società... e si comprende inoltre che non tutto ciò che appare è veritiero.
L'anime nonostante abbia toni cupi, mi ha strappato un sorriso perché la tragedia che mostra suona totalmente esagerato. In ogni caso è proprio per questo che non si è voluto usare la solita tecnica.
E' un peccato che la parte migliore sarà vista solo nella seconda parte e ammetto che i tempi morti negli ultimi episodi si sono fatti sentire parecchio (alias le lunghissime camminate silenziose di Takao).
Non sono un vero e proprio appassionato di anime e manga, ne guardo o leggo qualcuno ogni tanto per alternare coi film, la mia vera passione. Questo anime mi ha colpito appunto per il fatto che è estremamente cinematografico nella messa in scena, nel senso che la regia sembra quella di un film di Takeshi Kitano: lenta, con amore per i dettagli, perfetta in ogni sua inquadratura, un insieme di tanti quadri statici che sono una meraviglia per gli occhi, inquadrature che passano lente una dietro l'altra per poi velocizzarsi di colpo nelle scene più catartiche e diventare sempre più lente nelle parti più inquietanti. La scelta del rotoscopio è azzeccatissima, i personaggi hanno una grande introspezione e personalità, immersi in questa cittadina grigia, dove la felicità è costantemente minata dall'oscurità, un'ambientazione suggestiva di una periferia morta dentro che è il perfetto teatro per il delirio morboso di questo anime. Non voglio scendere nei particolari della trama, ma i tre protagonisti nel loro essere adolescenti dimostrano di essere ben approfonditi e descritti, si capisce cosa prova ciascuno dei tre e qual'è il loro punto di vista della vita, e il regista non si tira indietro quando deve mettere tutti e tre sotto una cattiva luce: la chiave del successo di quest'anime è che è realistico sotto ogni aspetto, duro, lento, inquietante, come la vita di tutti i giorni, dove i sorrisi sono seguiti da momenti molto più lunghi di incertezza e tristezza; senz'altro il personaggio che più ha capito il meccanismo della vita è quello di Nakamura, al tempo stesso sì il più "deviato" ma certamente il più consapevole del proprio ruolo nel mondo.
Un anime magnifico, non vedo l'ora di vedere la seconda serie... un capolavoro dell'animazione moderna, un vero e proprio punto di svolta, dove l'arte visiva vive al massimo, contornata da una colonna sonora fantastica. Pura arte!
Un anime magnifico, non vedo l'ora di vedere la seconda serie... un capolavoro dell'animazione moderna, un vero e proprio punto di svolta, dove l'arte visiva vive al massimo, contornata da una colonna sonora fantastica. Pura arte!
Particolare, introspettivo, profondo, inquietante, bello, questo è Aku no hana. Finalmente un anime che mi sorprende. Dopo tante serie banali proposte ultimamente, ecco una serie che spicca tra le altre. La prima cosa che salta all'occhio è la tecnica con cui questo anime è realizzato, ovvero il rotoscopio: si tratta di una tecnica con la quale si ricalca su delle sequenze girate con degli attori in carne ed ossa, creando così uno stile di animazione molto realistico. Quindi questo anime è interpretato da alcuni attori, per altro azzeccatissimi. Questo consente di vedere delle scene fluide e realistiche, con personaggi i cui movimenti e le espressioni sono reali, e lo stesso è per le voci. Partendo da questa premessa, si capisce come il regista sia stato coraggioso nell'intraprendere questa strada, che infatti non è stata apprezzata da tutti. Ad alcuni il rotoscopio non è piaciuto per niente, a me invece tantissimo. Questo perché questa tecnica ha un impatto molto diverso sullo spettatore e i volti hanno realmente i tratti orientali, cosa che, a quanto ho capito, a molti non sembra piacere. Io invece oltre alla tecnica in generale, preferisco sempre che i personaggi in un anime o in un manga abbiano dei tratti realmente giapponesi, e qui questo fattore è presente. Altro punto forte di questo anime: la regia. A tratti lenta, oppressiva, altre volte quasi ripetitiva. Purtroppo, anche su questo, molti hanno avuto da ridire, sicuramente perché non hanno colto il vero significato delle scene. La lentezza in alcune scene è stata adoperata in modo non casuale, per far si che lo spettatore rimanesse straniato da queste lunghe inquadrature, in modo da fargli avvertire l'oppressione di cui ho parlato prima. La ripetitività, anche se non è giusto chiamarla così, non è altro che questo: alcune inquadrature delle ambientazioni ripetute più di una volta nel corso degli episodi. Perché è stato fatto questo? Semplice, per creare nello spettatore un ulteriore senso di tristezza e oppressione, e per evidenziare la noiosità della routine quotidiana della gente. Il tragitto scuola - casa, casa - scuola, i vicoletti inquadrati numerose volte, i cartelli, le abitazioni. Nulla è lasciato al caso, ma in pochi l'hanno capito. Nessuna inquadratura è casuale in questo anime. L'evoluzione dei personaggi è tra le migliori che ho visto, approfondita meticolosamente, e man mano che gli episodi passano si riesce benissimo a notare come i caratteri dei personaggi cambiano. Nessuno dei personaggi rimane così com'è, ma cambia continuamente, pensa con la propria testa e prende le proprie scelte. Caratteri deboli, caratteri autoritari e caratteri accondiscendenti, nessun personaggio è uguale all'altro, ma sono tutti ben distinguibili. La colonna sonora gioca un ottimo ruolo e contribuisce ancora meglio a creare atmosfere suggestive. Ottime le opening, cantate dai protagonisti, e la ending, davvero inquietante. Questo è un anime che a volte suscita un pò di inquietudine, ansia, o paura, ma non troppa, imperdibile per gli appassionati di anime, ma solo per coloro che sono disposti ad apprezzare qualcosa che normalmente è fuori dai loro canoni, per coloro che sono disposti a buttare giù i loro muri, come direbbe Nakamura. Gran bella serie, una rivelazione.
Finalmente, dopo diverse stagioni di anime fiacchi, cloni di se stessi, super-stereotipati, commerciali, noiosissimi, insignificanti e chi più ne ha più ne metta, ecco spuntare una perla, una vera e propria opera d'arte: Aku no Hana.
Questo cartone riesce a sconvolgervi nel profondo fin dalla prima puntata, in quanto:
1) utilizza uno stile grafico audace ed originale: tutti i disegni sembrano essere stati digitalizzati da immagini reali, per poi essere "cartonizzati". Il risultato è che le proporzioni e le movenze dei personaggi sono incredibilmente aderenti alla realtà. In realtà la tecnica d'animazione usata è il ben noto "rotoscoping", ma quando parlo di originalità, non mi riferisco tanto a quanto sia innovativa la tecnica usata, ma quanto sia distante l'aspetto esteriore del cartone da quelli che sono i canoni standard. Certo, i puristi della classica animazione giapponese potrebbero storcere il naso, ma l'arte è anche questo: avere il coraggio di "osare" ed esprimersi uscendo dai soliti canoni e luoghi comuni degli anime, come il disegnare tutti con facce super-carine, occhioni enormi, capelli acconciati e colorati nei modi più improbabili, ecc.
2) La trama... La trama è molto adulta e tratta di problemi esistenziali giovanili, ragazzi in cerca di una propria identità e di dare un senso alla propria vita. E non aspettatevi di trovarvi le solite stupidate degli anime giapponesi, quali fan-service, situazioni ridicole e impossibili o altamente improbabili, personaggi assurdi e così via. Qui abbiamo delle situazioni verosimili, ed il tutto viene sapientemente narrato in una maniera tale che lo spettatore venga coinvolto fin da subito in una storia adulta ma mai noiosa. L'unica eccezione è rappresentata da una puntata in cui il protagonista cammina per strada, pensando a quale sia la cosa giusta da fare, e questa camminata (in cui non succede nulla) dura parecchi minuti, come se lo spettatore stesse passeggiando e pensando insieme al protagonista. Beh, che dire... Per me è stato come trovarsi in contemplazione di un bel dipinto (viste le belle scenografie). Se poi non si è molto pazienti, basta andare avanti col proprio lettore multimediale.
Interessante il comparto audio, fatto di effetti sonori ovviamente molto realistici, delle buone musiche d'apertura ed una "malata" musica di chiusura che ingenera una sensazione di disagio nell'ascoltarla, come a voler esprimere il disagio che provano i giovani protagonisti del cartone.
Per me quest'opera è stata un vero e proprio raggio di luce nel buio più totale di una prima stagione 2013 che definire piatta è dir poco. Se non fosse stato per Aku no Hana e Shingeki no Kyojin (altro anime di notevole caratura), credo che il 2013 sarebbe stato uno degli anni più tristi dell'animazione giapponese.
Nota: le 13 puntate di quest'opera non concludono la vicenda, ma saranno seguite da una seconda stagione, che si spera darà un bel finale. Avrei voluto dargli più di 8, ma aspetto la stagione conclusiva per il responso finale.
Questo cartone riesce a sconvolgervi nel profondo fin dalla prima puntata, in quanto:
1) utilizza uno stile grafico audace ed originale: tutti i disegni sembrano essere stati digitalizzati da immagini reali, per poi essere "cartonizzati". Il risultato è che le proporzioni e le movenze dei personaggi sono incredibilmente aderenti alla realtà. In realtà la tecnica d'animazione usata è il ben noto "rotoscoping", ma quando parlo di originalità, non mi riferisco tanto a quanto sia innovativa la tecnica usata, ma quanto sia distante l'aspetto esteriore del cartone da quelli che sono i canoni standard. Certo, i puristi della classica animazione giapponese potrebbero storcere il naso, ma l'arte è anche questo: avere il coraggio di "osare" ed esprimersi uscendo dai soliti canoni e luoghi comuni degli anime, come il disegnare tutti con facce super-carine, occhioni enormi, capelli acconciati e colorati nei modi più improbabili, ecc.
2) La trama... La trama è molto adulta e tratta di problemi esistenziali giovanili, ragazzi in cerca di una propria identità e di dare un senso alla propria vita. E non aspettatevi di trovarvi le solite stupidate degli anime giapponesi, quali fan-service, situazioni ridicole e impossibili o altamente improbabili, personaggi assurdi e così via. Qui abbiamo delle situazioni verosimili, ed il tutto viene sapientemente narrato in una maniera tale che lo spettatore venga coinvolto fin da subito in una storia adulta ma mai noiosa. L'unica eccezione è rappresentata da una puntata in cui il protagonista cammina per strada, pensando a quale sia la cosa giusta da fare, e questa camminata (in cui non succede nulla) dura parecchi minuti, come se lo spettatore stesse passeggiando e pensando insieme al protagonista. Beh, che dire... Per me è stato come trovarsi in contemplazione di un bel dipinto (viste le belle scenografie). Se poi non si è molto pazienti, basta andare avanti col proprio lettore multimediale.
Interessante il comparto audio, fatto di effetti sonori ovviamente molto realistici, delle buone musiche d'apertura ed una "malata" musica di chiusura che ingenera una sensazione di disagio nell'ascoltarla, come a voler esprimere il disagio che provano i giovani protagonisti del cartone.
Per me quest'opera è stata un vero e proprio raggio di luce nel buio più totale di una prima stagione 2013 che definire piatta è dir poco. Se non fosse stato per Aku no Hana e Shingeki no Kyojin (altro anime di notevole caratura), credo che il 2013 sarebbe stato uno degli anni più tristi dell'animazione giapponese.
Nota: le 13 puntate di quest'opera non concludono la vicenda, ma saranno seguite da una seconda stagione, che si spera darà un bel finale. Avrei voluto dargli più di 8, ma aspetto la stagione conclusiva per il responso finale.
Qualche mese fa ho dato un'occhiata al manga tuttora in corso di Aku no Hana, più che altro spinto dal diffuso chiacchiericcio sulla controparte animata. Ebbene, non ha minimamente attirato la mia attenzione. Tuttavia, desideroso comunque di capire il perché l'anime di Aku no Hana stesse facendo tanto parlare di sé ho deciso di visionare i tredici episodi di cui si compone. Sebbene apparentemente lo si potrebbe inquadrare nel genere scolastico, in realtà è bene dimenticare le solite storielle tutte compagni di scuola, allegria, relazioni amorose e problemi con i bulli di turno: Aku no Hana non è inscritto in un genere ben preciso ma, se proprio non resistiamo dalla voglia di etichettare, potremmo definirlo di genere psicologico e in parte slice of life. Tuttavia i suoi contorni sono così sfumati che bisognerebbe vederlo per farsi un'idea più chiara e personale al riguardo.
Tutto ruota fin da subito attorno al giovane Takao Kasuga, un appassionato del grande poeta francese Baudelaire e i suoi celebri Les fleurs du mal; senza dubbio è un ragazzo piuttosto diverso dalla norma, ma la sua introversione non gli permette di mostrare agli altri i suoi gusti peculiari e maturi. È naturale che i compagni di classe di Kasuga si accorgano della sua diversità, anche solo superficialmente, ma l'unica che sembra aver davvero compreso la sua singolare personalità è Sawa Nakamura, all'apparenza la classica ragazza occhialuta che però in realtà è tutto meno che convenzionale, tant'è che non si fa scrupolo a mandare il suo professore a quel paese davanti a tutti. Il terzo personaggio importante della storia è Nanako Saeki, una ragazza come tante, sportiva e semplice, di cui Kasuga è follemente innamorato. Un giorno, rimasto solo in classe, Kasuga istintivamente e al di là di ogni controllo ruba la tuta di Saeki e scappa a casa. Il giorno dopo Kasuga verrà a sapere che è stato scoperto proprio da Nakamura, la quale, a patto di non dire nulla di ciò che ha visto, gli fa stipulare uno strano contratto...
L'accenno alla trama non rende giustizia alle affascinanti psicologie dei personaggi, ai non rari momenti di solo silenzio e musica e a un intreccio narrativo sempre coinvolgente fino alla fine e intrigante fatto di colpi di scena e dialoghi semplici ma ben sceneggiati. Aku no Hana è anche atmosfera (alcuni brani in stile ambient della splendida ed evocativa colonna sonora mi hanno ricordato le composizioni di Brian Eno o Jack Wall) e brivido (il fiore nero provvisto di occhio in alcune sequenze è a tratti disturbante, così come i battiti ossessivi del cuore di Kasuga in alcuni momenti clou e una serie di attimi in cui lo spettatore viene lasciato col fiato sospeso per diversi minuti). Ad attirare la mia attenzione sulla serie è stato il polverone che si è sollevato, e che ha diviso i fan in detrattori e ammiratori, a proposito dell'utilizzo di una tecnica un po' retrò che però ha fatto la storia dell'animazione: il rotoscopio. Se infatti il manga è caratterizzato da uno stile assolutamente normale, quasi anonimo, dal canto suo la controparte animata invece spicca proprio per questo peculiare espediente, in cui degli attori reali vengono filmati e poi "ricalcati" con disegni e colori. Alcuni degli esempi più famosi di pellicole girate con il suddetto metodo li troviamo nel famoso Il Signore degli Anelli di Ralph Bakshi del 1978 e nel più recente A Scanner Darkly del 2006. Personalmente a me l'idea del rotoscopio non dispiace per nulla, anche perché credo che conferisca all'anime un'identità tutta sua, alla quale dopo la prima puntata ci si abitua comunque senza problemi. In conclusione Aku no Hana è stato per me una piacevole sorpresa ed è quasi superfluo dire che attendo con ansia la seconda stagione.
Tutto ruota fin da subito attorno al giovane Takao Kasuga, un appassionato del grande poeta francese Baudelaire e i suoi celebri Les fleurs du mal; senza dubbio è un ragazzo piuttosto diverso dalla norma, ma la sua introversione non gli permette di mostrare agli altri i suoi gusti peculiari e maturi. È naturale che i compagni di classe di Kasuga si accorgano della sua diversità, anche solo superficialmente, ma l'unica che sembra aver davvero compreso la sua singolare personalità è Sawa Nakamura, all'apparenza la classica ragazza occhialuta che però in realtà è tutto meno che convenzionale, tant'è che non si fa scrupolo a mandare il suo professore a quel paese davanti a tutti. Il terzo personaggio importante della storia è Nanako Saeki, una ragazza come tante, sportiva e semplice, di cui Kasuga è follemente innamorato. Un giorno, rimasto solo in classe, Kasuga istintivamente e al di là di ogni controllo ruba la tuta di Saeki e scappa a casa. Il giorno dopo Kasuga verrà a sapere che è stato scoperto proprio da Nakamura, la quale, a patto di non dire nulla di ciò che ha visto, gli fa stipulare uno strano contratto...
L'accenno alla trama non rende giustizia alle affascinanti psicologie dei personaggi, ai non rari momenti di solo silenzio e musica e a un intreccio narrativo sempre coinvolgente fino alla fine e intrigante fatto di colpi di scena e dialoghi semplici ma ben sceneggiati. Aku no Hana è anche atmosfera (alcuni brani in stile ambient della splendida ed evocativa colonna sonora mi hanno ricordato le composizioni di Brian Eno o Jack Wall) e brivido (il fiore nero provvisto di occhio in alcune sequenze è a tratti disturbante, così come i battiti ossessivi del cuore di Kasuga in alcuni momenti clou e una serie di attimi in cui lo spettatore viene lasciato col fiato sospeso per diversi minuti). Ad attirare la mia attenzione sulla serie è stato il polverone che si è sollevato, e che ha diviso i fan in detrattori e ammiratori, a proposito dell'utilizzo di una tecnica un po' retrò che però ha fatto la storia dell'animazione: il rotoscopio. Se infatti il manga è caratterizzato da uno stile assolutamente normale, quasi anonimo, dal canto suo la controparte animata invece spicca proprio per questo peculiare espediente, in cui degli attori reali vengono filmati e poi "ricalcati" con disegni e colori. Alcuni degli esempi più famosi di pellicole girate con il suddetto metodo li troviamo nel famoso Il Signore degli Anelli di Ralph Bakshi del 1978 e nel più recente A Scanner Darkly del 2006. Personalmente a me l'idea del rotoscopio non dispiace per nulla, anche perché credo che conferisca all'anime un'identità tutta sua, alla quale dopo la prima puntata ci si abitua comunque senza problemi. In conclusione Aku no Hana è stato per me una piacevole sorpresa ed è quasi superfluo dire che attendo con ansia la seconda stagione.
Finalmente eccoci arrivati alla recensione dell'anime che senza ombra di dubbio si è rivelato il migliore della stagione primaverile. In realtà il suo percorso è stato molto difficoltoso, non tanto perché non abbia fatto parlare di sè ma al contrario perché il fandom per la sua produzione si è spaccato. Principalmente la questione che ha suscito più discussioni è stato l'utilizzo del rotoscopio per la grafica dell'anime. Così diversa dal manga ha scatenato l'ira dei fan più accaniti della versione cartacea che hanno reputato questo prodotto inutile, fuori contesto e brutto. A prescindere dalla questione che un anime non va giudicato solo dalla grafica -infatti sappiamo che tutto è principalemente dovuto ad una questione economica- ciò che mi ha lasciato più stupito è il come molti l'abbiano anche criticato per i contenuti.
Andiamo però con ordine e cerchiamo di costruire precisamente la trama, visto che ho letto trame abbastanza scorrette e sbagliate. Takao Kasuga è un ragazzo abbastanza anonimo nella sua classe. Ha si degli "amici" con cui parla ma preferisce di gran lunga stare a leggere da solo il suo libro preferito "I Fiori del Male" di Charles Boudelaire. Come il suo poeta preferito ha una musa ispiratrice, una femme fatale , che è Nanako Saeki una bellissima compagna di classe apprezzata da tanti ragazzi. Un giorno Kasuga dopo esser rimasto solo in classe va a frugare tra gli indumenti di Saeki. Qui trova la sua tuta che verrà "rubata" non tanto perché l'intenzio del nostro protagonista fosse quella ma per timore di essere scoperto da altri . Perché sottolineo questo punto lo vedremo successivamente. Purtroppo però Takao viene sgamato da Sawa Nakamura, la misteriosa ragazza che viene allontanata da tutti i compagni. Lei lo minaccia di dire a tutti che abbia rubato la tuta se non stipulasse un particolare contratto. Da questo momento in poi comincerà la tribolata storia del nostro protagonista che vivrà a tutti gli effetti uno dei peggiori incubi per un Giapponese.
Per continuare questa recensione occorre fare un piccolissimo ex cursus sulla società Giapponese. A differenza di quello che credono molti appassionati vivere in Giappone non è così tanto bello. La società è molto chiusa e l'etichette fanno si che uno possa vivere tranquillamente o meno. L'essere definito un pervertito sin da quando si è a scuola sicuramente non è una cosa buona per il futuro della persona. Anzi, non è neanche buono avere voti bassi, avere certe passioni, insomma non è buono uscire dai canoni imposti dalla società. Non a caso in Giappone si registra uno tra i più alti tassi di suicidio giovanile -2,5%-. A cosa però voglio puntare con questo incipit? Voglio dare le basi per comprendere meglio "Aku no Hana". Il nostro protagonista sembra un buono a nulla, un ragazzo incapace di reagire quando in realtà ha paura di quello che sarà di lui. Takao non subisce le azioni di Nakamura lui le vive con disperazione perché non trova via d'uscita da quello che fa. Rompere le regole imposte dalla società non è tra le sue opzioni perché cerca in tutti i modi di avere una vita tranquilla e spensierata. Quello che, però, vuole mostrare questo anime è a tutti gli effetti una denuncia della realtà Giapponese. Quindi non ci deve essere intrattenimento, qui devono mostrarsi elementi che riescono a far passare questo messaggio. E i migliori elementi sono gli stessi personaggi. Fondamentalmente possiamo pensare a 4 categorie: il protagonista che rappresenta un classico uomo Giapponese, Nakamura che rappresenta la voglia di evadere da questo mondo, Saeki che rappresenta l'amore e l'accettazione del superamento dei limiti e gli altri personaggi -compagni e famiglia- che rappresentano l'oppressione della società nipponica. Per intenderci tutto quello che succede in Aku no Hana ha un senso oltre quello della vicenda in sè. Poiché non voglio sembrare una persona che ha "sogni di un visionario" vi invito a visualizzare la copertina dell'anime in questione e noterete questo fiore molto particolare con un occhio. Durante la proiezione della serie questo fiore e questi occhi quasi giudicatori compariranno spesso. Tutto ciò indica quello che vi dicevo poco prima.
A questo punto ci si può domandare che influenza abbia Charles Baudelaire. In realtà per trovare affinità tra i due prodotti occorrerebbe aver letto tutte le sezioni associate alla raccolta "I fiori del male". Questo perché riassumo in breve quello che sopra vi avevo accennato. Il decorso del poeta francese comunque era molto più drastico in quanto affermava che la "beatitudine" -idèal- si poteva raggiungere solo con le droghe o l'alcol. In "Aku no hana" la questione è semplificata e resa più adatta ad un contesto scolastico. La concezione che per arrivare al bene si debba prima passare al male comunque rimane invariata e si sentirà pesantemente per l'intera opera questo tema.
Altro grande tema ripreso dal poeta maledetto francese è sicuramente quello della Femme Fatale. La donna vista dagli occhi del nostro Kasuga è sia l'oggetto del desiderio che l'oggetto del rimorso. E' molto importante sottolineare questo doppio aspetto perché ci permette di capire la visione che ha delle ragazze il nostro protagonista. In effetti sembrerà un'ameba però il suo comportamento è abbastanza condizionato dal suo modo di vedere le persone che gli stanno intorno.
Dunque visto che abbiano analizzato il contenuto dell'anime vanno ancora dette un paio di cose. La serie sicuramente non ha un ritmo elevato, anzi certe volte assisteremo a dei momenti di silenzio spiazzanti quasi sconcertanti e forse disturbanti ma il bello di questo prodotto sta proprio in queste atmosfere. Tutto deve essere cupo, di difficile accettazione e deve spiazzare lo spettatore. Spesso e volentieri durante la proiezione rimanevo a bocca aperta a contemplare quello che succedeva. Non tanto perché non lo capissi ma perché per percepire meglio quello che succedeva dovevo immedesimarmi di più col protagonista. Insomma davvero un anime che esula dai soliti clichè o dalle solite produzioni.
Passiamo comunque alla parte più criticata dell'anime. Partiamo dal presupposto che se uno pensa che la grafica faccia la serie parte male perché ci sono tanti elementi che dettano una grafica migliore dell'altra tra cui i soldi e le scelte stilistiche. Quella di "Aku no Hana", come ha riferito lo stesso regista, è una scelta a tutti gli effetti stilistica. Poiché si puntava ad un realismo visivo si è optato per l'utilizzo del rotoscopio. Questa particolare tecnica ha ovviamente dei pro e dei contro. A livello economico la parte di disegno è più econimica -anche se andrebbe considerato il pagamento degli attori che recitano- mentre per quanto concerne i dettagli grafici un po' si perdono soprattutto in lontananza in effetti vedremo volti, in lontananza, senza occhi o espressioni molto particolari. Inoltre ci sarà la completa assenza di ombre. Ma a prescindere da questo è apprezzabile l'utilizzo del rotoscopio in quanto è uno stile poco usato ma che riesce a conferire un'atmosfera degna e obbligata all'anime in questione. Gli sfondi non mancano di dettagli però non sono ben delineati. A prescindere da questo tranne per l'episodio 12 le animazioni sono sempre ottime. Le OST sono sempre azzeccate e soprattutto ad effetto. Penso che la ending sia la musica più paurosa che abbia mai ascoltato, ideale per chiudere i cliffhanger.
Bene, penso di aver detto molte cose su questo prodotto. Quando metto voti troppo elevati mi piace sottolineare i perché. Consigliatissimo
Andiamo però con ordine e cerchiamo di costruire precisamente la trama, visto che ho letto trame abbastanza scorrette e sbagliate. Takao Kasuga è un ragazzo abbastanza anonimo nella sua classe. Ha si degli "amici" con cui parla ma preferisce di gran lunga stare a leggere da solo il suo libro preferito "I Fiori del Male" di Charles Boudelaire. Come il suo poeta preferito ha una musa ispiratrice, una femme fatale , che è Nanako Saeki una bellissima compagna di classe apprezzata da tanti ragazzi. Un giorno Kasuga dopo esser rimasto solo in classe va a frugare tra gli indumenti di Saeki. Qui trova la sua tuta che verrà "rubata" non tanto perché l'intenzio del nostro protagonista fosse quella ma per timore di essere scoperto da altri . Perché sottolineo questo punto lo vedremo successivamente. Purtroppo però Takao viene sgamato da Sawa Nakamura, la misteriosa ragazza che viene allontanata da tutti i compagni. Lei lo minaccia di dire a tutti che abbia rubato la tuta se non stipulasse un particolare contratto. Da questo momento in poi comincerà la tribolata storia del nostro protagonista che vivrà a tutti gli effetti uno dei peggiori incubi per un Giapponese.
Per continuare questa recensione occorre fare un piccolissimo ex cursus sulla società Giapponese. A differenza di quello che credono molti appassionati vivere in Giappone non è così tanto bello. La società è molto chiusa e l'etichette fanno si che uno possa vivere tranquillamente o meno. L'essere definito un pervertito sin da quando si è a scuola sicuramente non è una cosa buona per il futuro della persona. Anzi, non è neanche buono avere voti bassi, avere certe passioni, insomma non è buono uscire dai canoni imposti dalla società. Non a caso in Giappone si registra uno tra i più alti tassi di suicidio giovanile -2,5%-. A cosa però voglio puntare con questo incipit? Voglio dare le basi per comprendere meglio "Aku no Hana". Il nostro protagonista sembra un buono a nulla, un ragazzo incapace di reagire quando in realtà ha paura di quello che sarà di lui. Takao non subisce le azioni di Nakamura lui le vive con disperazione perché non trova via d'uscita da quello che fa. Rompere le regole imposte dalla società non è tra le sue opzioni perché cerca in tutti i modi di avere una vita tranquilla e spensierata. Quello che, però, vuole mostrare questo anime è a tutti gli effetti una denuncia della realtà Giapponese. Quindi non ci deve essere intrattenimento, qui devono mostrarsi elementi che riescono a far passare questo messaggio. E i migliori elementi sono gli stessi personaggi. Fondamentalmente possiamo pensare a 4 categorie: il protagonista che rappresenta un classico uomo Giapponese, Nakamura che rappresenta la voglia di evadere da questo mondo, Saeki che rappresenta l'amore e l'accettazione del superamento dei limiti e gli altri personaggi -compagni e famiglia- che rappresentano l'oppressione della società nipponica. Per intenderci tutto quello che succede in Aku no Hana ha un senso oltre quello della vicenda in sè. Poiché non voglio sembrare una persona che ha "sogni di un visionario" vi invito a visualizzare la copertina dell'anime in questione e noterete questo fiore molto particolare con un occhio. Durante la proiezione della serie questo fiore e questi occhi quasi giudicatori compariranno spesso. Tutto ciò indica quello che vi dicevo poco prima.
A questo punto ci si può domandare che influenza abbia Charles Baudelaire. In realtà per trovare affinità tra i due prodotti occorrerebbe aver letto tutte le sezioni associate alla raccolta "I fiori del male". Questo perché riassumo in breve quello che sopra vi avevo accennato. Il decorso del poeta francese comunque era molto più drastico in quanto affermava che la "beatitudine" -idèal- si poteva raggiungere solo con le droghe o l'alcol. In "Aku no hana" la questione è semplificata e resa più adatta ad un contesto scolastico. La concezione che per arrivare al bene si debba prima passare al male comunque rimane invariata e si sentirà pesantemente per l'intera opera questo tema.
Altro grande tema ripreso dal poeta maledetto francese è sicuramente quello della Femme Fatale. La donna vista dagli occhi del nostro Kasuga è sia l'oggetto del desiderio che l'oggetto del rimorso. E' molto importante sottolineare questo doppio aspetto perché ci permette di capire la visione che ha delle ragazze il nostro protagonista. In effetti sembrerà un'ameba però il suo comportamento è abbastanza condizionato dal suo modo di vedere le persone che gli stanno intorno.
Dunque visto che abbiano analizzato il contenuto dell'anime vanno ancora dette un paio di cose. La serie sicuramente non ha un ritmo elevato, anzi certe volte assisteremo a dei momenti di silenzio spiazzanti quasi sconcertanti e forse disturbanti ma il bello di questo prodotto sta proprio in queste atmosfere. Tutto deve essere cupo, di difficile accettazione e deve spiazzare lo spettatore. Spesso e volentieri durante la proiezione rimanevo a bocca aperta a contemplare quello che succedeva. Non tanto perché non lo capissi ma perché per percepire meglio quello che succedeva dovevo immedesimarmi di più col protagonista. Insomma davvero un anime che esula dai soliti clichè o dalle solite produzioni.
Passiamo comunque alla parte più criticata dell'anime. Partiamo dal presupposto che se uno pensa che la grafica faccia la serie parte male perché ci sono tanti elementi che dettano una grafica migliore dell'altra tra cui i soldi e le scelte stilistiche. Quella di "Aku no Hana", come ha riferito lo stesso regista, è una scelta a tutti gli effetti stilistica. Poiché si puntava ad un realismo visivo si è optato per l'utilizzo del rotoscopio. Questa particolare tecnica ha ovviamente dei pro e dei contro. A livello economico la parte di disegno è più econimica -anche se andrebbe considerato il pagamento degli attori che recitano- mentre per quanto concerne i dettagli grafici un po' si perdono soprattutto in lontananza in effetti vedremo volti, in lontananza, senza occhi o espressioni molto particolari. Inoltre ci sarà la completa assenza di ombre. Ma a prescindere da questo è apprezzabile l'utilizzo del rotoscopio in quanto è uno stile poco usato ma che riesce a conferire un'atmosfera degna e obbligata all'anime in questione. Gli sfondi non mancano di dettagli però non sono ben delineati. A prescindere da questo tranne per l'episodio 12 le animazioni sono sempre ottime. Le OST sono sempre azzeccate e soprattutto ad effetto. Penso che la ending sia la musica più paurosa che abbia mai ascoltato, ideale per chiudere i cliffhanger.
Bene, penso di aver detto molte cose su questo prodotto. Quando metto voti troppo elevati mi piace sottolineare i perché. Consigliatissimo
Primavera 2013. Aku no Hana. Si crea un putiferio; disordine e due critiche distinte: per cosa? Per la tecnica d'animazione utilizzata, il rotoscopio, una tecnica usata raramente nel mondo d'animazione nipponica. Si prepara una battaglia: da una parte si elogia questa tecnica per la sua combinazione con i temi scelti della serie, da un'altra parte una gran voce in coro dagli amanti del manga che vedono rovinata la loro gran opera, definendola molte volte un "live action" e discutendo i vari errori della regia. Dalla guerra si crea una terza parte composta da non conoscitori del manga e che disprezzano la serie proprio per i suoi contenuti, non tanto per la tecnica utilizzata. Credo di stare in quest'ultima parte io, che ho scelto Aku no Hana tra gli anime primaverili da seguire settimanalmente perché aveva qualcosa d'intrigante, qualcosa su cui credere, ma tutto questo non dopo il primo episodio. Mai errore più grande. Seppur non ho apprezzato il rotoscopio dall'inizio, me lo sono fatto piacere, perché?! Perché è verissimo che si lega perfettamente a questa serie, che se fosse stata utilizzata un'altra tecnica sarebbe ancora peggiore di quel che è, ma è anche vero, che la rende ancora più ridicola, in quanto è una tecnica che vuol mostrare ancor di più la realtà, difatti sono utilizzati anche attori veri e si vedono anche paesaggi che si avvicinano molto alla realtà.
"Aku no Hana" vuole insegnare qualcosa, credo voglia indagare nell' animo umano - in ogni caso per capire tutto meglio si deve conoscere Charles Baudelaire e la sua opera I fiori del male, da cui l'anime prende "ispirazione" - ma cade nella ridicolaggine e nella irrealtà pura ed assoluta. In generale, la serie, è un susseguirsi di vicende assurde e ridicole che elencherò nei righi successivi, pertanto chiedo attenzione: Da qui in avanti saranno presenti spoiler!
Takao Kasuga, un ragazzo inutile, un'idiota per dirla tutta, s'innamora di una ragazza che ha tutto in confronto a lui: ha amici, ha fascino, ha una buona statura, è brava nello sport. Sicuramente non adatta ad un tipo che non accetta la sua esistenza stessa, uno che non capisce di essere un idiota senza via di ritorno (capirà di essere un idiota dentro soltanto nell'episodio 10, ma noi l'avevamo capito già da tanto tempo). Ma l'amore si sa non ha religione, non ha età, non ha confini, non ha niente per separare due persone, anche se esse sono opposte. Però al nostro intelligentone protagonista viene l'istinto, che illumina la sua perversione e idiozia, di fregare la tuta da ginnastica della sua Musa, dimenticata da lei stessa nella scuola, e infine di portarsela a casa. La scuola va in caos, si cerca il deviato mentale, è successo un peccato mortale... mi chiedo:"Ma è così grave quel che è successo?!". Tralasciando le mie domande sulla civiltà giapponese che in quasi tutti i campi sono evoluti decine di anni rispetto al resto del mondo ma in campo sociale sono dietro anni luce, il protagonista, durante il furto, viene visto da una ragazza, di nome Nakamura Sawa, che già si era mostrata in tutta la sua stranezza mandando all'altro paese un professore, che nemmeno ha reagito. Senza nessuna prova né niente, Sawa minaccia l'idiota del protagonista dicendogli che se non avesse esaudito tutti i suoi desideri facendo un patto con lei avrebbe rivelato a tutti il segreto. È da qui che iniziano tutte le assurdità della serie e possiamo da subito fare un riassunto dell'accaduto: un idiota di protagonista vuole un'altra idiota (per motivi che spiegherò dopo..) e a comporre il triangolo c'è una deviata che chiama il protagonista idiota deviato. Da qui si rivela finalmente la ridicolaggine pura: il protagonista si rivela anche un incompetente non riuscendo ad uscire nella situazione della "tuta", non trovando il coraggio, e facendosi sottomettere da una deviata mentale, che andando avanti tra gli episodi ne combina tante, come quella dello pseudo stupro in biblioteca, quella della sua ossessione di far mettere sotto la maglietta la tuta al protagonista, quella della bagnata col secchio d'acqua, senza che il protagonista reagisse, senza che il protagonista provasse qualcosa per levarsi da dosso quella zecca di una stalker. È un masochista, si sente umiliato, ma niente da fare, non la prova nemmeno a denunciare. Infine arriva la sua rivelazione verso Saeki, la sua Musa, e Nakamura per ribattezzare il nostro protagonista ne ri-combina tantissime e fa, infine, amicizia con Saeki. Da qui il protagonista non si capisce cosa voglia veramente, Saeki o Nakamura? Un protagonista indeciso, la sua caratterizzazione scende a zero, più indeciso di un qualunque personaggio di un harem. Intanto le situazioni assurde continuano: Takao si rivela deviato quasi quanto Nakamura e va con lei alla scuola la notte prima delle lezioni giornaliere per rivelare a tutti il suo peccato dipingendo su muri, sedie, per terra, il nome del colpevole. Così Saeki scopre il misterioso deviato che si aggirava per la scuola, ma continua ancora ad amarlo, stavolta però l'amore non è corrisposto, e Takao scappa con Sawa oltre le colline. Il sogno di Sawa, un altro sogno alquanto strambo, perché non è riuscita ad arrivarci da sola?! Poi che sogno sarebbe questo?! Tralasciando tutto, si arriva al ridicolo supremo nel momento dello spogliarello negli ultimi episodi, quando il triangolo complesso si ritrova insieme sotto un albero a causa della pioggia, e Takao non fa niente per difendersi. La polizia va a cercarli e li riporta a casa. Passa un mese dallo spogliarello ridicolo: Saeki ancora ama Takao (come fa una ragazza normale a perdere la testa (e a perdonare ripetutamente) un simile caso umano? Come fa ad essere assurdamente ed immotivatamente innamorata?! - ecco il motivo comunque -), però lui sceglie ancora una volta Nakamura, ma nemmeno stavolta l'amore è ricambiato e Takao si mette sulle tracce della deviata. E il triangolo si rompe, con un ultimo episodio inconcludente e che apre ad una seconda serie, e che, a mia saputa, spoilera anche qualcosa della prossima serie, facendo da recap a tutta la serie (ce n'era veramente bisogno?!), quando invece doveva far tutt'altro per risollevare il tutto. Sembra tanto uno di quegli harem, ma qui è condito da ridicolaggine e assurdità.
[Fine spoiler]
Come ho ripetuto varie volte nel riassunto che ho fatto per spiegare meglio le mie impressioni su questa serie, nessun personaggio ha la minima reazione umana. Si salvano soltanto i genitori di Takao, che preoccupati per il figlio lo vanno a cercare, oppure l'amico grasso sempre di Takao, Yamada, che nel momento "buio" dell'amico, quando tutti hanno saputo il suo rapporto con Sawa, lo lascia, oppure ancora il padre di Sawa, quest'ultimo non approfondito abbastanza ma sconsolato per la figlia e per i suoi atteggiamenti bruschi. Pensavo che Sawa potesse esser diventata così proprio per la separazione dei genitori, ma neanche questo viene spiegato. È una serie che cala da tutte la parti, sia come è stata fatta, sia per i contenuti, che o io non sono riuscito a capire a pieno, o veramente sono ripugnanti, per il momento sappiamo con certezza che si sono formate due critiche alla pari, e soltanto il tempo darà ragione..
Adesso vediamo di parlare degli altri fattori.
Oltretutto, nella serie troviamo lunghe camminate (per due volte) che non mi hanno detto niente e che sono durate la bellezza di 10 minuti ciascuna, questo vuol anche dire che la regia non aveva idea di come riempire gli episodi, e alla fine nemmeno è riuscita a concludere bene l'anime. Lo stile dei personaggi è quel che è, con il rotoscopio è tutto più brutto. L'opening è anch'essa un punto negativo, in quanto anticipa l'episodio e quindi ti fa un bello spoiler, seppur ha avuto varie canzoncine carine. L'ending è anch'essa ridicola, viene usata come OST a fine episodio ed è molto tetra e cupa, adattissima alla ridicolaggine della serie.
Infine, concludiamo facendo una media.
Trama: Rimandato
Personaggi: Bocciato
Sonoro: Bocciato
Vicende nel susseguirsi della trama: Bocciato
Sceneggiatura: Bocciato
Regia: Bocciato
Spero che non verrà fatta una seconda stagione, ovvero un secondo errore dalla parte della Zexcs, per come abbia fatto pietà anche il loro lavoro.
"Aku no Hana" vuole insegnare qualcosa, credo voglia indagare nell' animo umano - in ogni caso per capire tutto meglio si deve conoscere Charles Baudelaire e la sua opera I fiori del male, da cui l'anime prende "ispirazione" - ma cade nella ridicolaggine e nella irrealtà pura ed assoluta. In generale, la serie, è un susseguirsi di vicende assurde e ridicole che elencherò nei righi successivi, pertanto chiedo attenzione: Da qui in avanti saranno presenti spoiler!
Takao Kasuga, un ragazzo inutile, un'idiota per dirla tutta, s'innamora di una ragazza che ha tutto in confronto a lui: ha amici, ha fascino, ha una buona statura, è brava nello sport. Sicuramente non adatta ad un tipo che non accetta la sua esistenza stessa, uno che non capisce di essere un idiota senza via di ritorno (capirà di essere un idiota dentro soltanto nell'episodio 10, ma noi l'avevamo capito già da tanto tempo). Ma l'amore si sa non ha religione, non ha età, non ha confini, non ha niente per separare due persone, anche se esse sono opposte. Però al nostro intelligentone protagonista viene l'istinto, che illumina la sua perversione e idiozia, di fregare la tuta da ginnastica della sua Musa, dimenticata da lei stessa nella scuola, e infine di portarsela a casa. La scuola va in caos, si cerca il deviato mentale, è successo un peccato mortale... mi chiedo:"Ma è così grave quel che è successo?!". Tralasciando le mie domande sulla civiltà giapponese che in quasi tutti i campi sono evoluti decine di anni rispetto al resto del mondo ma in campo sociale sono dietro anni luce, il protagonista, durante il furto, viene visto da una ragazza, di nome Nakamura Sawa, che già si era mostrata in tutta la sua stranezza mandando all'altro paese un professore, che nemmeno ha reagito. Senza nessuna prova né niente, Sawa minaccia l'idiota del protagonista dicendogli che se non avesse esaudito tutti i suoi desideri facendo un patto con lei avrebbe rivelato a tutti il segreto. È da qui che iniziano tutte le assurdità della serie e possiamo da subito fare un riassunto dell'accaduto: un idiota di protagonista vuole un'altra idiota (per motivi che spiegherò dopo..) e a comporre il triangolo c'è una deviata che chiama il protagonista idiota deviato. Da qui si rivela finalmente la ridicolaggine pura: il protagonista si rivela anche un incompetente non riuscendo ad uscire nella situazione della "tuta", non trovando il coraggio, e facendosi sottomettere da una deviata mentale, che andando avanti tra gli episodi ne combina tante, come quella dello pseudo stupro in biblioteca, quella della sua ossessione di far mettere sotto la maglietta la tuta al protagonista, quella della bagnata col secchio d'acqua, senza che il protagonista reagisse, senza che il protagonista provasse qualcosa per levarsi da dosso quella zecca di una stalker. È un masochista, si sente umiliato, ma niente da fare, non la prova nemmeno a denunciare. Infine arriva la sua rivelazione verso Saeki, la sua Musa, e Nakamura per ribattezzare il nostro protagonista ne ri-combina tantissime e fa, infine, amicizia con Saeki. Da qui il protagonista non si capisce cosa voglia veramente, Saeki o Nakamura? Un protagonista indeciso, la sua caratterizzazione scende a zero, più indeciso di un qualunque personaggio di un harem. Intanto le situazioni assurde continuano: Takao si rivela deviato quasi quanto Nakamura e va con lei alla scuola la notte prima delle lezioni giornaliere per rivelare a tutti il suo peccato dipingendo su muri, sedie, per terra, il nome del colpevole. Così Saeki scopre il misterioso deviato che si aggirava per la scuola, ma continua ancora ad amarlo, stavolta però l'amore non è corrisposto, e Takao scappa con Sawa oltre le colline. Il sogno di Sawa, un altro sogno alquanto strambo, perché non è riuscita ad arrivarci da sola?! Poi che sogno sarebbe questo?! Tralasciando tutto, si arriva al ridicolo supremo nel momento dello spogliarello negli ultimi episodi, quando il triangolo complesso si ritrova insieme sotto un albero a causa della pioggia, e Takao non fa niente per difendersi. La polizia va a cercarli e li riporta a casa. Passa un mese dallo spogliarello ridicolo: Saeki ancora ama Takao (come fa una ragazza normale a perdere la testa (e a perdonare ripetutamente) un simile caso umano? Come fa ad essere assurdamente ed immotivatamente innamorata?! - ecco il motivo comunque -), però lui sceglie ancora una volta Nakamura, ma nemmeno stavolta l'amore è ricambiato e Takao si mette sulle tracce della deviata. E il triangolo si rompe, con un ultimo episodio inconcludente e che apre ad una seconda serie, e che, a mia saputa, spoilera anche qualcosa della prossima serie, facendo da recap a tutta la serie (ce n'era veramente bisogno?!), quando invece doveva far tutt'altro per risollevare il tutto. Sembra tanto uno di quegli harem, ma qui è condito da ridicolaggine e assurdità.
[Fine spoiler]
Come ho ripetuto varie volte nel riassunto che ho fatto per spiegare meglio le mie impressioni su questa serie, nessun personaggio ha la minima reazione umana. Si salvano soltanto i genitori di Takao, che preoccupati per il figlio lo vanno a cercare, oppure l'amico grasso sempre di Takao, Yamada, che nel momento "buio" dell'amico, quando tutti hanno saputo il suo rapporto con Sawa, lo lascia, oppure ancora il padre di Sawa, quest'ultimo non approfondito abbastanza ma sconsolato per la figlia e per i suoi atteggiamenti bruschi. Pensavo che Sawa potesse esser diventata così proprio per la separazione dei genitori, ma neanche questo viene spiegato. È una serie che cala da tutte la parti, sia come è stata fatta, sia per i contenuti, che o io non sono riuscito a capire a pieno, o veramente sono ripugnanti, per il momento sappiamo con certezza che si sono formate due critiche alla pari, e soltanto il tempo darà ragione..
Adesso vediamo di parlare degli altri fattori.
Oltretutto, nella serie troviamo lunghe camminate (per due volte) che non mi hanno detto niente e che sono durate la bellezza di 10 minuti ciascuna, questo vuol anche dire che la regia non aveva idea di come riempire gli episodi, e alla fine nemmeno è riuscita a concludere bene l'anime. Lo stile dei personaggi è quel che è, con il rotoscopio è tutto più brutto. L'opening è anch'essa un punto negativo, in quanto anticipa l'episodio e quindi ti fa un bello spoiler, seppur ha avuto varie canzoncine carine. L'ending è anch'essa ridicola, viene usata come OST a fine episodio ed è molto tetra e cupa, adattissima alla ridicolaggine della serie.
Infine, concludiamo facendo una media.
Trama: Rimandato
Personaggi: Bocciato
Sonoro: Bocciato
Vicende nel susseguirsi della trama: Bocciato
Sceneggiatura: Bocciato
Regia: Bocciato
Spero che non verrà fatta una seconda stagione, ovvero un secondo errore dalla parte della Zexcs, per come abbia fatto pietà anche il loro lavoro.
Cari fratelli e sorelle, cari appassionati e amici tutti: siamo qui riuniti per celebrare il funerale dell'animazione giapponese, tanto martoriata in questi ultimi anni, ma mai giunta ad uno stato di degrado simile, tale da aver potuto concepire ciò di cui andiamo narrando, e come tale, non ha fatto altro che incorrere in un'atroce morte. Nonostante fosse stata concepita in una stagione florida e benigna come la stagione primaverile 2013, e nonostante il formato canonico di 13 episodi, non è riuscita, ahinoi, a distinguersi positivamente, poiché tale opera, ricordata da noi sopravvissuti come "Aku no Hana", fu concepita male, sviluppata peggio e non poté che soccombere a causa della sua stessa mala concezione. Invochiamo pietà per noi e per tutti gli sventurati che hanno avuto modo di scrutarla dall'inizio alla fine, senza aver mai avuto l'impulso di abbandonarla al suo triste destino.
Genesi: tutto pare svolgersi in una città innominabile del Giappone. Questa città ha una scuola media dove risiedono alcuni studenti. Tra questi si nota un certo Takao Kasuga, nota larva umana incapace di accettare l'esistenza così com'è, così come è incapace di controllare il risveglio delle sue pulsioni ormonali. Non basta fingersi lettori dei poemi di Baudelaire per tentare di atteggiarsi ad acculturatello di turno (ammettendo tra mille vergogne, che non ci capiva una beata m...azza di siffatti poemi, bensì lo faceva solamente per "darsi un tono", qual mestizia!), non basta fingersi misantropi minimizzando i contatti col prossimo, no. Bisogna assecondare i più ridicoli desideri, pertanto, l'infimo Kasuga, per placare la sua semirepressa pulsione ormonale, ruba una tuta da ginnastica nientemeno che alla ragazza di cui è infatuato. Egli vive in uno stato di paranoia per il furtarello ridicolo di cui si è reso reo, tuttavia è così insulsamente inetto che non riesce nemmeno a porre rimedio al pasticciaccio che ha commesso in modo normale, e ciò viene notato da una squallida mentecatta che lo ha spiato, e approfittando della sua condizione di subumano qual egli è, gli propone una sorta di "contratto", in cui vuole risvegliare il suo lato deviato, "abbattere i suoi muri inibitori" e "devastare la pallosissima realtà". Il tutto per la modica cifra della famigerata tuta da donna rubata ed indossata da egli medesimo. Lo so, cari amici, tutto questo è fuori da ogni grazia terrena e divina, ma in verità vi dico, non esiste limite al peggio.
Come ci appare alla vista: l'opera si presenta in tutta la sua infima miseria, come se fosse nata denutrita e spogliata di qualsiasi beltà, degna del più crudele scherzo della natura. Tutto rasenta l'orribile sia a livello estetico che a livello qualitativo. Sembra che la parola d'ordine sia stata "economia". Sfondi ipodettagliati e scarni, tutto è smorto, sporco, statico, orribile. I luoghi si mostrano poveri, miserabili, monotoni, fissati sempre dai soliti occhi stanchi. Il movimento praticamente non esiste: se di norma ci si domanda quanti fotogrammi siano visualizzati al secondo qua è l'esatto contrario, ossia quanti secondi occorrono affinché siffatti fotogrammi cedano il passo ad altri. Le animazioni semplicemente non esistono, così come non esiste la fluidità. Tutto è rivoltante scattosità, tutto è becero immobilismo, il concetto di sfumatura del movimento e della profondità non esiste al punto che può capitare che scompaiano dal nulla i soggetti "in movimento". l'aspetto dei soggetti è oltremodo grottesco e ripugnante: ritroviamo pertanto le salme redivive di Mike Buongiorno, Umberto Smaila, Antonio Inoki con le trecce, femmine baffute ed altri innominabili fenomeni da baraccone.
Come ci appare all'udito: le urla strazianti dei dannati precipitati nel tartaro ci paiono canti soavi a confronto di quanto il malcapitato spettatore sarà costretto ad udire. Basti ascoltare le musiche iniziali e finali e poter comprendere che nonostante siano assai variegate suscitano orrore all'udito da tanto che sono sgraziate e rivoltanti. Stesso infame destino tocca alle presunte colonne sonore all'interno di ciascun episodio, così come le immonde voci che ammorbano ed impestano l'ambiente con litanie stonate e ripetute sino allo sfinimento. Stendiamo infine un velo pietoso sul resto delle voci.
Come ci appaiono i soggetti: ah, gioventù bruciata! Poveri i vostri genitori che non hanno saputo forgiarvi con onore e dignità! Quale infima caratterizzazione tale da superare i limiti del ridicolo, quale incoerenza, incongruenza, irrealismo comportamentale, quale immonda involuzione e quale totale mancanza di una qualsivoglia reazione umana che sia minimamente coerente, o anche semplicemente accettabile a livello reale! No, qui tutto è sottomesso alla più becera mediocrità e a farne le spese sono sempre i soliti (anzi, il solito) impotenti bambocci, incapaci di prendere qualsivoglia decisione. Persino i professori si fanno sottomettere dagli scleri di un'insulsa decerebrata. Qui tutto è l'ostentazione del nulla, dello squallido, della larva umana, dell'impotenza e della totale illogicità.
Come si svolgono i fatti: l'agonia della creatura malnata la si nota in ogni ambito, dal ritmo così lento che pare statico e stucchevole, alla totale mancanza di una qualsiasi musa ispiratrice che conceda il privilegio di creare un qualcosa che possa colmare gli oltre 20 minuti per ogni episodio. Parlare di passato è impossibile, poiché non esistono momenti in cui il passato si citi. Il tempo scorre immobile senza una meta, errando qua e là alla disperata ricerca di una ragion d'essere. Sono presenti scene di abusi sui minori minorati con relativa denudazione in luoghi pubblici, il tutto senza il minimo tentativo di opposizione da parte delle vittime o di eventuali adulti presenti nella scena. Quel che si dicono i soggetti, ahinoi, è addirittura peggio: sproloqui, piagnistei, immonde urla isteriche, parole biascicate senza la minima congnizione di causa, solamente per tentare di compiacere la poveretta di turno che non sa che fare della propria esistenza, poiché incapace di prendere un autobus e giungere al di là della tanto agognata collina.
I suoi ultimi momenti: ahimè, quanta infelice convulsione troviamo negli ultimi attimi! Inutili ripetizioni di ciò che fu già abbondantemente veduto, momenti di insensato delirio in cui scorgiamo ciò che non è mai accaduto, e che (forse) mai accadrà. Tutto è confusionario, ripetitivo, vuoto e privo di un qualsiasi contenuto. Sia fatta l'estrema unzione, si sigilli la bara e la si conduca al crematorio, ove forse, potrà trovare l'eterno riposo.
Rito di conclusione: siamo dinanzi ad una bestemmia colossale quanto immonda, ad un aberrante abominio di proporzioni apocalittiche tale da spodestare il podio di peggiore blasfemia ad opere come Senran Kagura, Robotics;Notes, o Sword Art Online. Se dovessimo utilizzare un'unica parola, senz'altro sceglieremo la parola "senza": senza qualità, senza contenuto, senza spessore, senza coerenza, senza dignità, senza meta, senza intelligenza, senza carisma, senza carattere, ed infine, senza senso. Amici sin qui riuniti, potremmo essere capitati dinanzi al peggiore prodotto d'animazione nipponico mai concepito da mente umana. Preghiamo dunque, fratelli e sorelle, affinché il mio e vostro sacrificio serva a distogliere dalla visione di quest'aberrazione altre potenziali vittime e che tale sacrificio sia gradito all'onnipotente Dio dell'animazione. Diffidate infine dai falsi profeti e dagl'idolatri, poiché di costoro è il regno degli otaku.
Invochiamo pertanto il perdono di Baudelaire, affinché la sua misericordia illumini e rinsavisca le menti e le anime di tutto lo staff della Zexcs, dimodoché non si azzardino mai più a bestemmiare il nome del sommo poeta, vituperando le sue opere e facendo scempio del suo buon nome. Sia il pentimento e l'espiazione a guidare le loro azioni.
Il supplizio è finito, andate in pace.
Genesi: tutto pare svolgersi in una città innominabile del Giappone. Questa città ha una scuola media dove risiedono alcuni studenti. Tra questi si nota un certo Takao Kasuga, nota larva umana incapace di accettare l'esistenza così com'è, così come è incapace di controllare il risveglio delle sue pulsioni ormonali. Non basta fingersi lettori dei poemi di Baudelaire per tentare di atteggiarsi ad acculturatello di turno (ammettendo tra mille vergogne, che non ci capiva una beata m...azza di siffatti poemi, bensì lo faceva solamente per "darsi un tono", qual mestizia!), non basta fingersi misantropi minimizzando i contatti col prossimo, no. Bisogna assecondare i più ridicoli desideri, pertanto, l'infimo Kasuga, per placare la sua semirepressa pulsione ormonale, ruba una tuta da ginnastica nientemeno che alla ragazza di cui è infatuato. Egli vive in uno stato di paranoia per il furtarello ridicolo di cui si è reso reo, tuttavia è così insulsamente inetto che non riesce nemmeno a porre rimedio al pasticciaccio che ha commesso in modo normale, e ciò viene notato da una squallida mentecatta che lo ha spiato, e approfittando della sua condizione di subumano qual egli è, gli propone una sorta di "contratto", in cui vuole risvegliare il suo lato deviato, "abbattere i suoi muri inibitori" e "devastare la pallosissima realtà". Il tutto per la modica cifra della famigerata tuta da donna rubata ed indossata da egli medesimo. Lo so, cari amici, tutto questo è fuori da ogni grazia terrena e divina, ma in verità vi dico, non esiste limite al peggio.
Come ci appare alla vista: l'opera si presenta in tutta la sua infima miseria, come se fosse nata denutrita e spogliata di qualsiasi beltà, degna del più crudele scherzo della natura. Tutto rasenta l'orribile sia a livello estetico che a livello qualitativo. Sembra che la parola d'ordine sia stata "economia". Sfondi ipodettagliati e scarni, tutto è smorto, sporco, statico, orribile. I luoghi si mostrano poveri, miserabili, monotoni, fissati sempre dai soliti occhi stanchi. Il movimento praticamente non esiste: se di norma ci si domanda quanti fotogrammi siano visualizzati al secondo qua è l'esatto contrario, ossia quanti secondi occorrono affinché siffatti fotogrammi cedano il passo ad altri. Le animazioni semplicemente non esistono, così come non esiste la fluidità. Tutto è rivoltante scattosità, tutto è becero immobilismo, il concetto di sfumatura del movimento e della profondità non esiste al punto che può capitare che scompaiano dal nulla i soggetti "in movimento". l'aspetto dei soggetti è oltremodo grottesco e ripugnante: ritroviamo pertanto le salme redivive di Mike Buongiorno, Umberto Smaila, Antonio Inoki con le trecce, femmine baffute ed altri innominabili fenomeni da baraccone.
Come ci appare all'udito: le urla strazianti dei dannati precipitati nel tartaro ci paiono canti soavi a confronto di quanto il malcapitato spettatore sarà costretto ad udire. Basti ascoltare le musiche iniziali e finali e poter comprendere che nonostante siano assai variegate suscitano orrore all'udito da tanto che sono sgraziate e rivoltanti. Stesso infame destino tocca alle presunte colonne sonore all'interno di ciascun episodio, così come le immonde voci che ammorbano ed impestano l'ambiente con litanie stonate e ripetute sino allo sfinimento. Stendiamo infine un velo pietoso sul resto delle voci.
Come ci appaiono i soggetti: ah, gioventù bruciata! Poveri i vostri genitori che non hanno saputo forgiarvi con onore e dignità! Quale infima caratterizzazione tale da superare i limiti del ridicolo, quale incoerenza, incongruenza, irrealismo comportamentale, quale immonda involuzione e quale totale mancanza di una qualsivoglia reazione umana che sia minimamente coerente, o anche semplicemente accettabile a livello reale! No, qui tutto è sottomesso alla più becera mediocrità e a farne le spese sono sempre i soliti (anzi, il solito) impotenti bambocci, incapaci di prendere qualsivoglia decisione. Persino i professori si fanno sottomettere dagli scleri di un'insulsa decerebrata. Qui tutto è l'ostentazione del nulla, dello squallido, della larva umana, dell'impotenza e della totale illogicità.
Come si svolgono i fatti: l'agonia della creatura malnata la si nota in ogni ambito, dal ritmo così lento che pare statico e stucchevole, alla totale mancanza di una qualsiasi musa ispiratrice che conceda il privilegio di creare un qualcosa che possa colmare gli oltre 20 minuti per ogni episodio. Parlare di passato è impossibile, poiché non esistono momenti in cui il passato si citi. Il tempo scorre immobile senza una meta, errando qua e là alla disperata ricerca di una ragion d'essere. Sono presenti scene di abusi sui minori minorati con relativa denudazione in luoghi pubblici, il tutto senza il minimo tentativo di opposizione da parte delle vittime o di eventuali adulti presenti nella scena. Quel che si dicono i soggetti, ahinoi, è addirittura peggio: sproloqui, piagnistei, immonde urla isteriche, parole biascicate senza la minima congnizione di causa, solamente per tentare di compiacere la poveretta di turno che non sa che fare della propria esistenza, poiché incapace di prendere un autobus e giungere al di là della tanto agognata collina.
I suoi ultimi momenti: ahimè, quanta infelice convulsione troviamo negli ultimi attimi! Inutili ripetizioni di ciò che fu già abbondantemente veduto, momenti di insensato delirio in cui scorgiamo ciò che non è mai accaduto, e che (forse) mai accadrà. Tutto è confusionario, ripetitivo, vuoto e privo di un qualsiasi contenuto. Sia fatta l'estrema unzione, si sigilli la bara e la si conduca al crematorio, ove forse, potrà trovare l'eterno riposo.
Rito di conclusione: siamo dinanzi ad una bestemmia colossale quanto immonda, ad un aberrante abominio di proporzioni apocalittiche tale da spodestare il podio di peggiore blasfemia ad opere come Senran Kagura, Robotics;Notes, o Sword Art Online. Se dovessimo utilizzare un'unica parola, senz'altro sceglieremo la parola "senza": senza qualità, senza contenuto, senza spessore, senza coerenza, senza dignità, senza meta, senza intelligenza, senza carisma, senza carattere, ed infine, senza senso. Amici sin qui riuniti, potremmo essere capitati dinanzi al peggiore prodotto d'animazione nipponico mai concepito da mente umana. Preghiamo dunque, fratelli e sorelle, affinché il mio e vostro sacrificio serva a distogliere dalla visione di quest'aberrazione altre potenziali vittime e che tale sacrificio sia gradito all'onnipotente Dio dell'animazione. Diffidate infine dai falsi profeti e dagl'idolatri, poiché di costoro è il regno degli otaku.
Invochiamo pertanto il perdono di Baudelaire, affinché la sua misericordia illumini e rinsavisca le menti e le anime di tutto lo staff della Zexcs, dimodoché non si azzardino mai più a bestemmiare il nome del sommo poeta, vituperando le sue opere e facendo scempio del suo buon nome. Sia il pentimento e l'espiazione a guidare le loro azioni.
Il supplizio è finito, andate in pace.
Premetto di non essere d'accordo con chi afferma che quest'anime sia inguardabile o mortalmente noioso. Devo ammettere che anch'io dopo il primo episodio ero rimasta piuttosto perplessa, dal momento che la tecnica del rotocalco al giorno d'oggi è divenuta alquanto obsoleta. Tuttavia, man mano che si entra nel vivo della storia, a partire cioè dal secondo episodio, è facile comprendere il perché di questa scelta.
Si tratta infatti di un anime dalle tinte psicologiche scure e oserei dire perverse; all'inizio vien da pensare che i comportamenti dei personaggi, e in primo luogo quello del protagonista stesso, siano strani e forse fuori luogo. Da un nonnulla, ovvero una bravata adolescenziale, prende il via una trama contorta, che ruota tutta attorno alla paura di Takao di venire scoperto ed essere messo alla berlina dall'intera classe. E a complicare le cose viene introdotto il personaggio tanto enigmatico quanto contradditorio di Nakamura, ragazza solitaria e scontrosa che, minacciando Takao di rendere noto il "furto" da lui commesso (ruba infatti il completo da ginnastica di Saeki, ragazza per cui ha una cotta), lo costringerà a tutta una serie di azioni che lo condurranno sull'orlo del baratro e a fare i conti con il male che si annida dentro di lui, come il titolo stesso dell'anime, "I fiori del male", suggerisce. Ad ogni modo, chi ha letto il manga, saprà a quale genere di azioni mi riferisco.
Pertanto, se da un lato la trama di per sé non dice molto, dall'altro gli autori, grazie al ricco corredo di musiche e ambientazioni cupe, si sono mostrati davvero molto abili nel ritrarre questo senso di angoscia opprimente che ad ogni episodio aumenta sempre più, e non molla lo spettatore. E a trasmettere ancora di più queste sensazioni è sicuramente l'animazione, che con quel suo vago tremolio intorno alle figure dei personaggi è in grado di comunicare un potente senso di straniamento.
Pertanto, l'anime mi sembra una buona resa dell'opera cartacea, pur con tutti i sottili cambiamenti apportati all'aspetto dei personaggi. Lo consiglio vivamente.
Si tratta infatti di un anime dalle tinte psicologiche scure e oserei dire perverse; all'inizio vien da pensare che i comportamenti dei personaggi, e in primo luogo quello del protagonista stesso, siano strani e forse fuori luogo. Da un nonnulla, ovvero una bravata adolescenziale, prende il via una trama contorta, che ruota tutta attorno alla paura di Takao di venire scoperto ed essere messo alla berlina dall'intera classe. E a complicare le cose viene introdotto il personaggio tanto enigmatico quanto contradditorio di Nakamura, ragazza solitaria e scontrosa che, minacciando Takao di rendere noto il "furto" da lui commesso (ruba infatti il completo da ginnastica di Saeki, ragazza per cui ha una cotta), lo costringerà a tutta una serie di azioni che lo condurranno sull'orlo del baratro e a fare i conti con il male che si annida dentro di lui, come il titolo stesso dell'anime, "I fiori del male", suggerisce. Ad ogni modo, chi ha letto il manga, saprà a quale genere di azioni mi riferisco.
Pertanto, se da un lato la trama di per sé non dice molto, dall'altro gli autori, grazie al ricco corredo di musiche e ambientazioni cupe, si sono mostrati davvero molto abili nel ritrarre questo senso di angoscia opprimente che ad ogni episodio aumenta sempre più, e non molla lo spettatore. E a trasmettere ancora di più queste sensazioni è sicuramente l'animazione, che con quel suo vago tremolio intorno alle figure dei personaggi è in grado di comunicare un potente senso di straniamento.
Pertanto, l'anime mi sembra una buona resa dell'opera cartacea, pur con tutti i sottili cambiamenti apportati all'aspetto dei personaggi. Lo consiglio vivamente.
Premetto dicendo che quest'anime è il peggiore che abbia mai visto. Ho visto 5 episodi e mi sono sentito in dovere di divulgare al mondo le turpitudini che ho visto.
Dopo quest'affermazione diciamo "forte" mi curo di motivare le ragioni che mi hanno spinto a sconsigliare in modo assoluto quest'anime.
La prima ragione sono i disegni, a dir poco osceni, che rendono da soli la visione fastidiosa e irritante, il character design è la più grossa porcheria in cui mi sia imbattuto; oltre l'essere brutti in sé i disegni non sono minimamente fluidi e veritieri. In ogni caso è inutile che mi dilunghi, chiunque è in grado di evincerlo da sé.
Secondo: i personaggi sono davvero penosi. Oltre il fatto che esistano solo due personaggi e gli altri siano poco più di soprammobili, quei due non sono nemmeno caratterizzati con raziocinio.
<b>Spoiler sulle prime 2-3 puntate</b>
Il protagonista è un tutto opposto di tutto, nelle prime puntate si pone come un intellettualoide superbo che è convinto di essere superiore a tutto e tutti citando frasi di Baudelaire completamente a caso. Subito dopo si evolve in un maniaco di bassa lega spingendosi a compiere, a parole sue, un peccato mortale: rubare una tuta da ginnastica. Ma non finisce qui; parallelamente si pone come asociale, mentre nella prima puntata pareva avere due amici misteriosamente spariti nelle altre quattro.
Con il proseguire della storia si tenta invano di caratterizzare il personaggio con contrasti interiori abbastanza gratuiti e comportamenti assurdi, ma alla fine risulta assolutamente artificioso e il personaggio pare, più che un poeta maledetto, lo scemo del villaggio.
Terzo: la trama parte con pressuposti quasi interessanti, cioè questi giovani che si pongono in maniera problematica di fronte ai tabù della sessualità fino a sfociare nella perversione. Il principale problema però è che lo sceneggiatore crea solo situazioni assurde e poco veritiere, non vi è nulla di reale o che possa accadere nella realtà, solo situazioni grottesche e complicate unicamente per stupidaggini ingiustificate del protagonista che pare cambi carattere unicamente per complicare situazioni assolutamente semplici e tranquille.
Non mi sento di consigliarlo a nessuno, c'è di meglio per ogni tema abbozzato nell'anime.
Dopo quest'affermazione diciamo "forte" mi curo di motivare le ragioni che mi hanno spinto a sconsigliare in modo assoluto quest'anime.
La prima ragione sono i disegni, a dir poco osceni, che rendono da soli la visione fastidiosa e irritante, il character design è la più grossa porcheria in cui mi sia imbattuto; oltre l'essere brutti in sé i disegni non sono minimamente fluidi e veritieri. In ogni caso è inutile che mi dilunghi, chiunque è in grado di evincerlo da sé.
Secondo: i personaggi sono davvero penosi. Oltre il fatto che esistano solo due personaggi e gli altri siano poco più di soprammobili, quei due non sono nemmeno caratterizzati con raziocinio.
<b>Spoiler sulle prime 2-3 puntate</b>
Il protagonista è un tutto opposto di tutto, nelle prime puntate si pone come un intellettualoide superbo che è convinto di essere superiore a tutto e tutti citando frasi di Baudelaire completamente a caso. Subito dopo si evolve in un maniaco di bassa lega spingendosi a compiere, a parole sue, un peccato mortale: rubare una tuta da ginnastica. Ma non finisce qui; parallelamente si pone come asociale, mentre nella prima puntata pareva avere due amici misteriosamente spariti nelle altre quattro.
Con il proseguire della storia si tenta invano di caratterizzare il personaggio con contrasti interiori abbastanza gratuiti e comportamenti assurdi, ma alla fine risulta assolutamente artificioso e il personaggio pare, più che un poeta maledetto, lo scemo del villaggio.
Terzo: la trama parte con pressuposti quasi interessanti, cioè questi giovani che si pongono in maniera problematica di fronte ai tabù della sessualità fino a sfociare nella perversione. Il principale problema però è che lo sceneggiatore crea solo situazioni assurde e poco veritiere, non vi è nulla di reale o che possa accadere nella realtà, solo situazioni grottesche e complicate unicamente per stupidaggini ingiustificate del protagonista che pare cambi carattere unicamente per complicare situazioni assolutamente semplici e tranquille.
Non mi sento di consigliarlo a nessuno, c'è di meglio per ogni tema abbozzato nell'anime.
Allora come anime, penso che "Aku no Hana" sia molto interessante, almeno da quanto ho visto finora sembra così. I disegni con tutta sincerità penso siano orribili, e devo confessare che la maggior parte delle volte sono proprio questi che non ti fanno apprezzare la storia. Incredibilmente però esterni e interni sono fatti molto bene. Penso che se l'anime avesse avuto una grafica migliore, per quanto riguarda i personaggi, allora forse certe persone (compreso io) lo avrebbero apprezzato un po' di più, anche se, come ho già detto, la storia non mi dispiace.