Watamote
Arrivo a recensire la serie “Watamote” a distanza di anni dalla sua uscita e, leggendo i commenti agli episodi e alle recensioni, devo riconoscere che la serie, appena resa disponibile, ha riscosso molta attenzione dagli iscritti, perlopiù in senso ampiamente positivo.
Già il titolo per esteso è tutto un programma: “Watashi ga Motenai no wa Dou Kangaete mo Omaera ga Warui!” (traduzione: “Dite quel che volete, ma è colpa vostra se sono una sfigata!”) è inquietante e suscita curiosità, e fin dal primo episodio (anzi, fin dall’opening) “picchia duro” senza tanti riguardi (oserei scrivere anche senza pietà) sul “fantastico” mondo degli otaku, nerd e geek, nonché sulla loro “Weltanschauung”.
Senza ‘spoilerare’ troppo il contenuto della serie, l’anime narra la vita di una ragazzina al primo anno delle superiori, Tomoko Kuroki. Non è una ragazza di bell’aspetto, è timida all’inverosimile e non ha praticamente amici (ad eccezione di Yu Naruse, compagna di classe - e di passioni nerd - ai tempi delle medie). Passando alle scuole superiori, le sue aspettative di miglioramento della sua vita sociale e sentimentale erano molto alte. Si tratta delle aspettative tipiche di una ragazzina di quindici-sedici anni: avere amiche con cui confidarsi, studiare e giocare, avere un ragazzo ed essere più “desiderata” o “ricercata” a scuola e nella sua vita quotidiana.
Tuttavia, i dodici episodi sono tutti incentrati sulla narrazione della sua cronica e goffa incapacità di relazionarsi con gli altri al di fuori del contesto familiare (dove comunque ha diversi problemi sia col fratello sia con la madre).
Ed ecco la prima peculiarità di “Watamote”: è sì un anime scolastico-slice of life, tuttavia di romantico, carino e comico non ha proprio nulla (nonostante le apparenze)! Anzi, tende a scardinare in modo piuttosto truce e grottesco il solito mondo “patinato” e idealizzato delle ragazze/studentesse moe, belle, ingenue e se del caso un po’ bizzarre che arrossiscono anche solo per uno sguardo e che vivono in una realtà “artefatta” senza tanti problemi, con il perenne difetto di innamorarsi del solito bravo ragazzo un po’ tonto di turno.
In “Watamote” non c’è nulla di tutto ciò: Tomoko è bruttarella non tanto e solo per l’aspetto fisico, ma per come si pone con gli altri, si concia, si abbiglia (sempre trasandata) e si esprime (spesso anche in modo duro e sboccato)... insomma, un’anti-moe per eccellenza.
E gli altri personaggi (pochi invero) che gravitano intorno al mondo “virtuale” di Tomoko brillano (salvo per l’aspetto fisico del fratello Tomoki) per la loro... “normalità”, da intendersi anche come capacità di vivere secondo gli schemi e principi omologati della collettività.
“Watamote” diventa così un’opera che, sotto l’apparente vena comica, diventa invece “tragica”, documentando in modo anche satirico le psicosi, le frustrazioni e l’incapacità di vivere la realtà da parte di Tomoko.
È uno stile paragonabile a quello dei mitici film di Fantozzi? In senso lato forse sì, ma il grande Paolo Villaggio con la mitica maschera del rag. Ugo Fantozzi voleva deridere, senza mai umiliare, tutto quel ceto medio che idolatrava le proprie “catene” e accettava di fare da “zerbino” a chi deteneva il potere, a fronte della concessione delle briciole del finto benessere raggiunto.
“Watamote” si fa letteralmente beffe di una generazione di ragazzi come Tomoko che, per i motivi che volutamente non approfondisce, per non dare loro un alibi, sono incapaci di confrontarsi con soggetti reali e autonomi, di comprendere l’imprevedibilità di confrontarsi con l’altro diverso da sé.
E così si rifugiano nella realtà virtuale, nelle relazioni con personaggi di fantasia che non sono altro che la proiezione della loro mente, e quindi è impossibile avere una relazione con lui o lei: se caso mai riuscissero a relazionarsi con qualcuno, saranno sempre limitati dalla concezione di una relazione come “proiezione” di loro stessi, con tutti i problemi che ne conseguono a livello di insicurezze, fobie e paranoie.
Ho scritto che “Watamote” non approfondisce i motivi per cui Tomoko sia così: di sicuro l’anime non sembra poi gettare tante ombre né sulla società né sulla forma di società più semplice, ossia la famiglia. Né a scuola né a casa nessuno l’ha maltrattata, bullizzata, isolata... Semmai si potrebbe solo scrivere che l’immagine che viene resa è quella della emarginazione “involontaria” o segregazione “omissiva”. Mi spiego meglio: nessuno, nemmeno i familiari più stretti, salvo alla fine una rappresentante del consiglio studentesco, fa nulla per cercare di aiutare Tomoko. La lasciano lì a struggersi nelle sue paranoie, inclusa la sua unica amica Yuu, che da nerd si è trasformata nel giro di una stagione in una perfetta moe ben inserita nel contesto sociale.
Insomma, “Watamote” sembra un j‘accuse a coloro che come Tomoko si riducono a vivere nel modo rappresentato... e che in fondo la responsabilità delle loro sofferenze risiede solo in loro e nella loro incapacità di inserirsi nelle regole e consuetudini di vita “imposte”... e come corpi estranei vengono man mano relegati ad auto-emarginarsi. In realtà, e “metaforicamente”, dimostra tutti i limiti delle società cosiddette “evolute”, tecnologiche e immerse nel “benessere”, dove chi non è disposto a vivere secondo i modelli “stereotipati”, o non è capace (come Tomoko), viene lasciato a sé stesso senza esercitare alcun tentativo di “recupero”, possibilmente assecondando la loro indole.
La solitudine, o meglio l’isolamento, di Tomoko è anche alimentata dall’insicurezza tipica di quel periodo di passaggio dalla fanciullezza all’età adulta che si chiama “adolescenza”. I pensieri molto spesso folli e patologici espressi nei monologhi di Tomoko consentono di intuire meglio la sua immaturità, la sua insofferenza a trovare una mediazione alle situazioni a lei indigeste, il suo assolutismo tipico dei bambini, come la sua profonda invidia nell’osservare come per gli altri sia facile riuscire a socializzare.
La traduzione del testo dell’ending della prima puntata è paradigmatica di quanto sia forte il disagio di Tomoko... tuttavia “Watamote”, pur nella rappresentazione più profonda ed estremizzata delle psicosi di Tomoko, non contiene come un altro anime dedicato al “disagio” giovanile (“Welcome to the N.H.K.”) la disillusione e il mesto disincanto di coloro che non hanno più voglia di opporsi al sistema e cambiarlo, adeguandovisi.
Tomoko, nella sua testardaggine infantile e nella sua visione irreale della vita, nonostante le delusioni raccolte, vuole cambiare, e al termine della serie incontra una compagna di scuola membro del consiglio studentesco che compirà un gesto nei suoi confronti che nessuna realtà virtuale sarà in grado di donarle: un abbraccio consolatorio come primo segno di un passo in avanti compiuto da un estraneo verso Tomoko, che anela ad essere accettata e considerata per quello che è.
Già il titolo per esteso è tutto un programma: “Watashi ga Motenai no wa Dou Kangaete mo Omaera ga Warui!” (traduzione: “Dite quel che volete, ma è colpa vostra se sono una sfigata!”) è inquietante e suscita curiosità, e fin dal primo episodio (anzi, fin dall’opening) “picchia duro” senza tanti riguardi (oserei scrivere anche senza pietà) sul “fantastico” mondo degli otaku, nerd e geek, nonché sulla loro “Weltanschauung”.
Senza ‘spoilerare’ troppo il contenuto della serie, l’anime narra la vita di una ragazzina al primo anno delle superiori, Tomoko Kuroki. Non è una ragazza di bell’aspetto, è timida all’inverosimile e non ha praticamente amici (ad eccezione di Yu Naruse, compagna di classe - e di passioni nerd - ai tempi delle medie). Passando alle scuole superiori, le sue aspettative di miglioramento della sua vita sociale e sentimentale erano molto alte. Si tratta delle aspettative tipiche di una ragazzina di quindici-sedici anni: avere amiche con cui confidarsi, studiare e giocare, avere un ragazzo ed essere più “desiderata” o “ricercata” a scuola e nella sua vita quotidiana.
Tuttavia, i dodici episodi sono tutti incentrati sulla narrazione della sua cronica e goffa incapacità di relazionarsi con gli altri al di fuori del contesto familiare (dove comunque ha diversi problemi sia col fratello sia con la madre).
Ed ecco la prima peculiarità di “Watamote”: è sì un anime scolastico-slice of life, tuttavia di romantico, carino e comico non ha proprio nulla (nonostante le apparenze)! Anzi, tende a scardinare in modo piuttosto truce e grottesco il solito mondo “patinato” e idealizzato delle ragazze/studentesse moe, belle, ingenue e se del caso un po’ bizzarre che arrossiscono anche solo per uno sguardo e che vivono in una realtà “artefatta” senza tanti problemi, con il perenne difetto di innamorarsi del solito bravo ragazzo un po’ tonto di turno.
In “Watamote” non c’è nulla di tutto ciò: Tomoko è bruttarella non tanto e solo per l’aspetto fisico, ma per come si pone con gli altri, si concia, si abbiglia (sempre trasandata) e si esprime (spesso anche in modo duro e sboccato)... insomma, un’anti-moe per eccellenza.
E gli altri personaggi (pochi invero) che gravitano intorno al mondo “virtuale” di Tomoko brillano (salvo per l’aspetto fisico del fratello Tomoki) per la loro... “normalità”, da intendersi anche come capacità di vivere secondo gli schemi e principi omologati della collettività.
“Watamote” diventa così un’opera che, sotto l’apparente vena comica, diventa invece “tragica”, documentando in modo anche satirico le psicosi, le frustrazioni e l’incapacità di vivere la realtà da parte di Tomoko.
È uno stile paragonabile a quello dei mitici film di Fantozzi? In senso lato forse sì, ma il grande Paolo Villaggio con la mitica maschera del rag. Ugo Fantozzi voleva deridere, senza mai umiliare, tutto quel ceto medio che idolatrava le proprie “catene” e accettava di fare da “zerbino” a chi deteneva il potere, a fronte della concessione delle briciole del finto benessere raggiunto.
“Watamote” si fa letteralmente beffe di una generazione di ragazzi come Tomoko che, per i motivi che volutamente non approfondisce, per non dare loro un alibi, sono incapaci di confrontarsi con soggetti reali e autonomi, di comprendere l’imprevedibilità di confrontarsi con l’altro diverso da sé.
E così si rifugiano nella realtà virtuale, nelle relazioni con personaggi di fantasia che non sono altro che la proiezione della loro mente, e quindi è impossibile avere una relazione con lui o lei: se caso mai riuscissero a relazionarsi con qualcuno, saranno sempre limitati dalla concezione di una relazione come “proiezione” di loro stessi, con tutti i problemi che ne conseguono a livello di insicurezze, fobie e paranoie.
Ho scritto che “Watamote” non approfondisce i motivi per cui Tomoko sia così: di sicuro l’anime non sembra poi gettare tante ombre né sulla società né sulla forma di società più semplice, ossia la famiglia. Né a scuola né a casa nessuno l’ha maltrattata, bullizzata, isolata... Semmai si potrebbe solo scrivere che l’immagine che viene resa è quella della emarginazione “involontaria” o segregazione “omissiva”. Mi spiego meglio: nessuno, nemmeno i familiari più stretti, salvo alla fine una rappresentante del consiglio studentesco, fa nulla per cercare di aiutare Tomoko. La lasciano lì a struggersi nelle sue paranoie, inclusa la sua unica amica Yuu, che da nerd si è trasformata nel giro di una stagione in una perfetta moe ben inserita nel contesto sociale.
Insomma, “Watamote” sembra un j‘accuse a coloro che come Tomoko si riducono a vivere nel modo rappresentato... e che in fondo la responsabilità delle loro sofferenze risiede solo in loro e nella loro incapacità di inserirsi nelle regole e consuetudini di vita “imposte”... e come corpi estranei vengono man mano relegati ad auto-emarginarsi. In realtà, e “metaforicamente”, dimostra tutti i limiti delle società cosiddette “evolute”, tecnologiche e immerse nel “benessere”, dove chi non è disposto a vivere secondo i modelli “stereotipati”, o non è capace (come Tomoko), viene lasciato a sé stesso senza esercitare alcun tentativo di “recupero”, possibilmente assecondando la loro indole.
La solitudine, o meglio l’isolamento, di Tomoko è anche alimentata dall’insicurezza tipica di quel periodo di passaggio dalla fanciullezza all’età adulta che si chiama “adolescenza”. I pensieri molto spesso folli e patologici espressi nei monologhi di Tomoko consentono di intuire meglio la sua immaturità, la sua insofferenza a trovare una mediazione alle situazioni a lei indigeste, il suo assolutismo tipico dei bambini, come la sua profonda invidia nell’osservare come per gli altri sia facile riuscire a socializzare.
La traduzione del testo dell’ending della prima puntata è paradigmatica di quanto sia forte il disagio di Tomoko... tuttavia “Watamote”, pur nella rappresentazione più profonda ed estremizzata delle psicosi di Tomoko, non contiene come un altro anime dedicato al “disagio” giovanile (“Welcome to the N.H.K.”) la disillusione e il mesto disincanto di coloro che non hanno più voglia di opporsi al sistema e cambiarlo, adeguandovisi.
Tomoko, nella sua testardaggine infantile e nella sua visione irreale della vita, nonostante le delusioni raccolte, vuole cambiare, e al termine della serie incontra una compagna di scuola membro del consiglio studentesco che compirà un gesto nei suoi confronti che nessuna realtà virtuale sarà in grado di donarle: un abbraccio consolatorio come primo segno di un passo in avanti compiuto da un estraneo verso Tomoko, che anela ad essere accettata e considerata per quello che è.
"Watashi ga Motenai no wa Dou Kangaete mo Omaera ga Warui!", abbreviata semplicemente "Watamote", è una serie della stagione estiva 2013 composta da dodici episodi di durata canonica.
La protagonista è Tomoko Kuroki, una ragazza che una volta iniziato il liceo sognava di diventare popolare; purtroppo la sua paura nel confrontarsi e nel dialogare con gli altri ha prodotto l'effetto opposto a quello desiderato, rendendola una persona incredibilmente triste e solitaria. Nel corso delle dodici puntate verrà mostrata la normale vita di Tomoko, alle prese con i classici problemi che deve affrontare una liceale.
La trama è molto semplice e riesce efficacemente a combinare momenti di pura follia e vena demenziale ad altri incredibilmente tristi e riflessivi. Le puntate non sono strettamente collegate fra di loro, ognuna racconta una diversa situazione con la quale la protagonista dovrà fare i conti, nella speranza di farsi accettare da una società tutt'altro che comprensiva.
Graficamente è stato svolto un lavoro nella media: buono il character design e le ambientazioni, anche se non molto varie; per quanto riguarda il comparto sonoro si fa notare immediatamente un'opening accattivante e originale, sicuramente adatta e consona alla serie. Ottimo anche il doppiaggio.
"Watamote" si è rivelata essere una serie inaspettatamente riflessiva, in grado nella sua semplicità di mostrare allo spettatore quanto possa essere crudele la realtà, anche per una ragazza a cui apparentemente non manca nulla. Probabilmente una buona parte di noi si è rispecchiata in almeno una delle numerose situazioni che vengono presentate, riuscendo a comprendere pienamente i sentimenti di Tomoko; in fondo, chi non si è mai sentito solo almeno una volta?
Insomma, una serie che ha portato con sé delle piacevoli sorprese, ma che purtroppo possiede un grande difetto: l'intera storia ruota completamente intorno a Tomoko. E' vero che, in quanto ragazza sola e abbandonata da tutti, Tomoko non doveva, ai fini della trama ovviamente, stringere alcune legame con nessuno, ma dimenticarsi quasi completamente dei personaggi secondari non è stata sicuramente la scelta migliore. Per tutte e dodici le puntate la protagonista non sbiascica nemmeno una parola se non con suo fratello o con la sua amica delle medie Yuu, che però è presente sì e no in tre puntate. Il personaggio di Tomoko è analizzato e caratterizzato ottimamente, e su questo non ci piove, ma l'assenza di un personaggio secondario si fa sentire pesantemente sin dalle prime puntate, portando inevitabilmente ad alcuni momenti noiosi.
In conclusione, una serie di cui consiglio la visione a tutti, purché disposti a sopportare una narrazione lenta e a tratti noiosa.
La protagonista è Tomoko Kuroki, una ragazza che una volta iniziato il liceo sognava di diventare popolare; purtroppo la sua paura nel confrontarsi e nel dialogare con gli altri ha prodotto l'effetto opposto a quello desiderato, rendendola una persona incredibilmente triste e solitaria. Nel corso delle dodici puntate verrà mostrata la normale vita di Tomoko, alle prese con i classici problemi che deve affrontare una liceale.
La trama è molto semplice e riesce efficacemente a combinare momenti di pura follia e vena demenziale ad altri incredibilmente tristi e riflessivi. Le puntate non sono strettamente collegate fra di loro, ognuna racconta una diversa situazione con la quale la protagonista dovrà fare i conti, nella speranza di farsi accettare da una società tutt'altro che comprensiva.
Graficamente è stato svolto un lavoro nella media: buono il character design e le ambientazioni, anche se non molto varie; per quanto riguarda il comparto sonoro si fa notare immediatamente un'opening accattivante e originale, sicuramente adatta e consona alla serie. Ottimo anche il doppiaggio.
"Watamote" si è rivelata essere una serie inaspettatamente riflessiva, in grado nella sua semplicità di mostrare allo spettatore quanto possa essere crudele la realtà, anche per una ragazza a cui apparentemente non manca nulla. Probabilmente una buona parte di noi si è rispecchiata in almeno una delle numerose situazioni che vengono presentate, riuscendo a comprendere pienamente i sentimenti di Tomoko; in fondo, chi non si è mai sentito solo almeno una volta?
Insomma, una serie che ha portato con sé delle piacevoli sorprese, ma che purtroppo possiede un grande difetto: l'intera storia ruota completamente intorno a Tomoko. E' vero che, in quanto ragazza sola e abbandonata da tutti, Tomoko non doveva, ai fini della trama ovviamente, stringere alcune legame con nessuno, ma dimenticarsi quasi completamente dei personaggi secondari non è stata sicuramente la scelta migliore. Per tutte e dodici le puntate la protagonista non sbiascica nemmeno una parola se non con suo fratello o con la sua amica delle medie Yuu, che però è presente sì e no in tre puntate. Il personaggio di Tomoko è analizzato e caratterizzato ottimamente, e su questo non ci piove, ma l'assenza di un personaggio secondario si fa sentire pesantemente sin dalle prime puntate, portando inevitabilmente ad alcuni momenti noiosi.
In conclusione, una serie di cui consiglio la visione a tutti, purché disposti a sopportare una narrazione lenta e a tratti noiosa.
Che anime snervante! Sinceramente sono rimasta piuttosto basita dalla visione di "Watamote", un'opera che ruota attorno a un unico personaggio che io ho trovato fastidiosissimo. Tomoko è troppo irritante. Non ho ben compreso quale fosse il messaggio che si voleva far passare, ma, personalmente, se questo era 'solidarietà verso una adolescente consumata da una società volta all'annichilimento', ebbene, non l'ho provato nemmeno per un secondo.
Tomoko rappresenta quel tipo di persona che io detesto. Io odio chi si piange addosso, rimanendo però inerte. Quei soggetti che maledicono la vita eppure non fanno nulla per modificare il corso degli eventi, che augurano il male e condannano gli altri, ma desiderano ardentemente essere come loro. Soggetti che, pur di non fare i conti con la propria coscienza e personalità, scelgono la via più facile: colpevolizzare chi li circonda dei propri problemi.
Probabilmente è un mio limite quello di non aver colto il messaggio recondito che questo anime voleva passare, ma ero troppo infastidita o forse, semplicemente, non concordo.
Puntate identiche si susseguono per dodici lunghissimi episodi. Quei ventiquattro minuti, durata massima di ogni puntata, sono un macigno. Le lancette non scorrono. Ebbene sì, questa opera riesce ad abbattere le barriere del tempo, a quanto pare.
Che fatica arrivare in fondo. Mi sono sacrificata solo per il bel fratellino che si sarà visto tre/quattro volte in tutto per un totale di dieci minuti (esagero forse, mi sa che i minuti totali sono cinque). Se io fossi stata in lui, avrei più volte preso a mazzate in testa Tomoko. Almeno, può darsi, per più di due minuti riusciva a non parlare.
Un monologo estenuante di una ragazzina lobotomizzata da un mondo che va degradandosi sempre di più, una otaku che si dissocia dalla realtà e preferisce maledire tutto e tutti, invece di provare a cambiare, dato che pare davvero bramarlo. Non lo so... per carità, nessuno nega che la società si stia svilendo, che i rapporti umani si stiano dissolvendo nel nulla e che l'omologazione regni sovrana, ma, impegnandosi, si può restare sé stessi e vivere serenamente con il proprio io. Sforzandosi, è possibile far parte della comunità, se lo si desidera così ardentemente, senza la necessità di violentarsi e piegarsi a delle regole imposte da altri. Cambiare è possibile se ci si impegna per farlo e, ripeto, in coerenza con il proprio essere.
Il modo in cui Tomoko affronta la vita è un insulto per me. Di conseguenza, non sono riuscita ad affezionarmi a lei in quanto è mancata qualsiasi possibilità di immedesimazione o, quantomeno, di lata comprensione. Tutte le vicende fantozziane che le capitavano non mi hanno divertita, ma nemmeno intristita. Tomoko è forse la raffigurazione di quel tipo di adolescente che va sempre più di moda, ma che io non ho mai voluto essere. Da adulta, oggi, ne sono quanto mai fiera.
Tomoko rappresenta quel tipo di persona che io detesto. Io odio chi si piange addosso, rimanendo però inerte. Quei soggetti che maledicono la vita eppure non fanno nulla per modificare il corso degli eventi, che augurano il male e condannano gli altri, ma desiderano ardentemente essere come loro. Soggetti che, pur di non fare i conti con la propria coscienza e personalità, scelgono la via più facile: colpevolizzare chi li circonda dei propri problemi.
Probabilmente è un mio limite quello di non aver colto il messaggio recondito che questo anime voleva passare, ma ero troppo infastidita o forse, semplicemente, non concordo.
Puntate identiche si susseguono per dodici lunghissimi episodi. Quei ventiquattro minuti, durata massima di ogni puntata, sono un macigno. Le lancette non scorrono. Ebbene sì, questa opera riesce ad abbattere le barriere del tempo, a quanto pare.
Che fatica arrivare in fondo. Mi sono sacrificata solo per il bel fratellino che si sarà visto tre/quattro volte in tutto per un totale di dieci minuti (esagero forse, mi sa che i minuti totali sono cinque). Se io fossi stata in lui, avrei più volte preso a mazzate in testa Tomoko. Almeno, può darsi, per più di due minuti riusciva a non parlare.
Un monologo estenuante di una ragazzina lobotomizzata da un mondo che va degradandosi sempre di più, una otaku che si dissocia dalla realtà e preferisce maledire tutto e tutti, invece di provare a cambiare, dato che pare davvero bramarlo. Non lo so... per carità, nessuno nega che la società si stia svilendo, che i rapporti umani si stiano dissolvendo nel nulla e che l'omologazione regni sovrana, ma, impegnandosi, si può restare sé stessi e vivere serenamente con il proprio io. Sforzandosi, è possibile far parte della comunità, se lo si desidera così ardentemente, senza la necessità di violentarsi e piegarsi a delle regole imposte da altri. Cambiare è possibile se ci si impegna per farlo e, ripeto, in coerenza con il proprio essere.
Il modo in cui Tomoko affronta la vita è un insulto per me. Di conseguenza, non sono riuscita ad affezionarmi a lei in quanto è mancata qualsiasi possibilità di immedesimazione o, quantomeno, di lata comprensione. Tutte le vicende fantozziane che le capitavano non mi hanno divertita, ma nemmeno intristita. Tomoko è forse la raffigurazione di quel tipo di adolescente che va sempre più di moda, ma che io non ho mai voluto essere. Da adulta, oggi, ne sono quanto mai fiera.
Non riesco nemmeno a tenere una conversazione.
Non riesco proprio a capire il perché.
Sono un'idiota?
Sono sola mentre torno a casa.
Non riesco nemmeno a dire arrivederci a qualcuno.
Sedersi senza far nulla e aspettare non cambierà alcunché.
Questo è tutto!
Questo è solo l'inizio!
E' tutto facile online.
E' passato un bel po' dall'ultima volta che ho parlato.
[...]
Non è colpa mia.
[…]
Specchio, specchio appeso al muro... vuoi cadere e andare in frantumi?
No! Stop! Non ne posso più!
Specchio, specchio appeso al muro, tu non devi dire tutto!
Faccio finta di non sentire.
Tu non rifletterai mai la mia bellissima interiorità.
E' sempre questo lato sgradevole di me.
Devo affrontare la verità.
Domani sarà tutto uguale a ieri.
Io non ho davvero idea del perché.
Sono un'idiota. - "Watamote", prima sigla di chiusura.
Sono calci in faccia, quelli che "Watamote" tira ai giovani otaku giapponesi. Ci va giù pesante, in modo diretto, senza alcuna mistificazione, ruffianeria o compromesso di sorta. L'opera si rivolge a quegli adolescenti problematici che vivono esclusivamente di internet, di videogiochi, di bimbette moe, di simulatori di appuntamenti et similia. Ultimamente, in un contesto in cui l'animazione giapponese è subordinata agli appetiti ossessivi di tali esseri, alcuni autori più coraggiosi degli altri sfornano quelle che personalmente definisco "serie troll", ovvero serie che prendono in giro gli otaku di ultima generazione e il loro strano mondo. Ma "Watamote" è più di questo. E' una presa in giro acida, una grossa risata che si fa beffe degli sfigati al limite dell'autismo in modo grottesco e sardonico. Non è neanche da paragonare a "Welcome to the N.H.K.", come fanno alcuni. Sono troppe le differenze. L'unica opera che in qualche modo ricorda "Watamote" è il ciclo di Fantozzi: e come il ciclo di Fantozzi fa ridere; ma sono risate amare, che dopo un po' cedono il passo a un drammatico silenzio che fa pensare: ma siamo davvero arrivati a questi livelli? Siamo veramente così ridicoli?
Siamo arrivati a questi livelli. Non sono rari nei Paesi sviluppati i giovani problematici figli dell'indifferenza e dell'eccessivo benessere - figli della postmodernità, se vogliamo utilizzare un termine calzante. Persone deboli, alcune delle quali riescono a integrarsi con gli "altri" - i quali spesso sono dei bambolotti tutti uguali tra loro e senza un minimo di personalità - costruendosi una maschera adatta a tutte le circostanze. Ma cosa succede a chi non riesce a costruire questa maschera? Cosa succede a chi non riesce ad adattarsi agli "altri", ma rimane chiuso nella sua "interiorità", come dice la sigla? Tale spinosa questione all'autore di "Watamote" non interessa affatto. Lui non ci prova neanche ad approfondire questo aspetto, giacché gli interessa più che altro attaccare direttamente l'otaku medio, sbattendogli in faccia la realtà così com'è: e con fare molto sarcastico, per giunta.
I personaggi che ruotano attorno alla protagonista dell'anime, Tomoko - ovvero l'otaku per antonomasia che non riesce a integrarsi nella società, ma che vorrebbe farlo - sono indifferenti, se ne stanno per i fatti loro, si riuniscono nei loro gruppetti, club, giri di amici. Non si curano neanche di una sfigata che presenta determinati problemi e che vorrebbe essere come loro. Nulla. Al massimo possono parlare male di lei quando non c'è, come fanno un po' tutti. Che cosa c'è di male in fondo? Chi di noi non lo ha mai fatto?
Tra gli echi "fantozziani" dell'opera si assiste al ribaltamento caricaturale degli stereotipi tipici dell'escapismo otaku moderno: Tomoko è una sfigata volgare, la quale, nonostante venga rappresentata con lo stile e le proporzioni deformate tipiche dei personaggi moe, pensa tra sé e sé maledicendo il prossimo con parolacce e cattiverie scandalose per un'asettica cultura del perbenismo e delle buone maniere come quella del Giappone attuale. Tomoko grida per la disperazione; ha le occhiaie; viene trovata dal padre addormentata, con un vibratore in mano, la bava alla bocca e il gioco eroge ancora funzionante nel suo PC. Ella è lo stesso spettatore che in quel preciso istante la sta guardando dall'altra parte dello schermo, lo "specchio" di cui parla la sigla; specchio nel quale si riflette l'immagine di un otaku che si aspettava un simulacro puccioso e senz'anima in grado di soddisfare il suo viscerale desiderio di possedere una bambina imperturbata dalle nefandezze del mondo reale e che, invece, è stato messo a nudo suo malgrado, e in modo feroce. In un batter d'occhio l'escapismo viene rotto; la quiete diventa tempesta; e Tomoko spazza via tutto con la sua totale inettitudine. Tomoko deve barare mentre gioca a "Magic" con i bambini, altrimenti perderebbe pure contro di loro; e nel frattempo ci si convince che anche quei giochi da tavolo sono uno dei tanti artifici i quali la tengono inchiodata nel suo mondo senza via d'uscita. Lei vorrebbe uscirne, ma non può. Ormai quel mondo fittizio è tutto quello che ha, e separarsene significherebbe morire. Sarebbe stato bello essere popolari, trendy e alla moda: belli, puliti, perfetti e senza - almeno nell'apparenza - problemi con sé stessi e con gli altri. E invece no. L'unica forma d'amore possibile è quella dei simulatori di appuntamenti, quella esercitata da una tastiera, da un mouse e dallo schermo di un PC.
Ebbene sì, questi sono tutti calci in faccia belli e buoni. Schiaffoni mediatici violenti, come quando Tomoko se ne va a lavorare in fabbrica pensando di ottenere la gioia e l'equilibrio che cerca nel lavoro: niente di più sbagliato. Ormai l'abisso tra il suo mondo personale e il mondo reale è così grande che ripetere la stessa azione in una catena di montaggio tutto il giorno è troppo, troppo, traumatizzante. Certo, come detto in precedenza, la scena in sé fa ridere. Fa ridere anche quando la nostra eroina finisce nel quartiere a luci rosse della città, incontra delle persone poco raccomandabili e se ne scappa a gambe levate, mentre un'apposita sigla di chiusura alternativa a quella da me citata in precedenza la prende in giro in modo esplicito e grottesco. In tale sigla ella viene raffigurata come una bambina nuda la quale fugge da tutto e da tutti, e che vorrebbe soltanto tornare a casa, ovvero nel grembo materno: "Siete tutti dei bambini, cari otaku". Il messaggio è palese. "Siete dei ritardati", esattamente come direbbe il fratello di Tomoko a sua sorella dopo che ella lo ha messo al corrente delle quanto mai irrealizzabili esperienze sentimentali da lei sperimentate con i videogiochi.
A livello tecnico, devo ammettere che ho trovato la grafica abbastanza orrenda. Ma va bene così, in fondo anch'essa si fa beffe dei dogmi moe e kawaii che vanno di moda oggigiorno. Tomoko si potrebbe definire come l'anti-moe per eccellenza, con le sue occhiaie marcate, i suoi vestiti trasandati e i suoi complessi psicologici tipici dell'adolescente disturbato che vive o che ha vissuto i suoi anni migliori nell'isolamento, nell'apatia, nella solitudine e nell'alienazione. La regia è nella media, e in particolare ho apprezzato i primi piani "cubisti" in cui il volto della protagonista viene frammentato in poligoni disordinati tra loro, giusto per rendere l'idea del caos presente nella sua testa e della tormentata interiorità che caratterizza un eterno perdente. La computer grafica non mi ha dato troppo fastidio: è ben dosata, e addirittura un purista dell'animazione tradizionale come il sottoscritto non ha avuto molto da lamentarsi.
Una nota di merito va al finale: assolutamente coerente, realista, truce e - a suo modo - tragico. Esso dovrebbe far molto riflettere in merito alle problematiche giovanili che stanno colpendo non solo la società giapponese, ma anche quella occidentale: il numero di Tomoko e di potenziali Tomoko sta aumentando sempre più, anche nel nostro Paese e negli Stati Uniti; e questo fatto è uno dei tanti segnali d'allarme che ci avvertono del grado di perversione ormai raggiunto dalla nostra beneamata cultura consumistica e delle comunicazioni di massa, naturalmente figlia del più sfrenato industrialismo, quel grande e intoccabile paradigma che sta alla base della nostra società e del nostro modo di pensare.
Non riesco proprio a capire il perché.
Sono un'idiota?
Sono sola mentre torno a casa.
Non riesco nemmeno a dire arrivederci a qualcuno.
Sedersi senza far nulla e aspettare non cambierà alcunché.
Questo è tutto!
Questo è solo l'inizio!
E' tutto facile online.
E' passato un bel po' dall'ultima volta che ho parlato.
[...]
Non è colpa mia.
[…]
Specchio, specchio appeso al muro... vuoi cadere e andare in frantumi?
No! Stop! Non ne posso più!
Specchio, specchio appeso al muro, tu non devi dire tutto!
Faccio finta di non sentire.
Tu non rifletterai mai la mia bellissima interiorità.
E' sempre questo lato sgradevole di me.
Devo affrontare la verità.
Domani sarà tutto uguale a ieri.
Io non ho davvero idea del perché.
Sono un'idiota. - "Watamote", prima sigla di chiusura.
Sono calci in faccia, quelli che "Watamote" tira ai giovani otaku giapponesi. Ci va giù pesante, in modo diretto, senza alcuna mistificazione, ruffianeria o compromesso di sorta. L'opera si rivolge a quegli adolescenti problematici che vivono esclusivamente di internet, di videogiochi, di bimbette moe, di simulatori di appuntamenti et similia. Ultimamente, in un contesto in cui l'animazione giapponese è subordinata agli appetiti ossessivi di tali esseri, alcuni autori più coraggiosi degli altri sfornano quelle che personalmente definisco "serie troll", ovvero serie che prendono in giro gli otaku di ultima generazione e il loro strano mondo. Ma "Watamote" è più di questo. E' una presa in giro acida, una grossa risata che si fa beffe degli sfigati al limite dell'autismo in modo grottesco e sardonico. Non è neanche da paragonare a "Welcome to the N.H.K.", come fanno alcuni. Sono troppe le differenze. L'unica opera che in qualche modo ricorda "Watamote" è il ciclo di Fantozzi: e come il ciclo di Fantozzi fa ridere; ma sono risate amare, che dopo un po' cedono il passo a un drammatico silenzio che fa pensare: ma siamo davvero arrivati a questi livelli? Siamo veramente così ridicoli?
Siamo arrivati a questi livelli. Non sono rari nei Paesi sviluppati i giovani problematici figli dell'indifferenza e dell'eccessivo benessere - figli della postmodernità, se vogliamo utilizzare un termine calzante. Persone deboli, alcune delle quali riescono a integrarsi con gli "altri" - i quali spesso sono dei bambolotti tutti uguali tra loro e senza un minimo di personalità - costruendosi una maschera adatta a tutte le circostanze. Ma cosa succede a chi non riesce a costruire questa maschera? Cosa succede a chi non riesce ad adattarsi agli "altri", ma rimane chiuso nella sua "interiorità", come dice la sigla? Tale spinosa questione all'autore di "Watamote" non interessa affatto. Lui non ci prova neanche ad approfondire questo aspetto, giacché gli interessa più che altro attaccare direttamente l'otaku medio, sbattendogli in faccia la realtà così com'è: e con fare molto sarcastico, per giunta.
I personaggi che ruotano attorno alla protagonista dell'anime, Tomoko - ovvero l'otaku per antonomasia che non riesce a integrarsi nella società, ma che vorrebbe farlo - sono indifferenti, se ne stanno per i fatti loro, si riuniscono nei loro gruppetti, club, giri di amici. Non si curano neanche di una sfigata che presenta determinati problemi e che vorrebbe essere come loro. Nulla. Al massimo possono parlare male di lei quando non c'è, come fanno un po' tutti. Che cosa c'è di male in fondo? Chi di noi non lo ha mai fatto?
Tra gli echi "fantozziani" dell'opera si assiste al ribaltamento caricaturale degli stereotipi tipici dell'escapismo otaku moderno: Tomoko è una sfigata volgare, la quale, nonostante venga rappresentata con lo stile e le proporzioni deformate tipiche dei personaggi moe, pensa tra sé e sé maledicendo il prossimo con parolacce e cattiverie scandalose per un'asettica cultura del perbenismo e delle buone maniere come quella del Giappone attuale. Tomoko grida per la disperazione; ha le occhiaie; viene trovata dal padre addormentata, con un vibratore in mano, la bava alla bocca e il gioco eroge ancora funzionante nel suo PC. Ella è lo stesso spettatore che in quel preciso istante la sta guardando dall'altra parte dello schermo, lo "specchio" di cui parla la sigla; specchio nel quale si riflette l'immagine di un otaku che si aspettava un simulacro puccioso e senz'anima in grado di soddisfare il suo viscerale desiderio di possedere una bambina imperturbata dalle nefandezze del mondo reale e che, invece, è stato messo a nudo suo malgrado, e in modo feroce. In un batter d'occhio l'escapismo viene rotto; la quiete diventa tempesta; e Tomoko spazza via tutto con la sua totale inettitudine. Tomoko deve barare mentre gioca a "Magic" con i bambini, altrimenti perderebbe pure contro di loro; e nel frattempo ci si convince che anche quei giochi da tavolo sono uno dei tanti artifici i quali la tengono inchiodata nel suo mondo senza via d'uscita. Lei vorrebbe uscirne, ma non può. Ormai quel mondo fittizio è tutto quello che ha, e separarsene significherebbe morire. Sarebbe stato bello essere popolari, trendy e alla moda: belli, puliti, perfetti e senza - almeno nell'apparenza - problemi con sé stessi e con gli altri. E invece no. L'unica forma d'amore possibile è quella dei simulatori di appuntamenti, quella esercitata da una tastiera, da un mouse e dallo schermo di un PC.
Ebbene sì, questi sono tutti calci in faccia belli e buoni. Schiaffoni mediatici violenti, come quando Tomoko se ne va a lavorare in fabbrica pensando di ottenere la gioia e l'equilibrio che cerca nel lavoro: niente di più sbagliato. Ormai l'abisso tra il suo mondo personale e il mondo reale è così grande che ripetere la stessa azione in una catena di montaggio tutto il giorno è troppo, troppo, traumatizzante. Certo, come detto in precedenza, la scena in sé fa ridere. Fa ridere anche quando la nostra eroina finisce nel quartiere a luci rosse della città, incontra delle persone poco raccomandabili e se ne scappa a gambe levate, mentre un'apposita sigla di chiusura alternativa a quella da me citata in precedenza la prende in giro in modo esplicito e grottesco. In tale sigla ella viene raffigurata come una bambina nuda la quale fugge da tutto e da tutti, e che vorrebbe soltanto tornare a casa, ovvero nel grembo materno: "Siete tutti dei bambini, cari otaku". Il messaggio è palese. "Siete dei ritardati", esattamente come direbbe il fratello di Tomoko a sua sorella dopo che ella lo ha messo al corrente delle quanto mai irrealizzabili esperienze sentimentali da lei sperimentate con i videogiochi.
A livello tecnico, devo ammettere che ho trovato la grafica abbastanza orrenda. Ma va bene così, in fondo anch'essa si fa beffe dei dogmi moe e kawaii che vanno di moda oggigiorno. Tomoko si potrebbe definire come l'anti-moe per eccellenza, con le sue occhiaie marcate, i suoi vestiti trasandati e i suoi complessi psicologici tipici dell'adolescente disturbato che vive o che ha vissuto i suoi anni migliori nell'isolamento, nell'apatia, nella solitudine e nell'alienazione. La regia è nella media, e in particolare ho apprezzato i primi piani "cubisti" in cui il volto della protagonista viene frammentato in poligoni disordinati tra loro, giusto per rendere l'idea del caos presente nella sua testa e della tormentata interiorità che caratterizza un eterno perdente. La computer grafica non mi ha dato troppo fastidio: è ben dosata, e addirittura un purista dell'animazione tradizionale come il sottoscritto non ha avuto molto da lamentarsi.
Una nota di merito va al finale: assolutamente coerente, realista, truce e - a suo modo - tragico. Esso dovrebbe far molto riflettere in merito alle problematiche giovanili che stanno colpendo non solo la società giapponese, ma anche quella occidentale: il numero di Tomoko e di potenziali Tomoko sta aumentando sempre più, anche nel nostro Paese e negli Stati Uniti; e questo fatto è uno dei tanti segnali d'allarme che ci avvertono del grado di perversione ormai raggiunto dalla nostra beneamata cultura consumistica e delle comunicazioni di massa, naturalmente figlia del più sfrenato industrialismo, quel grande e intoccabile paradigma che sta alla base della nostra società e del nostro modo di pensare.
Attenzione, contiene spoiler! Questa recensione andrebbe letta dopo aver visto l'opera, ma se siete tra quelli che non si fanno spaventare dagli spoiler (o che non hanno intenzione di vederla) leggetela a vostro rischio e pericolo
"WataMote!" non è altro che l'abbreviazione del ben più lungo titolo "Watashi ga motenai no wa dō kangaetemo omaera ga warui!", che tradotto dal giapponese significa letteralmente: "Dite quello che volete, ma è colpa vostra se non sono popolare (ovvero, se sono una sfigata)". Tratto dal manga di Nico Tanigawa e dispiegato nel classico formato a dodici puntate, "WataMote!" (tuttora inedito in Italia e guardabile solo online con sottotitoli) è un anime che inganna. Appare subito come il più classico degli slice of life, pieno di episodi autoconclusivi il cui unico fine, se non quello di mostrarci qualche pezzetto di vita "vera", sembra essere quello di farci ridere e farci passare qualche oretta spensierata. E bisogna dire che all'inizio ci riesce, anche bene. Probabilmente avrà ingannato persino chi si era auto-spoilerato la trama fin da subito. Situazioni grottesche, al limite del fantozziano, fanno da sfondo a una protagonista squisitamente naif, deliziosa nel suo cercare in tutti i modi di raggiungere l'obiettivo che si è prefissata: diventare popolare nella sua scuola. E così l'obiettivo sembra quello di far ridere lo spettatore. E le risate, in effetti, scorrono. Risate a crepapelle, che divertono fin dalla prima puntata. Ed è proprio qui che c'è l'inghippo. "Fin dalla prima puntata". Quindi anche nella seconda. Nella terza. Nella quarta. Ma per quanto tempo un anime si può reggere sulle risate? Forse fino a quando non ci accorgiamo che il suo scopo, in realtà, non era far ridere ma era un altro? Far piangere? Commuovere? O magari... far riflettere? Un'opera può concentrare tutta la sua attrattiva per il pubblico nella risata selvaggia e mantenere invece il suo vero contenuto, il suo messaggio più autentico, in una profondità che risale sempre più a galla man mano che, episodio dopo episodio, arriviamo alla sua conclusione? Sembrerebbe di sì, ed è proprio questo ciò che rende "WataMote!" un anime di ben altro spessore rispetto alla media, come potrebbe essere la differenza che passa tra un capolavoro letterario del '900 a caso nella mischia e un qualsiasi romanzetto finto-romantico da supermercato tanto di moda ai giorni nostri.
"WataMote!" è uno slice of life, si diceva; in quanto tale, il suo compito è esattamente quello di rappresentare la realtà. Ma la realtà non è tutta rose e fiori, e tutti gli stereotipi che ritroviamo negli anime cadono giù come foglie di un albero sbattuto dal vento d'autunno. E questo vento non si accontenta di buttarle giù, no, vuole farsi beffe di loro. Beffe non solo degli anime (e dei manga, delle visual novel, dei simulatori di vita online, ecc.), ma anche di chi li guarda, che trova la propria incarnazione nella stessa protagonista, una Tomoko completamente alienata dal mondo che la circonda proprio perché ha la propria residenza non in Giappone (quello vero), ma nel bel più confortante mondo dei sogni e delle fantasie adolescenziali. Non è un caso che un anime come questo rappresenti, parodiandole, tutte le assurdità che si ritrovano in altri anime, rappresentate per quel che sono, assurdità appunto. Tanto più assurde quando sono rappresentate da un personaggio come Tomoko, che non ha niente di assurdo, anzi, è estremamente reale nella sua delirante umanità, che le fa paragonare il suo sudore a quello di "un personaggio di un manga da basket". E a volte ciò avviene in modo esplicito, come nell'azzeccato paragone tra Light di "Death Note", che muove epicamente la penna sul diario nero, e Tomoko, che muove (altrettanto epicamente) il suo mouse sul suo deprimente e sfigato computer come se stesse brandendo una spada in una battaglia. Quante volte vi è capitato di sentirvi come il personaggio di un film, di un romanzo, di un fumetto? Alla protagonista questa cosa non solo capita continuamente, ma lei stessa crede di essere "davvero" così, ed è proprio questo che rende "WataMote!" un anime "reale", in quanto rappresenta proprio "l'irrealtà" dei pensieri umani e il loro contrasto con quello che hanno davanti al proprio naso.
Ogni pretesa all'ottimismo, lieto fine compreso, viene spazzato via da una crudezza subdola, che si fa beffe delle nostre difese interiori e ci ferisce nel profondo proprio perché noi, accogliendola insieme alla "comicità" della visione, non riusciamo a riconoscerla. Qualcosa dentro di noi ci fa nettamente distinguere le opere comiche da quelle drammatiche, motivo per cui siamo assolutamente inermi quando questa differenza è più sfumata, senza capire dove finisce una e dove inizi l'altra. La tragedia sembra cedere il passo alla commedia, ma appunto, "sembra": non è che un'illusione, e la tragedia, che non ha nessuna voglia di farsi imbavagliare, nascosta in una cassa, continua a scalciare fino a liberarsi, ma non con violenza, poco a poco, mangiando pezzetto per pezzetto il cuore dello spettatore che credeva di potersi rilassare con qualche oretta di visione spensierata e si ritrova gettato in un abisso di sofferenza e solitudine.
Il punto è proprio questo: una continuità di situazioni comiche che ruotano attorno a un protagonista "tragico" non potrà condurre per sempre al sorriso. Fantozzi ci farà pure sganasciare dalle risate, anche per via della scelta stilistica dei suoi film, ma prima o poi qualcuno mosso da compassione che inizia a dire "Fa ridere, però... poveretto..." lo si trova pure. "WataMote!" estremizza questo schema. Le situazioni comiche reggono nei primi quattro episodi, massimo cinque. A un certo punto subentra la noia. Noia che poi si trasforma in nausea. La nausea in depressione. E la depressione in angoscia esistenziale. Quei rari spiragli di speranza, di luce in fondo al tunnel che fanno capolino qua e là ogni tanto, non fanno altro che rendere ancora più drammatica la tensione che cresce, episodio dopo episodio, nell'atmosfera dell'anime. Pura sofferenza interiore mascherata da un velo di divertissement. Tomoko è sola, è un'emarginata, è una ragazza che vive un'esistenza diversa da quella delle ragazze della sua età: una vita piatta, misera, che va avanti per inerzia, senza uno scopo o qualcosa che le dia un senso. Lei non è nessuno, e la gente intorno a lei non fa altro che ricordarglielo, persistendo a ignorarla continuamente. Ma in fondo, la colpa è di chi ignora o di chi non fa nulla per evitare di essere ignorato? O meglio, che sembra fare di tutto per essere ignorato, salvo poi lamentarsi del contrario? Cerco di far provare compassione nello spettatore mentre mangio tutta sola il mio pranzo nella classe deserta dopo essere svenuta, ma non ero io stessa che fino a qualche ora prima cercavo volutamente di isolarmi e me ne andavo a mangiare nel posto più buio e nascosto che riuscissi a trovare? Questa è la domanda che l'anime ci pone. Ma è una domanda che trova anche una sua risposta? Per capirlo basta analizzare il titolo. "Se sono sfigata (e quindi emarginata), è colpa vostra, non mia". Ma ne siamo proprio sicuri? O forse questo titolo racchiude la stessa parodia che ritroviamo verso gli altri anime? Magari il punto è diverso e più complesso; quel titolo non è una parodia esplicitata dagli autori, ma è piuttosto il punto di vista che Tomoko ha di sé stessa e della propria vita.
Questo punto non è affatto da sottovalutare, anzi, è qui che ritroviamo il senso dell'intero anime. Se azzardiamo un parallelismo improbabile (ma non tanto) tra storia letteraria europea e animazione giapponese, "WataMote!" non è realista in senso ottocentesco, come poteva essere l'influsso dell'ambiente circostante nelle opere di Balzac e Zola (il tipo di realismo, visto che parliamo di letteratura francese, che forse potremmo trovare più consono a un'opera come "i Fiori del Male" di Shuzo Oshimi), quanto piuttosto in senso psicologico, con quell'introspezione tipica del monologo interiore novecentesco di Joyce o Svevo. In pratica, la realtà non è ciò che è ma è piuttosto ciò che la protagonista crede che sia. Le stesse scelte stilistiche, che raffigurano a volte i personaggi dotati solo di bocca e dall'aspetto uguale gli uni gli altri, rappresentano un'estremizzazione del concetto (inconscio) che Tomoko ha della società e del mondo. "Non importa cosa pensate, è colpa vostra se sono impopolare". Esattamente. Non perché sia la verità, ma perché è quella che Tomoko "crede essere la verità". E il problema è che l'intero anime si fonda sulla percezione soggettiva della realtà, mostrando allo spettatore non quello che succede realmente, ma piuttosto quello che succede negli occhi e nel cervello della protagonista.
Tomoko è una disadattata sociale, una reclusa, un'emarginata, non perché siano gli altri a volerla ridurre così, ma piuttosto perché è lei stessa a cercare quell'emarginazione, quella rassicurazione che può ottenere solo nella solitudine. Esatto, "rassicurazione". Perché la povera Mokocchi (soprannome "kawaii" di Tomoko) soffre come una cagna bastonata, come un povero pulcino indifeso in balia del temporale. Ma una cagna bastonata e un pulcino indifeso potrebbero uscire dalla loro condizione di sofferenza, se solo volessero, perché ne hanno facoltà: è sufficiente far uscir fuori gli artigli e il becco, attaccare, reagire, non subire passivamente gli eventi. Azzannare la mano di chi ti bastona, cercare un riparo dalla pioggia. Ma non lo fanno. Perché non ne hanno il coraggio, forse. O magari, proprio perché è più "rassicurante" non fare nulla e accettare il proprio destino, nella speranza che un giorno le cose cambino, piuttosto che fare qualcosa per cambiarle. E chi li guarda non fa certo nulla per impedire questa visione delle cose: spinto dalla pietà e dalla compassione nei loro confronti, cercherà di fare qualcosa per farli uscire dalla loro situazione. Tomoko cerca esattamente questo, cerca qualcuno che, "proprio come succede negli anime", potrà salvarla dalla quella solitudine che lei stessa si è imposta proprio per poter essere salvata. Il problema è che non solo Tomoko non riuscirà a trovare nessuno che possa salvarla (o meglio, che abbia un qualche interesse nel volerla salvare), ma quando si presenterà una possibile occasione, invece di accoglierla, fuggirà a gambe levate. Perché anche farsi salvare significa avere un po' di coraggio, quel coraggio che serve a uscire da una condizione esistenziale in cui siamo invischiati da tempo per avventurarci nella realtà. Perché compatirsi e aspettare che la vita cambi da sola è molto più comodo che reagire alla propria situazione con autocoscienza, o almeno accettare di cambiare il nostro stato di cose quando qualcuno ci tende la mano. Ed è proprio questo che succede con la Presidentessa, che arriva a travestirsi da orso per superare le barriere imposte da Tomoko e stringerla in un abbraccio liberatorio. Tomoko desiderava quell'abbraccio, lo bramava con tutta sé stessa, almeno a livello inconscio. Ma le sue barriere in superficie le avrebbero impedito di accettarlo da una persona in carne e ossa visibile in quanto tale. Occorreva un occultamento alla coscienza, magari un bel travestimento. Da orso, appunto. E così Tomoko si fa abbracciare, ed è forse questo il primo passo verso una presa di coscienza dei propri sentimenti più reconditi. Ma quando poi, guarda caso proprio alla fine dell'anime, Tomoko ha l'occasione di poter reagire alla sua solitudine e decide di prendere l'iniziativa per parlare con la Presidentessa (e non più con l'orso), ecco che tutta la sua determinazione crolla. Da quei deriva la tragicità di tutto l'anime. Dal fallimento della protagonista di fronte al contrasto tra i suoi obiettivi e agli ostacoli che deve superare per raggiungerli. Quindi, di fronte alla vita.
Che poi, siamo sinceri, il mondo non gira sempre a questo modo e non sempre si trova gente disposta a compatirci e a salvarci. Tomoko lo capisce a sue spese. Quando un'attività tutto sommato banale come un'uscita serale al cinema sembra quasi essersi trasformata nello scopo di tutta la vita, la sua unica amica deve rinunciare per motivi di lavoro. Ovvero, per motivi che, nella realtà del mondo vero e non nella realtà del "mondo finto" del cervello di Tomoko, sono ben più importanti di un'uscita con un'amica che può benissimo essere rinviata senza conseguenze. Ma per Tomoko le cose funzionano diversamente, e queste conseguenze ci sono eccome. Se non nella realtà, almeno nella sua psiche, dilaniata dal conflitto tra illusione e realtà. Così, sarà il suo cervello a farle credere che "lavorare è bello" e che nel lavorare con le torte potrà trovare un riscatto da sé stessa. L'illusione si spezza tragicamente quando, in una scena che è forse uno degli apici emotivi dell'intero anime, i bellissimi sogni del lavoro da cameriera vengono travolti dall'angosciosa alienazione dell'operaia stretta nella catena di montaggio di una fabbrica che produce torte. Ma com'è possibile, lavorare con le torte non doveva essere un sogno bellissimo? Perché invece quest'incubo delirante? Bene, questo è esattamente il "risveglio alla realtà" che avranno i bambini quando non saranno più tali, quando il loro "sogno di diventare astronauta" si scontrerà con il vero mondo del lavoro e con una società sempre più competitiva (specialmente quella giapponese in cui è ambientato l'anime). Tomoko è ancora una liceale, ma non è più una bambina delle elementari, quindi è abbastanza grande per accorgersi finalmente di questo tragico scarto. Scarto che, ricordiamocelo, è fondamentale per la nostra vita, perché ci fa diventare adulti. Proprio come quando un semplice "Ci vediamo" di un ragazzo è in grado di dar luogo a una lunga e complessa rete di fantasie romantiche ed erotiche da cui, una volta imbrigliati, non si riesce più a uscire, finendo per scambiarle con la realtà e per voler far credere anche agli altri che proprio quella sia la realtà, come a una cuginetta di dodici anni che vede in noi degli esempi da seguire. Ma se la realtà è una cosa nella nostra testa, può essere un'altra cosa nella testa di qualcun altro. E Tomoko lo capirà solo quando sarà costretta a scusarsi, umiliata, a capo chino, davanti al ragazzo che suo malgrado verrà reso partecipe di quel velo di menzogne.
La colonna sonora fa il suo dovere egregiamente in questo senso, alternando stili e generi musicali che spaziano in un vero e proprio abisso di situazioni che è possibile rappresentare, proprio a marcare questo scarto tra il mondo della mente e quello della realtà, tra meditazioni filosofiche cullate dalla musica tibetana e pensieri auto-distruttivi in situazioni imbarazzanti, squarciati da chitarroni death metal e accelerate quasi grindcore (che forse si ricollegano allo stile della bella opening, un misto tra pop e melodic death metal molto commerciale che richiama alla mente Sonic Syndicate e band affini).
Tutte queste situazioni rendono cosciente Tomoko di una profonda verità: gli altri non possono passare la loro vita a compatirci, e ancor meno lo fanno i familiari. Sua madre la considera una ragazza come tutte le altre, non si accorge del suo disagio interiore e non esita a sgridarla quando non vorrà collaborare alle pulizie domestiche. Il padre, che la vede addormentata in pieno delirio da sogno (auto)erotico, la solleva dolcemente da terra e in quel semplice gesto dimostra l'affetto che prova verso la figlia, ma è un affetto esente da qualsiasi introspezione psicologica nei suoi sentimenti: non vedremo mai alcun dialogo tra Tomoko e suo padre che cerca in qualche modo spiegazioni per quello che è successo. Anzi, suo padre è un padre qualunque, e infatti non vedremo mai neanche la sua faccia, coperta dall'ombra.
Il fratello Tomoki (a proposito, un punto per la fantasia...) non è esente da questa situazione, anzi la estremizza. Non solo non capisce sua sorella, ma non la accetta nemmeno. Non la accoglie a sé, nonostante lei cerchi in tutti i modi di attirare la sua attenzione (facile da capire: Tomoki è l'unico ragazzo nella vita della protagonista). La allontana, come infastidito. Eppure, forse senza volerlo, è proprio l'indifferenza del fratello che in qualche modo fa mantenere alla povera Tomoko un contatto con la realtà. Perché lei, anche se ormai adolescente, è rimasta al livello cerebrale di una bambina, con i suoi viaggi mentali, le sue fantasie (che crede reali), le sue illusioni in cui perdersi e rifiutare il mondo esterno, da lei percepito come ostile, invadente e pericoloso per la sua identità. Ma in un contesto del genere, un forte affetto familiare non avrebbe fatto altro che complicare le cose, avvolgendo ancora di più l'inquietante fanciulla in una bella copertina come quella che rimbocca la mamma a mezzanotte, sotto una campana di vetro scintillante. E invece niente di tutto questo, e Tomoko è costretta a cercare questa copertina calda da qualche altra parte: in un'amica delle medie che gli è rimasta fedele, in una ragazza che legge un libro che lei conosce, in uno sconosciuto che le compra un ombrello mosso da pietà, in un gattino che sembra farci le fusa perché abbiamo desiderato fortemente la compagnia di qualcuno. O magari in un ramen istantaneo ingurgitato in solitudine sotto le stelle.
Molti desiderano una seconda serie di "WataMote!" perché non c'è stato alcun finale, e lo ammetto, anche io faccio parte di questo gruppo. Ma altri criticano l'opera proprio in virtù di questa "mancanza di finale". Una critica di questo tipo dimostra che la visione è stata sterile e che lo spettatore non è riuscito a cogliere il messaggio e l'intento dell'opera.
Il finale di "WataMote!" non esiste, perché non si può dare un finale alla vita. Tomoko rimarrà quella che è perché l'intento dell'anime è quello di far riflettere lo spettatore mostrando la realtà della vita e non quella degli anime (e dei film, dei romanzi, dei fumetti, ecc.), nella sua deprimente interezza (forse persino esasperata), che non può essere risolta in un'amicizia ottenuta proprio sul più bello (ovvero, alla fine). Questo avrebbe trasformato l'anime in un vero anime. Ma "WataMote!" non vuole essere un anime. Vuole essere orrendo e meraviglioso, noioso e intrigante, triste e divertente, tutto allo stesso tempo, in una dialettica degli opposti tanto disturbante quanto reale. E, soprattutto, vuole essere una sciabola nei nostri cuori, che ci fa ridere, ci commuove e ci fa soffrire proprio come fa la vita vera.
Un piccolo capolavoro.
"WataMote!" non è altro che l'abbreviazione del ben più lungo titolo "Watashi ga motenai no wa dō kangaetemo omaera ga warui!", che tradotto dal giapponese significa letteralmente: "Dite quello che volete, ma è colpa vostra se non sono popolare (ovvero, se sono una sfigata)". Tratto dal manga di Nico Tanigawa e dispiegato nel classico formato a dodici puntate, "WataMote!" (tuttora inedito in Italia e guardabile solo online con sottotitoli) è un anime che inganna. Appare subito come il più classico degli slice of life, pieno di episodi autoconclusivi il cui unico fine, se non quello di mostrarci qualche pezzetto di vita "vera", sembra essere quello di farci ridere e farci passare qualche oretta spensierata. E bisogna dire che all'inizio ci riesce, anche bene. Probabilmente avrà ingannato persino chi si era auto-spoilerato la trama fin da subito. Situazioni grottesche, al limite del fantozziano, fanno da sfondo a una protagonista squisitamente naif, deliziosa nel suo cercare in tutti i modi di raggiungere l'obiettivo che si è prefissata: diventare popolare nella sua scuola. E così l'obiettivo sembra quello di far ridere lo spettatore. E le risate, in effetti, scorrono. Risate a crepapelle, che divertono fin dalla prima puntata. Ed è proprio qui che c'è l'inghippo. "Fin dalla prima puntata". Quindi anche nella seconda. Nella terza. Nella quarta. Ma per quanto tempo un anime si può reggere sulle risate? Forse fino a quando non ci accorgiamo che il suo scopo, in realtà, non era far ridere ma era un altro? Far piangere? Commuovere? O magari... far riflettere? Un'opera può concentrare tutta la sua attrattiva per il pubblico nella risata selvaggia e mantenere invece il suo vero contenuto, il suo messaggio più autentico, in una profondità che risale sempre più a galla man mano che, episodio dopo episodio, arriviamo alla sua conclusione? Sembrerebbe di sì, ed è proprio questo ciò che rende "WataMote!" un anime di ben altro spessore rispetto alla media, come potrebbe essere la differenza che passa tra un capolavoro letterario del '900 a caso nella mischia e un qualsiasi romanzetto finto-romantico da supermercato tanto di moda ai giorni nostri.
"WataMote!" è uno slice of life, si diceva; in quanto tale, il suo compito è esattamente quello di rappresentare la realtà. Ma la realtà non è tutta rose e fiori, e tutti gli stereotipi che ritroviamo negli anime cadono giù come foglie di un albero sbattuto dal vento d'autunno. E questo vento non si accontenta di buttarle giù, no, vuole farsi beffe di loro. Beffe non solo degli anime (e dei manga, delle visual novel, dei simulatori di vita online, ecc.), ma anche di chi li guarda, che trova la propria incarnazione nella stessa protagonista, una Tomoko completamente alienata dal mondo che la circonda proprio perché ha la propria residenza non in Giappone (quello vero), ma nel bel più confortante mondo dei sogni e delle fantasie adolescenziali. Non è un caso che un anime come questo rappresenti, parodiandole, tutte le assurdità che si ritrovano in altri anime, rappresentate per quel che sono, assurdità appunto. Tanto più assurde quando sono rappresentate da un personaggio come Tomoko, che non ha niente di assurdo, anzi, è estremamente reale nella sua delirante umanità, che le fa paragonare il suo sudore a quello di "un personaggio di un manga da basket". E a volte ciò avviene in modo esplicito, come nell'azzeccato paragone tra Light di "Death Note", che muove epicamente la penna sul diario nero, e Tomoko, che muove (altrettanto epicamente) il suo mouse sul suo deprimente e sfigato computer come se stesse brandendo una spada in una battaglia. Quante volte vi è capitato di sentirvi come il personaggio di un film, di un romanzo, di un fumetto? Alla protagonista questa cosa non solo capita continuamente, ma lei stessa crede di essere "davvero" così, ed è proprio questo che rende "WataMote!" un anime "reale", in quanto rappresenta proprio "l'irrealtà" dei pensieri umani e il loro contrasto con quello che hanno davanti al proprio naso.
Ogni pretesa all'ottimismo, lieto fine compreso, viene spazzato via da una crudezza subdola, che si fa beffe delle nostre difese interiori e ci ferisce nel profondo proprio perché noi, accogliendola insieme alla "comicità" della visione, non riusciamo a riconoscerla. Qualcosa dentro di noi ci fa nettamente distinguere le opere comiche da quelle drammatiche, motivo per cui siamo assolutamente inermi quando questa differenza è più sfumata, senza capire dove finisce una e dove inizi l'altra. La tragedia sembra cedere il passo alla commedia, ma appunto, "sembra": non è che un'illusione, e la tragedia, che non ha nessuna voglia di farsi imbavagliare, nascosta in una cassa, continua a scalciare fino a liberarsi, ma non con violenza, poco a poco, mangiando pezzetto per pezzetto il cuore dello spettatore che credeva di potersi rilassare con qualche oretta di visione spensierata e si ritrova gettato in un abisso di sofferenza e solitudine.
Il punto è proprio questo: una continuità di situazioni comiche che ruotano attorno a un protagonista "tragico" non potrà condurre per sempre al sorriso. Fantozzi ci farà pure sganasciare dalle risate, anche per via della scelta stilistica dei suoi film, ma prima o poi qualcuno mosso da compassione che inizia a dire "Fa ridere, però... poveretto..." lo si trova pure. "WataMote!" estremizza questo schema. Le situazioni comiche reggono nei primi quattro episodi, massimo cinque. A un certo punto subentra la noia. Noia che poi si trasforma in nausea. La nausea in depressione. E la depressione in angoscia esistenziale. Quei rari spiragli di speranza, di luce in fondo al tunnel che fanno capolino qua e là ogni tanto, non fanno altro che rendere ancora più drammatica la tensione che cresce, episodio dopo episodio, nell'atmosfera dell'anime. Pura sofferenza interiore mascherata da un velo di divertissement. Tomoko è sola, è un'emarginata, è una ragazza che vive un'esistenza diversa da quella delle ragazze della sua età: una vita piatta, misera, che va avanti per inerzia, senza uno scopo o qualcosa che le dia un senso. Lei non è nessuno, e la gente intorno a lei non fa altro che ricordarglielo, persistendo a ignorarla continuamente. Ma in fondo, la colpa è di chi ignora o di chi non fa nulla per evitare di essere ignorato? O meglio, che sembra fare di tutto per essere ignorato, salvo poi lamentarsi del contrario? Cerco di far provare compassione nello spettatore mentre mangio tutta sola il mio pranzo nella classe deserta dopo essere svenuta, ma non ero io stessa che fino a qualche ora prima cercavo volutamente di isolarmi e me ne andavo a mangiare nel posto più buio e nascosto che riuscissi a trovare? Questa è la domanda che l'anime ci pone. Ma è una domanda che trova anche una sua risposta? Per capirlo basta analizzare il titolo. "Se sono sfigata (e quindi emarginata), è colpa vostra, non mia". Ma ne siamo proprio sicuri? O forse questo titolo racchiude la stessa parodia che ritroviamo verso gli altri anime? Magari il punto è diverso e più complesso; quel titolo non è una parodia esplicitata dagli autori, ma è piuttosto il punto di vista che Tomoko ha di sé stessa e della propria vita.
Questo punto non è affatto da sottovalutare, anzi, è qui che ritroviamo il senso dell'intero anime. Se azzardiamo un parallelismo improbabile (ma non tanto) tra storia letteraria europea e animazione giapponese, "WataMote!" non è realista in senso ottocentesco, come poteva essere l'influsso dell'ambiente circostante nelle opere di Balzac e Zola (il tipo di realismo, visto che parliamo di letteratura francese, che forse potremmo trovare più consono a un'opera come "i Fiori del Male" di Shuzo Oshimi), quanto piuttosto in senso psicologico, con quell'introspezione tipica del monologo interiore novecentesco di Joyce o Svevo. In pratica, la realtà non è ciò che è ma è piuttosto ciò che la protagonista crede che sia. Le stesse scelte stilistiche, che raffigurano a volte i personaggi dotati solo di bocca e dall'aspetto uguale gli uni gli altri, rappresentano un'estremizzazione del concetto (inconscio) che Tomoko ha della società e del mondo. "Non importa cosa pensate, è colpa vostra se sono impopolare". Esattamente. Non perché sia la verità, ma perché è quella che Tomoko "crede essere la verità". E il problema è che l'intero anime si fonda sulla percezione soggettiva della realtà, mostrando allo spettatore non quello che succede realmente, ma piuttosto quello che succede negli occhi e nel cervello della protagonista.
Tomoko è una disadattata sociale, una reclusa, un'emarginata, non perché siano gli altri a volerla ridurre così, ma piuttosto perché è lei stessa a cercare quell'emarginazione, quella rassicurazione che può ottenere solo nella solitudine. Esatto, "rassicurazione". Perché la povera Mokocchi (soprannome "kawaii" di Tomoko) soffre come una cagna bastonata, come un povero pulcino indifeso in balia del temporale. Ma una cagna bastonata e un pulcino indifeso potrebbero uscire dalla loro condizione di sofferenza, se solo volessero, perché ne hanno facoltà: è sufficiente far uscir fuori gli artigli e il becco, attaccare, reagire, non subire passivamente gli eventi. Azzannare la mano di chi ti bastona, cercare un riparo dalla pioggia. Ma non lo fanno. Perché non ne hanno il coraggio, forse. O magari, proprio perché è più "rassicurante" non fare nulla e accettare il proprio destino, nella speranza che un giorno le cose cambino, piuttosto che fare qualcosa per cambiarle. E chi li guarda non fa certo nulla per impedire questa visione delle cose: spinto dalla pietà e dalla compassione nei loro confronti, cercherà di fare qualcosa per farli uscire dalla loro situazione. Tomoko cerca esattamente questo, cerca qualcuno che, "proprio come succede negli anime", potrà salvarla dalla quella solitudine che lei stessa si è imposta proprio per poter essere salvata. Il problema è che non solo Tomoko non riuscirà a trovare nessuno che possa salvarla (o meglio, che abbia un qualche interesse nel volerla salvare), ma quando si presenterà una possibile occasione, invece di accoglierla, fuggirà a gambe levate. Perché anche farsi salvare significa avere un po' di coraggio, quel coraggio che serve a uscire da una condizione esistenziale in cui siamo invischiati da tempo per avventurarci nella realtà. Perché compatirsi e aspettare che la vita cambi da sola è molto più comodo che reagire alla propria situazione con autocoscienza, o almeno accettare di cambiare il nostro stato di cose quando qualcuno ci tende la mano. Ed è proprio questo che succede con la Presidentessa, che arriva a travestirsi da orso per superare le barriere imposte da Tomoko e stringerla in un abbraccio liberatorio. Tomoko desiderava quell'abbraccio, lo bramava con tutta sé stessa, almeno a livello inconscio. Ma le sue barriere in superficie le avrebbero impedito di accettarlo da una persona in carne e ossa visibile in quanto tale. Occorreva un occultamento alla coscienza, magari un bel travestimento. Da orso, appunto. E così Tomoko si fa abbracciare, ed è forse questo il primo passo verso una presa di coscienza dei propri sentimenti più reconditi. Ma quando poi, guarda caso proprio alla fine dell'anime, Tomoko ha l'occasione di poter reagire alla sua solitudine e decide di prendere l'iniziativa per parlare con la Presidentessa (e non più con l'orso), ecco che tutta la sua determinazione crolla. Da quei deriva la tragicità di tutto l'anime. Dal fallimento della protagonista di fronte al contrasto tra i suoi obiettivi e agli ostacoli che deve superare per raggiungerli. Quindi, di fronte alla vita.
Che poi, siamo sinceri, il mondo non gira sempre a questo modo e non sempre si trova gente disposta a compatirci e a salvarci. Tomoko lo capisce a sue spese. Quando un'attività tutto sommato banale come un'uscita serale al cinema sembra quasi essersi trasformata nello scopo di tutta la vita, la sua unica amica deve rinunciare per motivi di lavoro. Ovvero, per motivi che, nella realtà del mondo vero e non nella realtà del "mondo finto" del cervello di Tomoko, sono ben più importanti di un'uscita con un'amica che può benissimo essere rinviata senza conseguenze. Ma per Tomoko le cose funzionano diversamente, e queste conseguenze ci sono eccome. Se non nella realtà, almeno nella sua psiche, dilaniata dal conflitto tra illusione e realtà. Così, sarà il suo cervello a farle credere che "lavorare è bello" e che nel lavorare con le torte potrà trovare un riscatto da sé stessa. L'illusione si spezza tragicamente quando, in una scena che è forse uno degli apici emotivi dell'intero anime, i bellissimi sogni del lavoro da cameriera vengono travolti dall'angosciosa alienazione dell'operaia stretta nella catena di montaggio di una fabbrica che produce torte. Ma com'è possibile, lavorare con le torte non doveva essere un sogno bellissimo? Perché invece quest'incubo delirante? Bene, questo è esattamente il "risveglio alla realtà" che avranno i bambini quando non saranno più tali, quando il loro "sogno di diventare astronauta" si scontrerà con il vero mondo del lavoro e con una società sempre più competitiva (specialmente quella giapponese in cui è ambientato l'anime). Tomoko è ancora una liceale, ma non è più una bambina delle elementari, quindi è abbastanza grande per accorgersi finalmente di questo tragico scarto. Scarto che, ricordiamocelo, è fondamentale per la nostra vita, perché ci fa diventare adulti. Proprio come quando un semplice "Ci vediamo" di un ragazzo è in grado di dar luogo a una lunga e complessa rete di fantasie romantiche ed erotiche da cui, una volta imbrigliati, non si riesce più a uscire, finendo per scambiarle con la realtà e per voler far credere anche agli altri che proprio quella sia la realtà, come a una cuginetta di dodici anni che vede in noi degli esempi da seguire. Ma se la realtà è una cosa nella nostra testa, può essere un'altra cosa nella testa di qualcun altro. E Tomoko lo capirà solo quando sarà costretta a scusarsi, umiliata, a capo chino, davanti al ragazzo che suo malgrado verrà reso partecipe di quel velo di menzogne.
La colonna sonora fa il suo dovere egregiamente in questo senso, alternando stili e generi musicali che spaziano in un vero e proprio abisso di situazioni che è possibile rappresentare, proprio a marcare questo scarto tra il mondo della mente e quello della realtà, tra meditazioni filosofiche cullate dalla musica tibetana e pensieri auto-distruttivi in situazioni imbarazzanti, squarciati da chitarroni death metal e accelerate quasi grindcore (che forse si ricollegano allo stile della bella opening, un misto tra pop e melodic death metal molto commerciale che richiama alla mente Sonic Syndicate e band affini).
Tutte queste situazioni rendono cosciente Tomoko di una profonda verità: gli altri non possono passare la loro vita a compatirci, e ancor meno lo fanno i familiari. Sua madre la considera una ragazza come tutte le altre, non si accorge del suo disagio interiore e non esita a sgridarla quando non vorrà collaborare alle pulizie domestiche. Il padre, che la vede addormentata in pieno delirio da sogno (auto)erotico, la solleva dolcemente da terra e in quel semplice gesto dimostra l'affetto che prova verso la figlia, ma è un affetto esente da qualsiasi introspezione psicologica nei suoi sentimenti: non vedremo mai alcun dialogo tra Tomoko e suo padre che cerca in qualche modo spiegazioni per quello che è successo. Anzi, suo padre è un padre qualunque, e infatti non vedremo mai neanche la sua faccia, coperta dall'ombra.
Il fratello Tomoki (a proposito, un punto per la fantasia...) non è esente da questa situazione, anzi la estremizza. Non solo non capisce sua sorella, ma non la accetta nemmeno. Non la accoglie a sé, nonostante lei cerchi in tutti i modi di attirare la sua attenzione (facile da capire: Tomoki è l'unico ragazzo nella vita della protagonista). La allontana, come infastidito. Eppure, forse senza volerlo, è proprio l'indifferenza del fratello che in qualche modo fa mantenere alla povera Tomoko un contatto con la realtà. Perché lei, anche se ormai adolescente, è rimasta al livello cerebrale di una bambina, con i suoi viaggi mentali, le sue fantasie (che crede reali), le sue illusioni in cui perdersi e rifiutare il mondo esterno, da lei percepito come ostile, invadente e pericoloso per la sua identità. Ma in un contesto del genere, un forte affetto familiare non avrebbe fatto altro che complicare le cose, avvolgendo ancora di più l'inquietante fanciulla in una bella copertina come quella che rimbocca la mamma a mezzanotte, sotto una campana di vetro scintillante. E invece niente di tutto questo, e Tomoko è costretta a cercare questa copertina calda da qualche altra parte: in un'amica delle medie che gli è rimasta fedele, in una ragazza che legge un libro che lei conosce, in uno sconosciuto che le compra un ombrello mosso da pietà, in un gattino che sembra farci le fusa perché abbiamo desiderato fortemente la compagnia di qualcuno. O magari in un ramen istantaneo ingurgitato in solitudine sotto le stelle.
Molti desiderano una seconda serie di "WataMote!" perché non c'è stato alcun finale, e lo ammetto, anche io faccio parte di questo gruppo. Ma altri criticano l'opera proprio in virtù di questa "mancanza di finale". Una critica di questo tipo dimostra che la visione è stata sterile e che lo spettatore non è riuscito a cogliere il messaggio e l'intento dell'opera.
Il finale di "WataMote!" non esiste, perché non si può dare un finale alla vita. Tomoko rimarrà quella che è perché l'intento dell'anime è quello di far riflettere lo spettatore mostrando la realtà della vita e non quella degli anime (e dei film, dei romanzi, dei fumetti, ecc.), nella sua deprimente interezza (forse persino esasperata), che non può essere risolta in un'amicizia ottenuta proprio sul più bello (ovvero, alla fine). Questo avrebbe trasformato l'anime in un vero anime. Ma "WataMote!" non vuole essere un anime. Vuole essere orrendo e meraviglioso, noioso e intrigante, triste e divertente, tutto allo stesso tempo, in una dialettica degli opposti tanto disturbante quanto reale. E, soprattutto, vuole essere una sciabola nei nostri cuori, che ci fa ridere, ci commuove e ci fa soffrire proprio come fa la vita vera.
Un piccolo capolavoro.
Non so quali fossero, in partenza, le intenzioni dell'autore di "Watamote"; personalmente pensavo si trattasse semplicemente di un anime comico basato sulle disavventure di una ragazza brutta e sfigata. Anche adesso non posso dire che non sia così; però so anche che cercare di classificare questo titolo che allo stesso tempo fa ridere e piangere, emozionare e deprimere, sperare e disperare, è compito per niente facile. Non so se queste fossero le reali intenzioni dell'autore; volente o nolente, però, ha creato un vero capolavoro.
"Watamote" narra le vicende di Tomoko, una ragazza timida e decisamente bruttina. Terminate le scuole medie, passate tra l'indifferenza generale, la ragazza sogna una fantastica vita liceale, fatta di tutte quelle cose che si vedono nei film, manga, anime e videogiochi: crearsi un gruppo compatto di amicizie, magari un bel ragazzo e passare le vacanze estive divertendosi come fanno tutti i suoi coetanei. Il risveglio dal suo sogno sarà, però, decisamente brusco: nonostante tutti i suoi sforzi la ragazza non riesce a farsi notare e condurrà una vita triste e solitaria così come accadeva in passato.
E' quasi inutile dire che il punto forte di tutta la storia è la caratterizzazione di Tomoko: una ragazza che cerca disperatamente un rimedio alla sua solitudine. Tomoko crede agli oroscopi e ai rimedi consigliati alla TV, su internet o su qualche rivista, e cerca di applicare nella vita reale ciò che le viene consigliato: i risultati sono, ovviamente, disastrosi, molto spesso comici. Ma se quest'aspetto di lei ci fa sorridere, la sua parte più interiore, fatta di rimpianti, tristezza, talvolta amara disperazione per la sua condizione, è così vera da portare lo spettatore a provare una gran pena per la ragazza, fino quasi a vergognarsi per aver riso a seguito di qualche sua buffa disavventura avvenuta poco prima. In particolare, il pianto di questa ragazza così sgraziata è qualcosa che riesce a colpire il cuore e fa venir voglia di esser lì per consolarla in qualche modo; esso è poi così realistico da far tremare i polsi a chi è davvero passato in situazioni simili a quella vissuta da Tomoko.
Col passare degli episodi, poi, la stessa personalità di Tomoko subisce un'evidente evoluzione: inizialmente parte piena di fiducia e di buoni propositi; poi però andrà incontro alla rassegnazione, assumendo una personalità sempre più grigia, evidenziata prontamente dall'autore colorando la ragazza del medesimo colore.
Tenendo conto di tutto questo, "Watamote" rappresenta un vero e proprio pugno nello stomaco a tutta la produzione di tipo scolastico/slice of life in commercio, composta da personaggi spensierati e senza problemi, quasi a voler mostrare l'immagine di un Paese in cui si vive bene e in cui c'è posto per tutti. Qui, invece, viene mostrato il destino che attende chi non rientra nei profili standard dello studente giapponese medio, facendoci vedere tutta la polvere che gli altri anime nascondono sotto il tappeto.
Passa in secondo piano, a mio avviso, la parte comica di questo anime, che è comunque di ottima fattura; ho gradito in particolare i riferimenti ad altri anime, come "Kuroko no Basket" e "K-On!" Ma nel complesso i momenti comici sono ben studiati e ottimamente realizzati.
Per chi lo guarda, insomma, "Watamote" è un eterno conflitto di stati d'animo che indurrà, specie chi non l'ha mai provata, a riflettere sulla desolazione derivante dalla solitudine, che in questo anime viene descritta con un incredibile realismo. Magari qualcuno finirà per notare persone che non aveva mai notato prima perché anonime e senza particolari qualità, e cercherà di fare qualcosa per loro. Non so se accadrà davvero, ma sarebbe bello se, grazie anche a un anime come questo, le cose andassero così.
"Watamote" narra le vicende di Tomoko, una ragazza timida e decisamente bruttina. Terminate le scuole medie, passate tra l'indifferenza generale, la ragazza sogna una fantastica vita liceale, fatta di tutte quelle cose che si vedono nei film, manga, anime e videogiochi: crearsi un gruppo compatto di amicizie, magari un bel ragazzo e passare le vacanze estive divertendosi come fanno tutti i suoi coetanei. Il risveglio dal suo sogno sarà, però, decisamente brusco: nonostante tutti i suoi sforzi la ragazza non riesce a farsi notare e condurrà una vita triste e solitaria così come accadeva in passato.
E' quasi inutile dire che il punto forte di tutta la storia è la caratterizzazione di Tomoko: una ragazza che cerca disperatamente un rimedio alla sua solitudine. Tomoko crede agli oroscopi e ai rimedi consigliati alla TV, su internet o su qualche rivista, e cerca di applicare nella vita reale ciò che le viene consigliato: i risultati sono, ovviamente, disastrosi, molto spesso comici. Ma se quest'aspetto di lei ci fa sorridere, la sua parte più interiore, fatta di rimpianti, tristezza, talvolta amara disperazione per la sua condizione, è così vera da portare lo spettatore a provare una gran pena per la ragazza, fino quasi a vergognarsi per aver riso a seguito di qualche sua buffa disavventura avvenuta poco prima. In particolare, il pianto di questa ragazza così sgraziata è qualcosa che riesce a colpire il cuore e fa venir voglia di esser lì per consolarla in qualche modo; esso è poi così realistico da far tremare i polsi a chi è davvero passato in situazioni simili a quella vissuta da Tomoko.
Col passare degli episodi, poi, la stessa personalità di Tomoko subisce un'evidente evoluzione: inizialmente parte piena di fiducia e di buoni propositi; poi però andrà incontro alla rassegnazione, assumendo una personalità sempre più grigia, evidenziata prontamente dall'autore colorando la ragazza del medesimo colore.
Tenendo conto di tutto questo, "Watamote" rappresenta un vero e proprio pugno nello stomaco a tutta la produzione di tipo scolastico/slice of life in commercio, composta da personaggi spensierati e senza problemi, quasi a voler mostrare l'immagine di un Paese in cui si vive bene e in cui c'è posto per tutti. Qui, invece, viene mostrato il destino che attende chi non rientra nei profili standard dello studente giapponese medio, facendoci vedere tutta la polvere che gli altri anime nascondono sotto il tappeto.
Passa in secondo piano, a mio avviso, la parte comica di questo anime, che è comunque di ottima fattura; ho gradito in particolare i riferimenti ad altri anime, come "Kuroko no Basket" e "K-On!" Ma nel complesso i momenti comici sono ben studiati e ottimamente realizzati.
Per chi lo guarda, insomma, "Watamote" è un eterno conflitto di stati d'animo che indurrà, specie chi non l'ha mai provata, a riflettere sulla desolazione derivante dalla solitudine, che in questo anime viene descritta con un incredibile realismo. Magari qualcuno finirà per notare persone che non aveva mai notato prima perché anonime e senza particolari qualità, e cercherà di fare qualcosa per loro. Non so se accadrà davvero, ma sarebbe bello se, grazie anche a un anime come questo, le cose andassero così.
Watashi ga Motenai no wa Dou Kangaete mo Omaera ga Warui!, meglio conosciuto come WataMote, è una di quelle opere talmente complesse che redigere una recensione è più un incubo che un piacere. Tratto dal manga omonimo di Nico Tanigawa, "WataMote" è apparentemente un'opera di tipo comico/slice of life con una protagonista decisamente eccentrica e "sopra le righe". All'apparenza, appunto. In realtà ci troviamo dinanzi a una storia crudele fatta di satira spietata che vedrà la protagonista, Tomoko Kuroki, vittima di una serie di sventure che ci mostreranno la sua vita da otaku medio giapponese.
Nonostante le premesse, "WataMote" è un'opera dannatamente profonda, piena di significati intrinseci e allegorie sulla vita moderna, e di come essa crei ogni giorno migliaia di sociopatici e disadattati.
La nostra protagonista, Tomoko, è una ragazza apparentemente come tante altre, pronta ad affrontare l'avventura del primo giorno di liceo dopo una non troppo felice esperienza alle medie e armata unicamente della speranza di diventare popolare... magari trovandosi anche un bel ragazzo che la ami alla follia! Tutti ottimi propositi che si andranno però a scontrare con la dura realtà delle cose: Tomoko è un'otaku convinta come molti suoi coetanei, solitaria e incapace anche solo di spiccicare mezza parola con il terzo, condizione che la porterà spesso a clamorose umiliazioni degne del peggior Fantozzi. Così come il noto Ragioniere, anche Tomoko altri non è che un'allegoria per mostrare allo spettatore la crudeltà, l'arrivismo e l'alienazione della società di cui fa parte e di come i suoi ritmi frenetici creino giorno dopo giorno persone sempre più frustrate ed emarginate. E come può Tomoko ovviare a tale disagio? Ovviamente estraniandosi dal mondo che la circonda attraverso internet, manga, anime e videogiochi; un'ancora di illusoria salvezza da quel mondo troppo brutto e frenetico da affrontare per chi, come Tomoko, ha più paure che certezze. È forse attraverso i dating sim, simulatori di una felicità mai avuta, che la nostra protagonista può ovviare a tanto e tale disagio? La risposta ovviamente è no.
Come tanti ragazzi, Tomoko non desidera altro che entrare a far parte di quella vita ordinaria mostrata in anime e manga e che, per molti come lei, rappresenta uno standard di vita realistico e concreto. Ma la realtà purtroppo non è come pensa che sia e così, a quattro mesi dall'inizio del liceo, Tomoko si ritrova sola più che mai e ignorata totalmente dai suoi compagni di classe. Una solitudine fomentata da paturnie tipicamente adolescenziali che scateneranno in lei un marasma di pensieri continui e ossessivi; un flusso di coscienza degno del miglior Joyce. I suoi martellanti e morbosi monologhi interiori permetteranno allo spettatore di comprendere meglio la psicologia del personaggio, la sua insofferenza verso la banalità delle persone, la sua profonda rabbia mista a invidia nel guardare come per gli altri sia facile riuscire a socializzare e, dulcis in fundo, la sua cecità nell'osservare il mondo che la circonda.
Un'ottusità dai toni profondamente infantili che la pone sempre dinanzi al dilemma: "Perché agli altri sì e a me no? Cos'ho fatto di male per meritarmi ciò?". Tomoko è difatti vittima e carnefice allo stesso tempo, nonostante le continue vessazioni che portano lo spettatore a empatizzare con lei. Indubbiamente Tomoko è un pesce fuor d'acqua nella società in cui vive, ma è altrettanto vero che molte delle sue sfortune altro non sono che il frutto della sua ottusità nel comprendere i propri errori e i propri limiti.
Dopo una panoramica così amara e impietosa, come si può ancora considerare "WataMote" un'opera umoristica? Di sicuro per lo stesso motivo per cui Fantozzi viene considerato da noi un caposaldo del cinema: la sua vena tragicomica.
Le situazioni nelle quali si va a cacciare Tomoko sono delle più disparate, come ad esempio le bugie dette alla cugina per non apparire sfigata e puntualmente sgamate, le frasi inopportune dette a perfetti estranei per apparire simpatica, le facce inquietanti fatte nei momenti di estraneazione mentale, il rapporto con i genitori e il fratello minore di cui è profondamente invidiosa, le strampalate fantasie erotiche, la sfortuna impietosa che le si abbatte addosso ogniqualvolta ve n'è l'occasione, le aspettative sul lavoro in fabbrica che vengono brutalmente disattese e il rapporto di amore/odio con la ex compagna di classe Yu, prima otaku come lei e ora figa più che mai.
Tutto ciò diverte e anche tanto, ma questa peculiarità di "WataMote" in realtà è una lama a doppio taglio parecchio velenosa, soprattutto per chi vive uno stile di vita molto vicino a quello nerd/otaku/geek.
Se da un lato Tomoko ci appare un personaggio smarrito, confuso e da coccolare, dall'altro rispecchia totalmente uno spaccato di vita realistico e altamente tragico per chi, come lei, ha vissuto un'adolescenza fuori dal coro e di cui porta ancora le ferite. Una satira che fa più volte ridere, ma che è anche in grado di angosciare con i suoi toni impietosi e in cui è fin troppo facile immedesimarsi; una satira che rode nel profondo e che lascia parecchio amaro in bocca.
Qual è dunque la morale di tutto ciò? Nessuna, "WataMote" è, brutalmente parlando, una crudele, spietata e quanto più diretta rappresentazione di un certo tipo di quotidiano moderno e più di questo non pretende, né vuole, essere.
Tecnicamente la serie è perfetta, le animazioni scorrono piacevolmente e senza intoppi, la regia è sagace e migliora tantissimo la narrazione rispetto al manga, così come il commento sonoro è di prima scelta e azzeccatissimo alle vicende narrate.
Concludendo, "WataMote" è una serie per stomaci forti che va subito al dunque e con grande stile, una perla a suo modo rivolta a un pubblico maturo, capace di analizzare sé stesso con quella giusta dose di realismo e autoironia. Astenersi dunque permalosi e/o suscettibili, rovinereste l'atmosfera.
Nonostante le premesse, "WataMote" è un'opera dannatamente profonda, piena di significati intrinseci e allegorie sulla vita moderna, e di come essa crei ogni giorno migliaia di sociopatici e disadattati.
La nostra protagonista, Tomoko, è una ragazza apparentemente come tante altre, pronta ad affrontare l'avventura del primo giorno di liceo dopo una non troppo felice esperienza alle medie e armata unicamente della speranza di diventare popolare... magari trovandosi anche un bel ragazzo che la ami alla follia! Tutti ottimi propositi che si andranno però a scontrare con la dura realtà delle cose: Tomoko è un'otaku convinta come molti suoi coetanei, solitaria e incapace anche solo di spiccicare mezza parola con il terzo, condizione che la porterà spesso a clamorose umiliazioni degne del peggior Fantozzi. Così come il noto Ragioniere, anche Tomoko altri non è che un'allegoria per mostrare allo spettatore la crudeltà, l'arrivismo e l'alienazione della società di cui fa parte e di come i suoi ritmi frenetici creino giorno dopo giorno persone sempre più frustrate ed emarginate. E come può Tomoko ovviare a tale disagio? Ovviamente estraniandosi dal mondo che la circonda attraverso internet, manga, anime e videogiochi; un'ancora di illusoria salvezza da quel mondo troppo brutto e frenetico da affrontare per chi, come Tomoko, ha più paure che certezze. È forse attraverso i dating sim, simulatori di una felicità mai avuta, che la nostra protagonista può ovviare a tanto e tale disagio? La risposta ovviamente è no.
Come tanti ragazzi, Tomoko non desidera altro che entrare a far parte di quella vita ordinaria mostrata in anime e manga e che, per molti come lei, rappresenta uno standard di vita realistico e concreto. Ma la realtà purtroppo non è come pensa che sia e così, a quattro mesi dall'inizio del liceo, Tomoko si ritrova sola più che mai e ignorata totalmente dai suoi compagni di classe. Una solitudine fomentata da paturnie tipicamente adolescenziali che scateneranno in lei un marasma di pensieri continui e ossessivi; un flusso di coscienza degno del miglior Joyce. I suoi martellanti e morbosi monologhi interiori permetteranno allo spettatore di comprendere meglio la psicologia del personaggio, la sua insofferenza verso la banalità delle persone, la sua profonda rabbia mista a invidia nel guardare come per gli altri sia facile riuscire a socializzare e, dulcis in fundo, la sua cecità nell'osservare il mondo che la circonda.
Un'ottusità dai toni profondamente infantili che la pone sempre dinanzi al dilemma: "Perché agli altri sì e a me no? Cos'ho fatto di male per meritarmi ciò?". Tomoko è difatti vittima e carnefice allo stesso tempo, nonostante le continue vessazioni che portano lo spettatore a empatizzare con lei. Indubbiamente Tomoko è un pesce fuor d'acqua nella società in cui vive, ma è altrettanto vero che molte delle sue sfortune altro non sono che il frutto della sua ottusità nel comprendere i propri errori e i propri limiti.
Dopo una panoramica così amara e impietosa, come si può ancora considerare "WataMote" un'opera umoristica? Di sicuro per lo stesso motivo per cui Fantozzi viene considerato da noi un caposaldo del cinema: la sua vena tragicomica.
Le situazioni nelle quali si va a cacciare Tomoko sono delle più disparate, come ad esempio le bugie dette alla cugina per non apparire sfigata e puntualmente sgamate, le frasi inopportune dette a perfetti estranei per apparire simpatica, le facce inquietanti fatte nei momenti di estraneazione mentale, il rapporto con i genitori e il fratello minore di cui è profondamente invidiosa, le strampalate fantasie erotiche, la sfortuna impietosa che le si abbatte addosso ogniqualvolta ve n'è l'occasione, le aspettative sul lavoro in fabbrica che vengono brutalmente disattese e il rapporto di amore/odio con la ex compagna di classe Yu, prima otaku come lei e ora figa più che mai.
Tutto ciò diverte e anche tanto, ma questa peculiarità di "WataMote" in realtà è una lama a doppio taglio parecchio velenosa, soprattutto per chi vive uno stile di vita molto vicino a quello nerd/otaku/geek.
Se da un lato Tomoko ci appare un personaggio smarrito, confuso e da coccolare, dall'altro rispecchia totalmente uno spaccato di vita realistico e altamente tragico per chi, come lei, ha vissuto un'adolescenza fuori dal coro e di cui porta ancora le ferite. Una satira che fa più volte ridere, ma che è anche in grado di angosciare con i suoi toni impietosi e in cui è fin troppo facile immedesimarsi; una satira che rode nel profondo e che lascia parecchio amaro in bocca.
Qual è dunque la morale di tutto ciò? Nessuna, "WataMote" è, brutalmente parlando, una crudele, spietata e quanto più diretta rappresentazione di un certo tipo di quotidiano moderno e più di questo non pretende, né vuole, essere.
Tecnicamente la serie è perfetta, le animazioni scorrono piacevolmente e senza intoppi, la regia è sagace e migliora tantissimo la narrazione rispetto al manga, così come il commento sonoro è di prima scelta e azzeccatissimo alle vicende narrate.
Concludendo, "WataMote" è una serie per stomaci forti che va subito al dunque e con grande stile, una perla a suo modo rivolta a un pubblico maturo, capace di analizzare sé stesso con quella giusta dose di realismo e autoironia. Astenersi dunque permalosi e/o suscettibili, rovinereste l'atmosfera.
"WataMote" è una commedia del 2013 che racconta le disavventure scolastiche di una dolce (mica tanto) fanciulla del primo anno che, una volta entrata al liceo, cerca di crearsi una vita sociale. Detto in questo modo sembra anche carino, e proprio la trama è stata quella che mi ha portato a guardare questa serie. Ho fatto bene? Chi lo sa, certamente mi sono divertito, ma, ad essere sinceri, mi aspettavo qualcosa di più da un anime carino che cerca, ma non riesce, a entusiasmare più di tanto.
Incominciamo però a descrivere un pochino cosa dovrete aspettarvi da "WataMote". Niente paura, di fatto tutta la vicenda gira attorno alla protagonista, Tomoko Kuroki, ragazzina molto bassa e dall'aspetto piuttosto carino, se non fosse per due grandi occhiaie dovute a una vita sregolata, fatta di giochi, anime e vita sedentaria. Ad essere onesti mi ci vedo un pochino in Kuroki (anche se il mio ego mi porta a limitare la somiglianza solo per quanto riguarda il carattere), un vero e proprio vampiro moderno, rinchiusa nella sua cameretta, nel suo mondo informatico. Tuttavia non è solo questo il suo problema, anzi, l'anime non sembra interessarsi minimamente a questo dettaglio, concentrandosi invece su un aspetto ben più problematico: la difficoltà di Tomoko nell'interagire con le altre persone.
Iniziato il liceo il suo sogno era quello di diventare finalmente un ragazza normale, con un sacco di amici e un ragazzo, ma, come ben presto capirà, questo suo sogno, almeno inizialmente, sembra irrealizzabile. Il mondo di Kuroki è diviso da quello degli altri terrestri da un muro insuperabile, fatto di diffidenza, timidezza e un pizzico di avversione della nostra protagonista verso tutti suoi compagni "normali". I giorni passano, ma Kuroki non riesce a migliorare, nonostante tutti i suoi tentativi e gli strambi stratagemmi che, chissà come, s'inventerà nel corso delle varie puntate. Insomma, sembra un sogno destinato a rimanere nel cassetto, visto che anche la sua vecchia amica d'infanzia, Yuu Naruse, è riuscita a trasformarsi da "sfigatella" a "super-sexy". Cosa succederà a Kuroki? Ce la farà oppure resterà per sempre avvolta da quel manto di tenebra che sembra circondarla?
Questo, di fatto, è il succo della storia. Una storia che, seppur divertente, non riuscirà mai a esplodere, nonostante le varie scenette esilaranti. In quanto a risate nulla da dire, ma per quanto riguarda la commedia, devo ammettere di non averla proprio vista. Che ne so, una trama, qualche progresso, un finale... nulla. Kuroki si destreggia nel suo mondo personale in un susseguirsi di puntate (in tutto dodici), quasi in una sorta di monologo, visto che, a parte il fratello, l'amica Yuu e la cuginetta, non ci saranno altri personaggi degni di rispetto, se non qualche comparsa.
Quest'ultimo fattore ha influito in maniera rilevante nel mio giudizio. Certo, Kuroki è Kuroki, in teoria basta lei per elettrizzare tutta la puntata, ma a lungo andare stanca, annoia e pure il suo umorismo diventa piuttosto monotono. Forse mostrare qualche compagno in più non era male...
Altra materia d'argomento è il carattere dei vari protagonisti. Come già detto, a parte Tomoko, che viene analizzata più che a sufficienza, gli altri sono piuttosto "piatti", scadenti, tipici personaggi che si rifanno in continuazione ai cliché dell'animazione. La bella, simpatica, gentile, dolce Yuu... perfetta ragazzina, anche se, a pensarci bene, credo che quest'effetto sia voluto, contrapponendola dunque al nostro anti-eroe, nonché protagonista dell'anime.
Giungiamo ora alla grafica: fantastica. Sinceramente sono rimasto sbalordito dai disegni che mi sono trovato di fronte. I colori sono chiari e puliti, quasi brillanti, ma, se le luci vengono esaltate, altrettanto bene vengono amplificate le ombre che circondano la figura di Tomoko.
Le musiche sono fantastiche e l'opening stessa è una vera e propria bomba in piena esplosione. Il grido di Kuroki risuona tra le note della canzone: forte e dura, proprio come la ragazza in questione.
Per il doppiaggio non ho molto da dire, se non mostrare la mia approvazione per la scelta delle voci, davvero azzeccate.
Dunque, che dire: un anime carino che diverte, ma che non riesce a "brillare" fino in fondo. Ho sempre detto che si può capire il vero valore di un'opera solamente quando essa è conclusa, tenendo in considerazione la tristezza generale che ci accoglie nel momento di dirgli addio, o anche arrivederci. Se un protagonista o un anime ha realmente colpito, rimarrà in cuore un dolce sapore di malinconia, dovuto soprattutto al fatto di abbandonare un amico, una "persona" cara che, nonostante il poco tempo passato insieme, ci ha fatto divertire. Lo so che sembro matto, ma vi assicuro che gran parte del voto che do alle opere da me recensite è derivato da quest'emozione.
Bene, nel caso di "WataMote", purtroppo, non ho sentito tutte queste sensazioni, se non la consapevolezza di essermi gustato un buon anime, divertente, ma sfortunatamente nulla di più.
Voto finale: 6 e mezzo
Incominciamo però a descrivere un pochino cosa dovrete aspettarvi da "WataMote". Niente paura, di fatto tutta la vicenda gira attorno alla protagonista, Tomoko Kuroki, ragazzina molto bassa e dall'aspetto piuttosto carino, se non fosse per due grandi occhiaie dovute a una vita sregolata, fatta di giochi, anime e vita sedentaria. Ad essere onesti mi ci vedo un pochino in Kuroki (anche se il mio ego mi porta a limitare la somiglianza solo per quanto riguarda il carattere), un vero e proprio vampiro moderno, rinchiusa nella sua cameretta, nel suo mondo informatico. Tuttavia non è solo questo il suo problema, anzi, l'anime non sembra interessarsi minimamente a questo dettaglio, concentrandosi invece su un aspetto ben più problematico: la difficoltà di Tomoko nell'interagire con le altre persone.
Iniziato il liceo il suo sogno era quello di diventare finalmente un ragazza normale, con un sacco di amici e un ragazzo, ma, come ben presto capirà, questo suo sogno, almeno inizialmente, sembra irrealizzabile. Il mondo di Kuroki è diviso da quello degli altri terrestri da un muro insuperabile, fatto di diffidenza, timidezza e un pizzico di avversione della nostra protagonista verso tutti suoi compagni "normali". I giorni passano, ma Kuroki non riesce a migliorare, nonostante tutti i suoi tentativi e gli strambi stratagemmi che, chissà come, s'inventerà nel corso delle varie puntate. Insomma, sembra un sogno destinato a rimanere nel cassetto, visto che anche la sua vecchia amica d'infanzia, Yuu Naruse, è riuscita a trasformarsi da "sfigatella" a "super-sexy". Cosa succederà a Kuroki? Ce la farà oppure resterà per sempre avvolta da quel manto di tenebra che sembra circondarla?
Questo, di fatto, è il succo della storia. Una storia che, seppur divertente, non riuscirà mai a esplodere, nonostante le varie scenette esilaranti. In quanto a risate nulla da dire, ma per quanto riguarda la commedia, devo ammettere di non averla proprio vista. Che ne so, una trama, qualche progresso, un finale... nulla. Kuroki si destreggia nel suo mondo personale in un susseguirsi di puntate (in tutto dodici), quasi in una sorta di monologo, visto che, a parte il fratello, l'amica Yuu e la cuginetta, non ci saranno altri personaggi degni di rispetto, se non qualche comparsa.
Quest'ultimo fattore ha influito in maniera rilevante nel mio giudizio. Certo, Kuroki è Kuroki, in teoria basta lei per elettrizzare tutta la puntata, ma a lungo andare stanca, annoia e pure il suo umorismo diventa piuttosto monotono. Forse mostrare qualche compagno in più non era male...
Altra materia d'argomento è il carattere dei vari protagonisti. Come già detto, a parte Tomoko, che viene analizzata più che a sufficienza, gli altri sono piuttosto "piatti", scadenti, tipici personaggi che si rifanno in continuazione ai cliché dell'animazione. La bella, simpatica, gentile, dolce Yuu... perfetta ragazzina, anche se, a pensarci bene, credo che quest'effetto sia voluto, contrapponendola dunque al nostro anti-eroe, nonché protagonista dell'anime.
Giungiamo ora alla grafica: fantastica. Sinceramente sono rimasto sbalordito dai disegni che mi sono trovato di fronte. I colori sono chiari e puliti, quasi brillanti, ma, se le luci vengono esaltate, altrettanto bene vengono amplificate le ombre che circondano la figura di Tomoko.
Le musiche sono fantastiche e l'opening stessa è una vera e propria bomba in piena esplosione. Il grido di Kuroki risuona tra le note della canzone: forte e dura, proprio come la ragazza in questione.
Per il doppiaggio non ho molto da dire, se non mostrare la mia approvazione per la scelta delle voci, davvero azzeccate.
Dunque, che dire: un anime carino che diverte, ma che non riesce a "brillare" fino in fondo. Ho sempre detto che si può capire il vero valore di un'opera solamente quando essa è conclusa, tenendo in considerazione la tristezza generale che ci accoglie nel momento di dirgli addio, o anche arrivederci. Se un protagonista o un anime ha realmente colpito, rimarrà in cuore un dolce sapore di malinconia, dovuto soprattutto al fatto di abbandonare un amico, una "persona" cara che, nonostante il poco tempo passato insieme, ci ha fatto divertire. Lo so che sembro matto, ma vi assicuro che gran parte del voto che do alle opere da me recensite è derivato da quest'emozione.
Bene, nel caso di "WataMote", purtroppo, non ho sentito tutte queste sensazioni, se non la consapevolezza di essermi gustato un buon anime, divertente, ma sfortunatamente nulla di più.
Voto finale: 6 e mezzo
Ho deciso di seguire questo anime incuriosita dalla sua popolarità. "WataMote", dall'impronunciabile titolo esteso, parla di una neoliceale alle prese con la sua voglia di popolarità: per raggiungerla, la nostra Tomoko Kuroki se ne inventerà di tutti i colori, sfociando però sempre negli stereotipi dei dating sim a lei tanto cari.
Sono rimasta parzialmente delusa da questo anime, visti tutti i pareri estremamente positivi che vi girano intorno. Le gag create dal comportamento pressoché sociopatico della nostra anti-eroina non sempre sortiscono l'effetto desiderato, alcune le ho trovate davvero forzate e prive di senso; altre invece sono a mio avviso molto azzeccate. Anche le scene più "toccanti", come la fine dell'episodio 2, mi sono piaciute parecchio.
La grafica, per quanto non sia proprio nelle mie corde, si adatta all'atmosfera dell'anime, anche se a volte ho notato uno sperimentalismo grafico leggermente disturbante. Per fortuna si tratta di casi sporadici, nel complesso la trovo piuttosto gradevole. Trovo molto azzeccata anche la colonna sonora, perfino la prima ending (che all'inizio trovavo davvero insopportabile) ha cominciato a farmi canticchiare dopo una manciata di episodi.
Credo che la fortuna di questo anime sia dovuto alla protagonista che, forse aiutata dall'assenza quasi totale di personaggi secondari, "fa simpatia" proprio per il suo essere tonta ai limiti dell'inverosimile, scatenando empatia e tenerezza in chi la guarda in azione. Peraltro, essendo l'unico personaggio principale aveva bisogno di una caratterizzazione particolarmente elaborata: esperimento riuscitissimo anche grazie alla doppiatrice, che ha fatto un lavoro a dir poco eccezionale, adattando perfettamente la voce alle situazioni e alle conseguenti reazioni di Tomoko.
Sicuramente non un capolavoro, ma nel complesso estremamente godibile!
Sono rimasta parzialmente delusa da questo anime, visti tutti i pareri estremamente positivi che vi girano intorno. Le gag create dal comportamento pressoché sociopatico della nostra anti-eroina non sempre sortiscono l'effetto desiderato, alcune le ho trovate davvero forzate e prive di senso; altre invece sono a mio avviso molto azzeccate. Anche le scene più "toccanti", come la fine dell'episodio 2, mi sono piaciute parecchio.
La grafica, per quanto non sia proprio nelle mie corde, si adatta all'atmosfera dell'anime, anche se a volte ho notato uno sperimentalismo grafico leggermente disturbante. Per fortuna si tratta di casi sporadici, nel complesso la trovo piuttosto gradevole. Trovo molto azzeccata anche la colonna sonora, perfino la prima ending (che all'inizio trovavo davvero insopportabile) ha cominciato a farmi canticchiare dopo una manciata di episodi.
Credo che la fortuna di questo anime sia dovuto alla protagonista che, forse aiutata dall'assenza quasi totale di personaggi secondari, "fa simpatia" proprio per il suo essere tonta ai limiti dell'inverosimile, scatenando empatia e tenerezza in chi la guarda in azione. Peraltro, essendo l'unico personaggio principale aveva bisogno di una caratterizzazione particolarmente elaborata: esperimento riuscitissimo anche grazie alla doppiatrice, che ha fatto un lavoro a dir poco eccezionale, adattando perfettamente la voce alle situazioni e alle conseguenti reazioni di Tomoko.
Sicuramente non un capolavoro, ma nel complesso estremamente godibile!
"Non importa cosa ne pensiate, è colpa vostra se non sono popolare": la filosofia di Kuroki Tomoko.
Kuroki Tomoko, la nostra protagonista, è pronta per la sua nuova avventura al liceo ed è intenzionata a vivere questi tre anni nel miglior modo possibile, come la ragazza più popolare di tutta la scuola. Purtroppo per lei, la realtà è tutt'altro che rosea. Infatti la ragazza è una vera e propria otaku, la quale, dopo tre anni anonimi alla scuola media, non riesce neanche a parlare con i suoi nuovi compagni, anche a causa della sua abitudine di rimanere a casa da sola davanti al computer e ai videogame. Per Tomoko si prospetta un'impresa titanica, contornata da continui fallimenti, dovuti alla sua distorta visione dei rapporti sociali.
"Watamote" ("Watashi ga Motenai no wa Dou Kangaete mo Omaera ga Warui!" titolo completo) è stata un'autentica sorpresa, che ha accolto i consensi non solo miei, ma anche di molti altri. Quello che mi aspettavo era la classica commediola giapponese, piena di cliché e di fanservice, che a fatica mi avrebbe strappato dei sorrisi, ma devo ricredermi. Ci troviamo davanti a una serie divertente, frizzante e (perché no?) anche diversa dal solito, una delle migliori del 2013, secondo me. Ma che cosa ha reso "Watamote" un anime di successo? Due sole parole: Kuroki Tomoko. La nostra introversa quindicenne è l'elemento che ha reso tutto il progetto ben fatto e degno di nota. Per prima cosa bisogna dire che la figura dell'otaku è ormai diventata onnipresente nell'animazione giapponese (soprattutto nel genere slice of life, scolastico e demenziale), ma di personaggi protagonisti otaku e femminili ne ho visti pochi. Ma Tomoko non è solo un cambio di prospettiva, è una protagonista di spessore, che ha tutte le carte in regola per diventare un personaggio notorio. Cominciamo dall'applaudire la doppiatrice Izumi Kitta, che ha fatto un lavoro sublime, dando un tipo di voce che rende ancora di più la personalità di Tomoko, oltre a rendere le scene comiche ancora più spassose.
Principalmente ho riscontrato due fattori rilevanti. Il primo lo chiamo l'effetto "Sai, ti capisco anch'io", cioè quella sensazione di immedesimazione che si prova nel vederla. Molti si lamentano del fatto che la persona e le azioni di molti personaggi non siano realistici, a confronto con la loro vita quotidiana, mentre in Tomoko questo problema non sussiste. Chi non ha mai passato una giornata intera a oziare, per poi pentirsene il giorno dopo? Chi non ha mai fatto dei teatrini mentali quando ci troviamo di fronte a una situazione che non capiamo, o che risulta ambigua? Chi non ha mai provato astio per quelle persone che ci ignorano, quando noi vorremmo parlare con loro? Chi non ha mai avuto discussioni con il/la proprio/a fratello/sorella per questioni futili? Certo, anche qui ci sono le estremizzazioni, ma la maggior parte delle scene possono far parte tranquillamente della nostra quotidianità o di altri, e ciò ci fa avvicinare alla protagonista, rendendocela simpatica.
Il secondo fattore è l'effetto dell'empatia, la simpatia che proviamo per le persone in difficoltà. Una cosa che ho notato è che tendiamo a veder più di buon occhio personaggi di una minoranza, in difficoltà e poco considerati (spesso lo sono quelli principali) e finiamo per tifare per loro. Analizzando i personaggi di "Watamote", possiamo vedere che Tomoko è l'unica figura che ha una personalità da otaku, mentre gli altri ne son ben lontani (io escluderei Naruse Yuu per il fatto che dal passaggio dalle scuole medie alle superiori ha completamente stravolto il suo atteggiamento, lasciando la sua amica da sola), di conseguenza è incapace di rapportarsi con loro e alla fine è costretta a rimanere in solitudine. Si prova un certo senso di pena quando la vediamo accendere i fuochi d'artificio da sola, dopo aver chiesto al fratello di osservarla; proviamo pena quando scopre che la sua richiesta di creare il "Club di ogni giorno" viene respinta; siamo felici quando viene abbracciata dalla mascotte della scuola; siamo tristi quando scappa via in lacrime dopo il tentativo di approccio con Megumi Imae nell'ultimo episodio. Inoltre non dimentichiamo che Tomoko è la trascinatrice dell'intero anime (che non sarebbe nulla di che senza di lei) e la fonte di quasi ogni scena comica.
E gli altri personaggi? Beh, sono le classiche figure onnipresenti in ogni slice of life che si rispetti. C'è Kuroki Tomoki (che fantasia...), il fratello perfettino che eccelle in tutto e che ha un rapporto difficile con la sorella; c'è Naruse Yuu, l'amica (l'unica) di Tomoko, la classica bellissima ragazza con la quinta di seno sempre gentile, dolce e popolare (per quel che si sa); il padre mai presente (c'è solo in una scena); la madre dedita ai lavori di casa; la cuginetta Ki, la dolce e adorabile loli, e alcuni compagni di classe di Tomoko. Quindi sì, ci sono i cliché, ma collegandosi con Tomoko, rendono alla perfezione, senza dar alcun problema nello svolgimento della trama.
Comunque, la lettura di "Watamote" non è solo comica. Dal mio punto di vista intravedo una sorta di critica sociale (adesso che faccio la facoltà di psicologia ne sono ossessionato). Insomma, a parte alcune scene, la vita di Tomoko è lo specchio di molte persone nella realtà, le quali non riescono a legare proprio per la loro timidezza e per la loro poca abitudine ai rapporti sociali, ma non solo. Gli amici di scuola di Tomoko non mostrano alcuna voglia di interagire con lei, non la considerano e la lasciano in disparte. In lei c'è la voglia di sentirsi parte di un gruppo, ma non sente una risposta e non viene aiutata quando è in difficoltà, come bisognerebbe fare. Pensandoci bene, molte persone che vengono inquadrate non hanno gli occhi, perché? Può essere che sia un modo per rappresentare la lontananza e l'indifferenza di queste persone verso Tomoko, come se facessero parte di un altro mondo differente dal suo? Questi "loro" sarebbero la rappresentazione di quei gruppi in cui Tomoko non verrà mai accettata e compresa? Dopotutto queste sono solo supposizioni (magari ho sbagliato clamorosamente).
Parlando del lato tecnico, i disegni sono fatti bene e le animazioni sono abbastanza godibili (l'unica pecca sarebbero gli occhi troppo grandi, ma sono cose irrilevanti); riguardo l'audio, la sigla d'apertura è meravigliosa, mentre quella classica di chiusura è bellina, ma non eccezionale (però quella dell'episodio 6 è più bella); ci sarebbero altre sigle e musiche, ma non sono degne di nota.
Or dunque! "Watamote" è la sorpresa del 2013 (come già detto) e lo consiglio vivamente a tutti, sia neofiti che veterani. E' una serie che fa ridere e (a volte) pensare, contenente delle citazioni che a chi se ne intende faranno sicuramente piacere (alla scena della bicicletta dell'episodio 2, ho applaudito, non so il perché). Di Tomoko ci si innamora subito e anche i personaggi secondari hanno i loro momenti. L'8 se lo è meritato pienamente!
Kuroki Tomoko, la nostra protagonista, è pronta per la sua nuova avventura al liceo ed è intenzionata a vivere questi tre anni nel miglior modo possibile, come la ragazza più popolare di tutta la scuola. Purtroppo per lei, la realtà è tutt'altro che rosea. Infatti la ragazza è una vera e propria otaku, la quale, dopo tre anni anonimi alla scuola media, non riesce neanche a parlare con i suoi nuovi compagni, anche a causa della sua abitudine di rimanere a casa da sola davanti al computer e ai videogame. Per Tomoko si prospetta un'impresa titanica, contornata da continui fallimenti, dovuti alla sua distorta visione dei rapporti sociali.
"Watamote" ("Watashi ga Motenai no wa Dou Kangaete mo Omaera ga Warui!" titolo completo) è stata un'autentica sorpresa, che ha accolto i consensi non solo miei, ma anche di molti altri. Quello che mi aspettavo era la classica commediola giapponese, piena di cliché e di fanservice, che a fatica mi avrebbe strappato dei sorrisi, ma devo ricredermi. Ci troviamo davanti a una serie divertente, frizzante e (perché no?) anche diversa dal solito, una delle migliori del 2013, secondo me. Ma che cosa ha reso "Watamote" un anime di successo? Due sole parole: Kuroki Tomoko. La nostra introversa quindicenne è l'elemento che ha reso tutto il progetto ben fatto e degno di nota. Per prima cosa bisogna dire che la figura dell'otaku è ormai diventata onnipresente nell'animazione giapponese (soprattutto nel genere slice of life, scolastico e demenziale), ma di personaggi protagonisti otaku e femminili ne ho visti pochi. Ma Tomoko non è solo un cambio di prospettiva, è una protagonista di spessore, che ha tutte le carte in regola per diventare un personaggio notorio. Cominciamo dall'applaudire la doppiatrice Izumi Kitta, che ha fatto un lavoro sublime, dando un tipo di voce che rende ancora di più la personalità di Tomoko, oltre a rendere le scene comiche ancora più spassose.
Principalmente ho riscontrato due fattori rilevanti. Il primo lo chiamo l'effetto "Sai, ti capisco anch'io", cioè quella sensazione di immedesimazione che si prova nel vederla. Molti si lamentano del fatto che la persona e le azioni di molti personaggi non siano realistici, a confronto con la loro vita quotidiana, mentre in Tomoko questo problema non sussiste. Chi non ha mai passato una giornata intera a oziare, per poi pentirsene il giorno dopo? Chi non ha mai fatto dei teatrini mentali quando ci troviamo di fronte a una situazione che non capiamo, o che risulta ambigua? Chi non ha mai provato astio per quelle persone che ci ignorano, quando noi vorremmo parlare con loro? Chi non ha mai avuto discussioni con il/la proprio/a fratello/sorella per questioni futili? Certo, anche qui ci sono le estremizzazioni, ma la maggior parte delle scene possono far parte tranquillamente della nostra quotidianità o di altri, e ciò ci fa avvicinare alla protagonista, rendendocela simpatica.
Il secondo fattore è l'effetto dell'empatia, la simpatia che proviamo per le persone in difficoltà. Una cosa che ho notato è che tendiamo a veder più di buon occhio personaggi di una minoranza, in difficoltà e poco considerati (spesso lo sono quelli principali) e finiamo per tifare per loro. Analizzando i personaggi di "Watamote", possiamo vedere che Tomoko è l'unica figura che ha una personalità da otaku, mentre gli altri ne son ben lontani (io escluderei Naruse Yuu per il fatto che dal passaggio dalle scuole medie alle superiori ha completamente stravolto il suo atteggiamento, lasciando la sua amica da sola), di conseguenza è incapace di rapportarsi con loro e alla fine è costretta a rimanere in solitudine. Si prova un certo senso di pena quando la vediamo accendere i fuochi d'artificio da sola, dopo aver chiesto al fratello di osservarla; proviamo pena quando scopre che la sua richiesta di creare il "Club di ogni giorno" viene respinta; siamo felici quando viene abbracciata dalla mascotte della scuola; siamo tristi quando scappa via in lacrime dopo il tentativo di approccio con Megumi Imae nell'ultimo episodio. Inoltre non dimentichiamo che Tomoko è la trascinatrice dell'intero anime (che non sarebbe nulla di che senza di lei) e la fonte di quasi ogni scena comica.
E gli altri personaggi? Beh, sono le classiche figure onnipresenti in ogni slice of life che si rispetti. C'è Kuroki Tomoki (che fantasia...), il fratello perfettino che eccelle in tutto e che ha un rapporto difficile con la sorella; c'è Naruse Yuu, l'amica (l'unica) di Tomoko, la classica bellissima ragazza con la quinta di seno sempre gentile, dolce e popolare (per quel che si sa); il padre mai presente (c'è solo in una scena); la madre dedita ai lavori di casa; la cuginetta Ki, la dolce e adorabile loli, e alcuni compagni di classe di Tomoko. Quindi sì, ci sono i cliché, ma collegandosi con Tomoko, rendono alla perfezione, senza dar alcun problema nello svolgimento della trama.
Comunque, la lettura di "Watamote" non è solo comica. Dal mio punto di vista intravedo una sorta di critica sociale (adesso che faccio la facoltà di psicologia ne sono ossessionato). Insomma, a parte alcune scene, la vita di Tomoko è lo specchio di molte persone nella realtà, le quali non riescono a legare proprio per la loro timidezza e per la loro poca abitudine ai rapporti sociali, ma non solo. Gli amici di scuola di Tomoko non mostrano alcuna voglia di interagire con lei, non la considerano e la lasciano in disparte. In lei c'è la voglia di sentirsi parte di un gruppo, ma non sente una risposta e non viene aiutata quando è in difficoltà, come bisognerebbe fare. Pensandoci bene, molte persone che vengono inquadrate non hanno gli occhi, perché? Può essere che sia un modo per rappresentare la lontananza e l'indifferenza di queste persone verso Tomoko, come se facessero parte di un altro mondo differente dal suo? Questi "loro" sarebbero la rappresentazione di quei gruppi in cui Tomoko non verrà mai accettata e compresa? Dopotutto queste sono solo supposizioni (magari ho sbagliato clamorosamente).
Parlando del lato tecnico, i disegni sono fatti bene e le animazioni sono abbastanza godibili (l'unica pecca sarebbero gli occhi troppo grandi, ma sono cose irrilevanti); riguardo l'audio, la sigla d'apertura è meravigliosa, mentre quella classica di chiusura è bellina, ma non eccezionale (però quella dell'episodio 6 è più bella); ci sarebbero altre sigle e musiche, ma non sono degne di nota.
Or dunque! "Watamote" è la sorpresa del 2013 (come già detto) e lo consiglio vivamente a tutti, sia neofiti che veterani. E' una serie che fa ridere e (a volte) pensare, contenente delle citazioni che a chi se ne intende faranno sicuramente piacere (alla scena della bicicletta dell'episodio 2, ho applaudito, non so il perché). Di Tomoko ci si innamora subito e anche i personaggi secondari hanno i loro momenti. L'8 se lo è meritato pienamente!
Mi ha divertito, punto. Cos'altro si potrebbe chiedere a una serie gag anime che ripercorre la tragica esistenza della protagonista Tomoko Kuroki e delle sue (dis)avventure? Partiamo col dire che c'è qualcosa di originale. Cosa? Molte persone paragonano questa serie ad altre simili come "Ore no Imouto ga Konna ni Kawaii Wake ga Nai" oppure "B Gata H Kei" (dove non vedo alcuna somiglianza), ma sbagliano. La protagonista in questione è un'amante degli ero-game (o simili), che passa le sue giornate a 'nerdare' tra videogame, manga, anime e quant'altro, da buona otaku. Con l'inizio di un nuovo anno scolastico la protagonista si porrà l'obbiettivo di relazionarsi con nuove persone, stringere amicizie, trovare un ragazzo e di riacquistare quella spigliatezza che aveva quando era più piccina.
Cosa c'è di divertente? In primis, le espressioni deviate di Tomoko: quelle espressioni psicopatiche che non stanno né in cielo né in terra, quando non gliene va dritta una. Occhi fuori dalle orbite, pupille fuori asse, bava, denti digrignati, pensieri osceni e malati... insomma, il massimo. Oltretutto un applauso va alla doppiatrice, che è riuscita al meglio a intenerire questo personaggio quando apriva bocca, tutta imbarazzata, balbettante e tremolante, salutava o diceva ciao. Le gag sono esilaranti, come ad esempio Tomoko che va a comprare un ero-game e nel contempo partecipa a una lotteria dove vince un massaggiatore (che assomiglia a un vibratore) e lei tutta imbarazzata cammina chiedendosi "Chissà chi mi vede cosa pensa".
A me è piaciuta tanto, come detto sopra una serie gag anime si deve porre l'obiettivo di far ridere, e con me ci è riuscita. In certi punti mi sono addirittura rattristato, tant'é che non gliene andava dritta una alla protagonista.
Cosa c'è di divertente? In primis, le espressioni deviate di Tomoko: quelle espressioni psicopatiche che non stanno né in cielo né in terra, quando non gliene va dritta una. Occhi fuori dalle orbite, pupille fuori asse, bava, denti digrignati, pensieri osceni e malati... insomma, il massimo. Oltretutto un applauso va alla doppiatrice, che è riuscita al meglio a intenerire questo personaggio quando apriva bocca, tutta imbarazzata, balbettante e tremolante, salutava o diceva ciao. Le gag sono esilaranti, come ad esempio Tomoko che va a comprare un ero-game e nel contempo partecipa a una lotteria dove vince un massaggiatore (che assomiglia a un vibratore) e lei tutta imbarazzata cammina chiedendosi "Chissà chi mi vede cosa pensa".
A me è piaciuta tanto, come detto sopra una serie gag anime si deve porre l'obiettivo di far ridere, e con me ci è riuscita. In certi punti mi sono addirittura rattristato, tant'é che non gliene andava dritta una alla protagonista.
Dato che sono una sfigata, ho deciso di guardare anch'io questa serie.
È inutile che ci giri intorno: non ci ho capito niente. O per meglio dire non ho capito dove volesse andare a parare, giacché da "misantropa benintenzionata" alcuni dei pattern comportamentali della protagonista Tomoko mi erano dolorosamente familiari. "WataMote", portmanteau del ben più lungo "Watashi ga Motenai no wa Dou Kangaete mo Omaera ga Warui!", sa dove colpire senza lasciare segni, proprio come un bullo abbastanza scaltro da preferire il pugno allo stomaco al cazzotto in piena faccia; manca tuttavia di uno scopo e, di riflesso, di una chiara presa di posizione nei confronti di colei che passa più volte e senza soluzione di continuità da vittima a prima carnefice di sé stessa.
I dodici episodi tratti dall'omonimo manga di Nico Tanigawa, a tutt'oggi in corso, ruotano attorno ai tragicomici tentativi di Tomoko, otaku sfigatella che ha appena iniziato le superiori, di diventare finalmente una ragazza popolare. Anche la sua unica amica Yuu, un tempo altrettanto sfigata, è riuscita a fare il salto di qualità, perciò perché non lei? Peccato che la nostra eroina abbia un talento tutto suo nel prendere a esempio i modelli più sbagliati, come ad esempio i suoi adorati gal game, e nel travisare i segnali mandatile - o non - dalla gente...
Un'ipotetica traduzione del titolo reciterebbe pressappoco così: "Non importa come la pensate, è colpa vostra se sono impopolare!". E già qui parte il classico brivido lungo la schiena, perché chiunque si appresti cambiare radicalmente la propria personalità e/o immagine dovrebbe sapere che non c'è tempo da perdere in recriminazioni, fondate o meno che esse siano. "You better work, [parola-omofona-di-"spiaggia"-che-però-si-scrive-in-modo-diverso]": lo dice - canta - anche Britney Spears. E invece no. Non solo Tomoko non ha ponderato a dovere la questione, ma fa anche sfoggio di una formidabile refrattarietà a imparare dai suoi insuccessi.
D'accordo, abbiamo una protagonista allergica sia al rasoio di Occam che a quello di Hanlon. Ma ci sarà pure un motivo, no? Teoricamente sì, ma tutto quel che ci è dato sapere sulla sua inettitudine sociale è che non si tratta di qualcosa di connaturato in lei. Inutile dire che la mancanza di ulteriori informazioni a tale proposito mina e non poco il processo di empatizzazione - e perché no, anche di identificazione - a cui dovrebbe essere mosso lo spettatore nell'assistere alle sue disavventure. Disavventure che peraltro strappano ben pochi sorrisi, perché non c'è nulla di divertente nel modo in cui questa ragazza si umilia in nome di un effimero desiderio di piacere. Come se Tomoko non fosse già abbastanza restia a fare qualcosa di costruttivo per migliorare le propria vita, inoltre, ecco che ci si mette anche la natura autoconclusiva degli episodi, il cui poco ispirato canovaccio viene immediatamente a noia a dispetto delle citazioni di cui viene infarcito.
Cosa si aspetta "WataMote" dallo spettatore? È con Tomoko o di Tomoko che si dovrebbe ridere, sempre che sia questa la sua finalità? Se da una parte un suo repentino cambiamento sarebbe stato a dir poco irrealistico, dall'altra il colpevole immobilismo che la caratterizza urta altrettanto in profondità. Proviamo per un attimo a metterci nei panni di coloro che invano lei tenta di avvicinare: in base a cosa dovrebbero sentirsi incentivati a darle una possibilità? E per fortuna che non hanno idea di quanto sia scarsa, per non dire inesistente, la considerazione che lei ha di loro, altrimenti altro che "Another".
Da un punto di vista prettamente tecnico l'anime si lascia guardare senza offrire spunti o guizzi di sorta, eccettuato forse il sonoro (doppiaggio simpatico e puntuale, un buon utilizzo degli effetti, musiche calzanti e soprattutto una opening dal taglio deliziosamente shōnen); apprezzabili, comunque, i tentativi di adeguarsi agli stili sempre diversi delle fantasie di Tomoko, anche se vederla nei panni dell'inarrivabile Motoko Kusanagi nel terzo episodio è stato un colpo al cuore.
Persino mentre scrivo queste ultime righe sono ancora un po' combattuta tra il puerile desiderio di "punire" quella che aveva tutta l'aria di essere una delle serie più promettenti di questo 2013 con un'insufficienza e la necessità di dare a Cesare quel che è di Cesare, indipendentemente dal fatto che, per un motivo o per l'altro, la tanto agognata scintilla non sia scoccata. Parafrasando Jessica Rabbit, "WataMote" non sarà un anime cattivo, ma certamente lo si sarebbe potuto "disegnare" meglio. Un 6 stiracchiato, quindi, e che non se ne parli più.
È inutile che ci giri intorno: non ci ho capito niente. O per meglio dire non ho capito dove volesse andare a parare, giacché da "misantropa benintenzionata" alcuni dei pattern comportamentali della protagonista Tomoko mi erano dolorosamente familiari. "WataMote", portmanteau del ben più lungo "Watashi ga Motenai no wa Dou Kangaete mo Omaera ga Warui!", sa dove colpire senza lasciare segni, proprio come un bullo abbastanza scaltro da preferire il pugno allo stomaco al cazzotto in piena faccia; manca tuttavia di uno scopo e, di riflesso, di una chiara presa di posizione nei confronti di colei che passa più volte e senza soluzione di continuità da vittima a prima carnefice di sé stessa.
I dodici episodi tratti dall'omonimo manga di Nico Tanigawa, a tutt'oggi in corso, ruotano attorno ai tragicomici tentativi di Tomoko, otaku sfigatella che ha appena iniziato le superiori, di diventare finalmente una ragazza popolare. Anche la sua unica amica Yuu, un tempo altrettanto sfigata, è riuscita a fare il salto di qualità, perciò perché non lei? Peccato che la nostra eroina abbia un talento tutto suo nel prendere a esempio i modelli più sbagliati, come ad esempio i suoi adorati gal game, e nel travisare i segnali mandatile - o non - dalla gente...
Un'ipotetica traduzione del titolo reciterebbe pressappoco così: "Non importa come la pensate, è colpa vostra se sono impopolare!". E già qui parte il classico brivido lungo la schiena, perché chiunque si appresti cambiare radicalmente la propria personalità e/o immagine dovrebbe sapere che non c'è tempo da perdere in recriminazioni, fondate o meno che esse siano. "You better work, [parola-omofona-di-"spiaggia"-che-però-si-scrive-in-modo-diverso]": lo dice - canta - anche Britney Spears. E invece no. Non solo Tomoko non ha ponderato a dovere la questione, ma fa anche sfoggio di una formidabile refrattarietà a imparare dai suoi insuccessi.
D'accordo, abbiamo una protagonista allergica sia al rasoio di Occam che a quello di Hanlon. Ma ci sarà pure un motivo, no? Teoricamente sì, ma tutto quel che ci è dato sapere sulla sua inettitudine sociale è che non si tratta di qualcosa di connaturato in lei. Inutile dire che la mancanza di ulteriori informazioni a tale proposito mina e non poco il processo di empatizzazione - e perché no, anche di identificazione - a cui dovrebbe essere mosso lo spettatore nell'assistere alle sue disavventure. Disavventure che peraltro strappano ben pochi sorrisi, perché non c'è nulla di divertente nel modo in cui questa ragazza si umilia in nome di un effimero desiderio di piacere. Come se Tomoko non fosse già abbastanza restia a fare qualcosa di costruttivo per migliorare le propria vita, inoltre, ecco che ci si mette anche la natura autoconclusiva degli episodi, il cui poco ispirato canovaccio viene immediatamente a noia a dispetto delle citazioni di cui viene infarcito.
Cosa si aspetta "WataMote" dallo spettatore? È con Tomoko o di Tomoko che si dovrebbe ridere, sempre che sia questa la sua finalità? Se da una parte un suo repentino cambiamento sarebbe stato a dir poco irrealistico, dall'altra il colpevole immobilismo che la caratterizza urta altrettanto in profondità. Proviamo per un attimo a metterci nei panni di coloro che invano lei tenta di avvicinare: in base a cosa dovrebbero sentirsi incentivati a darle una possibilità? E per fortuna che non hanno idea di quanto sia scarsa, per non dire inesistente, la considerazione che lei ha di loro, altrimenti altro che "Another".
Da un punto di vista prettamente tecnico l'anime si lascia guardare senza offrire spunti o guizzi di sorta, eccettuato forse il sonoro (doppiaggio simpatico e puntuale, un buon utilizzo degli effetti, musiche calzanti e soprattutto una opening dal taglio deliziosamente shōnen); apprezzabili, comunque, i tentativi di adeguarsi agli stili sempre diversi delle fantasie di Tomoko, anche se vederla nei panni dell'inarrivabile Motoko Kusanagi nel terzo episodio è stato un colpo al cuore.
Persino mentre scrivo queste ultime righe sono ancora un po' combattuta tra il puerile desiderio di "punire" quella che aveva tutta l'aria di essere una delle serie più promettenti di questo 2013 con un'insufficienza e la necessità di dare a Cesare quel che è di Cesare, indipendentemente dal fatto che, per un motivo o per l'altro, la tanto agognata scintilla non sia scoccata. Parafrasando Jessica Rabbit, "WataMote" non sarà un anime cattivo, ma certamente lo si sarebbe potuto "disegnare" meglio. Un 6 stiracchiato, quindi, e che non se ne parli più.
"Watashi ga Motenai no wa Dou Kangaete mo Omaera ga Warui!", in breve "WataMote", è probabilmente uno dei titoli più promettenti della stagione estiva 2013. Sinceramente ho riposto in questo anime tanta fiducia che in parte è stata ripagata, ma, d'altro canto, è stata anche sprecata. C'è da dire che il manga, che già conoscevo, non mi aveva per nulla entusiasmato e, infatti, avevo abbandonato la lettura molto precocemente. La serie anime invece ha avuto un suo fascino fin da subito, fin dalla opening che sembrava voler mostrare una commedia non convenzionale. In parte c'è riuscita.
La storia ruota intorno a Tomoko Kuroki, una giovane otaku che sta per entrare al liceo. Le medie le ha passate in modo diverso dai suoi coetanei, avendo una sola amica e isolandosi dagli altri. In questa serie vedremo le avventure della nostra protagonista alle prese per diventare popolare e, quindi, cambiare completamente atteggiamento. Mettere una pietra sul passato e creare un nuovo futuro sembra l'obiettivo della nostra Tomoko. Come possiamo ben intuire, la tragi-commedia ruoterà attorno alla sua capacità di relazione e ai suoi strambi metodi di cambiamento.
Come dicevo prima, la storia cerca di non essere una commedia convenzionale. Anzi, la situazione è molto pirandelliana. Se dovessimo far un paragone tra l'autore italiano e "WataMote", dovremmo far riferimento alla Vecchia imbellettata che riesce a suscitar un sorriso, visto il suo abbigliamento non consono all'età, ma poi ci permette di riflettere e far pensieri profondi sull'accaduto. L'anime in questione sembra una copia dell'umorismo pirandelliano: infatti, ci si può limitare a ridere per la parte di commedia, ma chi cerca di guardare oltre l'anime in sé o la risata in sé capisce perfettamente il male di vivere della protagonista. Qualcosa la blocca, e trascorreremo ben dodici episodi nel cercar di capire come poter risolvere questo limite, come andar oltre e ricostruire una nuova vita.
Posso assicurare che molte persone si sono identificate in Tomoko, non tanto perché sono dei disadattati, ma perché chi frequenta molto il mondo internettiano spesso ha difficoltà di relazioni o difficoltà nell'apprezzare sé stesso. Proprio per questo motivo i Weaboo inglesi e italiani in parte l'hanno apprezzata.
Il problema principale però sta nella ripetitività: nonostante gli episodi sembrano dar sfaccettature diverse ad argomenti simili, non si può eliminare quel senso di monotonia e di "già visto". L'unica ventata d'aria fresca sembrano darla le varie citazioni agli anime: dai più vecchi a quelli del 2013 ("Shingeki no Kyojin" ad esempio). Per il resto Tomoko sembra un film registrato che ad ogni puntata viene reinserito per sbaglio. Manca praticamente la vera componente di evoluzione psicologica che sarebbe tanto apprezzata in un anime che cerca di far fare al suo protagonista un percorso di formazione.
A livello tecnico è molto buono. Mi ha lasciato perplesso solo la scelta di far volti senza occhi per spersonalizzare i personaggi non principali - se ricordo bene è una tecnica non recentissima, ma, anzi, abbastanza vecchia.
La regia è ottima come le animazioni. L'OST non è tantissima, ma di impatto, in particolare la opening, che in alcuni episodi sembra un continuo degli eventi della protagonista.
Insomma, un prodotto discreto che andrebbe visto!
La storia ruota intorno a Tomoko Kuroki, una giovane otaku che sta per entrare al liceo. Le medie le ha passate in modo diverso dai suoi coetanei, avendo una sola amica e isolandosi dagli altri. In questa serie vedremo le avventure della nostra protagonista alle prese per diventare popolare e, quindi, cambiare completamente atteggiamento. Mettere una pietra sul passato e creare un nuovo futuro sembra l'obiettivo della nostra Tomoko. Come possiamo ben intuire, la tragi-commedia ruoterà attorno alla sua capacità di relazione e ai suoi strambi metodi di cambiamento.
Come dicevo prima, la storia cerca di non essere una commedia convenzionale. Anzi, la situazione è molto pirandelliana. Se dovessimo far un paragone tra l'autore italiano e "WataMote", dovremmo far riferimento alla Vecchia imbellettata che riesce a suscitar un sorriso, visto il suo abbigliamento non consono all'età, ma poi ci permette di riflettere e far pensieri profondi sull'accaduto. L'anime in questione sembra una copia dell'umorismo pirandelliano: infatti, ci si può limitare a ridere per la parte di commedia, ma chi cerca di guardare oltre l'anime in sé o la risata in sé capisce perfettamente il male di vivere della protagonista. Qualcosa la blocca, e trascorreremo ben dodici episodi nel cercar di capire come poter risolvere questo limite, come andar oltre e ricostruire una nuova vita.
Posso assicurare che molte persone si sono identificate in Tomoko, non tanto perché sono dei disadattati, ma perché chi frequenta molto il mondo internettiano spesso ha difficoltà di relazioni o difficoltà nell'apprezzare sé stesso. Proprio per questo motivo i Weaboo inglesi e italiani in parte l'hanno apprezzata.
Il problema principale però sta nella ripetitività: nonostante gli episodi sembrano dar sfaccettature diverse ad argomenti simili, non si può eliminare quel senso di monotonia e di "già visto". L'unica ventata d'aria fresca sembrano darla le varie citazioni agli anime: dai più vecchi a quelli del 2013 ("Shingeki no Kyojin" ad esempio). Per il resto Tomoko sembra un film registrato che ad ogni puntata viene reinserito per sbaglio. Manca praticamente la vera componente di evoluzione psicologica che sarebbe tanto apprezzata in un anime che cerca di far fare al suo protagonista un percorso di formazione.
A livello tecnico è molto buono. Mi ha lasciato perplesso solo la scelta di far volti senza occhi per spersonalizzare i personaggi non principali - se ricordo bene è una tecnica non recentissima, ma, anzi, abbastanza vecchia.
La regia è ottima come le animazioni. L'OST non è tantissima, ma di impatto, in particolare la opening, che in alcuni episodi sembra un continuo degli eventi della protagonista.
Insomma, un prodotto discreto che andrebbe visto!
"WataMote" è una di quelle serie particolari che escono dai classici canoni per addentrarsi nella parte più sfigata ed estremizzata della vita umana. Portando alla mente serie più famose come "Welcome to the N.H.K." per la 'sfigataggine' della protagonista, la estremizza, prende in giro serie più famose e conosciute con svariate citazioni, mostra come la capacità di non arrendersi mai non sempre viene premiata, come invece accade nel 100% delle altre serie.
Partiamo però dalle basi: la serie si incentra completamente sulla vita di Tomoko, una ragazza nerd, otaku, asociale, ma con una forza di volontà degna di Goku ("Dragonball"), che, dopo essere stata completamente sconfitta dalla vita, si rialza e ricomincia a lottare in un'infinita spirale sempre uguale, in cui nulla cambia. Ogni episodio è autoconclusivo e si svolgerà sempre con un inizio sulla vita sfigata della ragazza, un'idea malsana per cambiare il corso della sua vita, il suo tentativo di messa in pratica e l'inevitabile fallimento, con un consecutivo reset che riporterà il tutto allo stato iniziale.
Dopo un inizio positivo della serie nei primi episodi per il concept particolare, però, la storia viene a noia per la sua ripetitività, tanto da avermi spinto a stopparla al quinto episodio, per riprenderla solo al completamento dei sub, più per un senso di continuità che per altro. In realtà, però, dal sesto episodio la serie si riprende leggermente: nonostante la forza di volontà di Tomoko, è ovvio che sia la messa in pratica delle sue idee la cosa realmente sbagliata; neanche la risposta degli altri, che in realtà tentano di avvicinarsi a lei nonostante la sua scarsa loquacità e la sua asocialità. Qualcosa leggermente sembra cominciare a cambiare, ma Tomoko stessa non lo capirà neanche alla fine della serie; un attento osservatore noterà che quel senso di "reset" presente nei primi episodi, tanto odiato all'inizio, verrà a mancare: sarà proprio il costante sforzo di Tomoko a causarlo, non sarà più un altro inizio, ma un continuo di qualcosa.
In definitiva, la serie non fa urlare al miracolo, ma innesta nell'osservatore la curiosità di capire se qualcosa cambierà, e la speranza in un seguito in cui Tomoko si renderà conto che quegli anime e manga da cui prende spunto per i suoi obbiettivi sono solo finzione, e che se invece di pensare a lei pensasse anche agli altri le cose cambierebbero.
Resto in attesa nella speranza di una seconda serie in cui verranno mostrati i cambiamenti messi in atto e la presa di consapevolezza di questi da parte della sfigata e a tratti odiosa protagonista.
Partiamo però dalle basi: la serie si incentra completamente sulla vita di Tomoko, una ragazza nerd, otaku, asociale, ma con una forza di volontà degna di Goku ("Dragonball"), che, dopo essere stata completamente sconfitta dalla vita, si rialza e ricomincia a lottare in un'infinita spirale sempre uguale, in cui nulla cambia. Ogni episodio è autoconclusivo e si svolgerà sempre con un inizio sulla vita sfigata della ragazza, un'idea malsana per cambiare il corso della sua vita, il suo tentativo di messa in pratica e l'inevitabile fallimento, con un consecutivo reset che riporterà il tutto allo stato iniziale.
Dopo un inizio positivo della serie nei primi episodi per il concept particolare, però, la storia viene a noia per la sua ripetitività, tanto da avermi spinto a stopparla al quinto episodio, per riprenderla solo al completamento dei sub, più per un senso di continuità che per altro. In realtà, però, dal sesto episodio la serie si riprende leggermente: nonostante la forza di volontà di Tomoko, è ovvio che sia la messa in pratica delle sue idee la cosa realmente sbagliata; neanche la risposta degli altri, che in realtà tentano di avvicinarsi a lei nonostante la sua scarsa loquacità e la sua asocialità. Qualcosa leggermente sembra cominciare a cambiare, ma Tomoko stessa non lo capirà neanche alla fine della serie; un attento osservatore noterà che quel senso di "reset" presente nei primi episodi, tanto odiato all'inizio, verrà a mancare: sarà proprio il costante sforzo di Tomoko a causarlo, non sarà più un altro inizio, ma un continuo di qualcosa.
In definitiva, la serie non fa urlare al miracolo, ma innesta nell'osservatore la curiosità di capire se qualcosa cambierà, e la speranza in un seguito in cui Tomoko si renderà conto che quegli anime e manga da cui prende spunto per i suoi obbiettivi sono solo finzione, e che se invece di pensare a lei pensasse anche agli altri le cose cambierebbero.
Resto in attesa nella speranza di una seconda serie in cui verranno mostrati i cambiamenti messi in atto e la presa di consapevolezza di questi da parte della sfigata e a tratti odiosa protagonista.
L'anime in questione è una commedia stravagante, avente come protagonista Tomoko Kuroki, una ragazza sfigata e asociale che all'inizio delle scuole superiori si pone l'obiettivo di diventare popolare e piena di ragazzi. Gli altri personaggi rilevanti sono il fratello Tomoki e l'amica Yuu, ma sono tuttavia usati come semplice contorno, in quanto ci caliamo nella vicenda esclusivamente tramite la protagonista. Pertanto, viene da sé che il fatto che uno gradisca quest'anime dipende solo se Tomoko gli piace o no, perché, a parte lei, non c'è molto di cui parlare.
A me Tomoko non è piaciuta, sotto ogni punto di vista, e la ritengo molto controversa, già a partire dal titolo: "Watashi ga Motenai no wa Dou Kangaete mo Omaera ga Warui", abbreviato in "WataMote", dovrebbe significare "Non importa come la pensiate, se non sono popolare è colpa vostra". In sostanza non è così, perché Tomoko si esclude con la sua stessa personalità, esageratamente stupida, incapace e rinunciataria. E' vero che i compagni di classe sono il perfetto ritratto di gran parte dei ragazzi di oggi, snob, presuntuosi e falsi, soprattutto con le persone più in difficoltà che fanno fatica ad aprirsi con gli altri; bisogna prendere atto di questa cosa. Però Tomoko non fa altro che accanirsi con loro dando della sgualdrina a ogni ragazza che le passa davanti per mera frustrazione, e quando ha l'occasione di parlare con qualcuno in modo amichevole non apre bocca e si richiude in sé stessa (a questo punto mi viene da pensare che una persona lobotomizzata abbia più capacità di lei), proprio quando poteva cambiare la sua condizione. Fino a un certo punto si può capire questo atteggiamento, ma dopo poco il tutto si risolve in un'infinita spirale di delusione, vittimismo e rinuncia insensata, entro la quale lei, paranoica e sessualmente repressa, è causa di tutti i suoi mali.
Si fallisce dunque nel presupposto, ovvero nel dare a Tomoko una caratterizzazione coerente. Inoltre, ciò che non mi è piaciuto della protagonista è il suo disperato tentativo - soprattutto nella prima metà dell'anime - di emulare le ragazze che ha intorno a sé in modo saccente e illuso, e a me questa è sembrata un'ennesima colpa per "WataMote": lei vuole porsi allo stesso livello delle persone che chiama ripetutamente sgualdrine e inutili? Allora qualcosa non va, e sotto questo punto di vista Tomoko mi ha fatto molta tristezza, anziché simpatia. Il suo è un atteggiamento che può esistere anche nelle persone reali, ma è il modo di calarsi nel personaggio sfigato a essere sbagliato. Infatti osa persino essere pretenziosa ed egocentrica, e questo gioca solo a suo sfavore, soprattutto nel momento in cui bisogna elencare i difetti di questo personaggio e di quest'anime.
Come se non bastasse si è deciso di dare a Tomoko un'arma a doppio taglio, ovvero gli attributi "otaku" e "pervertita", indispensabili per i produttori per fare soldi se si parla di personaggi che faticano a stare in piedi. Una scelta scontata e "commerciale", quindi.
Lungo la serie abbiamo la possibilità di sorridere vedendo diverse citazioni di anime famosi, ma al contempo la perversione di Tomoko non fa che rendere il proprio personaggio ancora più grottesco e meno credibile. E, tornando al primo punto, una serie non può reggersi solo su citazioni. Innanzitutto diventa ripetitivo, e in secondo luogo ci vuole licenza poetica per darsi alle citazioni, bisogna essere già di per sé simpatici e dissacranti. Con "WataMote" l'espediente un poco funziona, poiché di Tomoko si può dire facilmente che non sia simpatica, ma non che non sia dissacrante, ed è uno dei motivi per cui do la sufficienza (molto risicata) a quest'anime. A questo aggiungo il tentativo di denuncia sociale, che purtroppo è stato rovinato dalla protagonista stessa.
Tutto questo per quanto riguarda Tomoko nei suoi vari aspetti.
La grafica è scarna ed essenziale, in linea con il modo di percepire disfattista di Tomoko; le musiche sanno adattarsi bene a ogni situazione, ma complessivamente non è l'apparato tecnico a meritare attenzione e a far guadagnare punti a quet'anime, almeno per me.
Concludo dicendo che è un anime che mi ha annoiato molto, per quasi tutti i suoi dodici episodi, ed è stato divertente solo in alcuni casi. Mi sento di sconsigliare quest'anime a chi odia trame noiose e prive di impatto, ma è doveroso notare che ognuno può dare una diversa lettura di Tomoko, e apprezzarla, così come odiarla a tal punto da volerle dare una badilata nei denti (come farei io). Mi è sembrato un anime assolutamente prescindibile, pretenzioso e forzato, tanto quanto la sua protagonista.
E aggiungerei deludente, poiché nei primi due-tre episodi mi aveva dato buone aspettative e, soprattutto, la speranza di incontrare un personaggio disilluso e nichilista che sapesse reggere da solo la baracca. Peccato non sia stato così.
A me Tomoko non è piaciuta, sotto ogni punto di vista, e la ritengo molto controversa, già a partire dal titolo: "Watashi ga Motenai no wa Dou Kangaete mo Omaera ga Warui", abbreviato in "WataMote", dovrebbe significare "Non importa come la pensiate, se non sono popolare è colpa vostra". In sostanza non è così, perché Tomoko si esclude con la sua stessa personalità, esageratamente stupida, incapace e rinunciataria. E' vero che i compagni di classe sono il perfetto ritratto di gran parte dei ragazzi di oggi, snob, presuntuosi e falsi, soprattutto con le persone più in difficoltà che fanno fatica ad aprirsi con gli altri; bisogna prendere atto di questa cosa. Però Tomoko non fa altro che accanirsi con loro dando della sgualdrina a ogni ragazza che le passa davanti per mera frustrazione, e quando ha l'occasione di parlare con qualcuno in modo amichevole non apre bocca e si richiude in sé stessa (a questo punto mi viene da pensare che una persona lobotomizzata abbia più capacità di lei), proprio quando poteva cambiare la sua condizione. Fino a un certo punto si può capire questo atteggiamento, ma dopo poco il tutto si risolve in un'infinita spirale di delusione, vittimismo e rinuncia insensata, entro la quale lei, paranoica e sessualmente repressa, è causa di tutti i suoi mali.
Si fallisce dunque nel presupposto, ovvero nel dare a Tomoko una caratterizzazione coerente. Inoltre, ciò che non mi è piaciuto della protagonista è il suo disperato tentativo - soprattutto nella prima metà dell'anime - di emulare le ragazze che ha intorno a sé in modo saccente e illuso, e a me questa è sembrata un'ennesima colpa per "WataMote": lei vuole porsi allo stesso livello delle persone che chiama ripetutamente sgualdrine e inutili? Allora qualcosa non va, e sotto questo punto di vista Tomoko mi ha fatto molta tristezza, anziché simpatia. Il suo è un atteggiamento che può esistere anche nelle persone reali, ma è il modo di calarsi nel personaggio sfigato a essere sbagliato. Infatti osa persino essere pretenziosa ed egocentrica, e questo gioca solo a suo sfavore, soprattutto nel momento in cui bisogna elencare i difetti di questo personaggio e di quest'anime.
Come se non bastasse si è deciso di dare a Tomoko un'arma a doppio taglio, ovvero gli attributi "otaku" e "pervertita", indispensabili per i produttori per fare soldi se si parla di personaggi che faticano a stare in piedi. Una scelta scontata e "commerciale", quindi.
Lungo la serie abbiamo la possibilità di sorridere vedendo diverse citazioni di anime famosi, ma al contempo la perversione di Tomoko non fa che rendere il proprio personaggio ancora più grottesco e meno credibile. E, tornando al primo punto, una serie non può reggersi solo su citazioni. Innanzitutto diventa ripetitivo, e in secondo luogo ci vuole licenza poetica per darsi alle citazioni, bisogna essere già di per sé simpatici e dissacranti. Con "WataMote" l'espediente un poco funziona, poiché di Tomoko si può dire facilmente che non sia simpatica, ma non che non sia dissacrante, ed è uno dei motivi per cui do la sufficienza (molto risicata) a quest'anime. A questo aggiungo il tentativo di denuncia sociale, che purtroppo è stato rovinato dalla protagonista stessa.
Tutto questo per quanto riguarda Tomoko nei suoi vari aspetti.
La grafica è scarna ed essenziale, in linea con il modo di percepire disfattista di Tomoko; le musiche sanno adattarsi bene a ogni situazione, ma complessivamente non è l'apparato tecnico a meritare attenzione e a far guadagnare punti a quet'anime, almeno per me.
Concludo dicendo che è un anime che mi ha annoiato molto, per quasi tutti i suoi dodici episodi, ed è stato divertente solo in alcuni casi. Mi sento di sconsigliare quest'anime a chi odia trame noiose e prive di impatto, ma è doveroso notare che ognuno può dare una diversa lettura di Tomoko, e apprezzarla, così come odiarla a tal punto da volerle dare una badilata nei denti (come farei io). Mi è sembrato un anime assolutamente prescindibile, pretenzioso e forzato, tanto quanto la sua protagonista.
E aggiungerei deludente, poiché nei primi due-tre episodi mi aveva dato buone aspettative e, soprattutto, la speranza di incontrare un personaggio disilluso e nichilista che sapesse reggere da solo la baracca. Peccato non sia stato così.
Per una volta dovrò andare controcorrente riguardo un anime lodato dalla massa, ma che a me non è piaciuto e alla fine non mi ha detto niente. Non affermo di certo che la serie sia la migliore della stagione, né tantomeno dell'anno, ma la definirei come una grande delusione, anzi, nemmeno questo, visto che non mi aspettavo nulla fin dall'inizio. Non mi trovo d'accordo, quindi, con il parere degli altri. Per me WataMote (abbreviato) non raggiunge nemmeno la sufficienza, ma una mediocrità piena.
Wathashi ga Motenai no wa Dou Kangaete mo Omaera ga Warui (tradotto in "Non mi importa quel che pensi. È colpa vostra se non sono popolare") è una serie della stagione estiva 2013, tratto dall'omonimo manga ancora in corso di Nico Tanigawa, adattato dallo studio d'animazione giapponese Silver Link.
Per me la serie fallisce un po' in tutto. Sia per quanto riguarda la commedia, sia per "una pseudo denuncia sociale". La commedia inizia davvero bene e riesce ad attirare lo spettatore con buone risate e tante citazioni, risultando anche abbastanza veritiera. Peccato che andando più avanti inizia a rivelarsi ripetitiva (in quanto lo schema è sempre lo stesso) e perde il suo smalto, non riuscendo più a divertire lo spettatore come una volta. Questa commedia inizierà a stancare, soprattutto perché gira intorno soltanto al personaggio principale, Tomoko Kuroki, e alle sue "sfortunate" vicende.
La commedia, però, è messa sicuramente in secondo piano, perché la serie vuol far notare altro: uno slice of life della protagonista Tomoko Kuroki, una ragazza "emarginata sociale", che vuole sbocciare ma non sboccia. Lei ha tutte le possibilità e le occasioni per farsi notare dalla classe ed entrare nel gruppo, e invece che fa? Niente, assolutamente niente. Sta lì a rompere le scatole e a deprimersi. Non c'è nessuno sviluppo psicologico del personaggio nel corso dei dodici episodi, che non farà assolutamente niente per entrare nel gruppo della classe e farsi, magari, una vita sociale, riuscendo a rivelarsi sempre più odiosa, tanto che lo spettatore vorrà soltanto prenderla a calci. In WataMote i temi vengono trattati con troppa superficialità e c'è troppo pessimismo, e se questo all'inizio può piacere e divertire, pian piano stanca. La figura della protagonista è troppo una caricatura.
WataMote è riuscito a trattenermi e divertirmi soltanto nei primi episodi, per poi risultare stancante e noioso da Premio Nobel, in più ho odiato la protagonista, che è venerata dalla maggioranza. Oltre ciò, trovo qualche fattore positivo, ma di certo meno importante: l'animazione è buona, anche se a volte il tutto è fatto con superficialità, mentre il comparto sonoro è ottimo, ci regala una fantastica quanto distruggente opening, una orecchiabile ending e delle buone OST. Non mi sento di sconsigliare la serie, visto che è piaciuta a molti per la sua originalità; io a questa originalità, sia per quanto riguarda la storia o la protagonista, preferisco lo stereotipo, che a volte è meglio.
Wathashi ga Motenai no wa Dou Kangaete mo Omaera ga Warui (tradotto in "Non mi importa quel che pensi. È colpa vostra se non sono popolare") è una serie della stagione estiva 2013, tratto dall'omonimo manga ancora in corso di Nico Tanigawa, adattato dallo studio d'animazione giapponese Silver Link.
Per me la serie fallisce un po' in tutto. Sia per quanto riguarda la commedia, sia per "una pseudo denuncia sociale". La commedia inizia davvero bene e riesce ad attirare lo spettatore con buone risate e tante citazioni, risultando anche abbastanza veritiera. Peccato che andando più avanti inizia a rivelarsi ripetitiva (in quanto lo schema è sempre lo stesso) e perde il suo smalto, non riuscendo più a divertire lo spettatore come una volta. Questa commedia inizierà a stancare, soprattutto perché gira intorno soltanto al personaggio principale, Tomoko Kuroki, e alle sue "sfortunate" vicende.
La commedia, però, è messa sicuramente in secondo piano, perché la serie vuol far notare altro: uno slice of life della protagonista Tomoko Kuroki, una ragazza "emarginata sociale", che vuole sbocciare ma non sboccia. Lei ha tutte le possibilità e le occasioni per farsi notare dalla classe ed entrare nel gruppo, e invece che fa? Niente, assolutamente niente. Sta lì a rompere le scatole e a deprimersi. Non c'è nessuno sviluppo psicologico del personaggio nel corso dei dodici episodi, che non farà assolutamente niente per entrare nel gruppo della classe e farsi, magari, una vita sociale, riuscendo a rivelarsi sempre più odiosa, tanto che lo spettatore vorrà soltanto prenderla a calci. In WataMote i temi vengono trattati con troppa superficialità e c'è troppo pessimismo, e se questo all'inizio può piacere e divertire, pian piano stanca. La figura della protagonista è troppo una caricatura.
WataMote è riuscito a trattenermi e divertirmi soltanto nei primi episodi, per poi risultare stancante e noioso da Premio Nobel, in più ho odiato la protagonista, che è venerata dalla maggioranza. Oltre ciò, trovo qualche fattore positivo, ma di certo meno importante: l'animazione è buona, anche se a volte il tutto è fatto con superficialità, mentre il comparto sonoro è ottimo, ci regala una fantastica quanto distruggente opening, una orecchiabile ending e delle buone OST. Non mi sento di sconsigliare la serie, visto che è piaciuta a molti per la sua originalità; io a questa originalità, sia per quanto riguarda la storia o la protagonista, preferisco lo stereotipo, che a volte è meglio.
"WataMote" (italianizzato interamente in "Non importa quanto lo guardi, è colpa vostra se sono sfigata!") è un anime estivo-autunnale del 2013, prodotto dalla Sentai Filmworks e pubblicato dalla Square Enix.
Trama
Dal punto di vista della trama, troviamo un concetto basilare e molto funzionale: sulla falsariga di nomi ben più conosciuti come "Welcome to the N.H.K." o "The World God Only Knows", "WataMote" pianta le proprie radici, costruendo un personaggio convincente e con un proprio perché. Tomoko Kuroki, la protagonista in questione, è una ragazza con la passione per il web, che ha però un grosso, enorme difetto, quello di non riuscire a rapportarsi con gli altri. Da quello che sembra un input à la "Oreimo" in salsa nerd, "WataMote" si discosta da tutte le produzioni sopracitate, diventando uno strano ibrido. All'interno dei dodici episodi di questa serie, infatti, potremo trovare davvero di tutto, una serie di situazioni che porteranno la povera Tomoko alla partenza. In ogni episodio, infatti, Tomoko cercherà in qualche modo di farsi notare, ma, un po' per la sfortuna che la perseguita, un po' per colpa sua, non riuscirà mai ad arrivare ai risultati sperati. E' davvero inutile dire che i personaggi presenti in questa serie si contano sulle dita di una mano, e che il 90% di questi ha uno sviluppo caratteriale sommario, giustificato dalla natura dell'anime, incentrato completamente sulla protagonista e sui suoi pensieri. Impareremo, quindi, a vedere ogni situazione dal punto di vista di Tomoko, che, seppur distorto, non riuscirà mai a nascondere a un occhio attento un particolare messaggio: quello degli eterni incompresi, di coloro che non riescono a rapportarsi con nessuno per paura delle reazioni dell'interlocutore. Senza uscire troppo fuori questione, però, c'è da dire che la quantità di situazioni è davvero elevata, e porta in innumerevoli casi all'immedesimazione dello spettatore nella protagonista (sempre entro certi limiti, imposti da un carattere non "self insert", ma ben formato nel contesto).
Lato tecnico
"WataMote" ha dalla propria parte una discreta qualità e pulizia grafica, accompagnata da un'animazione standard, dato che l'anime stesso non richiede movimenti particolari per i personaggi. Per quanto riguarda, invece, il comparto audio, c'è da dire che le soundtrack sono abbastanza orecchiabili, ma non buone da sentire al di fuori dell'anime. Non è lo stesso discorso per opening ed ending, molto simpatiche e sempre a tema con l'anime.
Commento finale
"WataMote" è un anime coerente con sé stesso dal primo all'ultimo episodio, tant'è vero che, una volta finita la completa visione, sembrerà come se non l'avessimo mai visto. Non è di certo una delle produzioni più fantastiche di questo 2013, ma sicuramente fa la sua figura, dimostrando una discreta forza caratteriale, e cercando di fuoriuscire dalla solita matassa di anime omologati o forzati da un prequel. Lo consiglio? Sì, ma solo a chi ha voglia di perdere tempo facendosi due risate di fronte alla moltitudine di situazioni che accadono alla protagonista. Sicuramente non è una visione leggera, ma nemmeno troppo pesante.
Pro: chara design simpatico; cura negli ambienti sommaria ma minimalista; belle sigle; immedesimazione; forte messaggio nascosto; grande quantità di Easter egg.
Contro: un po' troppo "ibrido".
Voto finale: 8
Trama
Dal punto di vista della trama, troviamo un concetto basilare e molto funzionale: sulla falsariga di nomi ben più conosciuti come "Welcome to the N.H.K." o "The World God Only Knows", "WataMote" pianta le proprie radici, costruendo un personaggio convincente e con un proprio perché. Tomoko Kuroki, la protagonista in questione, è una ragazza con la passione per il web, che ha però un grosso, enorme difetto, quello di non riuscire a rapportarsi con gli altri. Da quello che sembra un input à la "Oreimo" in salsa nerd, "WataMote" si discosta da tutte le produzioni sopracitate, diventando uno strano ibrido. All'interno dei dodici episodi di questa serie, infatti, potremo trovare davvero di tutto, una serie di situazioni che porteranno la povera Tomoko alla partenza. In ogni episodio, infatti, Tomoko cercherà in qualche modo di farsi notare, ma, un po' per la sfortuna che la perseguita, un po' per colpa sua, non riuscirà mai ad arrivare ai risultati sperati. E' davvero inutile dire che i personaggi presenti in questa serie si contano sulle dita di una mano, e che il 90% di questi ha uno sviluppo caratteriale sommario, giustificato dalla natura dell'anime, incentrato completamente sulla protagonista e sui suoi pensieri. Impareremo, quindi, a vedere ogni situazione dal punto di vista di Tomoko, che, seppur distorto, non riuscirà mai a nascondere a un occhio attento un particolare messaggio: quello degli eterni incompresi, di coloro che non riescono a rapportarsi con nessuno per paura delle reazioni dell'interlocutore. Senza uscire troppo fuori questione, però, c'è da dire che la quantità di situazioni è davvero elevata, e porta in innumerevoli casi all'immedesimazione dello spettatore nella protagonista (sempre entro certi limiti, imposti da un carattere non "self insert", ma ben formato nel contesto).
Lato tecnico
"WataMote" ha dalla propria parte una discreta qualità e pulizia grafica, accompagnata da un'animazione standard, dato che l'anime stesso non richiede movimenti particolari per i personaggi. Per quanto riguarda, invece, il comparto audio, c'è da dire che le soundtrack sono abbastanza orecchiabili, ma non buone da sentire al di fuori dell'anime. Non è lo stesso discorso per opening ed ending, molto simpatiche e sempre a tema con l'anime.
Commento finale
"WataMote" è un anime coerente con sé stesso dal primo all'ultimo episodio, tant'è vero che, una volta finita la completa visione, sembrerà come se non l'avessimo mai visto. Non è di certo una delle produzioni più fantastiche di questo 2013, ma sicuramente fa la sua figura, dimostrando una discreta forza caratteriale, e cercando di fuoriuscire dalla solita matassa di anime omologati o forzati da un prequel. Lo consiglio? Sì, ma solo a chi ha voglia di perdere tempo facendosi due risate di fronte alla moltitudine di situazioni che accadono alla protagonista. Sicuramente non è una visione leggera, ma nemmeno troppo pesante.
Pro: chara design simpatico; cura negli ambienti sommaria ma minimalista; belle sigle; immedesimazione; forte messaggio nascosto; grande quantità di Easter egg.
Contro: un po' troppo "ibrido".
Voto finale: 8
Depressione. Questa è la sensazione che si prova guardando "WataMote" fino alla dodicesima puntata. All'inizio sembra molto divertente, con questa minuta protagonista, Tomoko, estremamente introversa e asociale (nonché nerd, visto che fa spesso le ore piccole davanti al computer, al punto da avere sempre delle occhiaie il giorno dopo), che escogita piani assurdi per aumentare la propria popolarità, ma che alla fine gli va sempre tutto storto. Il problema è proprio questo: per qualche puntata ci si diverte pure, ma poi ho iniziato a provare una gran pena per questa ragazzina che sognava di essere considerata un tipo interessante e di avere dei buoni amici con cui trascorrere delle giornate spensierate, ma che praticamente in ogni puntata finisce per avere una cocente delusione e tornarsene a casa ancor più sola e depressa del giorno prima. E questo copione viene ripetuto identico e preciso praticamente fino all'ultima puntata, tant'è vero che se non avessi saputo che era l'ultima, non me ne sarei neanche accorto.
L'anime si salva in extremis grazie agli spassosissimi pensieri bizzarri e maliziosi di Tomoko, nonché alla sua vocina tremolante - azzeccatissima - quando parla con persone con cui non ha confidenza (ovvero, con il 99% dei suoi rari contatti sociali).
In definitiva, per me, "WataMote" al momento rappresenta un'occasione sprecata. Dico "al momento" perché, visto che il manga sta continuando, è possibile che ci sarà una seconda stagione dell'anime. E, avendo dato un'occhiata alla continuazione in versione manga, posso già dire che, sebbene il trend rimanga sempre lo stesso, le situazioni in cui incespica Tomoko si fanno ancora più imbarazzanti e si inizia anche a intravedere qualche "spiraglio" di progresso nella sua vita sociale.
Pertanto, se l'anime rimarrà così, senza continuazione, il mio voto non può andare al di là di un 6 (vorrei dargli un 6.5, ma qui i mezzi punti non sono assegnabili), perché al momento giudico quel che c'è, non quel che, eventualmente, ci sarà.
L'anime si salva in extremis grazie agli spassosissimi pensieri bizzarri e maliziosi di Tomoko, nonché alla sua vocina tremolante - azzeccatissima - quando parla con persone con cui non ha confidenza (ovvero, con il 99% dei suoi rari contatti sociali).
In definitiva, per me, "WataMote" al momento rappresenta un'occasione sprecata. Dico "al momento" perché, visto che il manga sta continuando, è possibile che ci sarà una seconda stagione dell'anime. E, avendo dato un'occhiata alla continuazione in versione manga, posso già dire che, sebbene il trend rimanga sempre lo stesso, le situazioni in cui incespica Tomoko si fanno ancora più imbarazzanti e si inizia anche a intravedere qualche "spiraglio" di progresso nella sua vita sociale.
Pertanto, se l'anime rimarrà così, senza continuazione, il mio voto non può andare al di là di un 6 (vorrei dargli un 6.5, ma qui i mezzi punti non sono assegnabili), perché al momento giudico quel che c'è, non quel che, eventualmente, ci sarà.
È possibile affermare senz'alcun dubbio che "WataMote" (acronimo per un ben più lungo "Watashi ga Motenai no wa Dou Kangaete mo Omaera ga Warui!", ossia "Alla fine è tutta colpa vostra se non sono popolare!") sia l'anime rivelazione di quest'altalenante stagione estiva 2013, poiché sotto la fragile apparenza della classica commedia scolastica si cela un eccelso mix tra disgrazie, disperazione, incapacità comunicativa, fallimenti relazionali e non, e la più totale mancanza di senso comune (pretendere del buon senso è esagerato), riuscendo a conquistare un'inaspettata fetta d'utenza.
"WataMote" è una serie della stagione estiva 2013, composta da dodici episodi di durata canonica. L'opera deriva da due manga omonimi del 2011 e 2012. È previsto un OAV per il 2014.
Trama: Tomoko Kuroki è una squisita quindicenne bassotta, piatterella, con due meravigliose occhiaie e con un sorriso da fare invidia a Oga di "Beelzebub". Essendo di natura "leggermente" introversa, trascorre gran parte delle sue giornate giocando alle visual novel/eroge per fanciulle, riuscendo a ottenere apprezzabili risultati di conquista. Peccato che il mondo reale sia assai inclemente con la nostra beniamina ed ella vive una triste condizione di emarginazione e solitudine, tentando disperatamente di farsi accettare da una società crudele e 'bastarda', sia a livello scolastico, sia a livello lavorativo e relazionale. Riuscirà la nostra eroina a superare le sue incredibili barriere comunicative, a farsi degli amici e a trovare un povero svent... ehm un dolce fidanzatino?
Grafica: ottima nella sua semplicità. Le ambientazioni sono semplici, senza fronzoli, eppure discretamente curate e gradevoli. Le animazioni sono fluide e parodistiche (ottima la connessione dell'opening nell'episodio 10). Il character design è perfetto, rende alla perfezione lo stile del manga.
Sonoro: epico e geniale nello stesso momento. L'opening è assurdamente geniale e crudelmente simpatica, l'ending perfetta per il contesto, le OST tremendamente assurde e bellissime, gli effetti sonori nella media, il doppiaggio spettacolare.
Personaggi: tanto di cappello a questi personaggi, sebbene tutto l'universo di "WataMote" ruoti attorno a Tomoko. Lei, la disgraziata per antonomasia che vorrebbe sedurre il mondo intero e far crepare d'invidia quelle sgualdrine delle altre donne. La caratterizzazione è perfetta, seppure possa apparire esagerata in alcuni punti. L'introspezione è predominante. L'interazione è ridotta volutamente al minimo. L'evoluzione... ehi, si può parlare di evoluzione con una protagonista così?
Sceneggiatura: nulla da eccepire. La gestione temporale è frammentaria a causa di molti salti nel passato e flashback, tuttavia l'opera non perde la sua fruibilità. Il ritmo è medio, rallentando nelle disgrazie di Tomoko e accelerando nelle scene più vivaci. Le scene d'azione sono presenti in chiave parodistica, così come lo è il fanservice. I dialoghi sono una perla.
Finale: quasi perfetto. L'episodio finale sembra divertentissimo e sembra dare una svolta alla serie, mostrando livelli di assurdità e carica demenziale unici, tuttavia non convincono appieno gli ultimi istanti dell'episodio, peccato.
In sintesi, "WataMote" è un gran bel prodotto. Una perla di genialità che riscatta parzialmente una stagione non proprio entusiasmante. Potrà sembrare esagerato, ma risulta estremamente verosimile, e le situazioni, per quanto assurde possano essere, sono realizzabili in linea teorica. Data la natura dell'opera, mi sento di consigliarla a tutti.
"WataMote" è una serie della stagione estiva 2013, composta da dodici episodi di durata canonica. L'opera deriva da due manga omonimi del 2011 e 2012. È previsto un OAV per il 2014.
Trama: Tomoko Kuroki è una squisita quindicenne bassotta, piatterella, con due meravigliose occhiaie e con un sorriso da fare invidia a Oga di "Beelzebub". Essendo di natura "leggermente" introversa, trascorre gran parte delle sue giornate giocando alle visual novel/eroge per fanciulle, riuscendo a ottenere apprezzabili risultati di conquista. Peccato che il mondo reale sia assai inclemente con la nostra beniamina ed ella vive una triste condizione di emarginazione e solitudine, tentando disperatamente di farsi accettare da una società crudele e 'bastarda', sia a livello scolastico, sia a livello lavorativo e relazionale. Riuscirà la nostra eroina a superare le sue incredibili barriere comunicative, a farsi degli amici e a trovare un povero svent... ehm un dolce fidanzatino?
Grafica: ottima nella sua semplicità. Le ambientazioni sono semplici, senza fronzoli, eppure discretamente curate e gradevoli. Le animazioni sono fluide e parodistiche (ottima la connessione dell'opening nell'episodio 10). Il character design è perfetto, rende alla perfezione lo stile del manga.
Sonoro: epico e geniale nello stesso momento. L'opening è assurdamente geniale e crudelmente simpatica, l'ending perfetta per il contesto, le OST tremendamente assurde e bellissime, gli effetti sonori nella media, il doppiaggio spettacolare.
Personaggi: tanto di cappello a questi personaggi, sebbene tutto l'universo di "WataMote" ruoti attorno a Tomoko. Lei, la disgraziata per antonomasia che vorrebbe sedurre il mondo intero e far crepare d'invidia quelle sgualdrine delle altre donne. La caratterizzazione è perfetta, seppure possa apparire esagerata in alcuni punti. L'introspezione è predominante. L'interazione è ridotta volutamente al minimo. L'evoluzione... ehi, si può parlare di evoluzione con una protagonista così?
Sceneggiatura: nulla da eccepire. La gestione temporale è frammentaria a causa di molti salti nel passato e flashback, tuttavia l'opera non perde la sua fruibilità. Il ritmo è medio, rallentando nelle disgrazie di Tomoko e accelerando nelle scene più vivaci. Le scene d'azione sono presenti in chiave parodistica, così come lo è il fanservice. I dialoghi sono una perla.
Finale: quasi perfetto. L'episodio finale sembra divertentissimo e sembra dare una svolta alla serie, mostrando livelli di assurdità e carica demenziale unici, tuttavia non convincono appieno gli ultimi istanti dell'episodio, peccato.
In sintesi, "WataMote" è un gran bel prodotto. Una perla di genialità che riscatta parzialmente una stagione non proprio entusiasmante. Potrà sembrare esagerato, ma risulta estremamente verosimile, e le situazioni, per quanto assurde possano essere, sono realizzabili in linea teorica. Data la natura dell'opera, mi sento di consigliarla a tutti.
"WataMote" ("Watashi ga Motenai no wa Dou Kangaete mo Omaera ga Warui!")
Non importa quel che pensi. È colpa vostra se non sono popolare.
Valicando quello che è il confine tra commedia umoristica-demenziale e humour nero o Schadenfreude (piacere provocato dalla sfortuna "altrui"), WataMote si rivela scioccante. Ebbene sì, rimarremo spesso basiti di fronte alla vita sociale e alle scelte della protagonista, alle situazioni in cui incapperà e al modo in cui deciderà di affrontarle.
Vi rivelo subito quanto quest'opera mi colpisca da vicino, avendo un conoscente che mi ricorda, purtroppo, la giovane Tomoko, protagonista di questa infausta avventura che altro non è che la sua vita. Per quanto gli si voglia venire incontro, spesso sono loro a rifugiarsi in quel lido sicuro che è la fantasia, estraniandosi dal mondo reale, ignorando gli stimoli esterni. Perché nella propria testa le cose vanno come uno vuole, senza sorprese, indi senza la paura di venire rifiutati e feriti, o più semplicemente per timore di far figure barbine. Questo è chiaramente indice di un carattere estremamente debole, che non porterà altro che solitudine e carenza di amor proprio. Ovviamente, questa è la mia analisi della protagonista, poi ci sono mille casi a parte con altrettante diverse cause.
Comunque, questo tipo di carattere, che un tempo avevo anche io, è il maggior ostacolo da superare per avere una vita migliore, almeno socialmente. La timidezza è qualcosa di opprimente, alla stregua della troppa espansività. Bisogna trovare quella via di mezzo tanto difficile da ottenere. Non bisogna lasciarsi trascinare dalla massa annientando il proprio io; questo però non significa dover disprezzare tutti e tutto a prescindere, e chiudersi a riccio. Alle volte ci si ribella nel modo sbagliato, ferendo solo sé stessi.
Fatta questa lunghissima premessa, inizio con l'elencare i pregi e i difetti che ho riscontrato in quest'anime.
Inizio con i pregi: sicuramente è originale, non ho mai visto un anime simile, senza entrare nel dettaglio per non spoilerarvi nulla. Dotato di un umorismo macabro, si ride costantemente per le disgrazie della povera Tomoko (siamo tutti dei gran cattivoni, c'è poco da fare). In queste risate però si fa strada quel nodo alla gola dato dall'immedesimarsi in lei, o semplicemente perché mossi a pietà. Lo sviluppo è diverso dai soliti anime con personaggio asociale; sarà che qui quel personaggio è una ragazza, fosse stato il corrispettivo maschile avremo sicuramente visto nascere un harem. I pochi personaggi, oltre alla protagonista, sono a loro modo interessanti: il fratello di lei mi sta molto simpatico, lo trovo sicuramente un buon soggetto, peccato per il poco tempo a lui dedicato. Anche l'amica di Tomoko è un buon personaggio. Il chara è interessante, la grafica buona. Un grandissimo punto a favore è dato dall'opening, molto bella e movimentata, e dal grande numero di ending presenti: infatti molti episodi saranno chiusi da un pezzo che si adatterà alla perfezione alla situazione nata in quel frangente. Quella che mi è rimasta maggiormente impressa e che mi fa tutt'ora piangere il cuore è alla fine dell'episodio 6.
Passiamo ai difetti, e ahimè anche "WataMote" non ne è esente; essi infatti si paleseranno man mano che prosegue l'anime.
Primo, la ripetitività: il meccanismo è sempre quello, Tomoko commette errori, a Tomoko sfugge la situazione di mano, Tomoko passa giornate in solitaria, ecc. Senza eccezioni. C'è poca evoluzione, direi nulla, perché la protagonista non cambierà di una virgola... siamo di fronte ad un caso disperato. Questo si ripercuoterà per ovvie ragioni anche sulla trama, che inizierà a venire a noia. Tomoko, come da titolo, riversa la colpa sugli altri della sua impopolarità, ma è palese che la colpa è la sua, visto che anche avendo varie opportunità di dare una mossa alla sua vita le lascia svanire rimanendo chiusa dentro al suo guscio. Carpe diem! avete presente? Il cambiamento fa paura, ma prima o poi bisogna affrontarlo, a maggior ragione se la quotidianità inizia a "starti stretta". È un personaggio sicuramente molto immaturo, ciò lo si capirà anche da alcune sue riflessioni e decisioni. Poi ci sono le volte in cui ha quei momenti di brillantezza intellettuale, dove ne inventa una più del diavolo pur di riuscire nel suo intento, che per la maggior parte delle volte è passare inosservata, realizzare imprese stupide o prove di coraggio; come dice il detto Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, infatti, la maggior parte delle volte Tomoko si fregherà con le sue stesse mani.
In complesso, questa è una buonissima commedia, farà ridere tra le lacrime per le disgrazie che si succedono sempre a discapito della protagonista. Ci sarà molta introspezione, capiremo come vede il mondo Tomoko e saremo subissati dal suo disagio, straziante direi; questo porterà molti a riflettere sulle condizioni e sullo stress psicologico a cui siamo tutti soggetti.
Tutto ciò, tra cui l'originalità dell'insieme, mi porta verso un voto molto alto, ma la mancata evoluzione, la ripetitività e un finale discutibile mi costringono a calare il voto, impostandolo su un 8 più che discreto.
Non importa quel che pensi. È colpa vostra se non sono popolare.
Valicando quello che è il confine tra commedia umoristica-demenziale e humour nero o Schadenfreude (piacere provocato dalla sfortuna "altrui"), WataMote si rivela scioccante. Ebbene sì, rimarremo spesso basiti di fronte alla vita sociale e alle scelte della protagonista, alle situazioni in cui incapperà e al modo in cui deciderà di affrontarle.
Vi rivelo subito quanto quest'opera mi colpisca da vicino, avendo un conoscente che mi ricorda, purtroppo, la giovane Tomoko, protagonista di questa infausta avventura che altro non è che la sua vita. Per quanto gli si voglia venire incontro, spesso sono loro a rifugiarsi in quel lido sicuro che è la fantasia, estraniandosi dal mondo reale, ignorando gli stimoli esterni. Perché nella propria testa le cose vanno come uno vuole, senza sorprese, indi senza la paura di venire rifiutati e feriti, o più semplicemente per timore di far figure barbine. Questo è chiaramente indice di un carattere estremamente debole, che non porterà altro che solitudine e carenza di amor proprio. Ovviamente, questa è la mia analisi della protagonista, poi ci sono mille casi a parte con altrettante diverse cause.
Comunque, questo tipo di carattere, che un tempo avevo anche io, è il maggior ostacolo da superare per avere una vita migliore, almeno socialmente. La timidezza è qualcosa di opprimente, alla stregua della troppa espansività. Bisogna trovare quella via di mezzo tanto difficile da ottenere. Non bisogna lasciarsi trascinare dalla massa annientando il proprio io; questo però non significa dover disprezzare tutti e tutto a prescindere, e chiudersi a riccio. Alle volte ci si ribella nel modo sbagliato, ferendo solo sé stessi.
Fatta questa lunghissima premessa, inizio con l'elencare i pregi e i difetti che ho riscontrato in quest'anime.
Inizio con i pregi: sicuramente è originale, non ho mai visto un anime simile, senza entrare nel dettaglio per non spoilerarvi nulla. Dotato di un umorismo macabro, si ride costantemente per le disgrazie della povera Tomoko (siamo tutti dei gran cattivoni, c'è poco da fare). In queste risate però si fa strada quel nodo alla gola dato dall'immedesimarsi in lei, o semplicemente perché mossi a pietà. Lo sviluppo è diverso dai soliti anime con personaggio asociale; sarà che qui quel personaggio è una ragazza, fosse stato il corrispettivo maschile avremo sicuramente visto nascere un harem. I pochi personaggi, oltre alla protagonista, sono a loro modo interessanti: il fratello di lei mi sta molto simpatico, lo trovo sicuramente un buon soggetto, peccato per il poco tempo a lui dedicato. Anche l'amica di Tomoko è un buon personaggio. Il chara è interessante, la grafica buona. Un grandissimo punto a favore è dato dall'opening, molto bella e movimentata, e dal grande numero di ending presenti: infatti molti episodi saranno chiusi da un pezzo che si adatterà alla perfezione alla situazione nata in quel frangente. Quella che mi è rimasta maggiormente impressa e che mi fa tutt'ora piangere il cuore è alla fine dell'episodio 6.
Passiamo ai difetti, e ahimè anche "WataMote" non ne è esente; essi infatti si paleseranno man mano che prosegue l'anime.
Primo, la ripetitività: il meccanismo è sempre quello, Tomoko commette errori, a Tomoko sfugge la situazione di mano, Tomoko passa giornate in solitaria, ecc. Senza eccezioni. C'è poca evoluzione, direi nulla, perché la protagonista non cambierà di una virgola... siamo di fronte ad un caso disperato. Questo si ripercuoterà per ovvie ragioni anche sulla trama, che inizierà a venire a noia. Tomoko, come da titolo, riversa la colpa sugli altri della sua impopolarità, ma è palese che la colpa è la sua, visto che anche avendo varie opportunità di dare una mossa alla sua vita le lascia svanire rimanendo chiusa dentro al suo guscio. Carpe diem! avete presente? Il cambiamento fa paura, ma prima o poi bisogna affrontarlo, a maggior ragione se la quotidianità inizia a "starti stretta". È un personaggio sicuramente molto immaturo, ciò lo si capirà anche da alcune sue riflessioni e decisioni. Poi ci sono le volte in cui ha quei momenti di brillantezza intellettuale, dove ne inventa una più del diavolo pur di riuscire nel suo intento, che per la maggior parte delle volte è passare inosservata, realizzare imprese stupide o prove di coraggio; come dice il detto Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, infatti, la maggior parte delle volte Tomoko si fregherà con le sue stesse mani.
In complesso, questa è una buonissima commedia, farà ridere tra le lacrime per le disgrazie che si succedono sempre a discapito della protagonista. Ci sarà molta introspezione, capiremo come vede il mondo Tomoko e saremo subissati dal suo disagio, straziante direi; questo porterà molti a riflettere sulle condizioni e sullo stress psicologico a cui siamo tutti soggetti.
Tutto ciò, tra cui l'originalità dell'insieme, mi porta verso un voto molto alto, ma la mancata evoluzione, la ripetitività e un finale discutibile mi costringono a calare il voto, impostandolo su un 8 più che discreto.
Ogni volta mi trovo molto combattuto sulla valutazione da assegnare ai diversi anime che seguo, e principalmente mi divido in due pareri contrastanti: uno, estremamente soggettivo, valuta esclusivamente quanto l'anime in sé sia riuscito a prendermi, a coinvolgermi e a lasciarmi qualcosa persino dopo la visione, l'altro, più oggettivo, cerca di vedere i vari pregi e i difetti della suddetta serie, ignorando quanto mi sia piaciuta personalmente. Ecco, con "WataMote" mi sono trovato in una situazione di stallo, perché essenzialmente è una buona serie, ma non posso non ammettere che mi abbia annoiato parecchio; ma entriamo più nel dettaglio.
"WataMote" è un anime tratto dall'omonimo manga e il significato letterale del titolo completo potrebbe essere all'incirca "Non importa come la pensiate, è colpa vostra se non sono popolare!"; mai nessun titolo fu più descrittivo, in quanto la suddetta frase corrisponde perfettamente all'andamento della serie stessa. Infatti, la protagonista Kuroki Tomoko è ciò che possiamo definire una vera e propria emarginata, non tanto dalla società, ma piuttosto dalle persone che la circondano, e non ho problemi ad ammettere che sia una delle eroine più originali, dissacranti, tragicomiche e soprattutto reali che mi sia mai capitato di vedere. Infatti, più che un semplice slice of life comico a tema scolastico (di cui ormai ho la nausea), possiamo definirlo come un vero e proprio anime di denuncia sociale; capirete presto il perché.
Non starò a soffermarmi sulla trama inesistente, o sulle animazioni nella media, o sul comparto sonoro abbastanza buono (con una menzione speciale per la fantastica opening), ma piuttosto sull'eroina e sulla sua caratterizzazione, ossia il fulcro della serie stessa, in quanto lo scopo di quest'anime è farci vedere il mondo dagli occhi di una... disadattata, se cosi possiamo chiamarla. Un mondo sicuramente più realistico e crudo del 99% delle serie odierne, in cui chi non riesce a integrarsi alla svelta con le altre persone viene abbandonato a sé stesso come se nulla fosse. Tomoko, dal canto suo, non farà assolutamente nulla per liberarsi da questa sua situazione, nonostante il suo pensiero fisso sia di uscire da questa condizione di isolamento per potersi aprire agli altri e avere un'adolescenza normale come tutti i quindicenni. E questo è uno spunto veramente interessante, perché riguarda una parte di noi molto da vicino: noi, Tomoko compresa, vorremmo cambiare, ma paradossalmente è proprio l'idea di cambiamento che ci spaventa. Siamo veramente disposti a rinunciare a tutte le comodità e alla tranquillità quotidiana per intraprendere una strada completamente diversa, anche se magari molto migliore della nostra? Quanti avranno il coraggio di compiere il passo che probabilmente ci cambierà per sempre? Qualcuno ovviamente sì, ma non tutti, e Tomoko è tra questi, lo possiamo notare dal fatto che, nonostante voglia liberarsi dalla sua posizione, non farà mai nulla per cambiare ciò, continuando a evitare persone e avvenimenti come al solito. Questa condizione ovviamente la porterà a essere una vera e propria ossessionata, spesso con tendenze folli; ma giunti a questo punto, quando possiamo definire una persona folle? Ma questo è un altro discorso.
Nonostante tutte queste ottime premesse, non me la sento comunque di assegnare più di 7 a "WataMote", e la colpa è da far ricadere sulla ripetitività delle azioni, delle vicende e delle battute. Nelle prime puntate infatti ero estasiato nel vedere una simile commedia, quasi come mi trovassi di fronte a un secondo "Welcome to the NHK", ma, man mano che gli episodi andavano avanti, più le situazioni e le reazioni di Tomoko si ripetevano una identica all'altra, più mi facevano saltare diversi pezzi di episodio, tanto sapevo già cosa sarebbe successo e come sarebbe andata a finire. Il motivo di un voto simile quindi è da far ricadere sulla progressiva noiosità e su delle gag sempre uguali tra loro.
Dunque, complessivamente, credo che il voto in grado di accontentare entrambe le mie "metà" sia un 7 abbastanza equo; ciò non toglie che comunque reputi "WataMote" la serie più innovativa e riflessiva di questa stagione estiva, e assolutamente degna di essere vista. Voi provatela, poi mi saprete dire se vi ha annoiato o meno.
"WataMote" è un anime tratto dall'omonimo manga e il significato letterale del titolo completo potrebbe essere all'incirca "Non importa come la pensiate, è colpa vostra se non sono popolare!"; mai nessun titolo fu più descrittivo, in quanto la suddetta frase corrisponde perfettamente all'andamento della serie stessa. Infatti, la protagonista Kuroki Tomoko è ciò che possiamo definire una vera e propria emarginata, non tanto dalla società, ma piuttosto dalle persone che la circondano, e non ho problemi ad ammettere che sia una delle eroine più originali, dissacranti, tragicomiche e soprattutto reali che mi sia mai capitato di vedere. Infatti, più che un semplice slice of life comico a tema scolastico (di cui ormai ho la nausea), possiamo definirlo come un vero e proprio anime di denuncia sociale; capirete presto il perché.
Non starò a soffermarmi sulla trama inesistente, o sulle animazioni nella media, o sul comparto sonoro abbastanza buono (con una menzione speciale per la fantastica opening), ma piuttosto sull'eroina e sulla sua caratterizzazione, ossia il fulcro della serie stessa, in quanto lo scopo di quest'anime è farci vedere il mondo dagli occhi di una... disadattata, se cosi possiamo chiamarla. Un mondo sicuramente più realistico e crudo del 99% delle serie odierne, in cui chi non riesce a integrarsi alla svelta con le altre persone viene abbandonato a sé stesso come se nulla fosse. Tomoko, dal canto suo, non farà assolutamente nulla per liberarsi da questa sua situazione, nonostante il suo pensiero fisso sia di uscire da questa condizione di isolamento per potersi aprire agli altri e avere un'adolescenza normale come tutti i quindicenni. E questo è uno spunto veramente interessante, perché riguarda una parte di noi molto da vicino: noi, Tomoko compresa, vorremmo cambiare, ma paradossalmente è proprio l'idea di cambiamento che ci spaventa. Siamo veramente disposti a rinunciare a tutte le comodità e alla tranquillità quotidiana per intraprendere una strada completamente diversa, anche se magari molto migliore della nostra? Quanti avranno il coraggio di compiere il passo che probabilmente ci cambierà per sempre? Qualcuno ovviamente sì, ma non tutti, e Tomoko è tra questi, lo possiamo notare dal fatto che, nonostante voglia liberarsi dalla sua posizione, non farà mai nulla per cambiare ciò, continuando a evitare persone e avvenimenti come al solito. Questa condizione ovviamente la porterà a essere una vera e propria ossessionata, spesso con tendenze folli; ma giunti a questo punto, quando possiamo definire una persona folle? Ma questo è un altro discorso.
Nonostante tutte queste ottime premesse, non me la sento comunque di assegnare più di 7 a "WataMote", e la colpa è da far ricadere sulla ripetitività delle azioni, delle vicende e delle battute. Nelle prime puntate infatti ero estasiato nel vedere una simile commedia, quasi come mi trovassi di fronte a un secondo "Welcome to the NHK", ma, man mano che gli episodi andavano avanti, più le situazioni e le reazioni di Tomoko si ripetevano una identica all'altra, più mi facevano saltare diversi pezzi di episodio, tanto sapevo già cosa sarebbe successo e come sarebbe andata a finire. Il motivo di un voto simile quindi è da far ricadere sulla progressiva noiosità e su delle gag sempre uguali tra loro.
Dunque, complessivamente, credo che il voto in grado di accontentare entrambe le mie "metà" sia un 7 abbastanza equo; ciò non toglie che comunque reputi "WataMote" la serie più innovativa e riflessiva di questa stagione estiva, e assolutamente degna di essere vista. Voi provatela, poi mi saprete dire se vi ha annoiato o meno.
"WataMote" si è rivelato l'anime rappresentativo dell'estate 2013, regalando allo spettatore sensazioni agrodolci: momenti spassosi con le figure imbarazzanti di Tomoko e momenti deprimenti con le angosce e la solitudine vissuta dalla protagonista. La storia infatti si incentrerà esclusivamente su di lei, seguendo il suo percorso nella sua disperata volontà di diventare popolare ed avere così degli amici. Involontariamente ci si ritroverà a tifare per lei fino alla fine, sperando che almeno uno dei suoi assurdi piani riesca a farle raggiungere il suo scopo.
Non ho trovato grossi difetti in questo anime e, pur essendo organizzato in episodi autoconclusivi, non l'ho trovato per nulla noioso, ma, anzi, grazie alle gag di Tomoko, si passa piacevolmente il tempo. Il carattere della protagonista è una ventata di aria fresca rispetto ai soliti cliché, e pare seguire lo schema psicologico di quei ragazzi che vengono emarginati a causa della loro timidezza.
Attenzione: la seguente parte contiene spoiler
Bisogna ammettere che Tomoko aveva l'occasione di avere degli amici, ma a causa della sua paranoia non se n'è manco resa conto.
Fine parte contenente spoiler
L'opening è la migliore della stagione, coinvolgente, con un ritmo accattivante e grintoso. Ideale per l'animo di Tomoko.
Consigliato davvero a tutti, anche a chi trova noioso e banale uno slice of life!
Non ho trovato grossi difetti in questo anime e, pur essendo organizzato in episodi autoconclusivi, non l'ho trovato per nulla noioso, ma, anzi, grazie alle gag di Tomoko, si passa piacevolmente il tempo. Il carattere della protagonista è una ventata di aria fresca rispetto ai soliti cliché, e pare seguire lo schema psicologico di quei ragazzi che vengono emarginati a causa della loro timidezza.
Attenzione: la seguente parte contiene spoiler
Bisogna ammettere che Tomoko aveva l'occasione di avere degli amici, ma a causa della sua paranoia non se n'è manco resa conto.
Fine parte contenente spoiler
L'opening è la migliore della stagione, coinvolgente, con un ritmo accattivante e grintoso. Ideale per l'animo di Tomoko.
Consigliato davvero a tutti, anche a chi trova noioso e banale uno slice of life!
"Watashi ga Motenai no wa dō Kangaetemo Omaera ga Warui!", meglio conosciuto da tutti come "WataMote", è un anime della stagione estiva 2013 tratto dall'omonimo manga. La protagonista si chiama Tomoko Kuroki e si appresta a frequentare il liceo con l'intenzione di diventare molto popolare tra i suoi compagni e di trovarsi tanti amici, e magari anche un ragazzo. Tutto ciò si presenta molto più complicato di quanto la povera Tomoko pensasse, e in ogni puntata saranno presenti numerosi tentativi da parte della nostra protagonista di diventare popolare e di avere il suo momento di gloria.
Già dalle medie Tomoko non aveva grandi amicizie, anzi, possiamo dire che avesse solamente un amica di nome Yu, che, a differenza della protagonista, è riuscita subito a integrarsi nella nuova scuola, e durante le dodici puntate che compongono questo anime cercherà di aiutare Tomoko per quanto gli sia possibile. Altro personaggio (non che ce siano tanti) da tenere in considerazione è il fratello di Tomoko, Tomoki (complimenti per la fantasia dei genitori nel dare nomi!), che ogni tanto deve sopportare i capricci della sorella maggiore (anche se in realtà sembra lui più grande di lei) e per questo cerca di mantenersi abbastanza "distaccato" da lei.
Certamente in questo anime è possibile vedere come la "popolarità" sia molto importante tra i giovani giapponesi ed è proprio quella la base per creare rapporti con persone all'infuori della famiglia; se questa qualità viene a mancare, come nel caso di Tomoko, allora c'è il rischio di essere emarginati dai vari gruppi e di rimanere soli senza amici.
La prima cosa che salta agli occhi guardando questo anime è il fattore comicità, che sarà presente, anche se in quantità diverse in tutti gli episodi, e in certi casi creerà delle situazioni imbarazzanti sia per la protagonista sia per noi che ci immedesimiamo in Tomoko - qualche volta ci verrà spontaneo anche togliere lo sguardo dallo schermo del computer. L'unica piccolissima pecca di questo anime è forse la troppa ripetitività e il fatto che lo spettatore si aspetti che accada qualcosa di concreto, mentre invece non succede nulla di rilevante. Accade invece davvero qualcosa proprio quando meno se lo aspetta - anche se questo per molte persone non è un difetto, ma, anzi, è un pregio; naturalmente ognuno ha i suoi punti di vista.
Per concludere io consiglio vivamente la visione di questo anime, sia per la grande comicità, sia perché penso che ci siano molte persone che purtroppo non riescono a socializzare facilmente, e dunque non riescono a farsi amici; ciò vi renderà ancora più partecipi delle situazione della nostra protagonista.
Già dalle medie Tomoko non aveva grandi amicizie, anzi, possiamo dire che avesse solamente un amica di nome Yu, che, a differenza della protagonista, è riuscita subito a integrarsi nella nuova scuola, e durante le dodici puntate che compongono questo anime cercherà di aiutare Tomoko per quanto gli sia possibile. Altro personaggio (non che ce siano tanti) da tenere in considerazione è il fratello di Tomoko, Tomoki (complimenti per la fantasia dei genitori nel dare nomi!), che ogni tanto deve sopportare i capricci della sorella maggiore (anche se in realtà sembra lui più grande di lei) e per questo cerca di mantenersi abbastanza "distaccato" da lei.
Certamente in questo anime è possibile vedere come la "popolarità" sia molto importante tra i giovani giapponesi ed è proprio quella la base per creare rapporti con persone all'infuori della famiglia; se questa qualità viene a mancare, come nel caso di Tomoko, allora c'è il rischio di essere emarginati dai vari gruppi e di rimanere soli senza amici.
La prima cosa che salta agli occhi guardando questo anime è il fattore comicità, che sarà presente, anche se in quantità diverse in tutti gli episodi, e in certi casi creerà delle situazioni imbarazzanti sia per la protagonista sia per noi che ci immedesimiamo in Tomoko - qualche volta ci verrà spontaneo anche togliere lo sguardo dallo schermo del computer. L'unica piccolissima pecca di questo anime è forse la troppa ripetitività e il fatto che lo spettatore si aspetti che accada qualcosa di concreto, mentre invece non succede nulla di rilevante. Accade invece davvero qualcosa proprio quando meno se lo aspetta - anche se questo per molte persone non è un difetto, ma, anzi, è un pregio; naturalmente ognuno ha i suoi punti di vista.
Per concludere io consiglio vivamente la visione di questo anime, sia per la grande comicità, sia perché penso che ci siano molte persone che purtroppo non riescono a socializzare facilmente, e dunque non riescono a farsi amici; ciò vi renderà ancora più partecipi delle situazione della nostra protagonista.