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esseci

Episodi visti: 8/8 --- Voto 8,5
“L'odio è cieco, la collera sorda, e colui che vi mesce la vendetta, corre pericolo di bere una bevanda amara.” (Alexandre Dumas - Padre)

Eh già, alla fine "Blue Eye Samurai" un minimo di morale la fa, eccome se la fa, sebbene il finale resta sfortunatamente aperto, more solito... Ma non solo. Tra combattimenti molto spettacolari e scene piuttosto crude e dirette (dallo splatter più spinto all'eros più esplicito, per i parametri classici di una serie animata), la serie ambientata nel Giappone del periodo Edo intorno al 1650 tocca più o meno esplicitamente una serie di temi già visti e con uno stile molto curato: innanzitutto la condizione degli "Hāfu" (molto probabilmente dall'inglese "half", "metà") ossia le persone nate da genitori misti giapponesi e stranieri.
Il termine "Hafu" è stato utilizzato soprattutto dopo la seconda guerra mondiale e non avrebbe di per sé un'accezione negativa. Tuttavia in passato si usavano altri termini, tra cui "ainoko" ("figlio di miscuglio"), "konketsuji" ("bambino di sangue misto"), "kokusaiji" ("bambino internazionale") o "daburu" (sempre dall'inglese "double" ossia "doppio"), che via via nel tempo sono caduti in disuso proprio per la loro più o meno latente offensività nel definire coloro che sono nati da genitori "misti"...

"Blue eye samurai" fa leva proprio sul dramma vissuto in passato dalle persone di origine mista per illustrare quanto in Giappone trovarsi in tale condizione fosse valutato negativamente nel senso di status di illegittimità, inferiorità, incompletezza e impurità.
La storia della protagonista Mizu, ambientata nel periodo Edo Giappone che faticava ad aprirsi alle interazioni commerciali e culturali con l'occidente e che non accettava le persone nate da unioni miste, è resa molto poeticamente anche nel parallelismo tra la sua condizione personale di "reietta", emarginata e la fabbricazione delle katane nel laboratorio dell'artigiano cieco che l'ha adottata. Da un lato, l'arte di costruire spade il cui metallo per essere di massima qualità ed efficacia deve contenere delle impurità e il fatto che il fabbro cieco non vede la condizione di "impura" di Mizu e la accetta per quello che è ossia una persona come tutte le altre senza pregiudizi è una parte molto delicata, ben costruita nelle interazioni dialettiche e i silenzi tra i due personaggi, intervallati in modo sapiente dai flashback sulla storia di dolore di Mizu che fin dalla più tenera età è stata sempre emarginata, bullizzata e maltrattata da tutti a causa della sua condizione di sangue misto che emerge soprattutto per una caratteristica peculiare che da anche il titolo alla serie: avere gli occhi di colore azzurro.

Vivere nella clandestinità, doversi sempre nascondere per evitare di essere picchiata o uccisa, doversi spacciare per un maschio (pena il rischio di diventare una sorta di cosa da vendere o acquistare), non poter ambire ad avere una vita normale, non potersi affezionare a nessuno né fidarsi, hanno reso non solo la protagonista delusa, disillusa nei confronti di tutti, ma anche vedersi minata nella sua autostima perché alla fine è costretta a ritenersi sostanzialmente un "rifiuto". E come tale, pensando di non aver più nulla da perdere inclusa la sua stessa vita, matura l'idea di doversi vendicare della causa del suo male: eliminare ad ogni costo le uniche persone non giapponesi presenti nell'arcipelago nipponico. E il primo in lista è A. Fowler, trafficante senza scrupoli di armi irlandese, che mira a sovvertire il potere dello Shogun di Edo.

La serie inizia un percorso alla "Kill Bill 1 & 2": Mizu si sottopone a durissimi allenamenti e poi a sfide a livello di difficoltà crescente per raggiungere il suo scopo: sulla sua strada incrocia non solo le spade con spietati assassini ma anche con i personaggi che caratterizzano in positivo la serie. Su tutti Akemi, ma anche Ringo e Taigen. Il tutto con sullo sfondo i sotterfugi e gli intrighi per le lotte di potere tra i feudali e lo Shogun che governa il Giappone. Fortunatamente la serie man mano che prosegue tende ad allontanarsi dalla narrazione tanatologica del capolavoro di Q. Tarantino e fa recuperare a Mizu quel minimo di umanità spiegando al meglio tutte le sofferenze patite. In particolare il suo passato con un samurai respinto dal suo signore (un ronin) e la madre che riappare dopo essere stata convinta che fosse morta quando Mizu era ancora una bambina... Non c'è peggior evento di un amore tradito per trasformare i sentimenti positivi nella furia vendicativa più cieca e determinata... e Mizu si trasforma in una specie di Onryō, ossia il mitologico fantasma giapponese in grado di ritornare nel mondo dei vivi per cercare vendetta. Il parallelismo contenuto nella serie tra il passato di Mizu e la mitologia dell'Onryō è quanto mai azzeccata, soprattutto quando il suo volto truccato a festa per rendersi ancora più carina per il suo uomo si trasforma a causa delle lacrime di dolore e rabbia nella maschera grottesca del fantasma...

Ma la vendetta può rappresentare l'ancora di salvezza, la via del riscatto?

Fortunatamente no, e la protagonista lo intuisce man mano che, come in un videogioco a livelli crescenti di difficoltà, affronta situazioni e sfide sempre più disumane che porteranno il suo aiutante Ringo ad affermare che ciò che stava facendo non era onorevole per un maestro samurai come lei... E così per la protagonista sembra passare un ulteriore messaggio in cui la rabbia non le basta, rendendosi conto che ciò che stava facendo non riesce a saziare il suo bisogno di rivalsa. Mizu per anni ha covato solo rabbia: in un mondo che non l'accetta o la odia, la sua prima risposta è stata la stessa: l’odio verso tutto e tutti e soprattutto contro se stessa, fino all’autolesionismo, al suicidio, sfogandosi anche su se stessa. Poi inizia a maturare lentamente la necessità di combattere contro qualcosa/qualcuno ed in particolare contro l'ingiustizia e a difesa dei valori più sacri per la cultura giapponese e sul finale tale "evoluzione" risulta molto evidente, intrecciando la sua storia di profonda e cupa solitudine con quella degli altri protagonisti e, in particolare, di Akemi.

"Blue Eye Samurai" è una storia "al femminile": figure in apparenza deboli per in canoni culturali nipponici. In una battuta di un dialogo tra Akemi e il suo anziano precettore samurai ne esce una battuta c'è il riassunto di tutta la visione del mondo femminile in Giappone: "il futuro delle donne è o sposa o prostituta"... Mizu si ribella con rabbia alla sua condizione di "impurità/inferiorità", Akemi si ribella con pervicacia al suo triste destino di merce di scambio per i giochi di potere contro lo shogunato.
Il parallelismo che la serie dedica alla loro storia ed evoluzione è, a mio avviso, ben fatta e narrata. Entrambe compiono un percorso di sviluppo che arriverà a compimento solo nell'ultimo episodio in cui, per la prima volta, dimostrano con le loro azioni di essere cresciute e di aver capito che andare allo sterile scontro ad oltranza per orgoglio o vendetta non giova a nessuno, e in primis a loro stesse.
Akemi e Mizu sembrano rappresentate come le due facce della stessa medaglia: due donne, così diverse tra loro che tuttavia vogliono prendere in mano la loro sorte e cercare di incidere sulla scelta del loro futuro. Mizu decidendo di affrontare il suo fato in modo monolitico e Akemi decidendo in apparenza di accettare le scelte operate da altri per poi piegare a suo favore le situazioni influenzando chi ha il potere. Nelle scene di sesso piuttosto esplicite che le vede coinvolte si vede chiaramente la differenza di approccio delle due protagoniste alla vita: per Mizu è vero e proprio bisogno di amore nel senso di (af)fidarsi completamente a qualcuno senza alcuna difesa o corazza; per Akemi un mezzo per ottenere ciò che vuole.

Non sono in grado di valutare il realismo storico delle scene rappresentate nell'anime: al di là della bellezza delle immagini e sfondi, la fluidità delle animazioni (sebbene alcune in CGI sono ancora un po' legnose, ripetitive e innaturali - mi riferisco alla deambulazione di Mizu in alcune scene dei primi episodi in cui sembra claudicante e un autonoma), probabilmente la scrittura affidata alla premiata ditta Michael Green e alla sua compagna Amber Noizumi, ha pescato a piene mani dall'esperienza di quest'ultima di essere una "Hafu" a sua volta e il risultato, pur non rappresentando qualcosa di nuovo e originale nella trama, rappresenta comunque una buona operazione di sincretismo e integrazione tra due mondi, quello orientale e quello occidentale, nel rendere la visione piacevole e interessante per i messaggi che vuole veicolare...

"Blue Eye Samurai" mi ha piacevolmente sorpreso e posso sostenere che rappresenti una delle migliori produzioni recenti. Al di sotto della storia raccontata in forma di animazione, rivela una buona sensibilità e cura nell'abilità registica per ma anche nella caratterizzazione e rappresentazione dei personaggi. Il finale aperto lascia aperta la strada al sequel che spero possa essere ispirato ad una visione più ispirata a “io non parlo di vendette né di perdoni; la dimenticanza è l'unica vendetta e l'unico perdono.” (Jorge Louis Borges). Il personaggio di Mizu se lo meriterebbe...