Come sempre, molto interessanti le proposte del Far East Film Festival. Spulciando la corposa line up, oltre a tutti film premiati, mi intrigano parecchio anche A Cool Fish, Pegasus, A Home with a View, Three Husbands, HARD-CORE, Only the Cat Knows, Intimate Strangers, Rampant e tutti i film della retrospettiva sul cinema coreano.
PS: Grazie mille a lightorange per le sue considerazioni sul doc Kampai! Sake sisters.
Se ne leggono di fesserie Godai, spesso pervase da un razzismo strisciante. In questo stesso sito ho letto due sciocchezze enormi nello stesso commento: i giapponesi non sanno fare i doppiaggi, perché non hanno una recitazione impostata come la nostra. Per me è il contrario, suonano più genuini *perché* non sono impostati come da noi. E poi la loro lingua non sarebbe adatta alla recitazione per scarsa musicalità. Tanto tempo fa avevo letto che il giapponese e l'italiano sono le due lingue più musicali che esistano, e ad un orecchio profano come il mio sembra proprio vero. Ma chi ha fatto quel commento è un professionista, quindi... mi tengo i doppiaggi originali sottotitolati, e dite pure che non capisco niente.
Grazie mille a Bob e Lightorange per il solito reportage
Quest'anno ho visto 34 film, e secondo me la qualità generale ha un tantino arrancato rispetto agli anni precedenti, ma l'atmosfera del Far East è sempre qualcosa che vale. Riguardo ai premi: come al solito non sono soddisfatissimo dei vincitori, in quanto essendo eletti per voto popolare tendono a essere avvantaggiati film un po' più commerciali. Il primo, amichevolmente soprannominato "il Quasi Amici hongkonghese" non l'ho visto (anzi, l'ho accuratamente evitato ); il cinese Dying to Survive il migliore del lotto, film per lo più d'azione ma con derive sociali di un certo spessore, grande produzione, ottimo montaggio. Il terzo, il coreano Extreme Job, era un'action comedy poliziesca senza pretese ma ben scritta, e con alcune scene davvero esilaranti.
Facendo un sunto delle mie visioni:
Cina: Sempre meglio. Film sempre più ispirati, non solo nel cinema d'autore (che già lo sapevamo) ma ormai anche nel cinema di genere. Consigliatissimo The Crossing di Bai Xue, uno dei miei preferiti in assoluto di questa edizione.
Soffocante coming-of-age calato nelle tensioni sociali della Hong Kong al confine con Shenzhen, con le vacue atmosfere notturne, la pioggia, le luci al neon, la gioventù bruciata e la colonna sonora ambient techno (Millennium Mambo, anyone?). Un racconto davvero potente, e per di più opera prima di una regista di cui imho si sentirà parlare ancora. Molto bello poi Crossing the Border, dolceamaro spaccato on-the-road della vita rurale cinese, e matura riflessione sulla perdita e la morte. Non male anche i film "più pop", come appunto il succitato Dying to Survive.
Corea del sud: Non un granché, e sempre peggio negli anni. Birthday, il film di apertura del festival, incentrato sulla tragedia del traghetto Sewol di qualche anno fa, eccede in drammoni stucchevoli e si salva in corner per la performance da applausi di Jeon Do-yeon, anche lei premiata in teatro (e bella oltre ogni parola). Per il resto film scialbi e/o non troppo ispirati; paradossalmente tra i film più decenti spiccano le commedie, come il zombie movie demenziale The Odd Family e il succitato Extreme Job, appunto molto carino.
Giappone: Solito, generalmente una serie di film carini ma quasi nulla di incredibile. Molto bello e delicato Every Day a Good Day, film intriso di "giapponesità", che accompagna diversi anni di vita di una ragazza che ogni settimana si reca da una signora per imparare la cerimonia tradizionale del tè. In pratica uno di quei film dove non succede nulla per due ore, semplicemente focalizzato sulla bellezza delle piccole cose e un'implicita spiritualità della vita di tutti i giorni. Stilisticamente sobrio e asciutto, fatto di colori accesissimi, campi totali ozuiani e curatissimi particolari. Per il resto molta roba senza infamia né lode, a partire appunto da Fly Me to the Saitama di Takeuchi, tanto leggero quanto dimenticabile. Aspettavo con molto hype Dare to Stop Us (biopic dalle tinte politiche su Koji Wakamatsu e Masao Adachi), ma per quanto scorrevole non mi ha fatto gridare al miracolo.
Hong Kong: Ed eccoci qua: il mio vincitore morale di questa edizione è l'ultima fatica del mio amato Fruit Chan, Three Husbands.
Probabilmente l'unico, vero film d'autore di questa edizione, allegoria erotica che rasenta l'arthouse porno, presentata come il terzo capitolo della "trilogia della prostituzione" di Chan e, come da suo solito, film che nel profondo vuole parlare di Hong Kong e del sofferto legame con la Cina continentale. E' un film sudicio, sboccato, artistico, a tratti disturbante, profondamente simbolista e quasi impossibile da sviscerare in tutti i suoi innumerevoli significati, politici e non. C'era gente sconvolta alla fine della proiezione, e penso che in pochi ne abbiano scalfito anche solo la superficie. Bravissima Chloe Maayan nei panni della prostituta ninfomane protagonista, che come lei stessa ha affermato si è ispirata ai personaggi femminili di Fellini.
La retrospettiva sui cento anni di cinema coreano purtroppo me la sono persa tutta, ma era stata piazzata a orari per me proibitivi. Conto di recuperare almeno qualcosina.