Alla fine il cuore del racconto non sta in quegli elementi lì. Sta nel giappone ottocentesco che si respira tra le sue pagine, nel modo in cui la trama si intreccia con gli eventi storici e politici dell'epoca. Sta nei personaggi, nelle loro vicissitudini. E sta soprattutto nel tormentato percorso di redenzione che si ritrova ad affrontare lungo tutta l'opera proprio Kenshin.
Poi certo, è uno shonen di Jump. Ci sono combattimenti continui, abilità poco credibili, diverse esagerazioni, limiti alle tematiche affrontate, e così via. Ma si potrebbero tranquillamente togliere tutte queste cose e la storia funzionerebbe nello stesso modo. E al contempo, per chi invece apprezza il genere, la serie si dimostra in molti punti un battle shonen di livello più che buono.
Ma alla fine, per quanto mi riguarda, Kenshin è una serie che mi è rimasta dentro. Ed è questo che conta.
Per il resto riporto e quoto le parole di Soel (che ringrazio sempre per la magnifica e poetica sensibilità)
tutto regge, ci sono trame occulte dietro quelle storiche ufficiali e su cui ha avuto libertà certo ma gli sono valse: Makoto Shishio, che ad oggi è uno dei villain più ben realizzati a mia memoria. E proseguendo: memorie di Kyoto. Senza parole per la bellezza di quello che ha creato. E infine... Jinchu. Solo chi ha letto lo può capire.
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