37 Seconds
Trentasette secondi sono un intervallo di tempo che può rappresentare un nonnulla o un'eternità; può essere un indice di tempo che rappresenta un evento straordinario (record mondiale di velocità della staffetta 4 x 100 metri ai Giochi olimpici di Londra stabilito dalla rappresentativa della Giamaica) oppure una situazione infausta, vedi quanto accaduto alla protagonista del film "37 seconds" Yuma Takada che per quei pochi interminabili secondi senza respiro al momento del parto, ha irrimediabilmente mandato in sofferenza il cervello condizionando definitivamente la sua esistenza per la conseguente paralisi cerebrale.
Questo film giapponese è un'opera in apparenza delicata ma sostanzialmente dura: potrei definirla "garbatamente dolorosa", un po' come la protagonista della storia narrata, "dolce e ferocemente determinata".
Il film è uno slice of life narrato dal punto di vista di una ragazza di 23 anni e disabile, che inizia un percorso di nuova consapevolezza di sé e della conseguente affermazione nei confronti degli altri che coinvolge lo spettatore fin nei dettagli e pensieri più intimi della protagonista, al fine di dimostrare che la presunta "distanza" tra il suo mondo e quello c.d. "normale" (da intendersi quello visto da chi non soffre alcuna disabilità) non è così evidente come in genere lo si immagina.
“Spesso nel giudicare una cosa ci lasciamo trascinare più dall'opinione che non dalla vera sostanza della cosa stessa.” (L.A. Seneca)
Dopo la sua visione, la prima impressione, la più scontata e facile, è quella che quest'opera si pone come obiettivo la demolizione dei pregiudizi, a tutti i livelli.
L'incipit del film è paradigmatico: Yuma viaggia su un affollato treno di pendolari a Tokyo ed è su una sedia a rotelle. Avendo subito una paralisi cerebrale - così come l'attrice amatoriale che la interpreta, Mae Kayama - Yuma vive la classica esistenza del disabile che cerca di barcamenarsi tra le difficoltà quotidiane di chi ha difficoltà a muoversi in autonomia accudita quasi in modo soffocante da sua madre, che francamente la tratta come se fosse una bambina (vedi la scena iniziale del bagno).
Yuma è un'aspirante mangaka che collabora in modalità "ghost" con la cugina Sayaka alla redazione di fumetti. As usual, Sayaka non si fa troppi scrupoli a sfruttare il lavoro di Yuma prendendosi anche gli onori...
L'esistenza di Yuma inizia a svoltare nel momento in cui manifesta i primi segnali di insofferenza alle ingiustizie che subisce e alle soffocanti e anche ipocrite attenzioni che riceve non solo dalla madre. Quando diventa chiaro che Sayaka le ostacolerà il raggiungimento del suo successo artistico, Yuma fa domanda per un lavoro come artista presso una casa editrice di manga che stampa libri erotici. L'editore, interpretato dall'attrice e giornalista giapponese Yuka Itaya, le dice che ha bisogno di fare sesso per creare manga per adulti davvero convincenti. Tale consiglio sprona Yuma a "percorrere" un sentiero di scoperte di un mondo fino ad allora non considerato e lei lo fa in un modo empirico e coraggioso che rende questa parte del film un'avventura molto realistica ma anche dolce in cui Yuma cerca di scoprire la sua sessualità.
Il "desiderio" è uno degli aspetti che ci rende "umani". Troppo spesso le persone con disabilità vengono trattate sullo schermo (e nella vita reale...) come se fossero delle persone per le quali siano precluse a prescindere certe esperienze fino ad essere considerate asessuali.
“37 Seconds” sfida questo pregiudizio. E lo fa mostrando il corpo nudo di Yuma durante il bagno, la sua pervicace volontà di avere un rapporto sessuale a pagamento, l'autoerotismo con i sex toys... insomma, Yuma cerca di vivere come una qualsiasi altra persona la propria sessualità negata e sulla sua strada incontrerà Mai e Toshiya che dimostreranno un'umanità e sensibilità senza limiti nei suoi confronti, supportandola e considerandola come una persona al 100% senza falsi pietismi.
Ammirevole il coraggio della sceneggiatura e dell'attrice a mostrarsi non solo senza veli ma anche mostrare quelli che possono essere i problemi psicofisici che le persone affette da paralisi cerebrale soffrono. Il messaggio è tanto diretto quanto potente: una ragazza paraplegica può sentire il bisogno di soddisfare anche la propria sessualità. Sono toccanti i suoi tentativi di frequentare ragazzi con appuntamenti quasi "al buio" e formulare domande molto dirette sulla loro apertura nei suoi confronti.
Un plauso anche alla recitazione di Makiko Watanabe nei panni di Mai, la prostituta dall'umanità smisurata che fa amicizia con Yuma e l'aiuta nella sua personale "missione" del diventare ciò che vuole essere indipendentemente dai limiti imposti dalla sua disabilità.
“Come la gente mi guarda è una sua scelta, quanto me ne importi è la mia”. (M. Gentile)
La seconda parte del film è dedicata alla scoperta da parte di Yuma della parte della sua famiglia mancante. E' una parte del film un pochino forzata nello svolgimento, ha un ritmo più accelerato e semplice ma che si pone come obiettivo quello di rappresentare la nuova Yuma, libera dalle "catene" dei pregiudizi anche propri per dare sfogo alla propria sete di conoscenza fino alla scoperta e alla riappacificazione con il resto della famiglia. Non anticipo nulla, ma il viaggio all'estero rappresenta anche il viaggio nell'esistenza che si potrebbe riassumere in "...Probabilmente avrei potuto vivere liberamente...".
Il viaggio di Yuma è più profondo del suo bisogno di contatto umano e di amore fisico rappresentato nella prima parte. E così il film diventa molto di più, esplora una realtà che va trascende la corporeità limitata a maggior ragione dalla disabilità e sconfina in una sorta di atto di gentilezza, perdono e onestà intellettuale così rari oggi.
"37 seconds" rappresenta la prima opera della regista Hikari ed è riuscito a vincere due premi al 69° Festival Internazionale del Cinema di Berlino del 2019: il Premio del Pubblico e il Premio Art Cinema della Confederazione Internazionale dei Cinema d' Arte nella sezione Panorama del festival.
Questo film giapponese è un'opera in apparenza delicata ma sostanzialmente dura: potrei definirla "garbatamente dolorosa", un po' come la protagonista della storia narrata, "dolce e ferocemente determinata".
Il film è uno slice of life narrato dal punto di vista di una ragazza di 23 anni e disabile, che inizia un percorso di nuova consapevolezza di sé e della conseguente affermazione nei confronti degli altri che coinvolge lo spettatore fin nei dettagli e pensieri più intimi della protagonista, al fine di dimostrare che la presunta "distanza" tra il suo mondo e quello c.d. "normale" (da intendersi quello visto da chi non soffre alcuna disabilità) non è così evidente come in genere lo si immagina.
“Spesso nel giudicare una cosa ci lasciamo trascinare più dall'opinione che non dalla vera sostanza della cosa stessa.” (L.A. Seneca)
Dopo la sua visione, la prima impressione, la più scontata e facile, è quella che quest'opera si pone come obiettivo la demolizione dei pregiudizi, a tutti i livelli.
L'incipit del film è paradigmatico: Yuma viaggia su un affollato treno di pendolari a Tokyo ed è su una sedia a rotelle. Avendo subito una paralisi cerebrale - così come l'attrice amatoriale che la interpreta, Mae Kayama - Yuma vive la classica esistenza del disabile che cerca di barcamenarsi tra le difficoltà quotidiane di chi ha difficoltà a muoversi in autonomia accudita quasi in modo soffocante da sua madre, che francamente la tratta come se fosse una bambina (vedi la scena iniziale del bagno).
Yuma è un'aspirante mangaka che collabora in modalità "ghost" con la cugina Sayaka alla redazione di fumetti. As usual, Sayaka non si fa troppi scrupoli a sfruttare il lavoro di Yuma prendendosi anche gli onori...
L'esistenza di Yuma inizia a svoltare nel momento in cui manifesta i primi segnali di insofferenza alle ingiustizie che subisce e alle soffocanti e anche ipocrite attenzioni che riceve non solo dalla madre. Quando diventa chiaro che Sayaka le ostacolerà il raggiungimento del suo successo artistico, Yuma fa domanda per un lavoro come artista presso una casa editrice di manga che stampa libri erotici. L'editore, interpretato dall'attrice e giornalista giapponese Yuka Itaya, le dice che ha bisogno di fare sesso per creare manga per adulti davvero convincenti. Tale consiglio sprona Yuma a "percorrere" un sentiero di scoperte di un mondo fino ad allora non considerato e lei lo fa in un modo empirico e coraggioso che rende questa parte del film un'avventura molto realistica ma anche dolce in cui Yuma cerca di scoprire la sua sessualità.
Il "desiderio" è uno degli aspetti che ci rende "umani". Troppo spesso le persone con disabilità vengono trattate sullo schermo (e nella vita reale...) come se fossero delle persone per le quali siano precluse a prescindere certe esperienze fino ad essere considerate asessuali.
“37 Seconds” sfida questo pregiudizio. E lo fa mostrando il corpo nudo di Yuma durante il bagno, la sua pervicace volontà di avere un rapporto sessuale a pagamento, l'autoerotismo con i sex toys... insomma, Yuma cerca di vivere come una qualsiasi altra persona la propria sessualità negata e sulla sua strada incontrerà Mai e Toshiya che dimostreranno un'umanità e sensibilità senza limiti nei suoi confronti, supportandola e considerandola come una persona al 100% senza falsi pietismi.
Ammirevole il coraggio della sceneggiatura e dell'attrice a mostrarsi non solo senza veli ma anche mostrare quelli che possono essere i problemi psicofisici che le persone affette da paralisi cerebrale soffrono. Il messaggio è tanto diretto quanto potente: una ragazza paraplegica può sentire il bisogno di soddisfare anche la propria sessualità. Sono toccanti i suoi tentativi di frequentare ragazzi con appuntamenti quasi "al buio" e formulare domande molto dirette sulla loro apertura nei suoi confronti.
Un plauso anche alla recitazione di Makiko Watanabe nei panni di Mai, la prostituta dall'umanità smisurata che fa amicizia con Yuma e l'aiuta nella sua personale "missione" del diventare ciò che vuole essere indipendentemente dai limiti imposti dalla sua disabilità.
“Come la gente mi guarda è una sua scelta, quanto me ne importi è la mia”. (M. Gentile)
La seconda parte del film è dedicata alla scoperta da parte di Yuma della parte della sua famiglia mancante. E' una parte del film un pochino forzata nello svolgimento, ha un ritmo più accelerato e semplice ma che si pone come obiettivo quello di rappresentare la nuova Yuma, libera dalle "catene" dei pregiudizi anche propri per dare sfogo alla propria sete di conoscenza fino alla scoperta e alla riappacificazione con il resto della famiglia. Non anticipo nulla, ma il viaggio all'estero rappresenta anche il viaggio nell'esistenza che si potrebbe riassumere in "...Probabilmente avrei potuto vivere liberamente...".
Il viaggio di Yuma è più profondo del suo bisogno di contatto umano e di amore fisico rappresentato nella prima parte. E così il film diventa molto di più, esplora una realtà che va trascende la corporeità limitata a maggior ragione dalla disabilità e sconfina in una sorta di atto di gentilezza, perdono e onestà intellettuale così rari oggi.
"37 seconds" rappresenta la prima opera della regista Hikari ed è riuscito a vincere due premi al 69° Festival Internazionale del Cinema di Berlino del 2019: il Premio del Pubblico e il Premio Art Cinema della Confederazione Internazionale dei Cinema d' Arte nella sezione Panorama del festival.