I tre giorni dopo la fine
Se dell'incidente nucleare alla centrale di Chernobyl dell'aprile 1986 sono stati realizzati una moltitudine di documentari, e anche alcune serie e film, su quello di Fukushima del marzo 2011 non ne avevo trovati poi molti: un po' per indolenza mi ero limitato a visionare alcuni documentari reperibili in rete sulla ricostruzione dell'incidente avvenuto a seguito del violentissimo terremoto e conseguente tsunami che colpì la parte centro settentrionale del Giappone rivolta verso l'Oceano Pacifico.
Dell'incidente credo sia già stato scritto tutto, e la miniserie di otto episodi "The Days" - "Tre giorni dopo la fine" ripropone una ricostruzione minuziosa degli avvenimenti accaduti nel complesso della centrale nucleare di Fukushima Daichi nel giorno del terremoto e nei tre giorni seguenti, mostrati da un particolare punto di vista: quello di coloro che si trovavano all'interno della centrale e che si sono trovati ad affrontare in totale autonomia (oserei scrivere, più correttamente, "in solitudine") il più grave incidente nucleare della storia umana, pari a quello di Chernobyl, per le conseguenze determinate dalla fusione di alcuni reattori a causa dell'assenza di corrente di alimentazione dei sistemi di sicurezza dopo lo tsunami.
"The Days", a differenza di altre produzioni sugli incidenti nucleari, ha un taglio molto "documentaristico" e poco "romanzato", trattandosi di una serie ispirata alle opere di Ryushu Kadota "On the Brink: The inside story of Fukushima Daiichi" e "A reading of Yoshida testimony: what actually happened onsite at Fukushima", a loro volta costruite sulle testimonianze di coloro che hanno vissuto i momenti successivi al terremoto e allo tsunami all'interno della centrale nucleare, e in particolare del suo direttore Masao Yoshida, che coordina tutto il personale della centrale cercando di affrontare l'emergenza, per forza maggiore, in autonomia e senza mezzi.
L'impressione che si ricava dalla visione di "The Days" del disastro nucleare di Fukushima è quella della mancanza di consapevolezza tecnica e organizzazione di un sistema come quello giapponese che invece è notoriamente famoso per essere un modello di struttura a livello planetario. Se Chernobyl è stata la prova della leggerezza e ignoranza, e capacità a causare l'esplosione del reattore (cui è stata poi messa una pezza con una reazione sistemica incredibile dati i mezzi obsoleti e la supponenza del regime sovietico), Fukushima è stato l'attendismo unito alla incredibile ipocrisia e al rigido rispetto dei ruoli oltre ogni capacità logica che contraddistingue la società giapponese che ha portato alcuni reattori a raggiungere lo stato di "meltdown". E' inutile evidenziare come la responsabilità della TEPCO (la società privata di gestione dell'impianto) sia piuttosto evidente nei momenti iniziali (i primi giorni dal terremoto e dallo tsunami) in cui ha cercato di rassicurare il governo e l'intero paese sulla situazione della centrale che era rimasta completamente isolata. Ma non da meno fa rabbrividire l'inerzia delle istituzioni giapponesi che si sono limitate a prendere atto di quanto riportato artatamente dalla società di gestione senza dotarsi di specialisti per comprendere al meglio la situazione e fornire la dovuta assistenza alla TEPCO e quindi alla centrale.
Colpisce, durante la visione, la fortissima discrasia tra la verità vissuta dai pochi tecnici e la versione "artata" (recte "omissiva") della verità narrata inizialmente dalla TEPCO, e tale situazione non può far che meditare su determinate scelte strategiche di affidare a "privati" settori nevralgici, e particolarmente delicati, che richiederebbero un approccio molto più strutturato e capace di reagire senza indugi a calamità e situazioni non preventivate o ipotizzabili.
Anche in "The Days" emerge, come nelle serie e documentari su Chernobyl, il senso di responsabilità fino all'estremo sacrificio di coloro che loro malgrado si sono trovati ad affrontare il "mostro" radioattivo, quella tecnologia che, se non affrontata con il dovuto rispetto e attenzione, si trasforma in un attimo da buono in cattivo in un attimo. Ma un aspetto che "The Days" riesce a trasmettere molto bene allo spettatore è quella sensazione di ineluttabilità che pervade ogni episodio della serie: l'epilogo tragico come la morte che pone termine alla vita umana. Una guerra già persa cui l'uomo può solo cercare di porre dei rimedi parziali come rimandare o limitare le conseguenze del disastro.
E sotto questo aspetto "The Days" riesce a trasmettere tutto il senso di impotenza e negatività con uno stile registico quasi "horror" favorito dalle ambientazioni cupe e buie delle sale di comando dei reattori e dalle missioni negli ambienti senza luce e claustrofobici in cui i tecnici devono operare per cercare di apportare quei correttivi per evitare il disastro. Ma è l'atmosfera lugubre, che aleggia in tutti gli episodi, a fornire una sensazione di profondo disagio allo spettatore che assiste (come i protagonisti) impotente all'incipiente tragedia, immedesimandosi nella disperazione composta e nella speranza vana di chi agisce sul campo.
Il limite della serie è rappresentato proprio dal suo maggior pregio: l'estremo rigore quasi ridondante alla ricostruzione storica il più possibile fedele. Non c’è parte romanzata, il ritmo e lo sviluppo dei fatti è lentissimo (ma inesorabile), non c'è sviluppo di trame parallele che mostrano la situazione al di fuori della centale (eccezion fatta per la famiglia di uno dei giovani dipendenti della centrale), non c'è alcun chara-development dei personaggi, nessuna azione eroica anche un po' roboante che non sia un mero rimedio molto realistico e purtroppo temporaneo. Quasi una serie composta, scevra da ogni forma di spettacolarizzazione, nella miglior tradizione dell'approccio molto pragmatico e poco sensazionalistico della cultura giapponese.
Spicca in modo evidente la recitazione dell'attore Kōji Yakusho che impersona il direttore della centrale Yoshida: autore di un’interpretazione che evolve nel corso degli episodi e che rende in modo quasi icastico il contrasto interiore tra il rispetto dei ruoli, la compostezza tipica giapponese, e la volontà di ribaltare tutto e ribellarsi alla indolenza di coloro che a distanza di sicurezza non prendevano alcuna decisione: un uomo consapevole della tragedia che si sta consumando e del danno che si creerà a carico dell'intera nazione. Un'umanità che forse e poco comprensibile a noi occidentali in cui assume anche ordini scomodi che mettono a rischio la vita dei collaboratori sempre con la consapevolezza del sacrificio che sta richiedendo, ma anche, e soprattutto, il dolore e il disagio di un uomo che all'improvviso si è trovato "solo" a dover decidere di azioni gravide di rischi tra i lacci e lacciuoli imposti dall'azienda, così lontana e disgraziatamente incompetente.
Quindi nessuna spettacolarizzazione "hollywoodiana", solo il senso profondo dell'umana incapacità di cambiare il corso degli eventi, nonostante il positivismo senza limiti, e quindi superbo, di essere convinti di essere capaci di piegare il corso degli eventi sempre a favore dei propri interessi.
Resta pertanto il messaggio di monito: imparare dagli errori commessi.
Una serie da consigliare a coloro che apprezzano maggiormente la sobrietà e il realismo alle storie eccessivamente romanzate anche in modo poco verosimile.
Dell'incidente credo sia già stato scritto tutto, e la miniserie di otto episodi "The Days" - "Tre giorni dopo la fine" ripropone una ricostruzione minuziosa degli avvenimenti accaduti nel complesso della centrale nucleare di Fukushima Daichi nel giorno del terremoto e nei tre giorni seguenti, mostrati da un particolare punto di vista: quello di coloro che si trovavano all'interno della centrale e che si sono trovati ad affrontare in totale autonomia (oserei scrivere, più correttamente, "in solitudine") il più grave incidente nucleare della storia umana, pari a quello di Chernobyl, per le conseguenze determinate dalla fusione di alcuni reattori a causa dell'assenza di corrente di alimentazione dei sistemi di sicurezza dopo lo tsunami.
"The Days", a differenza di altre produzioni sugli incidenti nucleari, ha un taglio molto "documentaristico" e poco "romanzato", trattandosi di una serie ispirata alle opere di Ryushu Kadota "On the Brink: The inside story of Fukushima Daiichi" e "A reading of Yoshida testimony: what actually happened onsite at Fukushima", a loro volta costruite sulle testimonianze di coloro che hanno vissuto i momenti successivi al terremoto e allo tsunami all'interno della centrale nucleare, e in particolare del suo direttore Masao Yoshida, che coordina tutto il personale della centrale cercando di affrontare l'emergenza, per forza maggiore, in autonomia e senza mezzi.
L'impressione che si ricava dalla visione di "The Days" del disastro nucleare di Fukushima è quella della mancanza di consapevolezza tecnica e organizzazione di un sistema come quello giapponese che invece è notoriamente famoso per essere un modello di struttura a livello planetario. Se Chernobyl è stata la prova della leggerezza e ignoranza, e capacità a causare l'esplosione del reattore (cui è stata poi messa una pezza con una reazione sistemica incredibile dati i mezzi obsoleti e la supponenza del regime sovietico), Fukushima è stato l'attendismo unito alla incredibile ipocrisia e al rigido rispetto dei ruoli oltre ogni capacità logica che contraddistingue la società giapponese che ha portato alcuni reattori a raggiungere lo stato di "meltdown". E' inutile evidenziare come la responsabilità della TEPCO (la società privata di gestione dell'impianto) sia piuttosto evidente nei momenti iniziali (i primi giorni dal terremoto e dallo tsunami) in cui ha cercato di rassicurare il governo e l'intero paese sulla situazione della centrale che era rimasta completamente isolata. Ma non da meno fa rabbrividire l'inerzia delle istituzioni giapponesi che si sono limitate a prendere atto di quanto riportato artatamente dalla società di gestione senza dotarsi di specialisti per comprendere al meglio la situazione e fornire la dovuta assistenza alla TEPCO e quindi alla centrale.
Colpisce, durante la visione, la fortissima discrasia tra la verità vissuta dai pochi tecnici e la versione "artata" (recte "omissiva") della verità narrata inizialmente dalla TEPCO, e tale situazione non può far che meditare su determinate scelte strategiche di affidare a "privati" settori nevralgici, e particolarmente delicati, che richiederebbero un approccio molto più strutturato e capace di reagire senza indugi a calamità e situazioni non preventivate o ipotizzabili.
Anche in "The Days" emerge, come nelle serie e documentari su Chernobyl, il senso di responsabilità fino all'estremo sacrificio di coloro che loro malgrado si sono trovati ad affrontare il "mostro" radioattivo, quella tecnologia che, se non affrontata con il dovuto rispetto e attenzione, si trasforma in un attimo da buono in cattivo in un attimo. Ma un aspetto che "The Days" riesce a trasmettere molto bene allo spettatore è quella sensazione di ineluttabilità che pervade ogni episodio della serie: l'epilogo tragico come la morte che pone termine alla vita umana. Una guerra già persa cui l'uomo può solo cercare di porre dei rimedi parziali come rimandare o limitare le conseguenze del disastro.
E sotto questo aspetto "The Days" riesce a trasmettere tutto il senso di impotenza e negatività con uno stile registico quasi "horror" favorito dalle ambientazioni cupe e buie delle sale di comando dei reattori e dalle missioni negli ambienti senza luce e claustrofobici in cui i tecnici devono operare per cercare di apportare quei correttivi per evitare il disastro. Ma è l'atmosfera lugubre, che aleggia in tutti gli episodi, a fornire una sensazione di profondo disagio allo spettatore che assiste (come i protagonisti) impotente all'incipiente tragedia, immedesimandosi nella disperazione composta e nella speranza vana di chi agisce sul campo.
Il limite della serie è rappresentato proprio dal suo maggior pregio: l'estremo rigore quasi ridondante alla ricostruzione storica il più possibile fedele. Non c’è parte romanzata, il ritmo e lo sviluppo dei fatti è lentissimo (ma inesorabile), non c'è sviluppo di trame parallele che mostrano la situazione al di fuori della centale (eccezion fatta per la famiglia di uno dei giovani dipendenti della centrale), non c'è alcun chara-development dei personaggi, nessuna azione eroica anche un po' roboante che non sia un mero rimedio molto realistico e purtroppo temporaneo. Quasi una serie composta, scevra da ogni forma di spettacolarizzazione, nella miglior tradizione dell'approccio molto pragmatico e poco sensazionalistico della cultura giapponese.
Spicca in modo evidente la recitazione dell'attore Kōji Yakusho che impersona il direttore della centrale Yoshida: autore di un’interpretazione che evolve nel corso degli episodi e che rende in modo quasi icastico il contrasto interiore tra il rispetto dei ruoli, la compostezza tipica giapponese, e la volontà di ribaltare tutto e ribellarsi alla indolenza di coloro che a distanza di sicurezza non prendevano alcuna decisione: un uomo consapevole della tragedia che si sta consumando e del danno che si creerà a carico dell'intera nazione. Un'umanità che forse e poco comprensibile a noi occidentali in cui assume anche ordini scomodi che mettono a rischio la vita dei collaboratori sempre con la consapevolezza del sacrificio che sta richiedendo, ma anche, e soprattutto, il dolore e il disagio di un uomo che all'improvviso si è trovato "solo" a dover decidere di azioni gravide di rischi tra i lacci e lacciuoli imposti dall'azienda, così lontana e disgraziatamente incompetente.
Quindi nessuna spettacolarizzazione "hollywoodiana", solo il senso profondo dell'umana incapacità di cambiare il corso degli eventi, nonostante il positivismo senza limiti, e quindi superbo, di essere convinti di essere capaci di piegare il corso degli eventi sempre a favore dei propri interessi.
Resta pertanto il messaggio di monito: imparare dagli errori commessi.
Una serie da consigliare a coloro che apprezzano maggiormente la sobrietà e il realismo alle storie eccessivamente romanzate anche in modo poco verosimile.
"I tre giorni dopo la fine" (The Days) è una miniserie Netflix di 8 episodi rilasciata il primo giugno 2023 e prodotta da Jun Masumoto, Daisuke Sekiguchi, Tomoki Masuko e Ryohei Takada assieme a Warner Bros. Japan e Lyonesse Pictures.
Diretto da Masaki Nishiura ("Densha Otoko", "Rich Man, Poor Woman") e dal maestro dell'horror Hideo Nakata ("Ring", "Dark Water"), il serial segue molti personaggi che incarnano le persone che hanno contribuito a gestire il disastro nucleare nei giorni successivi all'11 marzo 2011, da qui il titolo originale.
Si tratta di una serie corale in cui seguiamo diversi individui a Fukushima, alla sede della Tepco e nei palazzi della politica giapponese. Ma, se avere tanti personaggi con cui relazionarsi potrebbe sembrare fin troppo (in 8 episodi), in realtà il meccanismo funziona bene. Anzi, se ne fosse stato escluso anche solo uno, ne sarebbe risultata una versione monca degli eventi. Inoltre (secondo un meccanismo molto hitchockiano), osservare tutte quelle persone che cercano di reagire e rispondere alle varie emergenze con poche o pochissime informazioni (mentre noi già sappiamo cosa accadrà), è ancor più agghiacciante.
Il disastro naturale all'origine della crisi è stato ricreato in modo estremamente realistico. Sia il terremoto che lo tsunami sono realizzati fedelmente con CGI ed espedienti registici efficaci. La fotografia è funzionale, con momenti da puro horror claustrofobico in cui vengono sfruttati i ristretti ambienti della centrale, l'assenza di luce, i flash delle torce o la nebbia. Mentre in molte scene gli unici rumori persistenti sono i respiri affannosi degli operai dentro le tute di protezione. La colonna sonora ora ieratica ora tragica, è composta anche di tante tracce di stampo ambient e industrial che in lenti crescendo si trasfomano in amplificatori emozionali in alcune delle scene più forti.
La sceneggiatura della serie si basa sul libro "On the Brink: The Inside Story of Fukushima Daiichi" da cui è stato tratto anche il film "Fukushima 50" del 2020, ma anche su una serie di interviste e sulla relazione della commissione d'inchiesta, e, per forza di cose, qui è tutto molto più dettagliato. I protagonisti sono seguiti e rappresentati con dovizia di particolari e approfondimento psicologico e l'ottimo lavoro del cast restituisce la sensazione di osservare delle persone in carne ed ossa, prima ancora che dei personaggi. Pur con qualche concessione, seppur minima, alle esigenze della sceneggiatura.
Protagonista su tutti è Kōji Yakusho, perfetto nel ruolo di Masao Yoshida, il direttore della centrale nucleare (lo show è anche un tributo a quest'uomo, che morì di cancro due anni dopo il disastro). Capace di trasformarsi in poco tempo da direttore pacato e meticoloso, a testa calda che prende a calci le scrivanie e ignora gli ordini dei superiori, perché lui è sul campo, non dorme da 70 ore e non ha più tempo per le "stupidaggini" di dirigenti e politici. Un egregio ritratto di un essere umano intrappolato in un incubo senza fine e senza via di scampo. Chiamato a prendere decisioni fondamentali, a decidere della vita e della morte dei suoi sottoposti e ad assumersene tutte le responsabilità.
Ottimo anche Yutaka Takenōchi nei panni di Shinji Maejima, operatore della centrale che più di una volta si trova costretto a scegliere le squadre di addetti da mandare all'interno dei reattori. Pur nella reiterazione di alcune situazioni, anche lui fa percepire tutta l'angoscia di una persona che (a sua volta contaminata), deve letteralmente scegliere chi mandare a morire giorno dopo giorno.
Di spessore anche l'interpretazione di Fumiyo Kohinata, a cui è affidato lo spinoso ruolo del primo ministro Shinji Azuma (basato sulla figura di Naoto Kan). Anche lui riesce a far percepire benissimo l'ansia, l'impotenza e il panico con cui l'uomo si confronta, in un crescendo puntata dopo puntata, sino ad arrivare allo scenario apocalittico prospettato nell'ultimo episodio (in una scena che letteralmente gela il sangue nelle vene). Anche se le critiche al suo personaggio non sono mancate, e il Tokyo Times ha parlato di "eccessiva prudenza" nella rappresentazione delle indecisioni di PM e governo.
Merita poi di essere almeno menzionata la performance di Ken Mitsuishi in veste di Murakami. Un funzionario della Tepco che da Tokyo cerca di gestire la crisi, barcamenandosi tra la salvaguardia degli interessi aziendali e le richieste dell'amministrazione, con un cinismo impressionante.
In "The Days" la tensione sale lentamente e malgrado l'alto numero di tecnicismi, di numeri e dati quasi maniacalmente gettati in pasto al pubblico l'impatto emotivo resta altissimo. Questo, perché sono le persone che prendono le decisioni dietro a tutti quei numeri che definiscono i confini emozionali della serie, è nei loro volti colti dall'angoscia e dal panico che ci specchiamo mentre assistiamo alla tragedia. Ma a scanso di equivoci va comunque detto che è stato evitato qualsiasi tipo di sensazionalismo e spettacolarizzazione, sia visiva che emotiva (vedi il personaggio dello sfortunato Koki interpretato da Ōji Suzuka). Troppo vivi ancora oggi l'orrore e la tragedia che hanno squassato il paese in quei giorni per abbandonarsi a una rappresentazione edulcorata, stilizzata od eroistica degli avvenimenti.
E a ben vedere, tra le righe, c'è anche una cosa in più che può far riflettere nello show: dall'inizio alla fine vediamo infatti un'amministrazione sia pubblica che privata fatta solo da uomini in età geriatrica. Le donne non toccano palla, non c'è una figura femminile di potere che prenda qualsivoglia decisione. Anzi, gli unici personaggi femminili rappresentati sono la madre e la sorella del giovane operaio Koki relegate nei loro ruoli marginali a piangere ed a intrecciare origami.
Si tratta dunque di un'opera a cui suggerisco di approcciarsi con cautela. Il rigore e la minuziosità quasi documentaristica con cui sono rappresentati i dettagli dal punto di vista delle persone coinvolte risultano brutali e non sono adatti a tutti. Vedere i volti di coloro che lavoravano nella centrale nucleare di Fukushima Daiichi e degli altri protagonisti man mano che si rendono conto di quel che sta succedendo, è davvero una rappresentazione di orrore puro e può essere fonte di ansia per lo spettatore più impressionabile. È comunque un approfondimento molto interessante ed un'opera realizzata tecnicamente benissimo, che sa coinvolgere, impressionare, emozionare e soprattutto che fa riflettere.
Diretto da Masaki Nishiura ("Densha Otoko", "Rich Man, Poor Woman") e dal maestro dell'horror Hideo Nakata ("Ring", "Dark Water"), il serial segue molti personaggi che incarnano le persone che hanno contribuito a gestire il disastro nucleare nei giorni successivi all'11 marzo 2011, da qui il titolo originale.
Si tratta di una serie corale in cui seguiamo diversi individui a Fukushima, alla sede della Tepco e nei palazzi della politica giapponese. Ma, se avere tanti personaggi con cui relazionarsi potrebbe sembrare fin troppo (in 8 episodi), in realtà il meccanismo funziona bene. Anzi, se ne fosse stato escluso anche solo uno, ne sarebbe risultata una versione monca degli eventi. Inoltre (secondo un meccanismo molto hitchockiano), osservare tutte quelle persone che cercano di reagire e rispondere alle varie emergenze con poche o pochissime informazioni (mentre noi già sappiamo cosa accadrà), è ancor più agghiacciante.
Il disastro naturale all'origine della crisi è stato ricreato in modo estremamente realistico. Sia il terremoto che lo tsunami sono realizzati fedelmente con CGI ed espedienti registici efficaci. La fotografia è funzionale, con momenti da puro horror claustrofobico in cui vengono sfruttati i ristretti ambienti della centrale, l'assenza di luce, i flash delle torce o la nebbia. Mentre in molte scene gli unici rumori persistenti sono i respiri affannosi degli operai dentro le tute di protezione. La colonna sonora ora ieratica ora tragica, è composta anche di tante tracce di stampo ambient e industrial che in lenti crescendo si trasfomano in amplificatori emozionali in alcune delle scene più forti.
La sceneggiatura della serie si basa sul libro "On the Brink: The Inside Story of Fukushima Daiichi" da cui è stato tratto anche il film "Fukushima 50" del 2020, ma anche su una serie di interviste e sulla relazione della commissione d'inchiesta, e, per forza di cose, qui è tutto molto più dettagliato. I protagonisti sono seguiti e rappresentati con dovizia di particolari e approfondimento psicologico e l'ottimo lavoro del cast restituisce la sensazione di osservare delle persone in carne ed ossa, prima ancora che dei personaggi. Pur con qualche concessione, seppur minima, alle esigenze della sceneggiatura.
Protagonista su tutti è Kōji Yakusho, perfetto nel ruolo di Masao Yoshida, il direttore della centrale nucleare (lo show è anche un tributo a quest'uomo, che morì di cancro due anni dopo il disastro). Capace di trasformarsi in poco tempo da direttore pacato e meticoloso, a testa calda che prende a calci le scrivanie e ignora gli ordini dei superiori, perché lui è sul campo, non dorme da 70 ore e non ha più tempo per le "stupidaggini" di dirigenti e politici. Un egregio ritratto di un essere umano intrappolato in un incubo senza fine e senza via di scampo. Chiamato a prendere decisioni fondamentali, a decidere della vita e della morte dei suoi sottoposti e ad assumersene tutte le responsabilità.
Ottimo anche Yutaka Takenōchi nei panni di Shinji Maejima, operatore della centrale che più di una volta si trova costretto a scegliere le squadre di addetti da mandare all'interno dei reattori. Pur nella reiterazione di alcune situazioni, anche lui fa percepire tutta l'angoscia di una persona che (a sua volta contaminata), deve letteralmente scegliere chi mandare a morire giorno dopo giorno.
Di spessore anche l'interpretazione di Fumiyo Kohinata, a cui è affidato lo spinoso ruolo del primo ministro Shinji Azuma (basato sulla figura di Naoto Kan). Anche lui riesce a far percepire benissimo l'ansia, l'impotenza e il panico con cui l'uomo si confronta, in un crescendo puntata dopo puntata, sino ad arrivare allo scenario apocalittico prospettato nell'ultimo episodio (in una scena che letteralmente gela il sangue nelle vene). Anche se le critiche al suo personaggio non sono mancate, e il Tokyo Times ha parlato di "eccessiva prudenza" nella rappresentazione delle indecisioni di PM e governo.
Merita poi di essere almeno menzionata la performance di Ken Mitsuishi in veste di Murakami. Un funzionario della Tepco che da Tokyo cerca di gestire la crisi, barcamenandosi tra la salvaguardia degli interessi aziendali e le richieste dell'amministrazione, con un cinismo impressionante.
In "The Days" la tensione sale lentamente e malgrado l'alto numero di tecnicismi, di numeri e dati quasi maniacalmente gettati in pasto al pubblico l'impatto emotivo resta altissimo. Questo, perché sono le persone che prendono le decisioni dietro a tutti quei numeri che definiscono i confini emozionali della serie, è nei loro volti colti dall'angoscia e dal panico che ci specchiamo mentre assistiamo alla tragedia. Ma a scanso di equivoci va comunque detto che è stato evitato qualsiasi tipo di sensazionalismo e spettacolarizzazione, sia visiva che emotiva (vedi il personaggio dello sfortunato Koki interpretato da Ōji Suzuka). Troppo vivi ancora oggi l'orrore e la tragedia che hanno squassato il paese in quei giorni per abbandonarsi a una rappresentazione edulcorata, stilizzata od eroistica degli avvenimenti.
E a ben vedere, tra le righe, c'è anche una cosa in più che può far riflettere nello show: dall'inizio alla fine vediamo infatti un'amministrazione sia pubblica che privata fatta solo da uomini in età geriatrica. Le donne non toccano palla, non c'è una figura femminile di potere che prenda qualsivoglia decisione. Anzi, gli unici personaggi femminili rappresentati sono la madre e la sorella del giovane operaio Koki relegate nei loro ruoli marginali a piangere ed a intrecciare origami.
Si tratta dunque di un'opera a cui suggerisco di approcciarsi con cautela. Il rigore e la minuziosità quasi documentaristica con cui sono rappresentati i dettagli dal punto di vista delle persone coinvolte risultano brutali e non sono adatti a tutti. Vedere i volti di coloro che lavoravano nella centrale nucleare di Fukushima Daiichi e degli altri protagonisti man mano che si rendono conto di quel che sta succedendo, è davvero una rappresentazione di orrore puro e può essere fonte di ansia per lo spettatore più impressionabile. È comunque un approfondimento molto interessante ed un'opera realizzata tecnicamente benissimo, che sa coinvolgere, impressionare, emozionare e soprattutto che fa riflettere.