La montagna magica
Sono sempre un po' in difficoltà quando mi vedo costretta ad ammettere, a me stessa prima ancora che pubblicamente, di non essere riuscita ad apprezzare nella sua interezza l'opera di un autore che stimo: significa accettare il fatto che, al pari di chiunque altro, è un essere umano, e che la possibilità che qualcosa di suo non mi piaccia è direttamente proporzionale alla sua prolificità. Jirō Taniguchi, per l'appunto, è un mangaka estremamente fecondo, sia che lavori in solitaria, come in questo caso, sia che presti il suo pennino ad altri. Non è la prima volta che un suo lavoro non mi entusiasma, ma non mi era mai capitato di rimanere indifferente ad un manga di sua esclusiva paternità; credo valga tuttavia la pena di prenderla con filosofia dal momento che ci vorrebbe ben altro per renderlo ai miei occhi un autore peggiore.
Tottori, 1967. L'undicenne Kenichi e sua sorella Sakiko vengono mandati dai nonni a trascorrere le vacanze estive, durante le quali la loro mamma, gravemente malata, dovrà sottoporsi ad un delicato intervento chirurgico. Il padre, invece, è morto anni prima in un incidente. La montagna che domina la città, dove i bambini giocano tra le rovine del castello che un tempo vi sorgeva, è oggetto di antiche e talvolta terrificanti leggende; nessuno sa cosa si celi davvero dentro i suoi più reconditi anfratti, ma mentre Kenichi e i suoi amici prendono molto sul serio la minaccia della strega che l'avrebbe eletta a sua dimora l'amministrazione comunale, che vuole costruire una teleferica che la colleghi al centro della città, non sembra turbata da queste voci.
Un giorno, nel tentativo di ripararsi da un temporale che lo ha colto alla sprovvista, il ragazzino si trova a varcare l'ingresso del museo di scienze locale. Lì incontra una salamandra parlante che lo prega di liberarla e di portarla alla fonte miracolosa che si trova nel cuore della montagna, che minaccia di crollare da un momento all'altro, in cambio della realizzazione di ogni suo desiderio.
La sceneggiatura è davvero molto semplice, soprattutto per quanto riguarda i dialoghi: Kenichi, per quanto molto maturo per la sua età, è un sempre un bambino, e come tale è giusto che pensi e che si esprima. Questo, però, non legittima il fastidiossissimo stillicidio di virgole ad opera dell'editore italiano, il cui lettering non mi è parso granché curato. Sia come sia, come potete vedere "La montagna magica" non ha nulla a che vedere con il quasi omonimo romanzo di Thomas Mann, tomo di considerevoli dimensioni ambientato in un sanatorio svizzero; semmai ricorda "Il mio vicino Totoro", con il quale ha molteplici elementi in comune. Kenichi è più introverso rispetto a Satsuki, ma Sakiko è caratterialmente molto simile a Mei; poi c'è la mamma malata, anche se non si sa di cosa - del resto i due fratelli sono deliberatamente tenuti all'oscuro delle sue reali condizioni, perciò questo glissare sul suo stato di salute, quantunque vagamente fastidioso, è ampiamente giustificato dalla non-onniscenza del piccolo narratore. Anche qui, inoltre, l'impatto del paesaggio è enorme, mentre la componente sovrannaturale risulta più contestualizzata anche grazie al fatto che tutte le creature che ci vengono presentate sono in grado di esprimersi nel linguaggio degli umani, a differenza del dolcissimo Totoro a cui mancava la favella. Forse è a causa di queste analogie che la vicenda mi è parsa più adatta alla pellicola che alla carta, complice anche lo stile cinestestico di Taniguchi che, com'è noto, è un grande ammiratore del fumetto europeo, la cui dinamicità si esprime attraverso modalità diverse rispetto quelle dei manga.
Se la sceneggiatura è semplice l'introspezione psicologica è semplicistica, anche tenendo conto del punto di vista scelto. Al netto della prefazione, dall'appendice finale e delle facciate di raccordo iniziali, infatti, il racconto consta di sole sessantatré pagine, decisamente troppo poche per rendere giustizia ai suoi personaggi. In un certo senso ho avuto l'impressione che "La montagna magica" fosse più adatto a un ragazzo che a un adulto, dato che a dispetto del proposito di Taniguchi di "mostrare ciò che i bambini vedono degli adulti e le cose importanti che gli adulti insegnano ai bambini" i grandi rimangono ivi immoti sullo sfondo - a meno di non contare come tali alcune delle creature che Kenichi e Sakiko incontrano nel corso della loro avventura, anche se in realtà direi che, più che adulte, esse siano semplicemente senza tempo.
Chi invece mi ha fatto pensare di volere per forza vederci cose che non c'erano, o che magari non erano così evidenti e/o rilevanti, sono stati Stéphane e Muriel Barbery (sì, proprio lei), autori dell'intervista a Taniguchi riportata a fine volume: non si contano le occasioni in cui il poveretto, di fronte all'ennesima domanda su stati di trance, "psicanalisi attraverso il disegno", "aspetti catartici della sua opera" e fantomatici stati d'animo tipicamente giapponesi è costretto a rispondere che no, in realtà non ha mai pensato che i suoi lavori potessero avere una valenza terapeutica, che se parla di morte è soltanto perché è un fatto naturale e che la componente malinconica che caratterizza molte sue storie è, a conti fatti, un'espressione della sua esigenza di creare degli ostacoli che i suoi personaggi siano costretti ad affrontare per crescere. La prossima volta che un'opera mi indurrà ad elucubrare pesantemente su determinati suoi aspetti ripenserò a questa specie di dialogo fra sordi e mi imporrò di darci un taglio.
Proprio perché si rifà al fumetto europeo lo stile di Taniguchi mi è così familiare da trascendere il concetto di conformità con i miei gusti personali. Per questo mi è molto difficile esprimermi a tale proposito: non ho modo di provare a me stessa che non mi piace soltanto perché, in un certo senso, lo conosco da prima ancora di avvicinarmi alle sue opere. Posso dire, tuttavia, di gradire molto l'ideale di consistenza che emana senza per questo sembrare pesante o sgraziato, anche se a livello di character design lo trovo francamente ripetitivo.
Sia chiaro: "La montanga magica" non è brutto. È soltanto troppo corto e, di conseguenza, piatto, oltre che un po' troppo miyazakiako per i miei gusti. C'est la vie: non tutte le ciambelle riescono col buco, ma non è il caso di farne un dramma se per una volta capita a un "big".
Tottori, 1967. L'undicenne Kenichi e sua sorella Sakiko vengono mandati dai nonni a trascorrere le vacanze estive, durante le quali la loro mamma, gravemente malata, dovrà sottoporsi ad un delicato intervento chirurgico. Il padre, invece, è morto anni prima in un incidente. La montagna che domina la città, dove i bambini giocano tra le rovine del castello che un tempo vi sorgeva, è oggetto di antiche e talvolta terrificanti leggende; nessuno sa cosa si celi davvero dentro i suoi più reconditi anfratti, ma mentre Kenichi e i suoi amici prendono molto sul serio la minaccia della strega che l'avrebbe eletta a sua dimora l'amministrazione comunale, che vuole costruire una teleferica che la colleghi al centro della città, non sembra turbata da queste voci.
Un giorno, nel tentativo di ripararsi da un temporale che lo ha colto alla sprovvista, il ragazzino si trova a varcare l'ingresso del museo di scienze locale. Lì incontra una salamandra parlante che lo prega di liberarla e di portarla alla fonte miracolosa che si trova nel cuore della montagna, che minaccia di crollare da un momento all'altro, in cambio della realizzazione di ogni suo desiderio.
La sceneggiatura è davvero molto semplice, soprattutto per quanto riguarda i dialoghi: Kenichi, per quanto molto maturo per la sua età, è un sempre un bambino, e come tale è giusto che pensi e che si esprima. Questo, però, non legittima il fastidiossissimo stillicidio di virgole ad opera dell'editore italiano, il cui lettering non mi è parso granché curato. Sia come sia, come potete vedere "La montagna magica" non ha nulla a che vedere con il quasi omonimo romanzo di Thomas Mann, tomo di considerevoli dimensioni ambientato in un sanatorio svizzero; semmai ricorda "Il mio vicino Totoro", con il quale ha molteplici elementi in comune. Kenichi è più introverso rispetto a Satsuki, ma Sakiko è caratterialmente molto simile a Mei; poi c'è la mamma malata, anche se non si sa di cosa - del resto i due fratelli sono deliberatamente tenuti all'oscuro delle sue reali condizioni, perciò questo glissare sul suo stato di salute, quantunque vagamente fastidioso, è ampiamente giustificato dalla non-onniscenza del piccolo narratore. Anche qui, inoltre, l'impatto del paesaggio è enorme, mentre la componente sovrannaturale risulta più contestualizzata anche grazie al fatto che tutte le creature che ci vengono presentate sono in grado di esprimersi nel linguaggio degli umani, a differenza del dolcissimo Totoro a cui mancava la favella. Forse è a causa di queste analogie che la vicenda mi è parsa più adatta alla pellicola che alla carta, complice anche lo stile cinestestico di Taniguchi che, com'è noto, è un grande ammiratore del fumetto europeo, la cui dinamicità si esprime attraverso modalità diverse rispetto quelle dei manga.
Se la sceneggiatura è semplice l'introspezione psicologica è semplicistica, anche tenendo conto del punto di vista scelto. Al netto della prefazione, dall'appendice finale e delle facciate di raccordo iniziali, infatti, il racconto consta di sole sessantatré pagine, decisamente troppo poche per rendere giustizia ai suoi personaggi. In un certo senso ho avuto l'impressione che "La montagna magica" fosse più adatto a un ragazzo che a un adulto, dato che a dispetto del proposito di Taniguchi di "mostrare ciò che i bambini vedono degli adulti e le cose importanti che gli adulti insegnano ai bambini" i grandi rimangono ivi immoti sullo sfondo - a meno di non contare come tali alcune delle creature che Kenichi e Sakiko incontrano nel corso della loro avventura, anche se in realtà direi che, più che adulte, esse siano semplicemente senza tempo.
Chi invece mi ha fatto pensare di volere per forza vederci cose che non c'erano, o che magari non erano così evidenti e/o rilevanti, sono stati Stéphane e Muriel Barbery (sì, proprio lei), autori dell'intervista a Taniguchi riportata a fine volume: non si contano le occasioni in cui il poveretto, di fronte all'ennesima domanda su stati di trance, "psicanalisi attraverso il disegno", "aspetti catartici della sua opera" e fantomatici stati d'animo tipicamente giapponesi è costretto a rispondere che no, in realtà non ha mai pensato che i suoi lavori potessero avere una valenza terapeutica, che se parla di morte è soltanto perché è un fatto naturale e che la componente malinconica che caratterizza molte sue storie è, a conti fatti, un'espressione della sua esigenza di creare degli ostacoli che i suoi personaggi siano costretti ad affrontare per crescere. La prossima volta che un'opera mi indurrà ad elucubrare pesantemente su determinati suoi aspetti ripenserò a questa specie di dialogo fra sordi e mi imporrò di darci un taglio.
Proprio perché si rifà al fumetto europeo lo stile di Taniguchi mi è così familiare da trascendere il concetto di conformità con i miei gusti personali. Per questo mi è molto difficile esprimermi a tale proposito: non ho modo di provare a me stessa che non mi piace soltanto perché, in un certo senso, lo conosco da prima ancora di avvicinarmi alle sue opere. Posso dire, tuttavia, di gradire molto l'ideale di consistenza che emana senza per questo sembrare pesante o sgraziato, anche se a livello di character design lo trovo francamente ripetitivo.
Sia chiaro: "La montanga magica" non è brutto. È soltanto troppo corto e, di conseguenza, piatto, oltre che un po' troppo miyazakiako per i miei gusti. C'est la vie: non tutte le ciambelle riescono col buco, ma non è il caso di farne un dramma se per una volta capita a un "big".
"La montagna magica" è una fiaba, la trama si potrebbe definire trita e ritrita, con il classico bambino pauroso e sfortunato che incontra un magico essere parlante che gli promette di esaudire un suo desiderio in cambio d'aiuto. Il bambino dovrà lottare contro i suoi insicurezze e timori e il finale, trattandosi di una fiaba, non stupirà il lettore. Nonostante la storia un po' scontata - ma non lo sono tutte le fiabe? - questo manga lo si apprezza per la fedele descrizione della quotidianità di un bambino: il piacere di giocare con gli amici senza sorelline rompiscatole tra i piedi, gli adulti che si divertono a prendere in giro i bambini sfruttando la loro ingenuità, i segreti che si condividono di cui i "grandi" non devono saper nulla e soprattutto la purezza d'animo che consente di credere alla magia.
Questo manga ci accompagna nel mondo di un bimbo giapponese degli anni '60 e ricorda al lettore che l'infanzia è un periodo speciale della vita a prescindere dall'epoca e dal luogo di appartenenza.
Consiglio "La montagna magica" a chi apprezza le storie in cui semplici bambini tentano imprese per loro teoricamente impossibili per aiutare gli ignari adulti e a chi vorrebbe credere ancora nelle fiabe.
Questo manga ci accompagna nel mondo di un bimbo giapponese degli anni '60 e ricorda al lettore che l'infanzia è un periodo speciale della vita a prescindere dall'epoca e dal luogo di appartenenza.
Consiglio "La montagna magica" a chi apprezza le storie in cui semplici bambini tentano imprese per loro teoricamente impossibili per aiutare gli ignari adulti e a chi vorrebbe credere ancora nelle fiabe.
La passione per il fumetto occidentale di Jiro Taniguchi è ormai nota. Proprio questa passione, ha spinto il maestro a cercare di unire le caratteristiche dei manga e quelle dei fumetti europei, in uno dei suoi lavori: La montagna magica.
A Tottori vi è un'imponente montagna, sulla cui cima si trovano le rovine di un vecchio castello medievale. I piccoli spazi, gli anfratti nascosti tra le mura e la zona circostante, sono il parco giochi preferito dai bambini del paese. Anche Kenichi, un ragazzino di undici anni, si ritrova spesso al castello per giocare con gli amici e per sfidarli in prove di coraggio, superando il timore per le storie di streghe e fantasmi che gli adulti raccontano loro su quelle rovine. Quando la madre di Kenichi viene ricoverata in ospedale a causa di una grave malattia, il ragazzo, orfano di padre, si ritrova a vivere a casa dei nonni insieme alla sorellina Sakiko. Durante un pomeriggio piovoso, perso tra i suoi pensieri e i suoi timori, Kenichi, rifugiatosi nel museo di storia naturale, si imbatte in una enorme salamandra intrappolata da 10 anni in una gabbia del museo. Lo stupore di Kenichi, quando scopre di poter parlare con l'anfibio, aumenta quando la salamandra riferisce al ragazzo di poter esaudire ogni suo desiderio se lui la riporterà sulla montagna. Sarà questa l'opportunità di rivedere la madre? Kenichi, con l'aiuto della sorella, farà il possibile per vedere il suo desiderio esaudito.
La storia è molto semplice e scorre velocemente, l'ambientazione è un chiaro segno dell'affetto che Taniguichi prova per il suo paese natale. Come si apprende dall'intervista posta in fondo al volume, Taniguchi, ha attinto dai propri ricordi molti particolari presenti in questo volume. Lo stesso vale per un'altra sua opera: "Al tempo di papà". L'importanza dei ricordi d'infanzia è subito chiara, il punto di vista di un bambino infatti è il centro della storia. Il rapporto con gli adulti e l'affrontare un dramma familiare ci vengono qui mostrati attraverso gli occhi di un undicenne.
L'edizione della Rizzoli è quasi ottima. Buona rilegatura, copertina a bande abbastanza resistente e pagine bianche prive di qualsiasi trasparenza con tavole totalmente a colori. L'uso dei colori regala un realismo maggiore ai disegni del maestro, come sempre puliti e ricchi di dettagli. La prefazione di Taniguchi e l'intervista finale all'autore condotta da Barbery, autrice de "L'eleganza del riccio", approfondiscono la storia fornendoci dettagli e pareri utili per la comprensione del messaggio del maestro.
Sicuramente non è una delle opere migliori di Taniguchi e non la consiglio come prima lettura. Ma se siete dei fan del maestro non lasciatevi sfuggire questa opera, simbolo dell'ammirazione dell'autore per il fumetto europeo.
Voto: 7 e 1/2.
A Tottori vi è un'imponente montagna, sulla cui cima si trovano le rovine di un vecchio castello medievale. I piccoli spazi, gli anfratti nascosti tra le mura e la zona circostante, sono il parco giochi preferito dai bambini del paese. Anche Kenichi, un ragazzino di undici anni, si ritrova spesso al castello per giocare con gli amici e per sfidarli in prove di coraggio, superando il timore per le storie di streghe e fantasmi che gli adulti raccontano loro su quelle rovine. Quando la madre di Kenichi viene ricoverata in ospedale a causa di una grave malattia, il ragazzo, orfano di padre, si ritrova a vivere a casa dei nonni insieme alla sorellina Sakiko. Durante un pomeriggio piovoso, perso tra i suoi pensieri e i suoi timori, Kenichi, rifugiatosi nel museo di storia naturale, si imbatte in una enorme salamandra intrappolata da 10 anni in una gabbia del museo. Lo stupore di Kenichi, quando scopre di poter parlare con l'anfibio, aumenta quando la salamandra riferisce al ragazzo di poter esaudire ogni suo desiderio se lui la riporterà sulla montagna. Sarà questa l'opportunità di rivedere la madre? Kenichi, con l'aiuto della sorella, farà il possibile per vedere il suo desiderio esaudito.
La storia è molto semplice e scorre velocemente, l'ambientazione è un chiaro segno dell'affetto che Taniguichi prova per il suo paese natale. Come si apprende dall'intervista posta in fondo al volume, Taniguchi, ha attinto dai propri ricordi molti particolari presenti in questo volume. Lo stesso vale per un'altra sua opera: "Al tempo di papà". L'importanza dei ricordi d'infanzia è subito chiara, il punto di vista di un bambino infatti è il centro della storia. Il rapporto con gli adulti e l'affrontare un dramma familiare ci vengono qui mostrati attraverso gli occhi di un undicenne.
L'edizione della Rizzoli è quasi ottima. Buona rilegatura, copertina a bande abbastanza resistente e pagine bianche prive di qualsiasi trasparenza con tavole totalmente a colori. L'uso dei colori regala un realismo maggiore ai disegni del maestro, come sempre puliti e ricchi di dettagli. La prefazione di Taniguchi e l'intervista finale all'autore condotta da Barbery, autrice de "L'eleganza del riccio", approfondiscono la storia fornendoci dettagli e pareri utili per la comprensione del messaggio del maestro.
Sicuramente non è una delle opere migliori di Taniguchi e non la consiglio come prima lettura. Ma se siete dei fan del maestro non lasciatevi sfuggire questa opera, simbolo dell'ammirazione dell'autore per il fumetto europeo.
Voto: 7 e 1/2.
La Montagna Magica è a tutti gli effetti un’opera semplice, sotto certi aspetti anche superficiale rispetto al consono stile dell’autore, ma in conclusione si impone come un simbolo per premiare uno scrittore unico e magico che ha raggiunto il suo sogno.
Kenichi, un giovane ragazzo di undici anni, vive nella città di Tottori, città sviluppata ai piedi di una montagna carica di rovine del castello che vi risiedeva. Dopo aver perso il padre in tenera età si ritrova a vivere con la sorella presso i nonni, mentre la madre viene ricoverata per una malattia. I bei tempi in cui vivevano felici sono passati e gli sbiaditi ricordi rimasti riescono ancora a far affiorare le lacrime sul volo di Kenichi, un volto che mostra tutta la sua malinconia negli occhi, incredibilmente tristi e maturi. Però qualcosa può cambiare grazie ad una salamandra che conosce il suo nome e gli promette che esaudirà un suo desiderio dopo che l’avrà riportata a casa.
La trama semplice porta ad una narrazione scorrevole in una storia dalle tinte fanciullesche che sembra dire al lettore che alla fine tutto andrà bene, un messaggio non proprio veritiero ma che è perfettamente in linea con il sapore di fiaba antica che permea l’opera.
Il tratto di Taniguchi, pulito e curato, e il suo stile, dettagliato e realistico, trovano nuova vita grazie all’ardita decisione di creare un’opera completamente a colori particolarmente riuscita, ottimi i giochi di luce e i riflessi dell’acqua.
Incontreremo anche un Taniguchi quasi inedito nelle rare scene dove potremo ammirare degli spiriti protettori dall’aspetto “morbido”.
Quest’opera è immancabile per ogni fan del maestro per alcuni, si tratta quasi di un’opera autobiografica che si svolge attraverso luoghi realmente vissuti e visti dall’autore, inoltre è il coronamento di un sogno da sempre seguito: Taniguchi ha sempre ammirato i fumetti europei e finalmente è riuscito a pubblicare un fumetto dalla copertina rigida, con un grande formato e stupende favole a colori, il tutto riportato ottimamente dalla Rizzoli Lizard, che ci offre un formato voluminoso e soprattutto più di 60 pagine a colori stampate su fogli bianchi e molto spessi, privi di qualsiasi trasparenza.
Ovviamente non è solo il coronamento di un sogno al quale possiamo partecipare, si tratta di un’opera dedicata al bambino, quello che siamo stati, quello che abbiamo ancora dentro di noi e quello che in futuro sentiremo ancora, Taniguchi ci spiega come abbandonando l’innocenza fanciullesca rischiamo di lasciare indietro molte altre cose, si può quindi dire che perdendo il nostro bambino che persiste nel tempo è come perdere una parte di noi.
Kenichi, un giovane ragazzo di undici anni, vive nella città di Tottori, città sviluppata ai piedi di una montagna carica di rovine del castello che vi risiedeva. Dopo aver perso il padre in tenera età si ritrova a vivere con la sorella presso i nonni, mentre la madre viene ricoverata per una malattia. I bei tempi in cui vivevano felici sono passati e gli sbiaditi ricordi rimasti riescono ancora a far affiorare le lacrime sul volo di Kenichi, un volto che mostra tutta la sua malinconia negli occhi, incredibilmente tristi e maturi. Però qualcosa può cambiare grazie ad una salamandra che conosce il suo nome e gli promette che esaudirà un suo desiderio dopo che l’avrà riportata a casa.
La trama semplice porta ad una narrazione scorrevole in una storia dalle tinte fanciullesche che sembra dire al lettore che alla fine tutto andrà bene, un messaggio non proprio veritiero ma che è perfettamente in linea con il sapore di fiaba antica che permea l’opera.
Il tratto di Taniguchi, pulito e curato, e il suo stile, dettagliato e realistico, trovano nuova vita grazie all’ardita decisione di creare un’opera completamente a colori particolarmente riuscita, ottimi i giochi di luce e i riflessi dell’acqua.
Incontreremo anche un Taniguchi quasi inedito nelle rare scene dove potremo ammirare degli spiriti protettori dall’aspetto “morbido”.
Quest’opera è immancabile per ogni fan del maestro per alcuni, si tratta quasi di un’opera autobiografica che si svolge attraverso luoghi realmente vissuti e visti dall’autore, inoltre è il coronamento di un sogno da sempre seguito: Taniguchi ha sempre ammirato i fumetti europei e finalmente è riuscito a pubblicare un fumetto dalla copertina rigida, con un grande formato e stupende favole a colori, il tutto riportato ottimamente dalla Rizzoli Lizard, che ci offre un formato voluminoso e soprattutto più di 60 pagine a colori stampate su fogli bianchi e molto spessi, privi di qualsiasi trasparenza.
Ovviamente non è solo il coronamento di un sogno al quale possiamo partecipare, si tratta di un’opera dedicata al bambino, quello che siamo stati, quello che abbiamo ancora dentro di noi e quello che in futuro sentiremo ancora, Taniguchi ci spiega come abbandonando l’innocenza fanciullesca rischiamo di lasciare indietro molte altre cose, si può quindi dire che perdendo il nostro bambino che persiste nel tempo è come perdere una parte di noi.
Tottori, estate 1967.
L’undicenne Kenichi e la sorellina Sakiko, orfani di padre, sono stati affidati ai nonni in seguito al ricovero in un ospedale di Osaka della madre gravemente ammalata.
Cercando di non lasciarsi sopraffare dalla tristezza per le difficili condizioni di salute in cui versa la mamma, il ragazzino trascorre le sue giornate con gli amici, andando a pescare granchi in un torrente oppure giocando presso le rovine del castello medievale sulla vicina montagna: qui si trova un cunicolo misterioso, che ha sollecitato la fantasia popolare facendo nascere varie leggende sul suo conto ed è considerato dai ragazzi il luogo perfetto per cimentarsi in prove di coraggio.
Un giorno Kenichi trova riparo da un improvviso acquazzone presso il Museo di Scienze e, mentre osserva con un misto di curiosità e timore quel luogo pieno di strani oggetti e animali, si sente chiamare da una salamandra gigante collocata all’interno di un acquario.
Questo incontro dà inizio al coinvolgimento di Kenichi e Sakiko in un’emozionante avventura sulla montagna, destinata a lasciare un segno indelebile nelle loro vite.
Nella prefazione al volume, Jiro Taniguchi motiva la genesi di quest’opera così particolare con il desiderio di far nascere una nuova forma di espressione, combinando il fumetto europeo, da lungo tempo oggetto di un suo grande interesse, con il manga: si tratta di un racconto breve (circa 70 pagine), interamente a colori, che può essere considerato una specie di favola, in cui vengono affrontati con la consueta maestria temi cari all’autore, come la famiglia e i ricordi del passato.
L’edizione Rizzoli è ottima sotto ogni punto di vista: presenta una copertina semirigida con bandelle, buona rilegatura, carta bianchissima e spessa, una stampa di notevole qualità; il senso di lettura è all’occidentale, adattato con la collaborazione dello stesso Taniguchi.
Infine completa il volume una bella intervista all’autore, realizzata da Stéphane e Muriel Barbery, dalla quale emergono interessanti aspetti relativi al suo modo di lavorare e alle sue fonti di ispirazione.
L’undicenne Kenichi e la sorellina Sakiko, orfani di padre, sono stati affidati ai nonni in seguito al ricovero in un ospedale di Osaka della madre gravemente ammalata.
Cercando di non lasciarsi sopraffare dalla tristezza per le difficili condizioni di salute in cui versa la mamma, il ragazzino trascorre le sue giornate con gli amici, andando a pescare granchi in un torrente oppure giocando presso le rovine del castello medievale sulla vicina montagna: qui si trova un cunicolo misterioso, che ha sollecitato la fantasia popolare facendo nascere varie leggende sul suo conto ed è considerato dai ragazzi il luogo perfetto per cimentarsi in prove di coraggio.
Un giorno Kenichi trova riparo da un improvviso acquazzone presso il Museo di Scienze e, mentre osserva con un misto di curiosità e timore quel luogo pieno di strani oggetti e animali, si sente chiamare da una salamandra gigante collocata all’interno di un acquario.
Questo incontro dà inizio al coinvolgimento di Kenichi e Sakiko in un’emozionante avventura sulla montagna, destinata a lasciare un segno indelebile nelle loro vite.
Nella prefazione al volume, Jiro Taniguchi motiva la genesi di quest’opera così particolare con il desiderio di far nascere una nuova forma di espressione, combinando il fumetto europeo, da lungo tempo oggetto di un suo grande interesse, con il manga: si tratta di un racconto breve (circa 70 pagine), interamente a colori, che può essere considerato una specie di favola, in cui vengono affrontati con la consueta maestria temi cari all’autore, come la famiglia e i ricordi del passato.
L’edizione Rizzoli è ottima sotto ogni punto di vista: presenta una copertina semirigida con bandelle, buona rilegatura, carta bianchissima e spessa, una stampa di notevole qualità; il senso di lettura è all’occidentale, adattato con la collaborazione dello stesso Taniguchi.
Infine completa il volume una bella intervista all’autore, realizzata da Stéphane e Muriel Barbery, dalla quale emergono interessanti aspetti relativi al suo modo di lavorare e alle sue fonti di ispirazione.
Allora, solo per il nome di Taniguchi l' ho preso al volo.
Lo sfoglio e il primo impatto è positivo, tutte le tavole sono a colori e la stampa è buona. Il prezzo è eccessivo ma so a chi mi fa piacere regalarlo dopo averlo letto. Affare fatto.
Le tavole sono ribaltate con il consenso dell' autore. Probabilmente gli faceva anche piacere vedere un suo manga letto all'occidentale, visto il suo amore per la bande dessinee. Ci passo sopra solo perchè è lui.
Beh, questa favoletta poco strutturata mi ha stuccato. E' molto prevedibile e l'unico spunto interessante è la salamandra (dettaglio biografico di una vera salamandra vista dall'autore nel museo che appare nel fumetto). Il racconto è solo un contorno per la location, un Giappone nostalgico dove ancora si sentono gli dei, seppure ricacciati dagli uomini (tematica Miyazakiana?)
Ovviamente dal punto di vista tecnico è superbo, ma non è il miglior modo di conoscere questo autore (cercatevi "L' uomo della tundra", racconti brevi, e "In una lontana città", un racconto più lungo).
Lo sfoglio e il primo impatto è positivo, tutte le tavole sono a colori e la stampa è buona. Il prezzo è eccessivo ma so a chi mi fa piacere regalarlo dopo averlo letto. Affare fatto.
Le tavole sono ribaltate con il consenso dell' autore. Probabilmente gli faceva anche piacere vedere un suo manga letto all'occidentale, visto il suo amore per la bande dessinee. Ci passo sopra solo perchè è lui.
Beh, questa favoletta poco strutturata mi ha stuccato. E' molto prevedibile e l'unico spunto interessante è la salamandra (dettaglio biografico di una vera salamandra vista dall'autore nel museo che appare nel fumetto). Il racconto è solo un contorno per la location, un Giappone nostalgico dove ancora si sentono gli dei, seppure ricacciati dagli uomini (tematica Miyazakiana?)
Ovviamente dal punto di vista tecnico è superbo, ma non è il miglior modo di conoscere questo autore (cercatevi "L' uomo della tundra", racconti brevi, e "In una lontana città", un racconto più lungo).