Sad Love Story
Quanto può essere labile il confine tra <i>pathos</i> e <i>soap opera</i>? Chiedetelo a Shin Ji Sang, che con il suo <i>Sad Love Story</i> ci regala un'opera senza dubbio toccante ma fin troppo densa di eventi. Amore e odio, vita e morte, luce e tenebra, Oriente e Occidente, ventesimo e ventunesimo secolo: è il manhwa del doppio e dell'opposto, dell'inconciliabile e del complementare. Troppa, troppa vita da assimilare in una volta sola, quando spesso non ci basta neppure quella che abbiamo.
Dongducheon, 1988. La madre di Jun Young è proprietaria di un <i>club</i> che va per la maggiore tra i soldati americani residenti nella base ospitata dalla città, una delle tante ancora disseminate per tutto il territorio della Corea del Sud - quella “buona”, per intenderci. Il trattamento riservato dalla popolazione a chi si “macchia” di fraternizzare gli <i>yankees</i> non è certamente dei migliori: non esistono distinzioni tra coloro che lo fanno per salvaguardare i propri interessi e coloro che vi sono costretti per sopravvivere, e la cattiva reputazione del singolo ricade inevitabilmente sulle persone a lui più prossime. Non stupisce quindi che Jun Young - che non può neppure contare sull'appoggio di una figura paterna, visto che i suoi genitori si sono separati quando lui era molto piccolo - sia un bambino profondamente inquieto che vive soltanto per la sua chitarra, alle cui corde affida sovente tutte le sue speranze e le più recondite paure; incapace di fidarsi delle persone, che secondo la sua esperienza diretta prima o poi finiscono tutte per tradire la fiducia che si è riposta in esse, egli accetta di malavoglia le attenzioni di Hwa Jeong, l'unica bambina del paese che non gli sia ostile.
Un giorno arriva al <i>club</i> una nuova cantante, una donna tanto bella quanto tormentata. Sua figlia si chiama Hae In, ha pressappoco l'età di Jun Young ed è cieca. Da quel momento il destino dei due è segnato per sempre.
<b>[Attenzione, possibili lievi spoiler.]</b>
I primi due volumi soddisfano ampiamente le aspettative iniziali: l'intreccio regge e l'introspezione psicologica dei personaggi è estremamente accurata. Sotto quest'ultimo aspetto la figura di Hwa Jeong spicca fra tutte per la sua complessità, tanto che definirla semplicemente come la rivale in amore di Hae In sarebbe a dir poco riduttivo. Ci troviamo infatti di fronte a una ragazza estremamente tormentata, che nasconde il suo senso di inadeguatezza nei confronti del mondo che la circonda dietro a una complessa coreografia verbale e gestuale, pienamente cosciente degli errori che commette ma incapace di correggersi; gravita attorno a Jun Young come una falena attratta dalla luce di una lampada, incurante del rischio che corre perché, come è solita ripetere, è convinta che il destino sia dalla sua parte. Questa sua granitica certezza poggia in realtà su basi molto instabili, nella fattispecie sul suo presunto “diritto di prelazione” che a suo dire avrebbe su Jun Young, in quanto lo conosce da più tempo rispetto ad Hae In, e sul fatto che non è cieca. Sfortunatamente man mano che la narrazione procede il ruolo da lei ricoperto subisce un drastico ridimensionamento che se da un lato è giustificato dall'introduzione di Keon Woo - migliore amico di Jun Young e successivamente fidanzato di Hae In - dall'altro priva la storia di svariati spunti che sarebbe stato interessante vedere sviluppati. Non si capisce, ad esempio, il motivo della sua totale mancanza nel finale, né perché non si assista mai ad un confronto diretto tra lei e Hae In, né perché Jun Young non prenda mai posizione riguardo a questo amore a senso unico.
Lo stesso Keon Woo non brilla certo per acume, e dire che di occasioni per fare due più due ne ha in abbondanza. Qual è la vera natura del rapporto fra Hae In e Jun Young? Perché una volta ritrovatisi dopo tanti anni i due si comportano come se non si conoscessero?
Jun Young, invece, è vittima del suo stesso personaggio e dei suoi tratti <i>angst</i>: ne consegue che simpatizzare con lui non sia facile per il lettore, che lo vede come una figura tutto sommato piuttosto distante. Per contro Hae In risulta più accessibile, seppur anch'ella fortemente stereotipata.
Dal terzo volume, dicevo, l'impianto narrativo comincia a scricchiolare sotto il peso di <i>flashback</i>, viaggi, ripensamenti, struggimenti, opinabili aggiunte e stravolgimenti vari fino a un finale alla <i>Romeo e Giulietta</i> - opera citata anche nel manhwa - che francamente ho trovato improbabile ed eccessivo. Non entrò nello specifico per non rovinare la sorpresa a chi fosse interessato a leggere l'opera; mi limiterò a dire che Shin Ji Sang non si fa mancare assolutamente niente, comprese cose di cui non solo non si sentiva l'esigenza, ma per le quali è evidente che non possedeva le competenze necessarie per rendere l'argomento come si deve.
<b>[Fine spoiler.]</b>
A parte qualche profilo “scimmiesco” il tratto di Geo risulta invece molto arioso e gradevole, con tavole costruite in modo molto personale ma semplice da seguire; caratteristica che, a mio avviso, salva in corner il manhwa da una sonora insufficienza. Quello che più mi fa rabbia è che <i>Sad Love Story</i> aveva tutte le carte in regola per essere un buon prodotto, ma la troppa smania di arrivare dappertutto nello stesso momento ha finito per non farlo andare da nessuna parte. Anzi, sì: un luogo leggendario chiamato Scatafascio.
Dongducheon, 1988. La madre di Jun Young è proprietaria di un <i>club</i> che va per la maggiore tra i soldati americani residenti nella base ospitata dalla città, una delle tante ancora disseminate per tutto il territorio della Corea del Sud - quella “buona”, per intenderci. Il trattamento riservato dalla popolazione a chi si “macchia” di fraternizzare gli <i>yankees</i> non è certamente dei migliori: non esistono distinzioni tra coloro che lo fanno per salvaguardare i propri interessi e coloro che vi sono costretti per sopravvivere, e la cattiva reputazione del singolo ricade inevitabilmente sulle persone a lui più prossime. Non stupisce quindi che Jun Young - che non può neppure contare sull'appoggio di una figura paterna, visto che i suoi genitori si sono separati quando lui era molto piccolo - sia un bambino profondamente inquieto che vive soltanto per la sua chitarra, alle cui corde affida sovente tutte le sue speranze e le più recondite paure; incapace di fidarsi delle persone, che secondo la sua esperienza diretta prima o poi finiscono tutte per tradire la fiducia che si è riposta in esse, egli accetta di malavoglia le attenzioni di Hwa Jeong, l'unica bambina del paese che non gli sia ostile.
Un giorno arriva al <i>club</i> una nuova cantante, una donna tanto bella quanto tormentata. Sua figlia si chiama Hae In, ha pressappoco l'età di Jun Young ed è cieca. Da quel momento il destino dei due è segnato per sempre.
<b>[Attenzione, possibili lievi spoiler.]</b>
I primi due volumi soddisfano ampiamente le aspettative iniziali: l'intreccio regge e l'introspezione psicologica dei personaggi è estremamente accurata. Sotto quest'ultimo aspetto la figura di Hwa Jeong spicca fra tutte per la sua complessità, tanto che definirla semplicemente come la rivale in amore di Hae In sarebbe a dir poco riduttivo. Ci troviamo infatti di fronte a una ragazza estremamente tormentata, che nasconde il suo senso di inadeguatezza nei confronti del mondo che la circonda dietro a una complessa coreografia verbale e gestuale, pienamente cosciente degli errori che commette ma incapace di correggersi; gravita attorno a Jun Young come una falena attratta dalla luce di una lampada, incurante del rischio che corre perché, come è solita ripetere, è convinta che il destino sia dalla sua parte. Questa sua granitica certezza poggia in realtà su basi molto instabili, nella fattispecie sul suo presunto “diritto di prelazione” che a suo dire avrebbe su Jun Young, in quanto lo conosce da più tempo rispetto ad Hae In, e sul fatto che non è cieca. Sfortunatamente man mano che la narrazione procede il ruolo da lei ricoperto subisce un drastico ridimensionamento che se da un lato è giustificato dall'introduzione di Keon Woo - migliore amico di Jun Young e successivamente fidanzato di Hae In - dall'altro priva la storia di svariati spunti che sarebbe stato interessante vedere sviluppati. Non si capisce, ad esempio, il motivo della sua totale mancanza nel finale, né perché non si assista mai ad un confronto diretto tra lei e Hae In, né perché Jun Young non prenda mai posizione riguardo a questo amore a senso unico.
Lo stesso Keon Woo non brilla certo per acume, e dire che di occasioni per fare due più due ne ha in abbondanza. Qual è la vera natura del rapporto fra Hae In e Jun Young? Perché una volta ritrovatisi dopo tanti anni i due si comportano come se non si conoscessero?
Jun Young, invece, è vittima del suo stesso personaggio e dei suoi tratti <i>angst</i>: ne consegue che simpatizzare con lui non sia facile per il lettore, che lo vede come una figura tutto sommato piuttosto distante. Per contro Hae In risulta più accessibile, seppur anch'ella fortemente stereotipata.
Dal terzo volume, dicevo, l'impianto narrativo comincia a scricchiolare sotto il peso di <i>flashback</i>, viaggi, ripensamenti, struggimenti, opinabili aggiunte e stravolgimenti vari fino a un finale alla <i>Romeo e Giulietta</i> - opera citata anche nel manhwa - che francamente ho trovato improbabile ed eccessivo. Non entrò nello specifico per non rovinare la sorpresa a chi fosse interessato a leggere l'opera; mi limiterò a dire che Shin Ji Sang non si fa mancare assolutamente niente, comprese cose di cui non solo non si sentiva l'esigenza, ma per le quali è evidente che non possedeva le competenze necessarie per rendere l'argomento come si deve.
<b>[Fine spoiler.]</b>
A parte qualche profilo “scimmiesco” il tratto di Geo risulta invece molto arioso e gradevole, con tavole costruite in modo molto personale ma semplice da seguire; caratteristica che, a mio avviso, salva in corner il manhwa da una sonora insufficienza. Quello che più mi fa rabbia è che <i>Sad Love Story</i> aveva tutte le carte in regola per essere un buon prodotto, ma la troppa smania di arrivare dappertutto nello stesso momento ha finito per non farlo andare da nessuna parte. Anzi, sì: un luogo leggendario chiamato Scatafascio.
Sono abbastanza ignorante di manga coreani e così ho pensare di dare una letta a Sad Love Story, che è il primo manhwa che ho letto per intero. Dal titolo e dalla trama mi aspettavo una storia sentimentale con ritmo lento e basata sull'introspezione psicologica. Invece Sad Love Story è una vera e propria telenovela, solo che invece di essere ambientata in Brasile è ambientata in Corea. Ci sono tutti gli stereotipi del genere: la bella ragazza cieca e povera, che può riacquistare la vista tramite un'operazione; il triangolo amoroso con un lui bello e povero e l'altro bello e ricco; il tentativo di sfondare nel mondo della musica; l'ambientazione noir da una parte tra prostitute e criminali e dall'altra nel mondo dei ricchi; l'amica d'infanzia che tradisce la protagonista per gelosia; i rapporti difficili con i genitori; la fuga d'amore; il viaggio nel paese lontano (l'America), il ritorno e molto altro. Il ritmo è veloce, i colpi di scena si susseguono e la trama si sviluppa lungo un arco di quasi vent'anni, tra il primo incontro dei protagonisti che si conoscono da bambini e il loro ultimo incontro. C'è anche un epilogo che fa capire la conclusione a lungo termine.
A molti molti questo manhwa potrebbe sembrare una fiera delle banalità e del già visto, eppure riesce nel suo intento di tener desta l'attenzione del lettore, perché è impossibile sapere cosa succederà, viene voglia di leggere le pagine successive, e soprattutto il finale è imprevedibile. Per tutti e cinque i volumi, mentre ai protagonisti capitavano le peggiori disgrazie (crudeltà causate da amici e genitori, malattie, coincidenze sfortunate) sono stato a domandarmi come sarebbe andata a finire: in maniera tragica, come il titolo lasciava supporre, o con un lieto fine? Il mio voto per l'opera è 7.5 ma lo arrotondo ad 8 per l'ottimo finale a sorpresa, imprevedibile fino all'ultima pagina. In tutta l'opera si respira un'aria di fatalità, quasi da tragedia greca, nel senso che le vite dei protagonisti sembrano essere predestinate a seguire il loro corso, senza possibilità di scampo. L'autore ha un assoluto controllo sulla trama; ho molto apprezzato questo aspetto in questi tempi in cui assistiamo a trame improvvisate via via lungo la strada, che partono da un punto e arrivano da tutt'altra parte. Non così con Sad Love Story. I disegni sono molto buoni ed hanno influito anch'essi nella mia valutazione.
P.S. la cosa più difficile per me è stato tenere a mente i nomi coreani, da cui non riesco a capire neanche se si riferiscono a maschi o a femmine! Anche il genere dell'autore mi è oscuro: suppongo sia una donna ma non si può mai sapere.
A molti molti questo manhwa potrebbe sembrare una fiera delle banalità e del già visto, eppure riesce nel suo intento di tener desta l'attenzione del lettore, perché è impossibile sapere cosa succederà, viene voglia di leggere le pagine successive, e soprattutto il finale è imprevedibile. Per tutti e cinque i volumi, mentre ai protagonisti capitavano le peggiori disgrazie (crudeltà causate da amici e genitori, malattie, coincidenze sfortunate) sono stato a domandarmi come sarebbe andata a finire: in maniera tragica, come il titolo lasciava supporre, o con un lieto fine? Il mio voto per l'opera è 7.5 ma lo arrotondo ad 8 per l'ottimo finale a sorpresa, imprevedibile fino all'ultima pagina. In tutta l'opera si respira un'aria di fatalità, quasi da tragedia greca, nel senso che le vite dei protagonisti sembrano essere predestinate a seguire il loro corso, senza possibilità di scampo. L'autore ha un assoluto controllo sulla trama; ho molto apprezzato questo aspetto in questi tempi in cui assistiamo a trame improvvisate via via lungo la strada, che partono da un punto e arrivano da tutt'altra parte. Non così con Sad Love Story. I disegni sono molto buoni ed hanno influito anch'essi nella mia valutazione.
P.S. la cosa più difficile per me è stato tenere a mente i nomi coreani, da cui non riesco a capire neanche se si riferiscono a maschi o a femmine! Anche il genere dell'autore mi è oscuro: suppongo sia una donna ma non si può mai sapere.