Ping Pong
Il 21 settembre 2021 pubblicavo qui sul sito la recensione di “Ping Pong The Animation”, serie animata diretta da uno dei miei registi giapponesi preferiti, Masaaki Yuasa, e tratta dal quasi omonimo manga di Taiyo Matsumoto. Ancora oggi, ricordo che la visione dell’anime mi lasciò a bocca aperta, tanto per la maturità della storia, tanto per la regia dinamica ed eccentrica di Yuasa. L’opera mi colpì al punto da volerne scriverne una recensione, che, considerata la mia prolissità, è una delle più brevi e “inconcludenti” mai scritte in questi anni, perché riconobbi di non avere i mezzi necessari per parlare di un’opera tanto complessa, profonda e contorta come quella di Taiyo Matsumoto. A quasi tre anni di distanza, grazie all’ottima riedizione in due volumi di J-POP, sono riuscito ad avere tra le mie mani il manga originale e la sua lettura è stata una delle più avvincenti in cui mi sia imbattuto negli ultimi tempi. Per questo motivo, pur fermo nella convinzione di non aver compreso, neanche in questa occasione, l’opera in tutte le sue sfumature, mi prendo la briga di parlarvi di “Ping Pong” di Taiyo Matsumoto, nella speranza che tutti, prima o poi, recuperiate questo piccolo gioiello.
La storia ruota intorno a due grandi protagonisti: Makoto Tsukimoto (‘Smile’) e Yutaka Hoshino ('Peco'), amici d'infanzia che giocano a ping-pong sin da quando erano studenti delle elementari. Tsukimoto – l'impassibile ragazzo con gli occhiali, descritto come un robot da tutti quelli che lo conoscono – gioca a tennistavolo solo ed unicamente "per ammazzare il tempo"; Hoshino – l'appassionato e carismatico 'eroe' che Tsukimoto idolatrava durante la loro infanzia – gioca perché "ama il ping-pong e odia perdere". Come sarà il trattamento riservato a questi due da parte del freddo e crudele mondo delle competizioni sportive? E che cosa accadrà al loro inevitabile scontro come contendenti per il trofeo singolo del liceo maschile?
“Ping Pong” è, innanzitutto, un manga che parla di amicizia, in particolar modo di quella tra Smile e Peco. Smile è un ragazzo riservato, che non lascia mai trasparire le proprie emozioni in viso, per quanto anch’egli, a differenza di ciò che pensano gli altri, che spesso si riferiscono a lui con nomignoli scemi come ‘robot’ o ‘golgo13’, abbia un cuore che batte, in grado di emozionarsi. Smile ha la classica aria da nerd: porta gli occhiali e si distingue in tutte le materie scolastiche. Il suo carattere freddo, condito da una sostanziale impassibilità, ha spesso generato nei suoi confronti l’odio dei compagni di classe, che alle elementari si divertivano a rinchiuderlo in un armadietto. Proprio in quei momenti, appariva il suo ‘eroe’, proveniente direttamente dal fantastico pianeta ping-pong, Peco. Peco è l’esatto opposto di Smile, è un ragazzo solare e molto sfrontato, che ama vincere e non è assolutamente in grado di accettare la sconfitta, tanto da finire in lacrime ogni volta che perde un match di ping-pong. Il tennistavolo, per cui è dotato di un particolare talento, è la sua vita e coltiva questa passione sin da ragazzino. Alla lunga, Peco è riuscito a contagiare anche Smile, che, a conti fatti, al suo migliore amico deve tutto, compreso l’interesse per il ping-pong, sua unica ancora di salvezza – ma di ciò se ne renderà conto soltanto in futuro – in un mondo che deve apparirgli terribilmente grigio e noioso. Per questo motivo, in realtà, in “Ping Pong”, l’amicizia va di pari passo con lo sport, l’altro grande motore dell’opera di Taiyo Matsumoto. Smile è un chopper, vale a dire un difensore che gioca principalmente fuori dal tavolo con attitudine difensiva, il che rispecchia molto il suo carattere passivo e apatico. Smile guarda al ping-pong come ad un mero hobby, una delle tante cose della vita in cui non vale la pena impiegare troppo tempo. C’è, però, un “problema” enorme: Smile è dotato di un talento fuori dal comune, proprio come Peco. Questo talento, in mano ad un ragazzo che non ci mette impegno e spesso perde le partite di proposito, soprattutto quando gioca contro il suo migliore amico, è completamente sprecato. Lo sa bene l’insegnante del liceo Katase, il signor Koizumi, che lo convince ad allenarsi duramente e riesce a trasformare quello che all’inizio è un semplice bozzolo in una splendida farfalla. Peco, invece, quasi a voler rimarcare la netta dicotomia tra i due, è un hitter, un giocatore che usa principalmente drive e schiacciate, stile di gioco che richiama la sua attitudine nella vita di tutti i giorni, quella di un ragazzo energico e propositivo. Peco, a differenza di Smile, è ben consapevole del suo talento, per questo, si adagia sugli allori, saltando costantemente gli allenamenti del club scolastico. Soltanto dopo aver subito qualche bella batosta e aver capito che il talento non serve a nulla senza l’impegno, Peco comincia a prendere seriamente il ping-pong, dimostrando quale sia il suo vero valore. I due amici vivono così un percorso simile, ma allo stesso tempo differente. Come sempre, lo sport, in questo caso il ping-pong, diventa metafora di vita e mezzo attraverso cui crescere, maturare e prendere consapevolezza di sé. Col passare del tempo, Smile impara finalmente a relazionarsi ed aprirsi con gli altri, Peco, invece, ad accettare la sconfitta. Grazie al ping-pong, i due ragazzi crescono come giocatori ma soprattutto come uomini, consapevoli di poter contare, in qualsiasi momento, uno sull’aiuto dell’altro. Perché al tavolo da gioco, Smile e Peco, potranno anche essere rivali, ma, nella vita di tutti i giorni, sono migliori amici, legati da un'amicizia che non necessita di parole dolci o affettuose, ma di un puro e candido sentimento di affetto.
Con loro, crescono, però, anche gli altri comprimari della storia, la cui psicologia viene finemente tracciata da Taiyo Matsumoto. Su tutti, meritano di essere citati Kong Wenge e Ryuichi Kazama. Wenge è un giocatore di ping-pong cinese, giunto in Giappone in cerca di riscatto agli occhi del suo paese. Wenge è convinto che il livello del ping-pong giapponese sia infimo se paragonato a quello del suo paese, eppure, durante gli incontri con Smile prima e Peco poi, sarà costretto a ricredersi. Il pregiudizio che si è portato con sé dalla Cina, Wenge, lo deve ben presto abbandonare, perché i due giovani liceali gli danno entrambi del filo da torcere. Dinanzi alla chiara evidenza dei fatti, Wenge non potrà fare altro che accettare la sconfitta e intraprendere, così, un nuovo viaggio al fianco del ping-pong e della sua eterna compagna di viaggio, la racchetta. Ryuichi Kazama, chiamato Dragon, è il prodigio giapponese del ping-pong. Un ragazzo abituato alla vittoria e alla completa umiliazione dei suoi avversari. Per lui, non è contemplata neanche la sconfitta di un singolo game, figurarsi quella di un match. La sua vita, però, cambierà drasticamente dopo l’incontro con Peco nella semifinale del torneo interscolastico. Kazama è l’emblema dell’uomo sopraffatto dal peso delle aspettative. Quando si appresta al tavolo da gioco, tutti attendono la sua vittoria: per lui, la sconfitta è paragonabile alla morte. Questo è il credo dell’istituto per cui gioca, il Kaio, che da tempo ha fatto suo, ma non senza delle “ripercussioni”. Gli istanti che precedono un incontro Kazama li trascorre in bagno, dove lotta con i suoi pensieri, le sue ansie e le sue paure, perché sa di non avere altra strada se non quella della vittoria. Il peso che porta sulle spalle è troppo per un uomo solo, un liceale come tanti altri, e infatti, alla lunga, non riuscirà più a reggerne il peso.
“Non ho tempo per lasciarmi intimorire. Non ho alcun bisogno di avere paura”.
Questo è quello che dirà Kazama durante l’incontro con Peco, che concluderà con una nuova espressione in viso: non quella corrucciata e seria di sempre, bensì una nuova, rilassata e felice, specchio di tutte quelle emozioni che mai aveva provato fino a quel momento, emblema di una crescita interiore che a ripensarci adesso ancora mi viene la pelle d’oca.
Infine, mi sembra doveroso aggiungere che “Ping Pong” non sarebbe stato lo stesso manga senza i disegni mossi, deformati e imperfetti di Taiyo Matsumoto, che, in questo modo, ha conferito alla sua opera un tratto unico e riconoscibile. Come durante la lettura di “Slam Dunk”, anche con “Ping Pong” ho avuto più volte l’impressione di trovarmi nei pressi del tavolo da gioco, ad assistere alle partite non dall’esterno, bensì dall’interno, merito del modo eccezionale in cui Matsumoto le ha dirette.
"Eroe, appari!"
"Eroe, appari!"
"Eroe, appari!"
La storia ruota intorno a due grandi protagonisti: Makoto Tsukimoto (‘Smile’) e Yutaka Hoshino ('Peco'), amici d'infanzia che giocano a ping-pong sin da quando erano studenti delle elementari. Tsukimoto – l'impassibile ragazzo con gli occhiali, descritto come un robot da tutti quelli che lo conoscono – gioca a tennistavolo solo ed unicamente "per ammazzare il tempo"; Hoshino – l'appassionato e carismatico 'eroe' che Tsukimoto idolatrava durante la loro infanzia – gioca perché "ama il ping-pong e odia perdere". Come sarà il trattamento riservato a questi due da parte del freddo e crudele mondo delle competizioni sportive? E che cosa accadrà al loro inevitabile scontro come contendenti per il trofeo singolo del liceo maschile?
“Ping Pong” è, innanzitutto, un manga che parla di amicizia, in particolar modo di quella tra Smile e Peco. Smile è un ragazzo riservato, che non lascia mai trasparire le proprie emozioni in viso, per quanto anch’egli, a differenza di ciò che pensano gli altri, che spesso si riferiscono a lui con nomignoli scemi come ‘robot’ o ‘golgo13’, abbia un cuore che batte, in grado di emozionarsi. Smile ha la classica aria da nerd: porta gli occhiali e si distingue in tutte le materie scolastiche. Il suo carattere freddo, condito da una sostanziale impassibilità, ha spesso generato nei suoi confronti l’odio dei compagni di classe, che alle elementari si divertivano a rinchiuderlo in un armadietto. Proprio in quei momenti, appariva il suo ‘eroe’, proveniente direttamente dal fantastico pianeta ping-pong, Peco. Peco è l’esatto opposto di Smile, è un ragazzo solare e molto sfrontato, che ama vincere e non è assolutamente in grado di accettare la sconfitta, tanto da finire in lacrime ogni volta che perde un match di ping-pong. Il tennistavolo, per cui è dotato di un particolare talento, è la sua vita e coltiva questa passione sin da ragazzino. Alla lunga, Peco è riuscito a contagiare anche Smile, che, a conti fatti, al suo migliore amico deve tutto, compreso l’interesse per il ping-pong, sua unica ancora di salvezza – ma di ciò se ne renderà conto soltanto in futuro – in un mondo che deve apparirgli terribilmente grigio e noioso. Per questo motivo, in realtà, in “Ping Pong”, l’amicizia va di pari passo con lo sport, l’altro grande motore dell’opera di Taiyo Matsumoto. Smile è un chopper, vale a dire un difensore che gioca principalmente fuori dal tavolo con attitudine difensiva, il che rispecchia molto il suo carattere passivo e apatico. Smile guarda al ping-pong come ad un mero hobby, una delle tante cose della vita in cui non vale la pena impiegare troppo tempo. C’è, però, un “problema” enorme: Smile è dotato di un talento fuori dal comune, proprio come Peco. Questo talento, in mano ad un ragazzo che non ci mette impegno e spesso perde le partite di proposito, soprattutto quando gioca contro il suo migliore amico, è completamente sprecato. Lo sa bene l’insegnante del liceo Katase, il signor Koizumi, che lo convince ad allenarsi duramente e riesce a trasformare quello che all’inizio è un semplice bozzolo in una splendida farfalla. Peco, invece, quasi a voler rimarcare la netta dicotomia tra i due, è un hitter, un giocatore che usa principalmente drive e schiacciate, stile di gioco che richiama la sua attitudine nella vita di tutti i giorni, quella di un ragazzo energico e propositivo. Peco, a differenza di Smile, è ben consapevole del suo talento, per questo, si adagia sugli allori, saltando costantemente gli allenamenti del club scolastico. Soltanto dopo aver subito qualche bella batosta e aver capito che il talento non serve a nulla senza l’impegno, Peco comincia a prendere seriamente il ping-pong, dimostrando quale sia il suo vero valore. I due amici vivono così un percorso simile, ma allo stesso tempo differente. Come sempre, lo sport, in questo caso il ping-pong, diventa metafora di vita e mezzo attraverso cui crescere, maturare e prendere consapevolezza di sé. Col passare del tempo, Smile impara finalmente a relazionarsi ed aprirsi con gli altri, Peco, invece, ad accettare la sconfitta. Grazie al ping-pong, i due ragazzi crescono come giocatori ma soprattutto come uomini, consapevoli di poter contare, in qualsiasi momento, uno sull’aiuto dell’altro. Perché al tavolo da gioco, Smile e Peco, potranno anche essere rivali, ma, nella vita di tutti i giorni, sono migliori amici, legati da un'amicizia che non necessita di parole dolci o affettuose, ma di un puro e candido sentimento di affetto.
Con loro, crescono, però, anche gli altri comprimari della storia, la cui psicologia viene finemente tracciata da Taiyo Matsumoto. Su tutti, meritano di essere citati Kong Wenge e Ryuichi Kazama. Wenge è un giocatore di ping-pong cinese, giunto in Giappone in cerca di riscatto agli occhi del suo paese. Wenge è convinto che il livello del ping-pong giapponese sia infimo se paragonato a quello del suo paese, eppure, durante gli incontri con Smile prima e Peco poi, sarà costretto a ricredersi. Il pregiudizio che si è portato con sé dalla Cina, Wenge, lo deve ben presto abbandonare, perché i due giovani liceali gli danno entrambi del filo da torcere. Dinanzi alla chiara evidenza dei fatti, Wenge non potrà fare altro che accettare la sconfitta e intraprendere, così, un nuovo viaggio al fianco del ping-pong e della sua eterna compagna di viaggio, la racchetta. Ryuichi Kazama, chiamato Dragon, è il prodigio giapponese del ping-pong. Un ragazzo abituato alla vittoria e alla completa umiliazione dei suoi avversari. Per lui, non è contemplata neanche la sconfitta di un singolo game, figurarsi quella di un match. La sua vita, però, cambierà drasticamente dopo l’incontro con Peco nella semifinale del torneo interscolastico. Kazama è l’emblema dell’uomo sopraffatto dal peso delle aspettative. Quando si appresta al tavolo da gioco, tutti attendono la sua vittoria: per lui, la sconfitta è paragonabile alla morte. Questo è il credo dell’istituto per cui gioca, il Kaio, che da tempo ha fatto suo, ma non senza delle “ripercussioni”. Gli istanti che precedono un incontro Kazama li trascorre in bagno, dove lotta con i suoi pensieri, le sue ansie e le sue paure, perché sa di non avere altra strada se non quella della vittoria. Il peso che porta sulle spalle è troppo per un uomo solo, un liceale come tanti altri, e infatti, alla lunga, non riuscirà più a reggerne il peso.
“Non ho tempo per lasciarmi intimorire. Non ho alcun bisogno di avere paura”.
Questo è quello che dirà Kazama durante l’incontro con Peco, che concluderà con una nuova espressione in viso: non quella corrucciata e seria di sempre, bensì una nuova, rilassata e felice, specchio di tutte quelle emozioni che mai aveva provato fino a quel momento, emblema di una crescita interiore che a ripensarci adesso ancora mi viene la pelle d’oca.
Infine, mi sembra doveroso aggiungere che “Ping Pong” non sarebbe stato lo stesso manga senza i disegni mossi, deformati e imperfetti di Taiyo Matsumoto, che, in questo modo, ha conferito alla sua opera un tratto unico e riconoscibile. Come durante la lettura di “Slam Dunk”, anche con “Ping Pong” ho avuto più volte l’impressione di trovarmi nei pressi del tavolo da gioco, ad assistere alle partite non dall’esterno, bensì dall’interno, merito del modo eccezionale in cui Matsumoto le ha dirette.
"Eroe, appari!"
"Eroe, appari!"
"Eroe, appari!"
Nel lontano 2003 al Far East Film Festival fui rapito dal film "Ping Pong" diretto da Fumihiko Sori, che scopersi essere tratto da un celebre, ma da noi inedito, manga.
Bene: finalmente, dopo 15 anni, ho potuto leggere l'opera originale di Taiyo Matsumoto. Scritto nel 1996, la sua controparte cinematografica arrivava dopo sette anni. Oggi ho potuto leggerlo a più di ventanni dalla sua prima pubblicazione in Giappone.
Ma come è vero che per un'opera d'Arte con la a maiuscola, il tempo non passa.
Il tratto di Matsumoto è un tratto personale, autoriale, che non è paragonabile a nessuna tendenza estetica, motivo per cui, è il lettore che deve andare incontro alla sua Arte, il contrario di un tratto preconfezionato accattivante, che ricerano le opere più commerciali. L'aggettivo "sporco" è quello che più calza ai fumetti di Taiyo Matsumoto. Oppure dovrei dire "grezzo". I lineamenti dei personaggi sono per certi versi incredibilmente realistici, per quanto riguarda le fisionomie, ma, come in un film animato con la tecnica del rotoscoping (vedi "Waking Life" e "A Scanner Darkly" di Richard Linklater), ogni cosa e persona ha una sua vita espressa in un tratto costantemente onirico, anche grazie a delle inquadrature ardite, volte ad esprimere gli stati d'animo. In questo senso Ping Pong è opera ancora all'avanguardia. In certi momenti mi veniva di associare a Taiyo Matsumoto al cinema di registi come Stanley Kubrick e Lynch.
Le sue vignette mostrano una capacità inusuale a far calare il lettore nella vicenda, nell'opera d'Arte stessa, azzerando spazio e tempo, trascendendo nell'Arte la materia stessa, il volume che si ha fra le mani.
E questo grazie anche ad una storia, lineare, in fin dei conti. Ma è una storia di personaggi che hanno un'anima e un cuore, tanto che dall'inizio, sin dalle primissime pagine, ci rendiamo conto di stare davanti a due anime e del loro percorso di crescita in quel viaggio misterioso che è la vita.
E non si tratta soltanto dei due protagonisti "Smile" e "Peko", che bucano ogni pagina, e direttamente parlano nel nostro cuore. Ogni personaggio di "Ping Pong" ha la profondità d'animo di un personaggio di un romanzo russo o tedesco. Mi spiego... Nessuno qui è una macchietta nel senso caricaturale o comico che si può associare ad un manga. Ogni comportamento umano risulta pieno di sfumature, tanto che ogni personaggio ha sempre qualcosa di inafferrabile, poichè, continuamente, instancabilmente è alla costante ricerca di qualcosa. Ognuno a modo suo.
Parlare di Ping Pong, scrivere ora di Ping Pong, mi fa venire i brividi. Per farvi capire perchè ho deciso di mettergli 10. Ammetto che, a volte, esagero e metto 10, questo numero che rappresenta il massimo, anche a opere che, sono consapevole, hanno almeno uno o due difetti. Ma su Ping Pong non so davvero cos'altro dire se non che... Nonostante un manga, per sua natura, non ha la musica di sottofondo, perchè empiricamente non può averla. Beh, io sono un musicista e, leggendo Ping Pong, trovavo fosse estremamente musicale, come sentissi la sua musica sfogliandolo... Una musica invisibile, fra le pagine e me (e l'eco del cuore del suo autore).
Bene: finalmente, dopo 15 anni, ho potuto leggere l'opera originale di Taiyo Matsumoto. Scritto nel 1996, la sua controparte cinematografica arrivava dopo sette anni. Oggi ho potuto leggerlo a più di ventanni dalla sua prima pubblicazione in Giappone.
Ma come è vero che per un'opera d'Arte con la a maiuscola, il tempo non passa.
Il tratto di Matsumoto è un tratto personale, autoriale, che non è paragonabile a nessuna tendenza estetica, motivo per cui, è il lettore che deve andare incontro alla sua Arte, il contrario di un tratto preconfezionato accattivante, che ricerano le opere più commerciali. L'aggettivo "sporco" è quello che più calza ai fumetti di Taiyo Matsumoto. Oppure dovrei dire "grezzo". I lineamenti dei personaggi sono per certi versi incredibilmente realistici, per quanto riguarda le fisionomie, ma, come in un film animato con la tecnica del rotoscoping (vedi "Waking Life" e "A Scanner Darkly" di Richard Linklater), ogni cosa e persona ha una sua vita espressa in un tratto costantemente onirico, anche grazie a delle inquadrature ardite, volte ad esprimere gli stati d'animo. In questo senso Ping Pong è opera ancora all'avanguardia. In certi momenti mi veniva di associare a Taiyo Matsumoto al cinema di registi come Stanley Kubrick e Lynch.
Le sue vignette mostrano una capacità inusuale a far calare il lettore nella vicenda, nell'opera d'Arte stessa, azzerando spazio e tempo, trascendendo nell'Arte la materia stessa, il volume che si ha fra le mani.
E questo grazie anche ad una storia, lineare, in fin dei conti. Ma è una storia di personaggi che hanno un'anima e un cuore, tanto che dall'inizio, sin dalle primissime pagine, ci rendiamo conto di stare davanti a due anime e del loro percorso di crescita in quel viaggio misterioso che è la vita.
E non si tratta soltanto dei due protagonisti "Smile" e "Peko", che bucano ogni pagina, e direttamente parlano nel nostro cuore. Ogni personaggio di "Ping Pong" ha la profondità d'animo di un personaggio di un romanzo russo o tedesco. Mi spiego... Nessuno qui è una macchietta nel senso caricaturale o comico che si può associare ad un manga. Ogni comportamento umano risulta pieno di sfumature, tanto che ogni personaggio ha sempre qualcosa di inafferrabile, poichè, continuamente, instancabilmente è alla costante ricerca di qualcosa. Ognuno a modo suo.
Parlare di Ping Pong, scrivere ora di Ping Pong, mi fa venire i brividi. Per farvi capire perchè ho deciso di mettergli 10. Ammetto che, a volte, esagero e metto 10, questo numero che rappresenta il massimo, anche a opere che, sono consapevole, hanno almeno uno o due difetti. Ma su Ping Pong non so davvero cos'altro dire se non che... Nonostante un manga, per sua natura, non ha la musica di sottofondo, perchè empiricamente non può averla. Beh, io sono un musicista e, leggendo Ping Pong, trovavo fosse estremamente musicale, come sentissi la sua musica sfogliandolo... Una musica invisibile, fra le pagine e me (e l'eco del cuore del suo autore).