La Grande Avventura di Astro Boy
Torna il robottino più amato dei fumetti.
«Astro Boy» (in originale «Tetsuwan Atom»), il bambino robot creato da Osamu Tezuka, non ha certo bisogno di presentazioni. Riconosciuto fra i personaggi dei fumetti più popolari al mondo, la sua fama a livello internazionale è paragonabile a quella di icone senza tempo come Topolino o Asterix (solo per citare a caso due intramontabili miti di carta della tradizione occidentale).
La sua prima apparizione sulle riviste giapponesi risale all’aprile del 1951, quando su Shonen viene pubblicato «Atom l’ambasciatore», una storia di convivenza fra umani e alieni, da cui traspare in controluce una sorta di metafora del complicato rapporto tra giapponesi e americani. Dopo il buon riscontro di pubblico ne scaturisce una serie più lunga che durerà per ben 17 anni, seguita nel 1963 da un adattamento animato di portata storica prodotto dalla Mushi Production, casa di produzione fondata dallo stesso Tezuka. Da allora la fama di Astro Boy cresce esponenzialmente provocando un effetto profondo e duraturo sulla cultura popolare e il piccolo androide dal cuore d’oro diventa negli anni un autentico tesoro nazionale, nominato ambasciatore ufficiale della cultura giapponese nel mondo, celebrato sui francobolli, nonché protagonista del manga più ristampato di sempre.
Fra le tante riedizioni e rifacimenti, una delle più significative è l’antologia risalente al 1967, appena pubblicata in Italia da J-Pop Manga con il titolo di «La grande avventura di Astro Boy», che va ad arricchire la sostanziosa offerta di titoli tezukiani della fortunata collana Osamushi Collection. I 17 capitoli del volume prendono le mosse dal finale della serie televisiva e si presentano come sequel dell’anime e al contempo come una selezione di capitoli riveduti e corretti della prima serie (che ne contava ben 73). Secondo Haruji Mori, responsabile degli archivi Tezuka Productions, questa raccolta rappresenterebbe il “vero” Astro Boy, nonché una delle serie preferite dal maestro. È lo stesso Tezuka a comparire come metapersonaggio nelle prime tavole del fumetto e rompendo la quarta parete si rivolge direttamente ai lettori, introducendo la riscrittura con due prologhi differenti, che oggi potremmo definire universi alternativi: di fatto è un nuovo inizio per il nostro eroe.
Il primo prologo si aggancia all’ultimo episodio animato («La più grande avventura sulla Terra», trasmesso il 31 dicembre del 1966), subito dopo la scena che vede Atom lanciarsi nel Sole per salvare la Terra. Dopo essersi fuso in un blocco di metallo a causa del calore solare, inizia a vagare alla deriva nello spazio. Viene quindi tratto in salvo dall’astronave del dottor Ohara e di sua moglie Scara, che appartengono a una specie aliena tecnologicamente evoluta. Nel secondo prologo Atom vive sulla Terra nell’anno 2017. Casualmente si imbatte nell’esplosione sottomarina del razzo di Scara (personaggio topico che avrà un ruolo da deus ex machina in alcuni episodi chiave della serie). L’impatto provoca uno squarcio nello spaziotempo che li catapulta a ritroso fino a cinquant’anni nel passato, proprio nel 1967. Da qui la rivisitazione in chiave moderna del manga, riletto anche alla luce della diversa situazione economica del Giappone rispetto agli anni ‘50 (ora siamo all’apice del boom, subito dopo le Olimpiadi di Tokyo e il rapporto con gli americani è quantomeno ridimensionato); la cronaca vera dell’epoca entra di prepotenza nella serie con il toccante episodio «L'angelo del Vietnam», che denuncia senza remore le stragi di civili da parte dei soldati americani.
A un certo punto la trama subisce un corto circuito dovuto al paradosso del viaggio nel tempo, risolto dall’intervento provvidenziale di Scara. Quindi la rinascita di Atom ad opera dello scienziato Umatarō Tenma, che intende costruire un robot intelligente a immagine e somiglianza di suo figlio morto. Ma dopo averlo creato capisce che l’androide, per quanto sofisticato, non potrà mai crescere come un bambino vero. Decide allora di sbarazzarsene consegnandolo al malvagio impresario di un circo che inizia a sfruttarlo senza scrupoli. A cavare il piccolo robot dalla sua cattività, è il dottor Ochanomizu, convinto difensore dei diritti civili dei robot, che ne diventa padre surrogato e lo inizia a una nuova vita. Atom ha una famiglia di robot e frequenta la scuola, nel frattempo inizia una carriera da super eroe, combattendo il crimine e le ingiustizie grazie a un cuore atomico da 100.000 cavalli, razzi propulsori che gli consentono di volare, mitragliatrici, raggi laser e altri gadget stupefacenti. Ma i suoi veri super poteri sono la grande sensibilità e il senso di giustizia: programmato per essere umano, risulta più umano degli uomini, la sua magnanimità e la sua dedizione alla causa contro le discriminazioni sono un inno alla solidarietà e alla convivenza pacifica.
Il padrino degli anime moderni.
Per comprendere la popolarità di Astro Boy non si può prescindere dal parlare dell’omonima serie tv e della decisiva incursione da parte di Osamu Tezuka nel campo dell'animazione. La produzione di pellicole animate è sempre stato un chiodo fisso per Tezuka. Da vorace spettatore di film, ha sempre subìto il fascino del mezzo cinematografico, un terreno fertile ancora inesplorato per la sua vulcanica creatività, e quando gli si presenta l’occasione, non esita a lanciarsi in una nuova ed elettrizzante avventura con la sua Mushi Production. Per il cinema realizza raffinatissimi corti in full animation che ottengono un ottimo consenso di critica (Racconto di un angolo di strada e Quadri di un'esposizione vincono il premio Noburo Ofuji) e lungometraggi che per la prima volta, in un’epoca di profondi cambiamenti culturali, introducono il genere erotico nel cinema d’animazione (la trilogia Animerama: «Le mille e una notte», «Cleopatra», «Belladonna of sadness»).
Per la tv, inizia da pioniere a sperimentare nuove tecniche di animazione, definite sommariamente animazione limitata (disegni stilizzati, sospensione dell’incredulità, riduzione dei fotogrammi al secondo, etc.), che gli permettono di sostenere i tempi ma soprattutto i costi di produzione. Nella scelta fra le serie manga candidate alla trasposizione animata Tezuka e il suo staff non hanno dubbi e, dopo alcune vicissitudini produttive, Astro Boy entra nelle case dei giapponesi il 1° gennaio del 1963, inaugurando la nuova era degli anime televisivi. Il programma è seguitissimo, supera il quaranta per cento di share, vengono prodotti innumerevoli giocattoli e gadget dedicati, e con la distribuzione oltreconfine Astro Boy diventa il primo personaggio pop giapponese a conoscere la fama internazionale. La serie animata (composta da 193 episodi nell’arco di tre anni) assorbe ben presto i soggetti tratti dal manga e inizia ad assumere una connotazione più stereotipata e supereroistica, perdendo di vista il nodo problematico caro a Tezuka: la convivenza fra uomini e robot. Di qui la volontà del maestro di rimettere mano al suo personaggio più iconico e di restituirne lo spirito primigenio ne «La grande avventura di Astro Boy».
Astro Boy costituisce uno dei primi esempi di manga di fantascienza e fissa un canone nel genere che oggi definiamo comunemente battle shōnen, storie destinate principalmente a un pubblico di ragazzi, soprattutto maschi, imperniate sull’azione e sull’avventura. Questa antologia dimostra inoltre che Astro Boy non è solo uno story manga di successo, ma un terreno fertile di sperimentazione ed evoluzione nello stile grafico e narrativo.
Nel corso delle generazioni Astro Boy ha subito numerosi restyling grafici, inseguendo i gusti dell’epoca, il target di riferimento, o anche solo l’estro artistico del maestro. In occasione de «La grande avventura di Astro Boy», Tezuka interviene direttamente sulle vecchie tavole per rendere i disegni più omogenei. Da questo punto di vista, è interessante notare con quale destrezza venga ritoccato il suo collaudato star system (il nutrito cast di personaggi marcatamente caratterizzati e ricorrenti da una manga all’altro), perfezionandone i tratti o modificandoli ad hoc.
Il character design di Atom riprende in parte le fattezze dell’automa androgino Michi, protagonista del precedente «Metropolis (1947)», una figura tenera e rassicurante, dalle linee morbide che tradiscono l’impronta dell’animazione americana di autori come Walt Disney e Max Fleischer. Fra gli altri, meritano una menzione: il mitico detective calvo Baffo Bianco, che nella visione tezukiana incarna il buon senso dell’uomo comune; il perfido villain Acetylene Lamp, modellato sull'attore franco-italiano Lino Ventura; e Ham Egg, l’avido impresario circense che ricalca una fisionomia a metà strada tra l’attore Peter Lorre e il cattivo di «He Done Her Wrong» (1930), un romanzo senza parole (antesignano del moderno fumetto) di Milt Gross.
La classica griglia compositiva, semplice ma dinamica, si presta a una lettura scorrevole; ancorata alle ortogonali, è ben lontana da certe soluzioni ardite che vedremo in opere contemporanee e successive dell’autore. Una certa vivacità viene offerta dall’innovativa “regia cinematografica” di Tezuka, dai riquadri di diversa dimensione che scandiscono il ritmo di lettura e dall’ampio uso delle linee cinetiche che danno l’idea di movimento, mentre i fondali, sintetici e ridotti al minimo, si prestano alle scene d’azione e alla comicità slapstick.
Dal punto di vista filologico, l’antologia presenta diverse varianti rispetto alla serie originale, oggi di difficile reperimento anche in Giappone. L’autore ha revisionato la successione dei capitoli e ritoccato le tavole; capita così che gli episodi degli anni '60 anticipino quelli degli anni '50; oppure che il ruolo di alcuni personaggi venga ridimensionato, mentre altri escono completamente di scena (Cobalt e Uran, i fratelli robot di Atom). Insomma, gli episodi subiscono sostanziali cambiamenti, ma il tema della diversità e del rapporto tra esseri umani e robot (che era andato snaturandosi nella serie anime), resta centrale.
Sul piano della sceneggiatura, «La grande avventura di Astro Boy» ci offre un esempio calzante del concetto di story manga tezukiano (cicli di storie continuative che si prestano alla pubblicazione a puntate), dove il maestro dimostra la consueta dimestichezza nel manipolare gli archi narrativi, dalla scala più piccola (il singolo episodio di poche pagine) alla più monumentale (saghe epiche che compongono svariati tomi), e nel caso di specie, non senza funamboliche manovre per mantenere una certa organicità di fondo. Tezuka preferisce sempre il racconto lungo e articolato, e solo in pochi casi la storia si limita a un solo capitolo. Esplora ogni possibile soluzione per tenere sempre alto l’interesse del lettore, aggiungendo alla trama tanta "carne al fuoco" da rendere quasi impossibile prevedere la direzione verso cui potrebbe evolvere.
Un’importante novità di Astro Boy consiste nell’aver introdotto l’elemento drammatico nelle storie per ragazzi, rendendo vulnerabili i suoi personaggi, che possono ferirsi e morire. Lo stesso protagonista è soggetto all’esaurimento delle batterie e a un certo punto arrugginisce e viene disintegrato. Il manga non esita a mostrare scene forti, con un certo grado di violenza (assassinii, linciaggi, scene di guerra, etc.), e ad avere la peggio sono quasi sempre i robot, forse per questo il lettore tende a simpatizzare con questi ultimi.
In ogni singola storia è rintracciabile una morale, che Tezuka lascia passare quasi sotto traccia, fra un’impresa mirabolante e un colpo di scena, da non risultare mai troppo pedante. Il tema portante è evidente nella metafora antirazzista: Atom si erge a paladino dei robot vittime di soprusi e ingiustizie, assumendo il ruolo di mediatore tra le due fazioni e dedicandosi attivamente a cancellare ogni disparità. Il contesto fantascientifico consente di veicolare un po' in tutte le sue forme la parabola sociale contro la discriminazione (fra umani e robot, fra giapponesi e americani, fra terrestri e alieni etc.).
Più sottile ma non meno significativa la lettura storico/politica: subito dopo la guerra, il generale MacArthur definì il Giappone “un ragazzino di dodici anni” per indicare il livello di sviluppo della società giapponese rispetto a quella occidentale, e in effetti Astro Boy incarnerebbe proprio il Giappone del dopoguerra, una nazione provata dalla sconfitta ma che guarda con speranza e ottimismo al futuro. Da questa prospettiva, l’opera si può leggere come un messaggio edificante rivolto alle nuove generazioni che dovevano imparare a vivere secondo nuovi ideali pacifisti e utilizzare l’energia atomica non più come arma distruttiva ma come strumento di progresso e simbolo di modernità.
L’edizione J-Pop Manga de «La grande avventura di Astro Boy», per la collana Osamushi Collection, si presenta come un volume di discreta qualità tipografica, che conta circa 570 pagine rilegate in brossura fresata, con sovraccoperta a colori, al prezzo di 15,00€. La traduzione è affidata a Roberto Marzano, mentre in postfazione, una testimonianza di Haruji Mori, responsabile degli archivi Tezuka Productions, ne racconta le vicende editoriali.
Dopo aver esplorato tutti i generi per tutti i tipi di pubblico, con oltre 700 opere all’attivo, sarebbe certamente ingiusto ridurre al solo Astro Boy il contributo di Osamu Tezuka alla storia dei manga. Di certo però è il suo personaggio più celebre e la sua influenza travalica il ventesimo secolo per arrivare di peso nel ventunesimo, fino a toccare mostri sacri contemporanei come Naoki Urasawa che omaggia Astro Boy in uno dei suoi titoli più importanti: «Pluto». Possiamo quindi affermare che il moderno Pinocchio robotico, con l'attualità delle sue istanze e la sua disarmante umanità, si è guadagnato un posto di rilievo nel pantheon delle icone pop.
La grande avventura di Astro Boy può essere sicuramente un buon modo per i vecchi fan di Osamushi di rispolverare un classico intramontabile e al contempo un’ottima occasione per i neofiti di approcciarsi a una leggenda del fumetto.
«Astro Boy» (in originale «Tetsuwan Atom»), il bambino robot creato da Osamu Tezuka, non ha certo bisogno di presentazioni. Riconosciuto fra i personaggi dei fumetti più popolari al mondo, la sua fama a livello internazionale è paragonabile a quella di icone senza tempo come Topolino o Asterix (solo per citare a caso due intramontabili miti di carta della tradizione occidentale).
La sua prima apparizione sulle riviste giapponesi risale all’aprile del 1951, quando su Shonen viene pubblicato «Atom l’ambasciatore», una storia di convivenza fra umani e alieni, da cui traspare in controluce una sorta di metafora del complicato rapporto tra giapponesi e americani. Dopo il buon riscontro di pubblico ne scaturisce una serie più lunga che durerà per ben 17 anni, seguita nel 1963 da un adattamento animato di portata storica prodotto dalla Mushi Production, casa di produzione fondata dallo stesso Tezuka. Da allora la fama di Astro Boy cresce esponenzialmente provocando un effetto profondo e duraturo sulla cultura popolare e il piccolo androide dal cuore d’oro diventa negli anni un autentico tesoro nazionale, nominato ambasciatore ufficiale della cultura giapponese nel mondo, celebrato sui francobolli, nonché protagonista del manga più ristampato di sempre.
Fra le tante riedizioni e rifacimenti, una delle più significative è l’antologia risalente al 1967, appena pubblicata in Italia da J-Pop Manga con il titolo di «La grande avventura di Astro Boy», che va ad arricchire la sostanziosa offerta di titoli tezukiani della fortunata collana Osamushi Collection. I 17 capitoli del volume prendono le mosse dal finale della serie televisiva e si presentano come sequel dell’anime e al contempo come una selezione di capitoli riveduti e corretti della prima serie (che ne contava ben 73). Secondo Haruji Mori, responsabile degli archivi Tezuka Productions, questa raccolta rappresenterebbe il “vero” Astro Boy, nonché una delle serie preferite dal maestro. È lo stesso Tezuka a comparire come metapersonaggio nelle prime tavole del fumetto e rompendo la quarta parete si rivolge direttamente ai lettori, introducendo la riscrittura con due prologhi differenti, che oggi potremmo definire universi alternativi: di fatto è un nuovo inizio per il nostro eroe.
Il primo prologo si aggancia all’ultimo episodio animato («La più grande avventura sulla Terra», trasmesso il 31 dicembre del 1966), subito dopo la scena che vede Atom lanciarsi nel Sole per salvare la Terra. Dopo essersi fuso in un blocco di metallo a causa del calore solare, inizia a vagare alla deriva nello spazio. Viene quindi tratto in salvo dall’astronave del dottor Ohara e di sua moglie Scara, che appartengono a una specie aliena tecnologicamente evoluta. Nel secondo prologo Atom vive sulla Terra nell’anno 2017. Casualmente si imbatte nell’esplosione sottomarina del razzo di Scara (personaggio topico che avrà un ruolo da deus ex machina in alcuni episodi chiave della serie). L’impatto provoca uno squarcio nello spaziotempo che li catapulta a ritroso fino a cinquant’anni nel passato, proprio nel 1967. Da qui la rivisitazione in chiave moderna del manga, riletto anche alla luce della diversa situazione economica del Giappone rispetto agli anni ‘50 (ora siamo all’apice del boom, subito dopo le Olimpiadi di Tokyo e il rapporto con gli americani è quantomeno ridimensionato); la cronaca vera dell’epoca entra di prepotenza nella serie con il toccante episodio «L'angelo del Vietnam», che denuncia senza remore le stragi di civili da parte dei soldati americani.
A un certo punto la trama subisce un corto circuito dovuto al paradosso del viaggio nel tempo, risolto dall’intervento provvidenziale di Scara. Quindi la rinascita di Atom ad opera dello scienziato Umatarō Tenma, che intende costruire un robot intelligente a immagine e somiglianza di suo figlio morto. Ma dopo averlo creato capisce che l’androide, per quanto sofisticato, non potrà mai crescere come un bambino vero. Decide allora di sbarazzarsene consegnandolo al malvagio impresario di un circo che inizia a sfruttarlo senza scrupoli. A cavare il piccolo robot dalla sua cattività, è il dottor Ochanomizu, convinto difensore dei diritti civili dei robot, che ne diventa padre surrogato e lo inizia a una nuova vita. Atom ha una famiglia di robot e frequenta la scuola, nel frattempo inizia una carriera da super eroe, combattendo il crimine e le ingiustizie grazie a un cuore atomico da 100.000 cavalli, razzi propulsori che gli consentono di volare, mitragliatrici, raggi laser e altri gadget stupefacenti. Ma i suoi veri super poteri sono la grande sensibilità e il senso di giustizia: programmato per essere umano, risulta più umano degli uomini, la sua magnanimità e la sua dedizione alla causa contro le discriminazioni sono un inno alla solidarietà e alla convivenza pacifica.
Il padrino degli anime moderni.
Per comprendere la popolarità di Astro Boy non si può prescindere dal parlare dell’omonima serie tv e della decisiva incursione da parte di Osamu Tezuka nel campo dell'animazione. La produzione di pellicole animate è sempre stato un chiodo fisso per Tezuka. Da vorace spettatore di film, ha sempre subìto il fascino del mezzo cinematografico, un terreno fertile ancora inesplorato per la sua vulcanica creatività, e quando gli si presenta l’occasione, non esita a lanciarsi in una nuova ed elettrizzante avventura con la sua Mushi Production. Per il cinema realizza raffinatissimi corti in full animation che ottengono un ottimo consenso di critica (Racconto di un angolo di strada e Quadri di un'esposizione vincono il premio Noburo Ofuji) e lungometraggi che per la prima volta, in un’epoca di profondi cambiamenti culturali, introducono il genere erotico nel cinema d’animazione (la trilogia Animerama: «Le mille e una notte», «Cleopatra», «Belladonna of sadness»).
Per la tv, inizia da pioniere a sperimentare nuove tecniche di animazione, definite sommariamente animazione limitata (disegni stilizzati, sospensione dell’incredulità, riduzione dei fotogrammi al secondo, etc.), che gli permettono di sostenere i tempi ma soprattutto i costi di produzione. Nella scelta fra le serie manga candidate alla trasposizione animata Tezuka e il suo staff non hanno dubbi e, dopo alcune vicissitudini produttive, Astro Boy entra nelle case dei giapponesi il 1° gennaio del 1963, inaugurando la nuova era degli anime televisivi. Il programma è seguitissimo, supera il quaranta per cento di share, vengono prodotti innumerevoli giocattoli e gadget dedicati, e con la distribuzione oltreconfine Astro Boy diventa il primo personaggio pop giapponese a conoscere la fama internazionale. La serie animata (composta da 193 episodi nell’arco di tre anni) assorbe ben presto i soggetti tratti dal manga e inizia ad assumere una connotazione più stereotipata e supereroistica, perdendo di vista il nodo problematico caro a Tezuka: la convivenza fra uomini e robot. Di qui la volontà del maestro di rimettere mano al suo personaggio più iconico e di restituirne lo spirito primigenio ne «La grande avventura di Astro Boy».
Astro Boy costituisce uno dei primi esempi di manga di fantascienza e fissa un canone nel genere che oggi definiamo comunemente battle shōnen, storie destinate principalmente a un pubblico di ragazzi, soprattutto maschi, imperniate sull’azione e sull’avventura. Questa antologia dimostra inoltre che Astro Boy non è solo uno story manga di successo, ma un terreno fertile di sperimentazione ed evoluzione nello stile grafico e narrativo.
Nel corso delle generazioni Astro Boy ha subito numerosi restyling grafici, inseguendo i gusti dell’epoca, il target di riferimento, o anche solo l’estro artistico del maestro. In occasione de «La grande avventura di Astro Boy», Tezuka interviene direttamente sulle vecchie tavole per rendere i disegni più omogenei. Da questo punto di vista, è interessante notare con quale destrezza venga ritoccato il suo collaudato star system (il nutrito cast di personaggi marcatamente caratterizzati e ricorrenti da una manga all’altro), perfezionandone i tratti o modificandoli ad hoc.
Il character design di Atom riprende in parte le fattezze dell’automa androgino Michi, protagonista del precedente «Metropolis (1947)», una figura tenera e rassicurante, dalle linee morbide che tradiscono l’impronta dell’animazione americana di autori come Walt Disney e Max Fleischer. Fra gli altri, meritano una menzione: il mitico detective calvo Baffo Bianco, che nella visione tezukiana incarna il buon senso dell’uomo comune; il perfido villain Acetylene Lamp, modellato sull'attore franco-italiano Lino Ventura; e Ham Egg, l’avido impresario circense che ricalca una fisionomia a metà strada tra l’attore Peter Lorre e il cattivo di «He Done Her Wrong» (1930), un romanzo senza parole (antesignano del moderno fumetto) di Milt Gross.
La classica griglia compositiva, semplice ma dinamica, si presta a una lettura scorrevole; ancorata alle ortogonali, è ben lontana da certe soluzioni ardite che vedremo in opere contemporanee e successive dell’autore. Una certa vivacità viene offerta dall’innovativa “regia cinematografica” di Tezuka, dai riquadri di diversa dimensione che scandiscono il ritmo di lettura e dall’ampio uso delle linee cinetiche che danno l’idea di movimento, mentre i fondali, sintetici e ridotti al minimo, si prestano alle scene d’azione e alla comicità slapstick.
Dal punto di vista filologico, l’antologia presenta diverse varianti rispetto alla serie originale, oggi di difficile reperimento anche in Giappone. L’autore ha revisionato la successione dei capitoli e ritoccato le tavole; capita così che gli episodi degli anni '60 anticipino quelli degli anni '50; oppure che il ruolo di alcuni personaggi venga ridimensionato, mentre altri escono completamente di scena (Cobalt e Uran, i fratelli robot di Atom). Insomma, gli episodi subiscono sostanziali cambiamenti, ma il tema della diversità e del rapporto tra esseri umani e robot (che era andato snaturandosi nella serie anime), resta centrale.
Sul piano della sceneggiatura, «La grande avventura di Astro Boy» ci offre un esempio calzante del concetto di story manga tezukiano (cicli di storie continuative che si prestano alla pubblicazione a puntate), dove il maestro dimostra la consueta dimestichezza nel manipolare gli archi narrativi, dalla scala più piccola (il singolo episodio di poche pagine) alla più monumentale (saghe epiche che compongono svariati tomi), e nel caso di specie, non senza funamboliche manovre per mantenere una certa organicità di fondo. Tezuka preferisce sempre il racconto lungo e articolato, e solo in pochi casi la storia si limita a un solo capitolo. Esplora ogni possibile soluzione per tenere sempre alto l’interesse del lettore, aggiungendo alla trama tanta "carne al fuoco" da rendere quasi impossibile prevedere la direzione verso cui potrebbe evolvere.
Un’importante novità di Astro Boy consiste nell’aver introdotto l’elemento drammatico nelle storie per ragazzi, rendendo vulnerabili i suoi personaggi, che possono ferirsi e morire. Lo stesso protagonista è soggetto all’esaurimento delle batterie e a un certo punto arrugginisce e viene disintegrato. Il manga non esita a mostrare scene forti, con un certo grado di violenza (assassinii, linciaggi, scene di guerra, etc.), e ad avere la peggio sono quasi sempre i robot, forse per questo il lettore tende a simpatizzare con questi ultimi.
In ogni singola storia è rintracciabile una morale, che Tezuka lascia passare quasi sotto traccia, fra un’impresa mirabolante e un colpo di scena, da non risultare mai troppo pedante. Il tema portante è evidente nella metafora antirazzista: Atom si erge a paladino dei robot vittime di soprusi e ingiustizie, assumendo il ruolo di mediatore tra le due fazioni e dedicandosi attivamente a cancellare ogni disparità. Il contesto fantascientifico consente di veicolare un po' in tutte le sue forme la parabola sociale contro la discriminazione (fra umani e robot, fra giapponesi e americani, fra terrestri e alieni etc.).
Più sottile ma non meno significativa la lettura storico/politica: subito dopo la guerra, il generale MacArthur definì il Giappone “un ragazzino di dodici anni” per indicare il livello di sviluppo della società giapponese rispetto a quella occidentale, e in effetti Astro Boy incarnerebbe proprio il Giappone del dopoguerra, una nazione provata dalla sconfitta ma che guarda con speranza e ottimismo al futuro. Da questa prospettiva, l’opera si può leggere come un messaggio edificante rivolto alle nuove generazioni che dovevano imparare a vivere secondo nuovi ideali pacifisti e utilizzare l’energia atomica non più come arma distruttiva ma come strumento di progresso e simbolo di modernità.
L’edizione J-Pop Manga de «La grande avventura di Astro Boy», per la collana Osamushi Collection, si presenta come un volume di discreta qualità tipografica, che conta circa 570 pagine rilegate in brossura fresata, con sovraccoperta a colori, al prezzo di 15,00€. La traduzione è affidata a Roberto Marzano, mentre in postfazione, una testimonianza di Haruji Mori, responsabile degli archivi Tezuka Productions, ne racconta le vicende editoriali.
Dopo aver esplorato tutti i generi per tutti i tipi di pubblico, con oltre 700 opere all’attivo, sarebbe certamente ingiusto ridurre al solo Astro Boy il contributo di Osamu Tezuka alla storia dei manga. Di certo però è il suo personaggio più celebre e la sua influenza travalica il ventesimo secolo per arrivare di peso nel ventunesimo, fino a toccare mostri sacri contemporanei come Naoki Urasawa che omaggia Astro Boy in uno dei suoi titoli più importanti: «Pluto». Possiamo quindi affermare che il moderno Pinocchio robotico, con l'attualità delle sue istanze e la sua disarmante umanità, si è guadagnato un posto di rilievo nel pantheon delle icone pop.
La grande avventura di Astro Boy può essere sicuramente un buon modo per i vecchi fan di Osamushi di rispolverare un classico intramontabile e al contempo un’ottima occasione per i neofiti di approcciarsi a una leggenda del fumetto.