Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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Questa sesta serie di “Lupin III” è stata una delusione. Le premesse non erano le migliori, e ammetto che l’idea di un’avventura inglese con Sherlock Holmes non mi ha mai scaldato il cuore, fin dalle prime informazioni che trapelarono sulla serie. Tuttavia, mi chiesi, perché essere troppo pessimisti? Negli ultimi anni di prodotti buoni sul franchise ne abbiamo avuti diversi, dallo spin-off con Fujiko, alla quinta e alla sesta serie. Per non parlare di alcune uscite cinematografiche davvero degne di nota. Ammetto di essermi perso qualche special TV, ma, nel complesso, la sensazione era che Lupin e Co. fossero ancora in ottima forma. Purtroppo, però, qui qualcosa è andato storto.

Partirei da quello che considero il difetto più grande di questa sesta serie: la struttura narrativa. Nella serie precedente, avevamo una traccia principale che veniva sviluppata molto spesso, salvo qualche episodio filler, magari anche abbastanza discutibile, ma tutto sommato ignorabile, visto che la serie rimaneva perlopiù concentrata sulla storia principale. Qui le cose sono andate in modo decisamente diverso. La traccia narrativa principale si sviluppa di rado e gli episodi autoconclusivi sono aumentati considerevolmente. La trama così strutturata ha finito per dare vita a delle vicende ben poco interessanti, e se, come era prevedibile, gli episodi autoconclusivi non fanno quasi mai centro, anche le puntate legate alla traccia principale hanno finito per perdere mordente, nonostante avessero del potenziale.

Un altro passo indietro riguarda l’ambientazione. La quinta serie era, almeno in parte, riuscita a valorizzare l’ambientazione francese, riprendendo alcuni aspetti della società e politica transalpina. Qui non si è riusciti a fare lo stesso. Questa volta, l’ambientazione principale era l’Inghilterra, ma, tolto il pretesto di Holmes, non ho mai sentito la specificità di questa scelta.
Infine, un appunto molto più soggettivo. Capisco il capriccio di voler creare anche a livello simbolico una sfida Lupin-Holmes, e per certi aspetti la cosa funziona, almeno all’inizio. Ma personalmente ne ho fin sopra i capelli di interpretazioni contemporanee di Sherlock Holmes e personaggi affini, soprattutto se i risultati poi sono modesti come questi.

In conclusione, credo che questa sesta serie sia stata un bel buco nell’acqua. La struttura narrativa non funziona, l’ambientazione non è stata sfruttata come si deve, e anche tecnicamente, pur non raggiungendo livelli mediocri, la serie fa un deciso passo indietro rispetto alle precedenti. Naturalmente non è tutto da buttare. I personaggi rimangono sempre apprezzabili e almeno inizialmente la traccia narrativa principale sembrava poter dire qualcosa. Ma gli sviluppi della storia, uniti a un buon numero di episodi autoconclusivi totalmente anonimi non hanno aiutato quella che per me è finora la serie meno riuscita del franchise.

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Ho avuto modo di guardare questo film subito dopo aver rivisto la serie animata, a distanza di anni. Confesso che speravo in qualcosa di diverso, ad esempio un sequel o un prequel o addirittura una storia parallela. Invece la scelta, probabilmente inevitabile, è stata quella di riproporre a grandi linee la vicenda originale, abbreviata e semplificata e per certi versi addirittura decurtata di alcuni elementi cardine.

Nel film manca soprattutto l'elemento divinatorio di Hitomi attraverso i tarocchi, che di fatto era il "ponte" tra la Terra e il mondo magico di Gaea. Anche qui c'è un discorso sul destino e sull'importanza di prendere in mano la propria vita attraverso le scelte, ma non è centrale come nella serie tv, é solo un elemento che compare blandamente all'inizio della vicenda e poi sparisce annacquandosi col trascorrere dei minuti.

L'aspetto migliore del film è sicuramente quello tecnico, i paesaggi e le inquadrature fanno tesoro del formato cinematografico in 16:9. In generale la qualità dell'animazione è molto alta e anche i visi dei personaggi principali sono disegnati con cura sebbene con uno stile leggermente diverso dalla serie originale: spariscono i tipici profili appuntiti in favore di un disegno più simmetrico e pulito ma allo stesso tempo anche meno espressivo e decisamente più freddo.
Il film di Escaflowne è un bell'esercizio di stile, un vero piacere per gli occhi che però inciampa più di una volta sull'intreccio: la trama ha infatti poco mordente, Hitomi non è più la ragazza insicura ma solare che conoscevamo, è piuttosto un'adolescente apatica e melanconica che si ritrova quasi casualmente "risucchiata" in un mondo parallelo sconvolto da una guerra. In questo mondo incontra molti personaggi che, però, a parte Van e Folken, sono di puro contorno (al contrario della serie tv, nella quale i rapporti interpersonali sono piuttosto complessi e si evolvono, incidendo profondamente sulla vicenda dei protagonisti).

Nel film mancano quasi del tutto i momenti "leggeri" come ad esempio i siparietti tra la protagonista e la dispettosa Merle (che fortunatamente resta un personaggio molto marginale) e in generale si è optato per un tono mediamente cupo dall'inizio alla fine: assistiamo infatti a numerosi combattimenti cruenti, lo stesso Van non ha esitazioni nel massacrare gli avversari a colpi di lama. Folken è poi un'entità oscura meno sfaccettata rispetto all'originale, anche se conserva piuttosto bene il suo alone di mistero, pur non muovendosi come un Machiavelli al servizio di un sovrano (anche perché qui la figura del folle Dornkirk è del tutto mancante).

In definitiva credo che 'Escaflowne The Movie' resti comunque un'opera apprezzabile per via della qualità visiva, che è invecchiata decisamente bene: i cieli e le lande spazzate dal vento di Gaea sono infatti affascinanti quanto se non più di quelle viste nella serie, le navi "fluttuanti" sono ancora bellissime a distanza di anni e i guerrieri robot compaiono molto poco ma sono animati in modo ineccepibile.
Tuttavia per chi non conoscesse questa saga consiglio senza esitazione di riprendere in primo luogo la serie del 1996, molto più ricca di spunti, con una caratterizzazione più profonda dei personaggi e soprattutto un migliore sviluppo dei temi principali: destino, volontà e, soprattutto, amore.

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Il trend molto positivo di "Monogatari" continua con questa seconda serie, che io ho visto dopo "Kizumonogatari". Si ritorna ai fasti della prima serie, e la cosa non può che farmi piacere.

"Monogatari Second Season" è la trasposizione di ben cinque light novel dell'omonima serie, che segue le vicende di Araragi e di tutti i personaggi che ruotano intorno a lui, con particolare enfasi su Senjogahara, Hanekawa, Shinobu, Hachikuji, Kaiki e soprattutto Nadeko, senza dubbio il personaggio meglio scritto fino ad adesso.
La struttura della serie e l'inconfondibile e unico stile di "Monogatari" torna preponderante anche qui: opera incentrata soprattutto sui dialoghi, che indaga sulla psicologia dei personaggi e sui loro problemi psicologici che li portano a scontrarsi con la società, con gli altri ma soprattutto con loro stessi, il tutto racchiuso da un'atmosfera estremamente surreale, onirica e confusionaria.
I cinque archi narrativi della storia ci offrono buonissime conclusioni all'indagine psicologica di personaggi come Hanekawa e un ottimo snodo di altri come per esempio di Nadeko, la quale viene costruita lungo l'intera serie. Sono riusciti addirittura a farmi piacere Kaiki, personaggio che in "Nisemonogatari" mi aveva macinato i testicoli, riuscendo a contestualizzarlo e a renderlo molto interessante, accattivante e intrattenente. Altro plauso va a Gaen, new entry della serie che "sa sempre tutto", e al ritorno di Ononoki, che stavolta è molto più memorabile.
Se proprio devo trovare dei difetti, questi risiedono soprattutto nell'eccessivo riciclo del personaggio di Hachikuji, che secondo me non aveva più nulla da dire già da dopo "Bakemonogatari", dalla pesantezza generale della serie che, per quanto interessante, è comunque difficile da seguire a tratti, soprattutto per colpa delle slide che vanno più veloci della luce, e infine dall'inutilissima presenza di tre puntate di recap, cosa che mi fa abbassare il voto. Da citare anche il fatto che mi sono reso conto che alcuni dettagli di background, come la storia di Shinobu, saranno 'retconnati' in "Kizumonogatari", per qualche motivo sconosciuto.

Lato tecnico è un passo avanti rispetto a "Bakemonogatari" secondo me, complice anche il nuovo look di personaggi come Hanekawa e Senjogahara, che ho preferito rispetto alla serie precedente. Le musiche sono misteriose e accattivanti; gli sfondi sono ottimi, soprattutto quelli dell'ultimo arco narrativo; le opening sono sì carine, ma niente di che, mentre le ending invece mi sono piaciute, soprattutto per il tratto del loro disegno, molto minimalistico ma anche molto affascinante.

Un'altra ottima opera, che mi fa pensare che probabilmente "Nisemonogatari" è effettivamente la grossa pecora nera dell'insieme.
Non la consiglio a tutti, perché è comunque pesante da seguire e a tratti lenta come uno zombie senza gambe, ma, se si vuole un'opera psicologicamente introspettiva sui personaggi fatta bene, questa è senza dubbio qualcosa da non perdere.