Ultimo lavoro originale proposto dalla casa di produzione P.A. Works durante l’estate 2012, Tari Tari rimanda col suo titolo ad un suffisso utilizzato nella grammatica giapponese per le frasi in cui si descrivono delle azioni multiple; titolo davvero appropriato –come si avrà modo di notare visionando l’anime- per descrivere questo leggero slice of life di ambientazione scolastica.
La storia è incentrata sulle vicende di cinque studenti giapponesi al loro ultimo anno di scuola superiore, nell’incantevole località marina di Enoshima.
Tre ragazze e due ragazzi con pochi interessi in comune; tra loro spicca sulle prime la piccola ma combattiva Konatsu che, spinta dal suo grande desiderio di cantare, riuscirà a coinvolgere gli altri amici nella fondazione di un nuovo club di coro in contrapposizione a quello ufficiale della scuola.
La musica e il club saranno solo un pretesto per imbastire una trama incentrata sulla crescita personale dei vari protagonisti, che va di pari passo con quella collettiva.
Infatti è nelle piccole/grandi difficoltà da superare quotidianamente, per tutelare quel piccolo spazio creativo conquistato con fatica, che i nostri protagonisti riusciranno a trovare le motivazioni e la forza per perseguire i propri sogni e le proprie speranze.
La sceneggiatura non fa mistero fin dalla prima puntata di essere improntata sulla semplicità senza nessuna ambizione di originalità, non a caso questo titolo sin dalla sua uscita è stato accostato a K-On! ma, soprattutto, a Hanasaku Iroha con cui condivide non solo la stessa casa di produzione, buona parte dello staff e periodo di programmazione, ma anche le ambientazioni “vacanziere” e il concept di base focalizzato sulle problematiche del periodo adolescenziale.
In Hanasaku Iroha, però, la protagonista affronta la vita e le avversità che essa riserva con il motto del “lavorare duro”, e cioè da sola, attraverso una personale sfida con i propri limiti. In un’opera corale come Tari Tari, invece, si sceglie la via de “l’unione fa la forza” per creare, come dice il personaggio di Wakana, un’unica melodia.
La relativa brevità della serie, unita alla scelta narrativa di non procedere esattamente per i classici archi personalizzati, non favorisce un omogeneo approfondimento psicologico dei vari personaggi, mettendo in primo piano soprattutto le tre ragazze. Tra queste ultime è sicuramente il personaggio di Wakana a giovarne di più, grazie ad una costante crescita per tutto lo sviluppo della storia in maniera molto naturale. E’ sicuramente lei la figura meglio riuscita di Tari Tari. D’altronde si tratta anche del personaggio che ha alle spalle le vicende più dolorose e che ne determinano il carattere chiuso e mal disposto verso le altre persone, ma che cambierà attraverso un ritrovato amore per la musica, punto di contatto e passione comune con la madre scomparsa anni prima.
Le altre due fanciulle invece non riescono ad essere abbastanza convincenti, a cominciare da quella che sulle prime sembrava essere la protagonista, la piccola e colorata Konatsu, la fondatrice del coro, che, al di là di qualche scontro con l’inflessibile vicedirettrice, non emerge quasi mai all’interno della storia, quasi prigioniera dello stereotipo kawaii cucitole addosso.
Un gradino sopra quest’ultima c’è sicuramente la giunonica Sawa, su cui si è riuscito a far vivere un personaggio che in parte riesce a superare il ruolo della bella e procace compagna di classe, che vanta una certa personalità e intraprendenza sostenuta dalla passione per l’equitazione.
Resta in ogni modo una visione al femminile dell’età adolescenziale, poiché ai personaggi maschili viene lasciato solo lo spazio marginale, utilizzati per lo più negli aspetti comici della storia. Per esempio il personaggio di Ween è in pratica costruito ad uso e consumo esclusivo dello humor, risultando proprio per questo caricaturale e poco convincente. Gli adulti, al pari, sono per la maggior parte molto stereotipati e relegati a mere figure di contorno.
Lo scarso utilizzo dei ruoli maschili determina oltretutto la quasi totale assenza di tematiche amorose -cosa questa piuttosto inconsueta quando si tratta di ambientazioni scolastiche- a favore di quelle incentrate sull’amicizia. Il tutto raramente devia da toni allegri e colorati, e quando lo fa, appare piuttosto fuori sintonia col resto, poiché i rari momenti di dramma suonano come forzatamente enfatizzati.
Le scelte registiche sono all’insegna dell’essenzialità; d’altronde Masakazu Hashimoto è alla sua prima grande prova con una serie importante (se si esclude il film Professor Layton and the Eternal Diva) dopo tanta gavetta come realizzatore di storyboards; e sembra chiara la scelta di puntare forte su quello che è il marchio di fabbrica dello studio P.A. Works: l’ottima resa delle animazioni. Queste ultime sono appunto affidate anche questa volta -dopo l’ottima esperienza dell’anno prima con Hanasaku Iroha- a Kanami Sekiguchi. Il chara design rimane nel solco del moe come tutti i recenti lavori dello studio, senza però scadere (come in questi casi succede) nella ricerca del kawaii ad ogni costo.
Ciò che resta ben impresso nella memoria dello spettatore è comunque la splendida resa dei fondali capaci di ritrarre luoghi realmente esistenti con una resa ai limiti del fotorealismo, rendendo Tari Tari un grande spot promozionale al turismo dell’isola di Enoshima e dintorni, nella prefettura di Kanagawa; uno dei luoghi di villeggiatura marina preferiti dagli abitanti di Tokyo per i suoi grandi spazi aperti e i suggestivi scenari naturali.
Una cura maniacale del particolare che, per tutta l’estate in cui la serie è stata trasmessa in Giappone, ha fatto divertire gli otaku che si sono sbizzarriti nella ricerca delle location citate nella serie, fino a scoprire che, non solo i luoghi più conosciuti, ma anche le vie secondarie, gli incroci e i negozi erano stati riprodotti con assoluta fedeltà.
Sul fronte audio forse c’era da aspettarsi qualcosa di più, essendo la musica il presunto motore della vicenda. La canzone che rimane maggiormente impressa “Melody of the Hearth”, lascito spirituale della madre di Wakana alla figlia, e anche quella che viene maggiormente eseguita dal coro dei ragazzi, mentre la OST, adeguandosi ai dettami registici, non travalicherà i confini del motivetto orecchiabile e allegro.
Leggerezza e spensieratezza che ritroviamo anche nella sigla di apertura “Dreamer” (un vero inno a percorrere senza paure il proprio cammino di vita) interpretata da AiRI; mentre quella di chiusura, “Shiokaze no Harmony”, ha la particolarità di essere cantata da un vero coro scolastico, lo Shirahamazaka High School Chorus Club.
Il tentativo è chiaro, quello di creare un climax di affetto e nostalgia per i giorni della giovinezza, e si riscontra anche nella scelta di affidare il doppiaggio a doppiatrici alle prime esperienze importanti e, in buona parte, al di sotto dei 25 anni.
L'opening "Dreamer" di AiRI
La storia è incentrata sulle vicende di cinque studenti giapponesi al loro ultimo anno di scuola superiore, nell’incantevole località marina di Enoshima.
Tre ragazze e due ragazzi con pochi interessi in comune; tra loro spicca sulle prime la piccola ma combattiva Konatsu che, spinta dal suo grande desiderio di cantare, riuscirà a coinvolgere gli altri amici nella fondazione di un nuovo club di coro in contrapposizione a quello ufficiale della scuola.
La musica e il club saranno solo un pretesto per imbastire una trama incentrata sulla crescita personale dei vari protagonisti, che va di pari passo con quella collettiva.
Infatti è nelle piccole/grandi difficoltà da superare quotidianamente, per tutelare quel piccolo spazio creativo conquistato con fatica, che i nostri protagonisti riusciranno a trovare le motivazioni e la forza per perseguire i propri sogni e le proprie speranze.
La sceneggiatura non fa mistero fin dalla prima puntata di essere improntata sulla semplicità senza nessuna ambizione di originalità, non a caso questo titolo sin dalla sua uscita è stato accostato a K-On! ma, soprattutto, a Hanasaku Iroha con cui condivide non solo la stessa casa di produzione, buona parte dello staff e periodo di programmazione, ma anche le ambientazioni “vacanziere” e il concept di base focalizzato sulle problematiche del periodo adolescenziale.
In Hanasaku Iroha, però, la protagonista affronta la vita e le avversità che essa riserva con il motto del “lavorare duro”, e cioè da sola, attraverso una personale sfida con i propri limiti. In un’opera corale come Tari Tari, invece, si sceglie la via de “l’unione fa la forza” per creare, come dice il personaggio di Wakana, un’unica melodia.
La relativa brevità della serie, unita alla scelta narrativa di non procedere esattamente per i classici archi personalizzati, non favorisce un omogeneo approfondimento psicologico dei vari personaggi, mettendo in primo piano soprattutto le tre ragazze. Tra queste ultime è sicuramente il personaggio di Wakana a giovarne di più, grazie ad una costante crescita per tutto lo sviluppo della storia in maniera molto naturale. E’ sicuramente lei la figura meglio riuscita di Tari Tari. D’altronde si tratta anche del personaggio che ha alle spalle le vicende più dolorose e che ne determinano il carattere chiuso e mal disposto verso le altre persone, ma che cambierà attraverso un ritrovato amore per la musica, punto di contatto e passione comune con la madre scomparsa anni prima.
Le altre due fanciulle invece non riescono ad essere abbastanza convincenti, a cominciare da quella che sulle prime sembrava essere la protagonista, la piccola e colorata Konatsu, la fondatrice del coro, che, al di là di qualche scontro con l’inflessibile vicedirettrice, non emerge quasi mai all’interno della storia, quasi prigioniera dello stereotipo kawaii cucitole addosso.
Un gradino sopra quest’ultima c’è sicuramente la giunonica Sawa, su cui si è riuscito a far vivere un personaggio che in parte riesce a superare il ruolo della bella e procace compagna di classe, che vanta una certa personalità e intraprendenza sostenuta dalla passione per l’equitazione.
Resta in ogni modo una visione al femminile dell’età adolescenziale, poiché ai personaggi maschili viene lasciato solo lo spazio marginale, utilizzati per lo più negli aspetti comici della storia. Per esempio il personaggio di Ween è in pratica costruito ad uso e consumo esclusivo dello humor, risultando proprio per questo caricaturale e poco convincente. Gli adulti, al pari, sono per la maggior parte molto stereotipati e relegati a mere figure di contorno.
Lo scarso utilizzo dei ruoli maschili determina oltretutto la quasi totale assenza di tematiche amorose -cosa questa piuttosto inconsueta quando si tratta di ambientazioni scolastiche- a favore di quelle incentrate sull’amicizia. Il tutto raramente devia da toni allegri e colorati, e quando lo fa, appare piuttosto fuori sintonia col resto, poiché i rari momenti di dramma suonano come forzatamente enfatizzati.
Le scelte registiche sono all’insegna dell’essenzialità; d’altronde Masakazu Hashimoto è alla sua prima grande prova con una serie importante (se si esclude il film Professor Layton and the Eternal Diva) dopo tanta gavetta come realizzatore di storyboards; e sembra chiara la scelta di puntare forte su quello che è il marchio di fabbrica dello studio P.A. Works: l’ottima resa delle animazioni. Queste ultime sono appunto affidate anche questa volta -dopo l’ottima esperienza dell’anno prima con Hanasaku Iroha- a Kanami Sekiguchi. Il chara design rimane nel solco del moe come tutti i recenti lavori dello studio, senza però scadere (come in questi casi succede) nella ricerca del kawaii ad ogni costo.
Ciò che resta ben impresso nella memoria dello spettatore è comunque la splendida resa dei fondali capaci di ritrarre luoghi realmente esistenti con una resa ai limiti del fotorealismo, rendendo Tari Tari un grande spot promozionale al turismo dell’isola di Enoshima e dintorni, nella prefettura di Kanagawa; uno dei luoghi di villeggiatura marina preferiti dagli abitanti di Tokyo per i suoi grandi spazi aperti e i suggestivi scenari naturali.
Una cura maniacale del particolare che, per tutta l’estate in cui la serie è stata trasmessa in Giappone, ha fatto divertire gli otaku che si sono sbizzarriti nella ricerca delle location citate nella serie, fino a scoprire che, non solo i luoghi più conosciuti, ma anche le vie secondarie, gli incroci e i negozi erano stati riprodotti con assoluta fedeltà.
Sul fronte audio forse c’era da aspettarsi qualcosa di più, essendo la musica il presunto motore della vicenda. La canzone che rimane maggiormente impressa “Melody of the Hearth”, lascito spirituale della madre di Wakana alla figlia, e anche quella che viene maggiormente eseguita dal coro dei ragazzi, mentre la OST, adeguandosi ai dettami registici, non travalicherà i confini del motivetto orecchiabile e allegro.
Leggerezza e spensieratezza che ritroviamo anche nella sigla di apertura “Dreamer” (un vero inno a percorrere senza paure il proprio cammino di vita) interpretata da AiRI; mentre quella di chiusura, “Shiokaze no Harmony”, ha la particolarità di essere cantata da un vero coro scolastico, lo Shirahamazaka High School Chorus Club.
Il tentativo è chiaro, quello di creare un climax di affetto e nostalgia per i giorni della giovinezza, e si riscontra anche nella scelta di affidare il doppiaggio a doppiatrici alle prime esperienze importanti e, in buona parte, al di sotto dei 25 anni.
Tari Tari è uno di quei classici titoli slice of life che fanno della semplicità la loro forza, conquistando lo spettatore poco per volta con le atmosfere spensierate e la forza delle immagini di un Giappone da sogno. Un titolo che, pur non esentandosi da evidenti limiti e difetti quali la debolezza di alcuni personaggi e situazioni e la scarsa originalità, risulta comunque godibile allo spettatore in cerca di un intrattenimento leggero e senza il solito esagerato e onnipresente fanservice ecchi.
Graficamente eccellente, con una storia lineare ma non banale.
Emoziona, diverte, e alla fine lascia pure in bocca un sapore agrodolce, per quel sottile senso di impotenza di fronte al destino, che pervade tutta l'opera.
Complimenti Ironic, gran bella recensione!
Sono d'accordo con la recensione nel considerare Wakana il personaggio meglio caratterizzato della serie.Anche Sawa mi è piaciuta.
Abbastanza scolorito il chara di Konatsu.
Molto superficiali i personaggi maschili,praticamente inutili.
Il cambiamento della vicepreside era facilmente intuibile,ma è stato gestito bene con una discreta dose di flashback.
Probabilmente la parte migliore della storia è il legame tra Wakana e la defunta madre,che è stato accompagnato da melodie piuttosto malinconiche,che ho apprezzato.
La grafica dei sfondali in alcuni momenti è eccelsa,con una grande attenzione per i particolari.
Belle ambientazioni.
Riguardo alla grafica dei personaggi,abbastanza semplice ma godibile.
È una storia carina,ma il finale non mi ha trasmesso molto.
*Sono l'unico a cui l'affascinante segretaria del presidente ha ricordato parecchio Misaki-sensei di Another?
In effetti le poche scene che ho visto confermano quello che la recensione scrive e cioè che i luoghi sono rappresentati veramente benissimo!!!
Complimenti Ironic, bella recensione!
PS: è bello vedere cosi tanti dossier in cosi poco tempo
Ringrazio Oberon e Slanzard per essere qui e per i preziosi aiuti e consigli!
Le immagini già mi fanno sognare.
Messo in lista.
Impossibile non confrontarlo con il suo predecessore Hanasaku Iroha, però io sono tra i pochi a ritenere Tari Tari superiore. Il fatto che sia breve lo trovo un pregio e in generale ho trovato i personaggi (Wakana su tutti, come giustamente sottolinea Ironic) e la storia più riusciti.
Sono belli i disegni e i colori, ma la storia fatica a decollare.
Un drammino che porta a termine.
Finiti i drammini, finisce la serie.
Se volete una serie spensierata (davvero), potete vedere Tsuritama, sempre della stessa stagione.
Unica cosa degna di nota: i Condor Queens, un gruppo simil gipsy king con maiale al guinzaglio.
non scherzo.
edit: prima che qualcuno me lo scriva...Tsuritama è della stagione prima. scusate.
Carino sì, è carino, ma le puntate mi lasciavano del tutto indifferente: nè belle nè brutte.
Concordo però nel dire che gli sfondi sono qualcosa di assolutamente magnifico
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