Quando si parla di un adattamento di un videogioco la sensazione è sempre quella di trovarsi davanti al lancio di una moneta. Se è vero che ultimamente le cose sembrano andare per il meglio, il terrore che qualcosa possa andare storto è sempre presente. Con Netflix abbiamo avuto esempi virtuosi come Castlevania e altri più o meno riusciti come Dragon's Dogma ma se c'è una cosa che accomuna tutti i lavori di questo stampo è che per lo meno, ci si prova.
 
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Partiamo proprio dalla serie tratta dal celebre franchise Konami, che ha visto uno dei suoi creatori, Adi Shankar, salire alla ribalta riuscendo in qualche modo a trasporre il cuore dell'opera. Questo nonostante alcuni cambiamenti necessari, visto il cambio di media. Una serie TV infatti non è un videogioco e la gestione dei tempi narrativi cambia drasticamente. Negli action, la parte narrativa funge anche da “pausa” per i giocatori (oltre che da collante) dopo magari decine di minuti in preda alla furiosa adrenalina. E Devil May Cry è forse il principe di questo concetto.

La serie Capcom, nata da una costola di Resident Evil grazie all'estrema fantasia di Hideki Kamiya, è divenuto uno dei franchise più popolari in assoluto, il che significa l'esser trasposto anche in altri lidi. Non mancano infatti manga e novel, oltre a un anime firmato Madhouse, su cui però il pubblico si è un po' diviso. Non è infatti la prima volta che Devil May Cry viene trasposto in serie animata e l'originale purtroppo falliva nel restituire un Dante vicino alla caratterizzazione più famosa, avvicinandosi fin troppo a quello di Devil May Cry 2.

L'irriverenza di Adi Shankar, sulla carta, si sposa bene con quella di Dante ed è un connubio che fortunatamente funziona la maggior parte delle volte.
In un contesto ambientato nella nostra realtà, precisamente negli Stati Uniti, uno strano demone somigliante al Bianconiglio di Alice nel Paese delle Meraviglie è alla ricerca di potentissimi manufatti, al fine di aprire un portale in grado di unire il regno della Terra e quello demoniaco, sigillato da Sparda secoli prima. Uno di questi manufatti è il ciondolo di Dante e per quanto sembri scontata la piega che prenderà il racconto, la serie Netflix riesce a sorprendere.

Questo perché – fortunatamente possiamo dire – la base di partenza per questa trasposizione è il manga prequel di Devil May Cry 3: Dante's Awakening, in cui si esplora il passato del protagonista, di Virgil, del Bianconiglio e soprattutto di Lady. Almeno nelle intezioni. La sua parte di narrativa, infatti, non venne mai conclusa, anche se alcuni elementi è possibile scorgerli grazie al videogioco. Ma nel manga è presente anche un'altra caratteristica importante e ripresa in modo più netto del Devil May Cry di Ninja Theory: i demoni, non sono tutti uguali. Nel regno demoniaco controllato da Mundus, c'è chi soffre e chi è soggiogato dai più forti ed è da questo contesto che l'eroe Sparda inizia la sua ribellione. Non sorprende dunque che nella trasposizione di Netflix si sia dato molto spazio a questo frangente, con demoni costretti a lasciare la propria casa in cerca di un futuro migliore, abbandonando povertà e sofferenza. Vi ricorda qualcosa?
 
Devil May Cry

Se c'è un elemento trattato da Adi Shankar in cui spicca la sua verve è sicuramente quello politico e in questo caso, un'aspra critica agli Stati Uniti già a partire dai primi minuti della serie. Il modo di raccontare e riadattare Devil May Cry seguendo questa linea non è certa cosa nuova, con il già citato capitolo Ninja Theory che faceva un discreto lavoro. In questo caso, per quanto lo stile di critica cerchi di accostarsi a quello del titolo Capcom, è risultata un po' fuori luogo e soprattutto ricca di retorica fine a sé stessa. La visione degli Stati Uniti come "ignoranti guerrafondai" l'abbiamo già da diverso tempo, con la realtà che ha ormai superato di gran lunga la fantasia; e in Devil May Cry risulta quantomeno forzata.

DMC Devil May Cry riusciva a criticare i sistemi globali di informazione, la sessualizzazione, junk food con un po' più di delicatezza, in un'opera che sì, vede due fratelli azzuffarsi mentre si uccidono demoni ma c'è spazio anche per andare oltre, con una narrazione a strati che qui è quasi del tutto assente. È tutto marcatamente manifesto, e qualora il messaggio non fosse chiaro, basta mettere American Idiot dei Green Day in una scena e il gioco è fatto. Ma tralasciando questa deriva, che può interessare lo spettatore sino a un certo punto, molto minutaggio è riservato a Lady, una delle storiche compagne d'armi di Dante assieme a Trish, ma sempre un po' sacrificata nel minutaggio. Del resto, l'irresistibile spadaccino è il protagonista assoluto dell'opera in quanto videogioco ma in una serie TV le cose devono per forza di cose cambiare.

Lady ha parecchio spazio, diventando quasi la protagonista reale della serie. Ha persino un'intera puntata a lei dedicata (in dicotomia con un altro personaggio) in cui viene esplorato il suo percorso, il suo background e motivazioni. Si da per scontato insomma, che di Dante si sappia già tutto e per quanto qualche frammento del suo passato venga sparso qua e là, si percepisce una certa sproporzione di attenzione. Chi vuole vedere otto episodi in cui Dante taglia a fette qualsiasi demone si interponga tra lui e il suo obiettivo rimarrà deluso ma non è di certo un male. Sì è cercato di concludere quello che il manga non è riuscito a fare e questo vale soprattutto per il Bianconiglio, che tanti dubbi aveva suscitato alla sua prima apparizione nei trailer. Doppiato egregiamente da Massimo Lodolo nella versione italiana, questo personaggio risulta sin da subito carismatico, con motivazioni precise più o meno condivisibili e una gestione che prosegue molto bene per quasi tutta la durata della serie. La parte finale infatti è forse quella meno riuscita, con una conclusione meno epica di quanto ci si aspettasse e una resa dei conti che avrebbe meritato ben più attenzione.
 
Devil May Cry

Narrativamente, insomma, si è cercato di fare le cose in grande, forse con un leggero squilibrio di minutaggio in sfavore di Dante. Si è comunque stati capaci di restituire personaggi godibili e una buona sequenza di vicende che riescono a intrattenere e interessare lo spettatore. Ma non abbiamo parlato di Dante però. L'uomo copertina di Devil May Cry è ancora “alle prime armi”. Sono molti gli elementi del suo passato e della sua natura che non conosce ma non per questo la sua carica di ironia e sfacciataggine viene meno. Il Dante della serie Madhouse è un lontano ricordo, con quello della nuova serie Netflix che ricalca in pieno quanto visto negli episodi videoludici, soprattutto il terzo. La sua caratterizzazione è stratificata, forse un po' sovraesposta in certi frangenti ma funzionale per il tipo di opera. Strappa anche diverse risate ma il suo ruolo, soprattutto, è quello di esaltare lo spettatore durante i combattimenti, alcuni davvero di pregevole fattura.

Mettendo assieme peculiarità dell'animazione giapponese e statunitense, Devil May Cry è un mix abbastanza riuscito, seppur con qualche limite nella resa del 3D. Lo studio coreano Mir, abituato ormai da diverso tempo a lavorare con questo mix, riesce a restituire allo schermo scene di ampio impatto, con colori molto accesi e un'illuminazione in grado di esaltarli, come il rosso vivo del cappotto di Dante. Questo in realtà si scontra, per così dire, all'estetica degli ultimi videogiochi, in cui si è cercato un certo realismo di fondo, con colori desaturati e filtri freddi. Qui tutto il contrario, quasi a indicare il tono completamente diverso dell'opera, non solo dal punto di vista visivo. Tutto deve spiccare, urlare la propria presenza e tenere incollato lo spettatore lì dove non c'è del gameplay a supportarlo. Si tiene alta e viva l'attenzione anche in questo modo, con animazioni abbastanza fluide, soprattutto nei già citati combattimenti.
 
Devil May Cry

L'utilizzo del cel-shading nei modelli 3D funziona molto bene e spesso si fa fatica a distinguere alcuni elementi dello scenario da quelli puramente animati. Meno bene quando riguarda i personaggi, soprattutto per diversi villain provenienti dalla saga Capcom. Qui si nota una certa poco “eleganza” nelle movenze dei personaggi, quasi mancassero dei frame in grado di legare al meglio le varie animazioni. Nulla di particolarmente grave, ma certi primi piani non aiutano. La coreografia generale però è di alto livello e si nota davvero come il regista sia un fan della serie. Si strizza l'occhio a diversi momenti iconici, esaltando le qualità acrobatiche di Dante e Lady e la potenza dei loro colpi. Ma c'è attenzione anche per altro: l'episodio 6 vanta tecniche di animazione completamente diverse e uno spirito di fondo che si discosta molto da quanto visto in precedenza. Non diciamo altro per non rovinarvi la sorpresa.

E veniamo al componimento sonoro, una leva di ampia portata per quasi tutte le scene della serie. Non è un segreto che Devil May Cry abbia una colonna sonora saldamente ancorata tra la fine degli anni '90 e gli inizi degli anni 2000, a cominciare dalla opening (di ottima fattura) strettamente legata alle poderose note di Rollin' (Air Raid Vehicle) dei Limp Bizkit. Ma fanno la loro apparizione anche Green Day e Papa Roach, oltre a diversi brani inediti come l'ormai celebre Afterlife degli Evanescence (qui una loro intervista). Non mancano nemmeno vecchie conoscenze videoludiche riarrangiate per l'occasione, come Devils Never Cry direttamente da Devil May Cry 3 e due brani della super colonna sonora di Devil May Cry 5 come Devil Trigger e soprattutto Bury the Light di Casey Edwards. La colonna sonora dunque presenta un bel mix di originale e non, amalgamato quasi alla perfezione.
 
Devil May Cry è una serie promossa e buona base per un'eventuale seconda stagione. Lo stile adottato si sposa molto bene con le vicende di Dante, anche se un po' sacrificato nel minutaggio globale. L'approfondimento di Lady e il Bianconiglio però non stonano e anzi regalano spessore a personaggi spesso trascurati, soprattutto per il secondo, praticamente sconosciuto ai più. Sembra una nuova alba per l'animazione legata al mondo videoludico e si spera vivamente che si continui su questa strada, magari mettendo ancor più focus sull'opera in sé.