COMITIA

Ho organizzato, insieme ad una coppia di compagni di classe spagnoli interessati al disegno, una gita a Tokyo per assistere al Comitia, la fiera dei fumetti autoprodotti che si tiene più volte l’anno in diverse città giapponesi.
Non conoscevo questa fiera, non sono particolarmente interessato ai fumetti autoprodotti ed ero rimasto un po’ deluso dalle altre fiere che avevo visto, quindi ero partito un po’ prevenuto, ma invece si è rivelata un’esperienza decisamente degna di nota, che mi ha regalato tutto ciò che a me piace delle fiere e che mi ha fatto grande piacere ritrovare, non avendo trovato nulla di simile al Comiket o al Tokyo Game Show.
Il nostro viaggio è durato un paio di giorni, il primo di essi dedicato ad assistere ad un evento di firma copie del maestro Gengoroh Tagame tenutosi in una libreria di Shinjuku per celebrare l’uscita del terzo volume del suo Otouto no Otto. “Il tuo giapponese è migliorato rispetto a quando ci siamo visti per la Golden Week” mi han detto il maestro e i suoi editor. Sarà…
Coronamento di questo primo giorno è stata un’ottima cena in un ristorante di hamburger tipici hawaiiani in uno dei millemila centri commerciali vicino la stazione di Tokyo. I giapponesi adorano i ristoranti hawaiiani, ce ne sono a migliaia sparsi un po’ ovunque, fanno tutti degli hamburger buonissimi e sono decorati con un’atmosfera splendidamente esotica.
Abbiamo infine dedicato il secondo giorno al Comitia e ad un pittoresco giro a Ginza prima di prendere lo Shinkansen che ci avrebbe riportato nella prefettura di Aichi, un giro che ho affrontato con gli occhi sbrilluccicosi e un po’ tristi, perché Tokyo mi risulta ogni volta bellissima e mi spiace di poterla vedere solo per pochi giorni alla volta.

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Il luogo dove si è tenuta l’edizione del Comitia di Tokyo era lo stesso del Comiket, il Tokyo Big Sight, un famoso complesso fieristico di Odaiba (recentemente teatro di cruente battaglie e rivelazioni shock nei film della serie Digimon Adventure Tri).
“Non ci sono cosplay o doujinshi dedicate a serie famose: solo fumetti autoprodotti originali. Compriamo il catalogo della fiera, che vale come biglietto, ed entriamo” mi dicono i miei amici. Ok.
Ci infiliamo in mezzo alla folla che attende l’apertura della fiera e già una prima cosa ci insospettisce: io e il mio amico spagnolo siamo gli unici maschi presenti. Una rapida occhiata al catalogo ci fa notare che non solo c’è un’area cosplay, ma vendono anche un sacco di doujinshi dedicate a titoli famosi (Kuroko no basket, Haikyuu, Jojo) e la maggior parte di esse sono BL!
C’è decisamente qualcosa che non quadra, ci diciamo. Andiamo dunque a parlare con lo staff della fiera e a chiedere informazioni. “Oh, questo non è il Comitia. E’ la fiera delle doujinshi BL! Il Comitia è nel padiglione accanto!”.
Ora, siccome il Giappone è un paese dove la gente non è umana ed è capace di una gentilezza indescrivibile a parole, lo staff della fiera ci ha permesso di ridare indietro il catalogo delle doujinshi BL, ci ha ridato indietro i soldi e abbiamo potuto comprare con essi il catalogo-biglietto del Comitia.
Visto da fuori, il Comitia assomiglia un po’ al Comiket, visto che il luogo è lo stesso e più o meno anche la disposizione dei banchetti. Ma, laddove al Comiket sei impossibilitato a muoverti perché assaltato da orde di otaku che fanno la fila per comprare doujinshi di Love Live, al Comitia, nonostante la folla, lo spazio vitale c’è, ed è piacevolmente possibile chiacchierare con gli autori, farsi spiegare come hanno avuto l’idea per i loro fumetti e scambiarsi consigli. I fumetti autoprodotti del Comitia non sono poi così diversi da quelli che possiamo trovare nelle nostre fiere: raccolte di vignette comiche sulla mitologia greca, storie demenziali di omaccioni vestiti da maid o da majokko, storie ispirate ai robottoni classici che vanno avanti dagli anni Ottanta, biografie a fumetti dei personaggi della storia russa, storie d’amore tra i banchi di scuola, del Giappone ai suoi primi contatti col Cristianesimo, di stranieri in Giappone, di wrestler e lottatori di sumo e chi più ne ha più ne metta.

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Il Comitia quel giorno divideva lo spazio con la Fiera dei fumettisti stranieri, cosa che ha creato un’atmosfera bellissima: persone di tutte le nazionalità, insieme nello stesso luogo, unite dall’amore per il fumetto, che potevano incontrarsi, chiacchierare, stringere amicizia, assistere a conferenze sul tema, scambiarsi biglietti da visita e fumetti.
Non mancavano gli ospiti famosi provenienti da ogni parte del mondo: Nao Yazawa, l’autrice di Wedding Peach che adesso lavora come insegnante in una scuola di manga a Tokyo e realizza fumetti autoprodotti (l’ho beccata per caso e, da fan di Wedding Peach, ci ho rimediato una bella chiacchierata, un autografo con dedica e la raccolta completa dei suoi fumetti vecchi e nuovi), Akira Himekawa, disegnatrice dei manga della serie di The legend of Zelda e persino Genzoman, il famosissimo illustratore sudamericano che attualmente lavora per la Capcom (sicuramente avrete visto su Deviantart o affini i suoi celeberrimi Manly Link e Manly Cloud). Un paio di curiosi aneddoti sono legati a quest’ultimo artista: un suo collaboratore mi chiama mentre guardo incuriosito al banco, incuriosito dalle scritte in spagnolo sui fumetti, e mi fa “Guarda, lui è Genzoman! Lavora per la Capcom! Puoi farti disegnare il tuo personaggio preferito di Street Fighter!”.
Casualità volle che quel giorno indossavo proprio una maglietta di Street Fighter raffigurante il mio personaggio preferito, quindi non ho nemmeno dovuto faticare troppo per spiegargli chi fosse e adesso sono il fortunato possessore di un Zangief autografato by Genzoman!
Mentre aspettavo il turno per il disegno, ho casualmente origliato il discorso della ragazza in fila prima di me, che diceva di essere italiana. Con un inatteso slancio di coraggio, mi sono presentato e, una cosa tira l’altra, siamo riusciti a fare amicizia con una ragazza italiana che vive a Tokyo e lavora come animatrice.
Si dice spesso che il mondo è piccolo, ma lo è davvero così tanto?
Il Comitia sarà forse una fiera meno interessante per le masse, soprattutto per chi magari non si interessa più di tanto al fumetto e vuole solo fare shopping otaku, ma personalmente trovo che sia stata la fiera più stimolante a cui ho partecipato, avendovi trovato quel senso di familiarità e calore che amo delle fiere italiane e che è un po’ assente in quelle giapponesi.

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NOME COMPLETO

Un aneddoto divertente dal viaggio per il Comitia. Io e i due amici spagnoli sullo Shinkansen da Toyohashi a Tokyo. D’un tratto il treno si riempie di accesi discorsi in italiano, e non è colpa mia, bensì di una grande famiglia allargata di turisti italiani che occupava i posti vicini all’uscita, lontani dai nostri.
La mia amica spagnola si alza per andare alla toilette e passa accanto al gruppo di italiani, che, notando i suoi lineamenti occidentali, le chiede “Sei italiana?”. Lei, che non sa l’italiano, risponde “No. Española”.
Vedendo da lontano che la conversazione stava continuando, mi alzo e la raggiungo. “El es italiano!” dice lei al gruppo, che da quel momento in poi si dimentica completamente della sua esistenza per concentrarsi su di me.
“Sei italiano?”
“Perché vai a Tokyo?”
“Perché sei in Giappone?”
“Vivi in Giappone?”
“Dove hai studiato giapponese?”
“Dove vivi?”
“Come ti chiami?”
“No, il tuo nome completo!”
“Hai qualche consiglio su cose da vedere a Tokyo?”
“Cosa fai stasera?”
“Ci dai il tuo numero di telefono, così se abbiamo qualche problema a Tokyo possiamo chiamare te?”
“Noi dobbiamo andare qui, come ci si arriva?”
e varie ed eventuali domande sempre più insistenti, assurde ed indiscrete.
Scesi tutti alla stazione di Tokyo, mi sono limitato a indicare loro la linea della metropolitana che gli serviva, ignorando le loro domande, e ci siamo così separati.
I miei amici spagnoli ancora ricordano questo fatto a distanza di mesi e ci ridono, soprattutto pensando alla parola che più di tutte gli è rimasta impressa di quell’assurda conversazione: nome completo.

IZAKAYA

Una sera, una mia vecchia amica dell’università in vacanza in Giappone è venuta a trovarmi a Okazaki. Volendo farle provare qualcosa di pittoresco per cena, sono entrato assolutamente per caso in un izakaya, uno di quei tipici “pub” giapponesi frequentati dai salaryman dopo il lavoro. Questo locale è vicino alla mia scuola e ci passo davanti ogni giorno, per cui mi aveva incuriosito, e l’ho scelto abbastanza per caso, attratto dalla musica che proveniva dall’interno, ma a posteriori devo ammettere che è stata una scelta decisamente azzeccata.
il locale è piccolino e molto intimo, gestito da una coppia di marito e moglie di mezza età. Essendo un lunedì sera, era praticamente vuoto, quindi ci siamo sistemati quasi subito e abbiamo fatto subito la conoscenza di quella che è la cosa che amo di più di questo posto: l’estrema affabilità e cordialità dei gestori, che ti trattano come uno di casa e si mettono a chiacchierare con te del più e del meno, mettendoti subito a tuo agio anche se hai problemi con la lingua. Fatte le nostre ordinazioni, arriva il male: il gestore ti posa sul tavolo un microfono e il tablet con la tracklist del karaoke DAM. “Prego, cantate pure (a 200 yen a canzone, scoprirò poi)!”. Fu così che, in brevissimo tempo, anche i gestori dell’izakaya hanno fatto la conoscenza di uno straniero pelato che ama cantare le canzoni degli anime e che ormai da diversi mesi turba la tranquillità dei karaoke di Okazaki.
Tra la mia amica che canta in un gruppo quindi non si fa intimidire dal karaoke giapponese e il sottoscritto che ha esordito cantando “Pegasus Fantasy” e ha subito attirato l’attenzione di altri clienti che han messo su “Butterfly” e “Ai wo torimodose” per fargliele cantare, quella sera è stata spassosissima. Il karaoke dell’izakaya ha un sistema a punti e se fai più di un tot puoi vincere birre, snack, aggeggi per la casa o biglietti per cantare gratis, o pagare pegno e infilare 100 yen in una scatoletta a forma di Kumamon per ottenere in cambio altri biglietti. Inutile dire che noi abbiamo sbancato!
Alla fine della serata, il gestore si è offerto di accompagnare la mia amica in stazione e me a casa in macchina.

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Dopo quella serata, complice anche il fatto che alcuni compagni di scuola sono dei clienti abituali del locale, mi è capitato di andarci parecchie volte.
La clientela media è composta da uomini di 40+ anni che fumano come turchi, bevono come tedeschi, ti danno a parlare del più e del meno in completa confidenza e cantano ininterrottamente tristissime e stonatissime canzoni enka che parlano d’amore, di città, di rimpianti e di respiri color pesca.
In qualche modo, però, questa atmosfera mi affascina e mi piace tantissimo attaccare bottone con i clienti, con cui riesci a fare sempre conversazioni interessanti. Una volta, ho fatto l’errore di andarci con indosso una maglietta della New Japan Pro Wrestling e ho beccato un super-fan del wrestling di mezza età che si è esaltato dicendomi che somigliavo a Michael Elgin (lottatore straniero attualmente nel roster della New Japan)! Un'altra volta abbiamo conosciuto il nipote dei gestori, che lavora per un’azienda di automobili, è un super-fan di Initial D e della musica eurobeat. Da lui abbiamo rimediato una gita in macchina da Okazaki a Gunma, tutta con Arashi e Dave Rodgers sparati dall’autoradio a palla (ma di questo ne riparleremo…). Un'altra volta un cliente, sentendo che io ero italiano, ha esordito con "Ho letto su una rivista che in Italia Grendizer è popolarissimo, vero?" e da qui via tutta la sera a parlare di anime anni '70.
Con gestori (“Master”, come quello di Orange Road, e “Mama”) e clienti si è creato un bel rapporto e il gestore si offre sempre di sua spontanea volontà di riaccompagnare a casa in macchina tutti i clienti alla fine della serata. Ovviamente, quando capita a me, riesco a generare discorsi sul wrestling anche con lui, dato che lui casualmente ti proietta nel televisorino della macchina interviste a Stan Hansen!

NAGOYA MON AMOUR

A soli 600 yen e mezz’ora di treno dalla mia Okazaki, c’è Nagoya, la città più grande e importante della prefettura di Aichi. Ho imparato ad andarci con facilità e dunque mi capita di andarci praticamente ogni finesettimana, visto che Okazaki mi ha già dato tutto quello che poteva offrirmi e Nagoya è ottima anche per girare e divertirsi da soli. L’atmosfera è simile a quella di Tokyo, molto moderna e affollata, ma in scala più piccola e più vivibile. Io mi reco sempre in un quadrato magico compreso tra le stazioni della metropolitana di Sakae, Yabacho, Osu e Kamimaezu, che riescono ad offrire in maniera perfetta tutta l’esperienza di una “Tokyo in piccolo”.

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Sakae è la zona commerciale, ricchissima di negozi di lusso e di moda straniera (Zara, Gucci, Louis Vuitton…) e di centri commerciali giganteschi tutti uno accanto all’altro. Questa è una cosa che si trova un po’ dappertutto nelle grandi città del Giappone e che già nella stessa Nagoya si può vedere nella zona attorno alla stazione, ma che Sakae rappresenta in maniera perfetta. Basta uscire dalla metropolitana e ritrovarsi nella piazza della Nagoya TV Tower (la “Torre di Tokyo” di Nagoya, al cui interno organizzano eventi e illuminazioni particolari come nella sua gemella più famosa) per rendersi conto di essere circondati da centri commerciali enormi e negozi in ogni dove. Matsuzakaya, che vende di tutto e ha anche un Pokemon Center e uno spazio mostre dove vengono spesso organizzate esposizioni a tema anime; Parco, dove ci sono Animate e Tower Records e che ospita spesso e volentieri mostre e caffè a tema anime; Oasis21, centro commerciale sotterraneo che ospita il negozio di Shounen Jump, uno a tema Lego e uno a tema Studio Ghibli; Central Park; centro commerciale sotterraneo dedicato a vestiario e cosmetici; Tsutaya, un bar e un negozio dedicati alle SKE48, il gruppo idol del quartiere; uno Starbucks ogni volta che giri lo sguardo; il negozio di cianfrusaglie Tokkyu Hands; una Gold’s Gym; un gigantesco Book Off che vende nerdate usate di ogni tipo; pizzerie italiane e ristoranti di hamburger hawaiiani e americani; un Village Vanguard con le sue cianfrusaglie kawaii che è impossibile non adorare e chi più ne ha più ne metta. Se già non basta, a stupire, la grandezza di questi centri commerciali giganteschi che si estendono addirittura su più grattacieli collegati tra loro da corridoi sospesi, ci si mettono anche gli eventi che vivacizzano la città ogni finesettimana: concerti di idol emergenti nei parchi, con tanto di pubblico esaltatissimo di quarantenni che smettono i panni eleganti dei salaryman per urlare a squarciagola davanti a ragazzine che hanno la metà dei loro anni; eventi di cosplay nel parco sotto la TV Tower e così via.

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Yabacho è la diretta continuazione di Sakae, dove i grandi negozi di moda sfumano via via in qualcosa di più folcloristico e “otaku”. Caratteristica del quartiere è lo Yabaton, il tipico katsudon di Nagoya, che è possibile assaporare in un negozio il cui logo è un maiale lottatore di sumo. Yabacho è la zona dei grandi parchi, dove la gente si riunisce la domenica mattina per provare esibizioni di ballo (se avete visto Tribe Cool Crew, siamo lì) o assistere a concerti di idol emergenti. Parchi che sotto Natale vengono addobbati di mille luci, in maniera simile a quanto accade da noi a Salerno, creando un perfetto giardino romantico per gli innamorati.
Ma è anche la zona di negozi più particolari, come una palestra di arti marziali con negozio annesso che ha tutto quel che serve per far la gioia degli appassionati di karate, bodybuilding e wrestling.
A Yabacho c’è anche Siculamente, un particolarissimo… ristorante siciliano, il cui cuoco ha vissuto e studiato cucina in Sicilia e si è aperto questo locale piccolissimo ma sempre affollatissimo al punto che se vuoi avere l’onore di entrarci devi prenotare giorni prima. Non ho ancora avuto l’occasione di mangiarci, essendo sempre pieno, ma ho avuto modo di parlare con lo staff e mi hanno consigliato di tornarci assolutamente per parlare in italiano col gestore!

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Poco più in là, Yabacho sfuma nella zona di Akamondoori, che è la “Akihabara” di Nagoya. I negozi, infatti, sono più o meno gli stessi, e anche la merce che è possibile trovarci: figures, cd, videogiochi, retrogaming. Tra i negozi più interessanti: Goodsmile, negozio di elettronica con un grosso reparto dedicato alle figures; Jungle, negozio di figures a due piani che ti accoglie sempre con gigantesche statue di Mazinga e Devilman all’ingresso, un Kinnikuman appollaiato alle scale e una compilation fighissima di anison vecchie e nuove alla radio in sottofondo; Gee Store, gigantesco negozio otaku che ha una libreria di manga al primo piano, un negozio di videogiochi al secondo e poi salendo si va a finire in un maid café, in un’arena di paintball, in un negozio della Cospa specializzato in cosplay e gadget a tema anime, giochi, retrogame e New Japan Pro Wrestling; il negozio di retrogames Super Potato; un Mandarake (negozio vintage di manga, giocattoli, home video, videogiochi e tutto quello che potete pensare riguardo al mondo “otaku”); un bar a tema One Piece (il gestore mi ha fatto entrare per scattare qualche foto in orario di chiusura ma non ho ancora avuto modo di entrarci per prendere qualcosa e vederlo per bene). E poi il mio preferito: un negozio infognatissimo dietro Mandarake, che a momenti manco vedi perché ha un’insegna assolutamente anonima, ma se ci entri trovi il Paradiso, fra carte dei giocatori di baseball e soprattutto la sua merce “otaku” tutta dedicata ai gadgets dei telefilm tokusatsu, delle Pretty Cure e degli shoujo anni ’90, con in testa un vastissimo merchandise di Sailor Moon.

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A due passi da Akamondoori c’è il quartiere commerciale di Osu, uno dei cosiddetti “shoutengai” giapponesi dove c’è veramente di tutto: vestiti, accessori, cibarie, sale giochi, maid café, manga café, negozi di alimentari, giocattoli, pelletterie, elettronica, figures, videogiochi, strumenti musicali, un’infinità di ristoranti e bar di ogni etnia, persino un paio di templi. E poi lui, il mio preferito, l’imboscatissimo negozio di giocattoli vintage che a momenti manco vedi ma devi assolutamente entrarci perché è un’esperienza che non puoi non fare. Come resistere al piacere di conoscere un vecchietto arzillo e sorridente che, circondato da giocattoli degli anni settanta, ti intrattiene in conversazioni sugli argomenti più svariati e conclude il tutto con “Ci sono un sacco di stranieri che vengono nel mio negozio perché collezionano vecchi giocattoli. Ma io penso che, piuttosto che i vecchi giocattoli, sia meglio collezionare le oneesan (*inserire gesto con il mignolo che indica le fidanzate nella gestualità giapponese*)!”?

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Uscendo dal quartiere commerciale di Osu, si sbuca subito nell’ultima tappa del nostro giro: Kamimaezu, un quartiere modesto e tranquillissimo che spicca meno rispetto agli altri, ma che è decisamente interessante per chi sa il giapponese e colleziona anticaglie. Infatti, se Akamondoori era Akihabara, Kamimaezu è Jinbocho, il quartiere di Tokyo popolato quasi esclusivamente da librerie dell’usato. Kamimaezu è esattamente così, c’è una libreria ogni volta che giri lo sguardo, e se ci entri sei circondato da riviste, libri e vecchi manga, qualche volta anche poster di vecchi film, palle da baseball autografate, vinili e vecchi giocattoli, in un viaggio indietro nel tempo fino all’epoca Showa davvero irresistibile. Per chi, come me, è sempre alla ricerca di vecchi manga o di vecchie pubblicazioni sul wrestling, Kamimaezu è davvero un paradiso. E pensare che l’ho scoperto per puro caso cercando su Booking un hotel da prenotare a Nagoya, trovando un ryokan davvero delizioso dove mi fermo spesso anche solo per chiacchierare col simpaticissimo portiere.

COMIKET – ANNO 2

Dopo la non proprio esaltante esperienza dell’anno scorso (già raccontata qui), ho voluto dare un’altra chance al Comiket estivo, complice il fatto che mi trovavo a Tokyo proprio in un giorno favorevole grazie alle vacanze estive della scuola.
Quest’anno sono andato da solo e, memore dell’anno scorso, non sono proprio entrato negli spazi interni, restando solo fuori nelle aree relative al cosplay. Anche stando fuori, ho comunque trovato una folla sovrumana (di molto superiore ai visitatori del Comitia, il posto è lo stesso ma l’atmosfera cambia completamente) e ho faticato un po’ per muovermi e raggiungere i posti.
Devo purtroppo riconfermare la mia cattiva impressione generale nei confronti dei cosplayer giapponesi e del mondo che gira attorno al cosplay alle fiere giapponesi. L’impressione che mi è arrivata è che la maggioranza dei cosplayer giapponesi, soprattutto le cosplayer donne, sembra che si vestano solo per mettersi in posa e farsi fotografare, complice anche il fatto che devono stare in luoghi appositi e non possono partecipare attivamente alla vita della fiera all’interno. Non mi piace il fatto che, nella maggior parte dei casi, tu debba fare una fila infinita aspettando che i fotografi (tutti rigorosamente interessati solo alle cosplayer, anche quando queste sono delle normalissime ragazzine in divisa scolastica come ne puoi trovare mille per strada) finiscano il loro servizio fotografico, e vieni pure sgridato se, non essendo interessato a farti minuti di fila, provi a fare una foto da lontano.

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Fortunatamente, qualche eccezione ogni tanto c’è e trovi l’occasione di attaccare bottone e intrattenere un discorso con qualche cosplayer (maschio, nella maggior parte dei casi, perché le ragazze sono troppo dive per abbassarsi a parlare con te), come un simpaticissimo cosplayer di Fukuwara Mask (da Tiger Mask W), che mi ha chiesto, stupito, se sapessi chi era il suo personaggio e ha fatto i salti di gioia quando gli ho detto di sì.
La cosa più bella di questo Comiket, però, è stata il fatto che sia riuscito ad incontrare Taichi Shimizu, un celebre bodybuilder, attore e cosplayer di cui avrete sicuramente sentito parlare in giro per la rete e di cui sono un fan. Dopo averci parlato su Facebook, sono stato felicissimo di poterlo incontrare di persona, nel suo costume da maestro Muten di Dragon Ball che era fighissimo!
Peccato che, essendo un personaggio abbastanza famoso, non sia riuscito a chiacchierarci un po’ di più per via dell’immensa folla che voleva fotografarlo, ma mi riservo l’occasione per il futuro, chissà.

YUKE, YUKE, TIGER MASK!!

E' cominciato tutto per caso, guardando nella bacheca eventi della mia scuola l'avviso dell'imminente gara di karaoke scolastica, organizzata come il Kouhaku Uta Gassen di Capodanno, con squadra rossa e squadra bianca a sfidarsi.
Data la mia ormai assodata assuefazione al karaoke (che mi creerà irrecuperabili crisi d'astinenza quando tornerò in Italia), ovviamente mi sono fiondato a segnare la mia partecipazione."Dimmi il brano che vuoi cantare!" mi ha chiesto il responsabile dell'evento. Cosa cantare? "Moonlight Densetsu?" "Pegasus Fantasy?". Ma poi, leggendo nella descrizione dell'evento "E' possibile anche mettersi costumi", ho deciso di dare il colpo di grazia alla mia reputazione (in ogni caso già compromessa dai diversi eventi imbarazzanti a cui ho partecipato nel corso della mia vita in Giappone) e, baldanzoso, ho scritto nell'elenco delle canzoni "Yuke! Tiger Mask", tra l'altro sbagliando pure i katakana di "Tiger" per la fretta.

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Fu così che, il giorno dell'evento, l'ultimo componente della squadra bianca nella lista dei partecipanti si è rivelato essere un italiano presentatosi con una maglietta di Tiger Mask W e una maschera da Tiger Mask (made in Tokkyu Hands, una catena di negozi che vende di tutto un po'), che si è messo a cantare una canzone degli anni sessanta riscuotendo anche una certa approvazione da parte del pubblico. Purtroppo, la nostra squadra bianca ha perso di pochi punti, nonostante la presenza della preside e di membri dello staff decisamente bravi fra i membri, ma è stata ugualmente un'esperienza divertentissima. Ma questo è solo l'inizio...

Il filmato della mia esibizione ha cominciato a girare attraverso la pagina Facebook della scuola ed è arrivato agli occhi di una coppia di amici giapponesi che si sarebbero sposati a breve e avevano invitato me e altri compagni di scuola alla festa di matrimonio. "Alla festa ci sarà il karaoke e voi dovete partecipare! Kotaro canterà la sigla dell'Uomo Tigre facendo mosse di wrestling e voi gli farete il coro! E' deciso! Noi siamo gli sposi e decidiamo noi!"
E così mi sono ritrovato a cantare, in un elegante completo di giacca e cravatta, davanti ad una platea di ojisan che si sono subito fomentatissimi nel sentire un italiano che cantava una canzone della loro giovinezza e non mi hanno mollato per tutta la sera "Taigaa, quanti anni hai?" "Taigaa, da dove vieni?" "Taigaa, ti piacciono gli anime?".
Dopo la festa, io e i miei compagni siamo andati al karaoke e qualche invitato della festa di mezza età che ha casualmente fatto con noi il viaggio di ritorno si è unito, continuando la sequela di "Taigaa, ma questa ("Omoide ga ippai" degli H2O, la sigla finale di Miyuki) è una canzone di quando io ero giovane, come fai a conoscerla?" "Taigaa, conosci pure questa (la sigla iniziale di Chouriki Sentai Ohranger)? Perché?" ("Perché l'ho visto") "No, dai, Taigaa, conosci persino questa ("Sora he" di Nobuaki Kakuda, dal pachinko di Hana no Keiji)?". Mi è recentemente stato detto da un amico giapponese che i miei pregi sono "essere un esperto di sottoculture e riuscire a comprendere il cuore degli ojisan"... considerando queste cose, mi sa che ho trovato il mio lavoro dei sogni: badante degli ojisan giapponesi che intratterrò con canzoni e discorsi relativi a anime, musica e wrestling dell'era Showa, ahahah!

Sono poi andato al festival scolastico di un'amica che studia in una scuola di specializzazione per mangaka, al grido di "Ho parlato di te al mio professore, che ha incontrato Mitsuru Adachi, e vuole conoscerti!".
Immancabile anche al festival della scuola per mangaka l'esibizione di karaoke degli studenti, con preside e professori che speranzosi han detto "Speriamo che qualcuno faccia qualche canzone nostalgica dell'era Showa", ma l'età media degli studenti è vent'anni circa e quindi han cantato solo sigle anime e ballad recenti e canzoni dei Linkin Park (in un inglese un po' così così). Mentre ero esaltato e concentratissimo a seguire l'esibizione di una ragazza che ha cantato "Let's Go! Smile Pretty Cure", la mia amica e il suddetto professore arrivano e mi fanno "Preparati, appena finiscono tutti gli studenti ti facciamo salire sul palco a cantare la sigla dell'Uomo Tigre!".
Ci è voluto un italiano imbucato, ma preside e professori (soprattutto il presentatore del karaoke, che indossava una maschera di Rey Mysterio) hanno avuto il loro atteso nostalgico momento dell'era Showa. E io ho imparato una grande lezione: quando vai in Giappone, gira sempre con una maschera dell'Uomo Tigre nello zaino, che non si sa mai...
La cosa più bella e toccante di tutta questa stramba storia è che, l'ultima volta che sono andato al karaoke con i miei compagni di scuola, si sono tutti uniti a me a cantare quella sigla, "perché ormai l'abbiamo imparata grazie a te"...