Spulciando tra saggi, interviste e articoli, sempre in cerca del nuovo approfondimento da scrivere, diventa abbastanza comune imbattersi in numerosi aneddoti dietro le quinte su questo o quell'anime, personaggio o studio di produzione. Piccole curiosità, non tali da realizzarne articoli dedicati, ma abbastanza interessanti da volerli diffondere agli interessati.
In questa rubrica andremo quindi a raccogliere alcuni di questi aneddoti e curiosità.
Tra gli aspetti più particolari del classico degli anni '70 Ryu il ragazzo primitivo (Genshi shonen Ryu, noto in Italia come Ryu, il ragazzo delle caverne) vi sono sicuramente i fondali con cui venne rappresentata l'ambientazione preistorica dell'opera. Veri e propri quadri dipinti dal direttore artistico Mataji Urata, furono realizzati grazie all'utilizzo del cosiddetto coltello da pittore, tecnica che ha permesso la particolare distribuzione del colore di tali sfondi.
Fonte consultata:
Ryu the Stone Age Boy (The Anime Encyclopedia, 3rd Revised Edition: A Century of Japanese Animation)
Minami: All'epoca ero un produttore Sunrise, e da tempo collaboravamo con Bandai per realizzare titoli finalizzati alla vendita di giocattoli. Bandai voleva qualcosa di nuovo e nuovi modellini da vendere, per cui ci chiese di realizzare una serie che contenesse delle astronavi. Fu allora che telefonai a Watanabe e chiesi: “Quindi, quand'è che pensi di tornare al lavoro?”
Watanabe: Keiko, lo sapevi che l'unico obiettivo del progetto era vendere giocattoli? Perchè quando ti contattai per occuparti della composizione della serie omisi deliberatamente quel dettaglio. La direttiva che ricevemmo da Bandai fu che la serie avesse astronavi, senza alcuna linea guida per quanto riguarda l'aspetto narrativo, per cui volevo che ti concentrassi solamente sulle tue idee. Il nostro vero obiettivo fu creare una grande serie senza preoccuparci troppo delle richieste di Bandai. Quando tornammo da loro con una bozza del nostro progetto chiesero cosa ne fosse stato dei loro giocattoli, per poi tirarsi indietro. Fortunatamente Bandai Visual, la loro divisione di produzione e distribuzione video, si fece avanti salvando la situazione.
Minami: Ma i problemi continuarono anche dopo. Nessuna TV voleva trasmettere la serie per il fatto che il primo episodio era tutto “sesso, droga e violenza”. Tentai di convincerli che quella non era droga ma una sostanza per aumentare la potenza come quelle che compaiono in Cyborg 009.
Watanabe: Il primissimo nome che usammo per la serie fu “Nagareboshi Bebop” (Stella cadente Bebop). A causa di problemi di diritti dovemmo rinunciare al “Nagareboshi”, ma decidemmo di tenere il “Bebop”.
Minami: In quel momento suggerii “Beboppo” e “Viva Viva Bebop”.
Watanabe: Poi ci venne in mente “Swing the Bebop”, per il fatto che Bebop era una potente astronave che poteva muoversi a piacimento. Avevamo deciso per questo nome finchè Keiko uscì fuori con “Cowboy Bebop”, che ci lasciò tutti imbarazzati.
Nobumoto: Dal momento che i protagonisti della serie erano cacciatori di taglie che viaggiavano per la via Lattea, “Cowboy Bebop” mi sembrava ottimo, così sfruttai la mia influenza per essere certo si proseguisse con esso.
Watanabe: Col senno di poi, sono contento che l'abbiamo tenuto. E ora sono comunque passati 20 anni, non si potrebbe più fare nulla comunque.
Minami: Già. E sicuramente sono contento che non abbiamo tenuto “Viva Viva Bebop”.
Fonte consultata:
Cowboy Bebop 20th Anniversary Roundtable: Masahiko Minami x Shinichiro Watanabe x Keiko Nobumoto [Japan Expo 2018 (blog.sakugabooru.com)
Le particelle
Le particelle Minovsky sono uno degli aspetti più famosi dell'ambientazione di Gundam; trattasi di particolari particelle in grado di disturbare e impedire le normali trasmissioni, e per questo spesso usate durante le battaglie per danneggiare e rallentare gli avversari. Dal momento che l'idea di queste particelle piaceva molto a Tomino, lo sceneggiatore Ken'ichi Matsuzaki decise di chiamarle particelle Tominovsky. Solo in un secondo momento venne rimosso il To iniziale in modo che il nome suonasse più russo.
Fonte consultata:
Making Gundam: The Inside Story (youtube.com)
C'è sempre un'importante componente autobiografica nelle opere di Mamoru Hosoda, che per i suoi film parte da spunti presi della propria vita reale. Se Wolf Children nacque inizialmente dal desiderio di Hosoda di far provare le gioie della maternità alla propria moglie che all'epoca non riusciva a restare incinta, il film permise anche al regista di avere una chiusura nel suo rapporto con la madre. Hosoda, infatti, incapace di dire i suoi addii di persona, tramite l'ululato di Ame in versione lupo diede l'ultimo saluto alla propria madre, morta durante la lavorazione del suo precedente film.
Fonte consultata:
Mamoru Hosoda - Ispirazioni (Mirai - Booklet Dynit)
Poichè si usano pochi rodovetri, è impossibile ottenere in un anime televisivo la stessa ricchezza di un film a full animation. Per questo motivo, fummo costretti ad inventarci criteri espressivi originali per rendere anche l'animazione limitata dinamica e ricca di nuovi effetti. Tommy la stella dei Giants esercitò la prima rivoluzione di questo tipo, in un mondo dominato sino ad allora da personaggi dall'aspetto e dalle movenze stereotipate sui modelli di Disney e dei Fleischer. L'idea di deformare la forma della palla da baseball, rendendola ovale per dare il senso della velocità, di rendere lunghissimo il tempo impiegato dal battitore per colpirla e accentuare all'inverosimile il suo sforzo inventò un nuovo modo di espressione, lontano certo dalla realtà, ma di grandissimo effetto, come mai si era visto sino ad allora nell'animazione o nei film dal vivo.
Ne L'uomo Tigre ciò che sfruttai di più fu la tecnica del "Follow pan", a quei tempi usata molto di rado, ma che per me era la più adatta per esprimere in modo dinamico un combattimento: questa tecnica consiste nel far seguire costantemente dalla camera i movimenti dei personaggi, facendo scorrere ad alta velocità gli sfondi. L'Uomo Tigre e Pitone Nero sembravano così correre per distanze incredibili e, quando saltavano, sembravano volare per decine di metri. Si otteneva così una resa poco realistica, ma senz'altro di grandissimo effetto, che evidenziava la potenza fisica e la tensione dei due lottatori.
Un'altra tecnica simile alla deformazione che provai ad usare fu quella di disegnare i personaggi con gli arti allungati e la testa piccola in modo da renderli più massicci. Infine, nuove sperimentazioni di deformazioni e di uso originale dei fondali le feci nei momenti in cui si rendeva necessario rappresentare scene di crisi pscologica: per esempio, quella di stagliare il personaggio su uno sfondo rotante dall'aspetto di un vortice, o di cambiare la colorazione, rendendo i toni più cupi nel momento in cui un personaggio pensa...Un tipo diverso di deformazione l'ho usato, invece, nei cartoni di robot, a partire da Getter Robot. Lì, per rendere l'impressione delle dimensioni enormi del robot, usavo molto spesso ritrarlo dall'addome in su, disegnando la testa molto piccola, in modo da rappresentare il senso della distanza che, in un robot di 30 metri, c'è tra l'addome e il capo. Ancora, provai una tecnica di prospettiva eccessiva, in cui, se una mano del robot appariva grande in primo piano sullo schermo, il braccio e la mano opposti li disegnavo molto piccoli, anche in questo caso per rendere il senso della distanza tra le due braccia.
Fonte consultata:
Intervista a Kazuo Komatsubara (Mangazine 19, Granata Press)
In questa rubrica andremo quindi a raccogliere alcuni di questi aneddoti e curiosità.
Un coltello da pittore per Ryu
Tra gli aspetti più particolari del classico degli anni '70 Ryu il ragazzo primitivo (Genshi shonen Ryu, noto in Italia come Ryu, il ragazzo delle caverne) vi sono sicuramente i fondali con cui venne rappresentata l'ambientazione preistorica dell'opera. Veri e propri quadri dipinti dal direttore artistico Mataji Urata, furono realizzati grazie all'utilizzo del cosiddetto coltello da pittore, tecnica che ha permesso la particolare distribuzione del colore di tali sfondi.
Fonte consultata:
Ryu the Stone Age Boy (The Anime Encyclopedia, 3rd Revised Edition: A Century of Japanese Animation)
Viva Viva Bebop
Minami: All'epoca ero un produttore Sunrise, e da tempo collaboravamo con Bandai per realizzare titoli finalizzati alla vendita di giocattoli. Bandai voleva qualcosa di nuovo e nuovi modellini da vendere, per cui ci chiese di realizzare una serie che contenesse delle astronavi. Fu allora che telefonai a Watanabe e chiesi: “Quindi, quand'è che pensi di tornare al lavoro?”
Watanabe: Keiko, lo sapevi che l'unico obiettivo del progetto era vendere giocattoli? Perchè quando ti contattai per occuparti della composizione della serie omisi deliberatamente quel dettaglio. La direttiva che ricevemmo da Bandai fu che la serie avesse astronavi, senza alcuna linea guida per quanto riguarda l'aspetto narrativo, per cui volevo che ti concentrassi solamente sulle tue idee. Il nostro vero obiettivo fu creare una grande serie senza preoccuparci troppo delle richieste di Bandai. Quando tornammo da loro con una bozza del nostro progetto chiesero cosa ne fosse stato dei loro giocattoli, per poi tirarsi indietro. Fortunatamente Bandai Visual, la loro divisione di produzione e distribuzione video, si fece avanti salvando la situazione.
Minami: Ma i problemi continuarono anche dopo. Nessuna TV voleva trasmettere la serie per il fatto che il primo episodio era tutto “sesso, droga e violenza”. Tentai di convincerli che quella non era droga ma una sostanza per aumentare la potenza come quelle che compaiono in Cyborg 009.
Watanabe: Il primissimo nome che usammo per la serie fu “Nagareboshi Bebop” (Stella cadente Bebop). A causa di problemi di diritti dovemmo rinunciare al “Nagareboshi”, ma decidemmo di tenere il “Bebop”.
Minami: In quel momento suggerii “Beboppo” e “Viva Viva Bebop”.
Watanabe: Poi ci venne in mente “Swing the Bebop”, per il fatto che Bebop era una potente astronave che poteva muoversi a piacimento. Avevamo deciso per questo nome finchè Keiko uscì fuori con “Cowboy Bebop”, che ci lasciò tutti imbarazzati.
Nobumoto: Dal momento che i protagonisti della serie erano cacciatori di taglie che viaggiavano per la via Lattea, “Cowboy Bebop” mi sembrava ottimo, così sfruttai la mia influenza per essere certo si proseguisse con esso.
Watanabe: Col senno di poi, sono contento che l'abbiamo tenuto. E ora sono comunque passati 20 anni, non si potrebbe più fare nulla comunque.
Minami: Già. E sicuramente sono contento che non abbiamo tenuto “Viva Viva Bebop”.
Fonte consultata:
Cowboy Bebop 20th Anniversary Roundtable: Masahiko Minami x Shinichiro Watanabe x Keiko Nobumoto [Japan Expo 2018 (blog.sakugabooru.com)
Le particelle Tominovsky
Le particelle Minovsky sono uno degli aspetti più famosi dell'ambientazione di Gundam; trattasi di particolari particelle in grado di disturbare e impedire le normali trasmissioni, e per questo spesso usate durante le battaglie per danneggiare e rallentare gli avversari. Dal momento che l'idea di queste particelle piaceva molto a Tomino, lo sceneggiatore Ken'ichi Matsuzaki decise di chiamarle particelle Tominovsky. Solo in un secondo momento venne rimosso il To iniziale in modo che il nome suonasse più russo.
Fonte consultata:
Making Gundam: The Inside Story (youtube.com)
Addio, mamma!
C'è sempre un'importante componente autobiografica nelle opere di Mamoru Hosoda, che per i suoi film parte da spunti presi della propria vita reale. Se Wolf Children nacque inizialmente dal desiderio di Hosoda di far provare le gioie della maternità alla propria moglie che all'epoca non riusciva a restare incinta, il film permise anche al regista di avere una chiusura nel suo rapporto con la madre. Hosoda, infatti, incapace di dire i suoi addii di persona, tramite l'ululato di Ame in versione lupo diede l'ultimo saluto alla propria madre, morta durante la lavorazione del suo precedente film.
Fonte consultata:
Mamoru Hosoda - Ispirazioni (Mirai - Booklet Dynit)
La palla ovale e le deformazioni di Komatsubara
Poichè si usano pochi rodovetri, è impossibile ottenere in un anime televisivo la stessa ricchezza di un film a full animation. Per questo motivo, fummo costretti ad inventarci criteri espressivi originali per rendere anche l'animazione limitata dinamica e ricca di nuovi effetti. Tommy la stella dei Giants esercitò la prima rivoluzione di questo tipo, in un mondo dominato sino ad allora da personaggi dall'aspetto e dalle movenze stereotipate sui modelli di Disney e dei Fleischer. L'idea di deformare la forma della palla da baseball, rendendola ovale per dare il senso della velocità, di rendere lunghissimo il tempo impiegato dal battitore per colpirla e accentuare all'inverosimile il suo sforzo inventò un nuovo modo di espressione, lontano certo dalla realtà, ma di grandissimo effetto, come mai si era visto sino ad allora nell'animazione o nei film dal vivo.
Ne L'uomo Tigre ciò che sfruttai di più fu la tecnica del "Follow pan", a quei tempi usata molto di rado, ma che per me era la più adatta per esprimere in modo dinamico un combattimento: questa tecnica consiste nel far seguire costantemente dalla camera i movimenti dei personaggi, facendo scorrere ad alta velocità gli sfondi. L'Uomo Tigre e Pitone Nero sembravano così correre per distanze incredibili e, quando saltavano, sembravano volare per decine di metri. Si otteneva così una resa poco realistica, ma senz'altro di grandissimo effetto, che evidenziava la potenza fisica e la tensione dei due lottatori.
Un'altra tecnica simile alla deformazione che provai ad usare fu quella di disegnare i personaggi con gli arti allungati e la testa piccola in modo da renderli più massicci. Infine, nuove sperimentazioni di deformazioni e di uso originale dei fondali le feci nei momenti in cui si rendeva necessario rappresentare scene di crisi pscologica: per esempio, quella di stagliare il personaggio su uno sfondo rotante dall'aspetto di un vortice, o di cambiare la colorazione, rendendo i toni più cupi nel momento in cui un personaggio pensa...Un tipo diverso di deformazione l'ho usato, invece, nei cartoni di robot, a partire da Getter Robot. Lì, per rendere l'impressione delle dimensioni enormi del robot, usavo molto spesso ritrarlo dall'addome in su, disegnando la testa molto piccola, in modo da rappresentare il senso della distanza che, in un robot di 30 metri, c'è tra l'addome e il capo. Ancora, provai una tecnica di prospettiva eccessiva, in cui, se una mano del robot appariva grande in primo piano sullo schermo, il braccio e la mano opposti li disegnavo molto piccoli, anche in questo caso per rendere il senso della distanza tra le due braccia.
Fonte consultata:
Intervista a Kazuo Komatsubara (Mangazine 19, Granata Press)
Superbo!
Ho sempre trovato questo tipo di effetti la resa migliore per riprodurre la percezione del reale e non il reale stesso.
Come uno stile impressionista o una tecnica a grandangolo da fotografia.
Affascinanti anche i fondali di Ryu, che mi ricordavano i diorami dei musei di storia naturale.
La vis di tempi con meno mezzi ma più orizzonti.
Favolosa invece la scoperta legata a Ryu, coi fondali dipinti! bellissimo!
Sempre interessantissima questa rubrica!
Grazie!
queste sono perle come poche!!
Interessante anche l'aneddoto su Hosoda, non ne ero a conoscenza, così come tutto il resto! Conoscere nuovi nomi fa sempre bene
Non sapevo che in origine si chiamassero Tominovsky,la scoperta mi ha lasciato basito.
e quella scena è bellissima, anche se mi piace pensare che Ame lupo non abbia mai dimenticato del tutto Hana e sia andato a trovarla ogni tanto, anche vegliando su di lei, rimasta sola, senza farsi vedere.
Grazie mille
Sono anche grande fan di Hosoda, e infatti la sua curiosità in parte la sapevo già, ma non conoscevo la storia della madre.
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