È notizia recente l'arrivo in streaming su Netflix dei film dello Studio Ghibli, l'apprezzato studio d'animazione fondato da Hayao Miyazaki e Isao Takahata e diventato col tempo uno dei fiori all'occhiello dell'industria animata giapponese. Ma se per più di una generazione di appassionati i film di Miyazaki e Takahata sono ormai classici intramontabili, da vedere e rivedere, ci siamo resi conto col recente annuncio di quanti siano gli spettatori, specialmente tra i più giovani, che ancora non hanno avuto occasione di vedere uno o più di questi titoli.
Abbiamo quindi deciso di portarvi una panoramica di alcuni dei titoli più famosi e apprezzati dello studio in concomitanza alla graduale distribuzione dei film su Netflix. Cambiamo regista e affrontiamo per la prima volta l'altra grande mente dietro lo studio.
Lo Studio Ghibli, riconosciuto come una delle più prestigiose realtà del mondo dell’animazione, ha fra i suoi principali meriti l’aver contribuito a sdoganare gli anime giapponesi oltre i confini nazionali, dopo che per troppo tempo i pregiudizi e la scarsa appetibilità commerciale di alcune opere ne avevano frenato l’esportazione. Fra i titoli che hanno sofferto per anni il ritardo della grande distribuzione occidentale rientra Pioggia di ricordi (Omohide poroporo), lungometraggio scritto e diretto da Isao Takahata, basato sull'omonimo manga di Hotaru Okamoto e Yuko Tone. Prodotto da Toshio Suzuki e Hayao Miyazaki, il film viene proiettato per la prima volta in Giappone nel 1991 ottenendo un buon successo di pubblico.
Nell’ambito del catalogo Ghibli, Pioggia di ricordi è la seconda opera firmata da Isao Takahata. Il suo precedente lungometraggio, Una tomba per le lucciole (Hotaru no Haka, 1988), aveva dimostrato come l’animazione fosse in grado di affrontare tematiche serie e adulte con la stessa veridicità del cinema dal vivo; la sua visione è spiazzante, colpisce con il suo pathos e il suo dramma poetico. Pioggia di ricordi porta all’apice il realismo ma a commuovere sono soprattutto la sua intimità e la sua grazia, il suo essere piccolo e vicino. Rappresenta uno dei risultati più alti della carriera di Takahata e condensa in sé molte caratteristiche di uno stile che l’autore ha sviluppato nel corso degli anni, con particolare riferimento alla gloriosa stagione del World Masterpiece Theater, quando i suoi lavori hanno gettato una ventata di aria fresca nel panorama televisivo mondiale.
Takahata incarna l’anima intellettuale dello Studio Ghibli, nel suo raffinato minimalismo si possono riconoscere influenze della letteratura, della poesia e del cinema di Jean Renoir e Yasujiro Ozu. La sua ricerca esprime una genuina volontà di promuovere l’animazione come forma d’arte valida e dignitosa al pari di qualsiasi altra e Pioggia di ricordi rappresenta un brillante esempio della sua poetica. Il suo personale linguaggio è in grado di fondere profondità e leggerezza, dramma e comicità, realtà e immaginazione. Uno dei più grandi doni di Takahata consiste nella capacità innata di sollecitare le corde più intime dell’emozione provocando un forte senso di empatia verso i suoi personaggi. Questo tratto ha reso la sua versione di Anna dai capelli rossi così memorabile e in Pioggia di ricordi è riproposto con un approccio più maturo e confezionato in un capolavoro di editing e montaggio.
La storia è ambientata nel 1982 e parla di una ventisettenne single di Tokyo, Okajima Taeko, che conduce una vita apparentemente monotona tutta casa e carriera. In vista dell’estate, la donna decide di concedersi una pausa dai frenetici ritmi della metropoli trascorrendo un periodo di vacanza-lavoro presso un'azienda agricola nella campagna di Yamagata, dove presta la sua manodopera nella stagionale raccolta dei fiori di cartamo (da cui petali si estrae un colorante per usi cosmetici). Qui stringe amicizia con Toshio, un contadino esule dalla città ed entusiasta della vita in campagna, con cui sembra entrare subito in sintonia. Ispirata dall’atmosfera del luogo e dalle lunghe chiacchierate con Toshio, Taeko continua a tornare con la memoria al 1966 quando frequentava la quinta elementare. Inseguendo i ricordi e ripercorrendo tappa dopo tappa i momenti significativi della sua fanciullezza, Taeko finisce per rimettere in discussione le sue scelte da adulta rendendosi conto di essere all’ennesimo bivio della sua vita.
Lo shojo manga da cui il film trae ispirazione ha un carattere molto intimo, è tutto ambientato nel 1966 ed è incentrato su un ragazza che vive un periodo storico pieno di passaggi cruciali. Takahata prende questa storia e la rimodella dal di dentro, enfatizzando l’atmosfera onirica del ricordo in contrasto con le scene dell’attualità, scritte ex novo per il film, il quale si sviluppa su un doppio livello, danzando dall’oggi allo ieri senza soluzione di continuità. Questa struttura narrativa per piani paralleli che si sovrappongono e si influenzano a vicenda, è scandita da un doppio registro stilistico: il presente è vissuto quasi tutto en plein air, alla luce del sole estivo, ed è descritto con colori vividi, lunghe panoramiche, maestosi paesaggi delicatamente screziati, quasi a voler magnificare la bellezza debordante della natura che circonda Taeko. Come contrappunto il tempo ricordato è dipinto con pennellate pastello dai toni primaverili, le scene sono spesso ambientate in interni domestici e dominate da una patina vintage, con i contorni del frame che sfumano come in una vecchia fotografia, a sottolineare l’evanescenza della memoria.
l gusto squisitamente pittorico donato agli episodi degli anni ’60 infonde un forte senso di nostalgia e coglie lo spirito dell’epoca attraverso i piccoli dettagli della vita quotidiana. Ci sono i dialoghi di una tipica famiglia media di quel periodo, le citazioni dei film, delle canzoni pop, delle pièce teatrali del Takarazuka, fino alla scoperta dell’esotico ananas. Particolarmente delicato è l’episodio del primo innamoramento di Taeko, in cui una partita di baseball è sapientemente giocata come un duello, una prova di forza che cattura tutta la freschezza e i turbamenti dei primi amori e si conclude in una delle rare parentesi di poeticità visionaria del film. Affettuosamente divertente è la sequenza in cui si descrive il periodo della pubertà delle ragazze e l’emergere della loro femminilità, un momento cruciale per Taeko, che rivela il suo intimo desiderio di non crescere e di rimanere per sempre bambina, mentre la scena finale è un trionfo di redenzione che ben riassume l'intera vita di Taeko, e forse dello stesso Takahata.
Nell’altra metà del film il pop sbiadito vira in un realismo che sfiora il documentaristico. L’occhio del regista si sofferma sui dettagli: i colori freddi e le geometrie spigolose della città, il calore delle splendide vedute bucoliche, i volti dei contadini, i loro gesti carichi di sapienza antica. In uno dei brani più alti del film, osserviamo Taeko al lavoro nei campi di cartamo alle prime luci del mattino e improvvisamente, al sorgere del sole, i contadini rivolgono una preghiera rendendo grazie per la magnificenza del creato in un momento di puro incanto e poesia zen. Come spesso accade nelle opere dello Studio Ghibli, la prospettiva del racconto è tutta al femminile, benché il personaggio di Toshio emerga dal ruolo di comprimario impersonando a suo modo un classico eroe ghibliano con la sua vitalità, la sua romantica visione della vita rurale e il suo impegno ecologista.
C’è un fondamentale comune denominatore nelle più grandi opere di Isao Takahata: Yoshifumi Kondo. Già character designer e direttore dell'animazione sulla serie Anna dai capelli rossi, Kondo ha ricoperto fedelmente questo ruolo per anni presso lo Studio Ghibli fino ad approdare alla sua prima regia nel 1995 con I sospiti del mio cuore. Il suo tratto di disegno è superbo, assolutamente perfetto per un film in stile naturalistico e in linea con la sensibilità di Takahata, il quale ha sempre osservato che sia Una tomba per le lucciole che Pioggia di ricordi non sarebbero mai stati concepiti senza di lui.
La colonna sonora firmata da Masaru Hoshi completa l’umore nostalgico del film. La malinconica partitura originale, eseguita con il classico organico a base di pianoforte e orchestra, è affiancata da una composita selezione di motivi della tradizione etnomusicologica europea a sottolineare l'atmosfera agreste e la connotazione territoriale. La musica contadina mi piace giacché faccio il contadino! - con queste parole Toshio si rivolge a Taeko mentre viaggiano in una vecchia utilitaria (che ha tutta l'aria di una Fiat 600) e l’autoradio riproduce una canzone dei Muzsikàs, quintetto folk ungherese. Frunzuliță Lemn Adus Cântec De Nuntă, allegro brano rumeno, ritorna spesso nelle luminose panoramiche. Quando Taeko è nei campi, si può udire Dilmano Dilbero, il maestoso canto corale della tradizione folklorica bulgara, mentre sul finale trova posto un tragicomico stornello italiano dalla provenienza regionale non ben identificata. Nelle sequenze degli anni ’60 la musica è spesso di sorgente, cioè generata direttamente dagli oggetti di scena (una radio o una tv) e rivela i gusti e le mode del periodo. Il film si chiude sulle note della toccante Ai wa Hana, Kimi wa sono Tane (L'amore è un fiore, e tu sei il suo seme), versione giapponese di The Rose (Amanda McBroom), cantata da Harumi Miyako e tradotta dallo stesso regista.
Cos’altro aggiungere? Pioggia di ricordi è un’opera tranquilla, onesta, semplice, un classico film Ghibli e certamente uno dei più singolari dell'intera collezione. Takahata si dimostra un complemento perfetto per il più popolare e avventuroso Miyazaki. Con le loro opere i due maestri sembrano dialogare a distanza tramite la loro estetica originale e la loro filosofia che rivoluziona il modo stesso di intendere l’animazione. I loro stili sono molto diversi, ma entrambi gli approcci sono autentici ed altrettanto importanti nel definire in ultima analisi il vero spirito dello Studio Ghibli.
Abbiamo quindi deciso di portarvi una panoramica di alcuni dei titoli più famosi e apprezzati dello studio in concomitanza alla graduale distribuzione dei film su Netflix. Cambiamo regista e affrontiamo per la prima volta l'altra grande mente dietro lo studio.
Lo Studio Ghibli, riconosciuto come una delle più prestigiose realtà del mondo dell’animazione, ha fra i suoi principali meriti l’aver contribuito a sdoganare gli anime giapponesi oltre i confini nazionali, dopo che per troppo tempo i pregiudizi e la scarsa appetibilità commerciale di alcune opere ne avevano frenato l’esportazione. Fra i titoli che hanno sofferto per anni il ritardo della grande distribuzione occidentale rientra Pioggia di ricordi (Omohide poroporo), lungometraggio scritto e diretto da Isao Takahata, basato sull'omonimo manga di Hotaru Okamoto e Yuko Tone. Prodotto da Toshio Suzuki e Hayao Miyazaki, il film viene proiettato per la prima volta in Giappone nel 1991 ottenendo un buon successo di pubblico.
Nell’ambito del catalogo Ghibli, Pioggia di ricordi è la seconda opera firmata da Isao Takahata. Il suo precedente lungometraggio, Una tomba per le lucciole (Hotaru no Haka, 1988), aveva dimostrato come l’animazione fosse in grado di affrontare tematiche serie e adulte con la stessa veridicità del cinema dal vivo; la sua visione è spiazzante, colpisce con il suo pathos e il suo dramma poetico. Pioggia di ricordi porta all’apice il realismo ma a commuovere sono soprattutto la sua intimità e la sua grazia, il suo essere piccolo e vicino. Rappresenta uno dei risultati più alti della carriera di Takahata e condensa in sé molte caratteristiche di uno stile che l’autore ha sviluppato nel corso degli anni, con particolare riferimento alla gloriosa stagione del World Masterpiece Theater, quando i suoi lavori hanno gettato una ventata di aria fresca nel panorama televisivo mondiale.
Takahata incarna l’anima intellettuale dello Studio Ghibli, nel suo raffinato minimalismo si possono riconoscere influenze della letteratura, della poesia e del cinema di Jean Renoir e Yasujiro Ozu. La sua ricerca esprime una genuina volontà di promuovere l’animazione come forma d’arte valida e dignitosa al pari di qualsiasi altra e Pioggia di ricordi rappresenta un brillante esempio della sua poetica. Il suo personale linguaggio è in grado di fondere profondità e leggerezza, dramma e comicità, realtà e immaginazione. Uno dei più grandi doni di Takahata consiste nella capacità innata di sollecitare le corde più intime dell’emozione provocando un forte senso di empatia verso i suoi personaggi. Questo tratto ha reso la sua versione di Anna dai capelli rossi così memorabile e in Pioggia di ricordi è riproposto con un approccio più maturo e confezionato in un capolavoro di editing e montaggio.
La storia è ambientata nel 1982 e parla di una ventisettenne single di Tokyo, Okajima Taeko, che conduce una vita apparentemente monotona tutta casa e carriera. In vista dell’estate, la donna decide di concedersi una pausa dai frenetici ritmi della metropoli trascorrendo un periodo di vacanza-lavoro presso un'azienda agricola nella campagna di Yamagata, dove presta la sua manodopera nella stagionale raccolta dei fiori di cartamo (da cui petali si estrae un colorante per usi cosmetici). Qui stringe amicizia con Toshio, un contadino esule dalla città ed entusiasta della vita in campagna, con cui sembra entrare subito in sintonia. Ispirata dall’atmosfera del luogo e dalle lunghe chiacchierate con Toshio, Taeko continua a tornare con la memoria al 1966 quando frequentava la quinta elementare. Inseguendo i ricordi e ripercorrendo tappa dopo tappa i momenti significativi della sua fanciullezza, Taeko finisce per rimettere in discussione le sue scelte da adulta rendendosi conto di essere all’ennesimo bivio della sua vita.
Lo shojo manga da cui il film trae ispirazione ha un carattere molto intimo, è tutto ambientato nel 1966 ed è incentrato su un ragazza che vive un periodo storico pieno di passaggi cruciali. Takahata prende questa storia e la rimodella dal di dentro, enfatizzando l’atmosfera onirica del ricordo in contrasto con le scene dell’attualità, scritte ex novo per il film, il quale si sviluppa su un doppio livello, danzando dall’oggi allo ieri senza soluzione di continuità. Questa struttura narrativa per piani paralleli che si sovrappongono e si influenzano a vicenda, è scandita da un doppio registro stilistico: il presente è vissuto quasi tutto en plein air, alla luce del sole estivo, ed è descritto con colori vividi, lunghe panoramiche, maestosi paesaggi delicatamente screziati, quasi a voler magnificare la bellezza debordante della natura che circonda Taeko. Come contrappunto il tempo ricordato è dipinto con pennellate pastello dai toni primaverili, le scene sono spesso ambientate in interni domestici e dominate da una patina vintage, con i contorni del frame che sfumano come in una vecchia fotografia, a sottolineare l’evanescenza della memoria.
l gusto squisitamente pittorico donato agli episodi degli anni ’60 infonde un forte senso di nostalgia e coglie lo spirito dell’epoca attraverso i piccoli dettagli della vita quotidiana. Ci sono i dialoghi di una tipica famiglia media di quel periodo, le citazioni dei film, delle canzoni pop, delle pièce teatrali del Takarazuka, fino alla scoperta dell’esotico ananas. Particolarmente delicato è l’episodio del primo innamoramento di Taeko, in cui una partita di baseball è sapientemente giocata come un duello, una prova di forza che cattura tutta la freschezza e i turbamenti dei primi amori e si conclude in una delle rare parentesi di poeticità visionaria del film. Affettuosamente divertente è la sequenza in cui si descrive il periodo della pubertà delle ragazze e l’emergere della loro femminilità, un momento cruciale per Taeko, che rivela il suo intimo desiderio di non crescere e di rimanere per sempre bambina, mentre la scena finale è un trionfo di redenzione che ben riassume l'intera vita di Taeko, e forse dello stesso Takahata.
Nell’altra metà del film il pop sbiadito vira in un realismo che sfiora il documentaristico. L’occhio del regista si sofferma sui dettagli: i colori freddi e le geometrie spigolose della città, il calore delle splendide vedute bucoliche, i volti dei contadini, i loro gesti carichi di sapienza antica. In uno dei brani più alti del film, osserviamo Taeko al lavoro nei campi di cartamo alle prime luci del mattino e improvvisamente, al sorgere del sole, i contadini rivolgono una preghiera rendendo grazie per la magnificenza del creato in un momento di puro incanto e poesia zen. Come spesso accade nelle opere dello Studio Ghibli, la prospettiva del racconto è tutta al femminile, benché il personaggio di Toshio emerga dal ruolo di comprimario impersonando a suo modo un classico eroe ghibliano con la sua vitalità, la sua romantica visione della vita rurale e il suo impegno ecologista.
C’è un fondamentale comune denominatore nelle più grandi opere di Isao Takahata: Yoshifumi Kondo. Già character designer e direttore dell'animazione sulla serie Anna dai capelli rossi, Kondo ha ricoperto fedelmente questo ruolo per anni presso lo Studio Ghibli fino ad approdare alla sua prima regia nel 1995 con I sospiti del mio cuore. Il suo tratto di disegno è superbo, assolutamente perfetto per un film in stile naturalistico e in linea con la sensibilità di Takahata, il quale ha sempre osservato che sia Una tomba per le lucciole che Pioggia di ricordi non sarebbero mai stati concepiti senza di lui.
La colonna sonora firmata da Masaru Hoshi completa l’umore nostalgico del film. La malinconica partitura originale, eseguita con il classico organico a base di pianoforte e orchestra, è affiancata da una composita selezione di motivi della tradizione etnomusicologica europea a sottolineare l'atmosfera agreste e la connotazione territoriale. La musica contadina mi piace giacché faccio il contadino! - con queste parole Toshio si rivolge a Taeko mentre viaggiano in una vecchia utilitaria (che ha tutta l'aria di una Fiat 600) e l’autoradio riproduce una canzone dei Muzsikàs, quintetto folk ungherese. Frunzuliță Lemn Adus Cântec De Nuntă, allegro brano rumeno, ritorna spesso nelle luminose panoramiche. Quando Taeko è nei campi, si può udire Dilmano Dilbero, il maestoso canto corale della tradizione folklorica bulgara, mentre sul finale trova posto un tragicomico stornello italiano dalla provenienza regionale non ben identificata. Nelle sequenze degli anni ’60 la musica è spesso di sorgente, cioè generata direttamente dagli oggetti di scena (una radio o una tv) e rivela i gusti e le mode del periodo. Il film si chiude sulle note della toccante Ai wa Hana, Kimi wa sono Tane (L'amore è un fiore, e tu sei il suo seme), versione giapponese di The Rose (Amanda McBroom), cantata da Harumi Miyako e tradotta dallo stesso regista.
Cos’altro aggiungere? Pioggia di ricordi è un’opera tranquilla, onesta, semplice, un classico film Ghibli e certamente uno dei più singolari dell'intera collezione. Takahata si dimostra un complemento perfetto per il più popolare e avventuroso Miyazaki. Con le loro opere i due maestri sembrano dialogare a distanza tramite la loro estetica originale e la loro filosofia che rivoluziona il modo stesso di intendere l’animazione. I loro stili sono molto diversi, ma entrambi gli approcci sono autentici ed altrettanto importanti nel definire in ultima analisi il vero spirito dello Studio Ghibli.
Come il magistrale film di guerra Una tomba per le lucciole, Pioggia di ricordi dimostra ancora una volta - anche se meno desolatamente - che l'animazione può trattare argomenti seri e maturi. In esso Takahata riversa il suo immaginario, la sua ricerca orientata al realismo, la sua visione sociale, l’attaccamento alla cultura del suo paese. E’ un film per tutta la famiglia, come la maggior parte dei lavori dello Studio Ghibli, tuttavia gli spettatori più anziani potrebbero provare una soddisfazione e un piacere un po’ più sottili nel cogliere le citazioni rètro e più in generale il mood nostalgico del racconto.
Da guardare in lingua originale... neanche a dirlo.
Devo rimediare al più presto
E' un film molto intimo e nostalgico. Mi è decisamente piaciuto. Quando ci si ritrova da "adulti" a riguardarsi indietro è facile empatizzare con i pensieri di Taeko. E poi ho un debole per le atmosfere rurali in stile Ghibli.
(Ma quelle guance...)
Ho appena visto sia Kiki che Pioggia di ricordi, il primo almeno ha dei sottotitoli in italiano. Quelli di Pioggia di ricordi invece riportano pari pari i testi di Cannarsi -_-'
Personalmente ho apprezzato l'adattamento di Cannaris, in linea con la storia e l'ambientazione del film.
Ormai sta andando di moda attaccare a prescindere Cannarsi.
Pietà....
Sarebbe come dire che per il sistema immunitario va di moda attaccare questo o quel virus solo perché l'organismo ha sempre la stessa risposta immunitaria.
Ehm.. stiamo parlando di anime, non di malattie..
Quindi, quando hai parlato di "moda di attaccare a prescindere Cannarsi" avrei dovuto rispondere come te "stiamo parlando di anime non di moda"? No dai, per carità.
Al di là di tutto mi sono limitata a dire "sarebbe come dire...", volendo perciò fare un paragone tra la risposta immunitaria alla presenza di un virus con la risposta della comunità agli adattamenti "malati" di Cannarsi.
Quindi, quando hai parlato di "moda di attaccare a prescindere Cannarsi" avrei dovuto rispondere come te "stiamo parlando di anime non di moda"? No dai, per carità.
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Non ci posso credere! Hai veramente scritto sta cosa?! Ahahah dai fa niente, passo e chiudo!
Non ci posso credere! Hai veramente scritto sta cosa?! Ahahah dai fa niente, passo e chiudo! [/quote]
Da come rispondi non hai nemmeno capito quello che ti ho scritto, e forse è meglio così, è inutile lamentarsi degli altri.
Tanto sono certa che tu continuerai a pensare che gli altri si lamentano non perché gli adattamenti di Cannarsi sono oggettivame un abominio, ma perché lo fanno tutti. Io invece continuerò a pensare che Cannarsi è dannoso quanto gli adattatori che inventano, ma solo perché ogni virtù esasperata (fedeltà compresa) partorisce nient'altro che mostri..
E criticare chi si lamenta sembra che faccia sentire chi lo fa superiore tanto da sciorinare luoghi comuni a go go. Buon per loro che ci credono. E con questo chiudo anch'io.
Non avevi detto "passo e chiudo?"
Parli parli ma alla fine tutto quello che conta per te è scrivere la tua opinione dando per scontato che sia la tua quella giusta. Chiedi a me se so il giapponese come se tu lo sapessi e come se chi lo conosce non contestasse Cannarsi, soprattutto ignorando che sono proprio coloro che conoscono la lingua a contestarlo. E dimentichi o non comprendi quello che è stato il nocciolo della polemica sul lavoro di Cannarsi: l'adattamento, non la traduzione.
Ora se vuoi continuare a criticare senza cognizione di causa, continua pure da solo, così almeno avrai la soddisfazione di aver scritto l'ultimo post.
Guarda il mio discorso è più ampio, ma non ho voglia di mettermi a ripetere le stesse cose su Cannarsi.
È una questione lunga e complessa.
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