Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
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“Fate/Grand Order - Absolute Demonic Front: Babylonia" è una delle numerosissime serie appartenenti al franchise di Fate. Per la gioia dei neofiti, però, per visionarlo non è indispensabile recuperare le decine di serie uscite negli anni precedenti. È necessario aver visto solamente l’episodio 0 di Babylonia e lo special “Fate/Grand Order: First Order”.
"Babylonia" è tratto dal videogioco per cellulari “Fate/Grand Order” che ogni anno macina miliardi di dollari. Il videogioco è suddiviso in diverse Singolarità, che per comodità possiamo considerare come saghe, in cui in ciascuna di esse il protagonista deve affrontare una serie di nemici per recuperare il Santo Graal e scongiurare la fine del mondo. Babylonia rappresenta la settima singolarità, tuttavia, l’anime è strutturato in modo tale da consentirne la visione anche a chi non conosce le precedenti singolarità, a patto che abbia recuperato i due episodi citati inizialmente. Sicuramente mancheranno alcuni approfondimenti a causa della mancata visione di Camelot, la sesta singolarità che uscirà nel 2020 sotto forma di due film, tuttavia, ciò non impedisce allo spettatore di apprezzare la serie.
Fatta questa lunga ma necessaria premessa, possiamo iniziare con la trama. Per scongiurare l’imminente estinzione del genere umano, Mash e il suo master Fujimaru sono stati costretti ad intraprendere un viaggio indietro nel tempo fino all’antica Uruk del 2600 A.C. al fine di recuperare il Graal in possesso di re Gilgamesh. In quello stesso momento, però, la città babilonese è in pericolo a causa dei continui attacchi da parte di una coalizione di tre dee che mirano alla testa del sovrano. Per tale motivo, Fujimaru deciderà di unirsi alla battaglia al fine di proteggere i residenti assieme all’aiuto di alcuni spiriti eroici. Quello che sembrava un ambiente pacifico si trasformerà presto in una guerra tra divinità ed esseri umani.
Considerando il media di partenza, è naturale aspettarsi che la serie punti molto sul fattore waifu ed effettivamente così è stato. Ciò che potrebbe limitare l’apprezzamento della serie, infatti, è proprio questo genere di fanservice, quindi, ho ritenuto corretto citarlo nella recensione. Sotto questo punto di vista, ad alcuni personaggi è stato concesso fin troppo spazio, specialmente quando di tempo non ce n’era, finendo con il trascurare la storia. Tra i personaggi che ho apprezzato di più ci sono Quetzalcoatl e Gilgamesh. Quest’ultimo, sebbene mantenga una certa arroganza, ha in realtà un carattere molto diverso dalla versione Archer che abbiamo conosciuto nelle serie originali di Fate/Stay Night. In particolare, si è dimostrato molto più maturo, probabilmente a causa del fatto che la versione presente in questa serie è più adulta e si colloca dopo la morte del suo migliore amico.
Tralasciando il discorso waifu, la storia è abbastanza interessante, però non sempre è raccontata al meglio. Mi riferisco soprattutto agli episodi iniziali in cui gran parte dei personaggi appaiono e scompaiono quasi a casaccio, come in una sorta di videogioco in cui devi sconfiggere il nemico di turno. È vero che stiamo parlando di una serie tratta effettivamente da un videogioco, ma il modo in cui è stata trasposta talvolta non riesce a coinvolgere quasi per nulla. Vista la natura del videogioco di partenza, ogni puntata contiene almeno un combattimento di spessore senza però tralasciare dei momenti più tranquilli e riflessivi in cui viene dato modo di approfondire meglio vari personaggi. Sfortunatamente, i personaggi secondari sono molti e non tutti hanno ricevuto uno spazio sufficiente. Alcuni di essi, infatti, sono stati presentati in fretta e furia per poi essere messi subito da parte nel momento in cui hanno svolto il loro ruolo. Ciò probabilmente è dovuto anche alla durata della serie che invece di sfruttare due cour completi da 24 episodi, ha deciso di raccontare la storia in 21 episodi. Per gran parte della serie il susseguirsi degli eventi è avvenuto ad un ritmo adeguato, tuttavia, lo stesso non si può dire degli ultimi episodi che sono stati talmente veloci da risultare confusionari. In questa parte molte spiegazioni sono state eliminate rendendo praticamente impossibile capire perché i personaggi svolgessero determinate azioni. Non nego che questi episodi siano stati emozionanti, tuttavia, avrebbero potuto dare decisamente di più, specialmente se consideriamo che lavorone era stato fatto finora.
Lato animazioni, la serie si trova a livelli molto alti, specialmente per quanto riguarda le scene d’azione. L’unica vera caduta si è vista nella seconda parte, quando si è resa necessaria l’introduzione di un personaggio realizzato completamente in CGI. Riconosco che dietro deve esserci stato molto lavoro, tuttavia, il contrasto con l’ambiente circostante è veramente esagerato, al punto che non posso fare a meno di accostarlo al tanto criticato drago presente nella serie di Fate del 2006. In alcuni episodi hanno saputo sfruttare le ombre e i colori per renderlo meno evidente, ma non sempre ci sono riusciti. Tralasciando questo scivolone, la serie è ricca di sequenze di combattimento animate divinamente, al punto che è difficile riuscire ad elencarle tutte. Quelle che mi hanno colpita di più sono sicuramente quelle dell’episodio 8 in cui sono presenti i combattimenti dedicati ad Ushiwakamaru e Leonidas, ma ho molto apprezzato anche la parte dedicata a Quetz. Va detto, però, che la memorabilità di questi scontri non è dovuta unicamente alla parte visiva, ma anche a quella sonora che, seppur abbia riutilizzato spesso molte OST (probabilmente a causa della quantità stessa delle battaglie), ha saputo rendere ancora più epico ogni scontro. Le musiche, infatti, sono uno dei punti di forza della serie. Alcune di quelle presenti nel primo episodio penso fossero poco adatte in quanto sembra siano state inserite a forza nonostante non fossero minimamente adatte alla scena, il che mi ha fatto temere il peggio, ma fortunatamente non sono più stati fatti simili errori.
Oltre alle bellissime OST, la serie si avvale di ottime sigle. Le opening, nonostante presentino anche queste delle sequenze ben animate, non risultano molto diverse da quelle che si sentono di solito, tuttavia, non si può dire lo stesso delle ending. Tra le sigle di chiusura, infatti, ve ne sono due cantate da Milet, che in molti probabilmente conosceranno per l’ending di Vinland Saga. Anche in questo caso, la sua bellissima voce ha dato una spinta in più a delle sigle, già di per sé molto buone.
L'anime riesce a porre fine a questo grande arco, tuttavia, la vera conclusione della storia avverrà solo con l'uscita del già annunciato "Solomon", il quale avrà sicuramente una durata inferiore ai dodici episodi. Sicuramente ne consiglio la visione dato che la serie risulta comunque abbastanza interessante, ma non la ritengo un'opera eccelsa come era stata descritta inizialmente.
"Babylonia" è tratto dal videogioco per cellulari “Fate/Grand Order” che ogni anno macina miliardi di dollari. Il videogioco è suddiviso in diverse Singolarità, che per comodità possiamo considerare come saghe, in cui in ciascuna di esse il protagonista deve affrontare una serie di nemici per recuperare il Santo Graal e scongiurare la fine del mondo. Babylonia rappresenta la settima singolarità, tuttavia, l’anime è strutturato in modo tale da consentirne la visione anche a chi non conosce le precedenti singolarità, a patto che abbia recuperato i due episodi citati inizialmente. Sicuramente mancheranno alcuni approfondimenti a causa della mancata visione di Camelot, la sesta singolarità che uscirà nel 2020 sotto forma di due film, tuttavia, ciò non impedisce allo spettatore di apprezzare la serie.
Fatta questa lunga ma necessaria premessa, possiamo iniziare con la trama. Per scongiurare l’imminente estinzione del genere umano, Mash e il suo master Fujimaru sono stati costretti ad intraprendere un viaggio indietro nel tempo fino all’antica Uruk del 2600 A.C. al fine di recuperare il Graal in possesso di re Gilgamesh. In quello stesso momento, però, la città babilonese è in pericolo a causa dei continui attacchi da parte di una coalizione di tre dee che mirano alla testa del sovrano. Per tale motivo, Fujimaru deciderà di unirsi alla battaglia al fine di proteggere i residenti assieme all’aiuto di alcuni spiriti eroici. Quello che sembrava un ambiente pacifico si trasformerà presto in una guerra tra divinità ed esseri umani.
Considerando il media di partenza, è naturale aspettarsi che la serie punti molto sul fattore waifu ed effettivamente così è stato. Ciò che potrebbe limitare l’apprezzamento della serie, infatti, è proprio questo genere di fanservice, quindi, ho ritenuto corretto citarlo nella recensione. Sotto questo punto di vista, ad alcuni personaggi è stato concesso fin troppo spazio, specialmente quando di tempo non ce n’era, finendo con il trascurare la storia. Tra i personaggi che ho apprezzato di più ci sono Quetzalcoatl e Gilgamesh. Quest’ultimo, sebbene mantenga una certa arroganza, ha in realtà un carattere molto diverso dalla versione Archer che abbiamo conosciuto nelle serie originali di Fate/Stay Night. In particolare, si è dimostrato molto più maturo, probabilmente a causa del fatto che la versione presente in questa serie è più adulta e si colloca dopo la morte del suo migliore amico.
Tralasciando il discorso waifu, la storia è abbastanza interessante, però non sempre è raccontata al meglio. Mi riferisco soprattutto agli episodi iniziali in cui gran parte dei personaggi appaiono e scompaiono quasi a casaccio, come in una sorta di videogioco in cui devi sconfiggere il nemico di turno. È vero che stiamo parlando di una serie tratta effettivamente da un videogioco, ma il modo in cui è stata trasposta talvolta non riesce a coinvolgere quasi per nulla. Vista la natura del videogioco di partenza, ogni puntata contiene almeno un combattimento di spessore senza però tralasciare dei momenti più tranquilli e riflessivi in cui viene dato modo di approfondire meglio vari personaggi. Sfortunatamente, i personaggi secondari sono molti e non tutti hanno ricevuto uno spazio sufficiente. Alcuni di essi, infatti, sono stati presentati in fretta e furia per poi essere messi subito da parte nel momento in cui hanno svolto il loro ruolo. Ciò probabilmente è dovuto anche alla durata della serie che invece di sfruttare due cour completi da 24 episodi, ha deciso di raccontare la storia in 21 episodi. Per gran parte della serie il susseguirsi degli eventi è avvenuto ad un ritmo adeguato, tuttavia, lo stesso non si può dire degli ultimi episodi che sono stati talmente veloci da risultare confusionari. In questa parte molte spiegazioni sono state eliminate rendendo praticamente impossibile capire perché i personaggi svolgessero determinate azioni. Non nego che questi episodi siano stati emozionanti, tuttavia, avrebbero potuto dare decisamente di più, specialmente se consideriamo che lavorone era stato fatto finora.
Lato animazioni, la serie si trova a livelli molto alti, specialmente per quanto riguarda le scene d’azione. L’unica vera caduta si è vista nella seconda parte, quando si è resa necessaria l’introduzione di un personaggio realizzato completamente in CGI. Riconosco che dietro deve esserci stato molto lavoro, tuttavia, il contrasto con l’ambiente circostante è veramente esagerato, al punto che non posso fare a meno di accostarlo al tanto criticato drago presente nella serie di Fate del 2006. In alcuni episodi hanno saputo sfruttare le ombre e i colori per renderlo meno evidente, ma non sempre ci sono riusciti. Tralasciando questo scivolone, la serie è ricca di sequenze di combattimento animate divinamente, al punto che è difficile riuscire ad elencarle tutte. Quelle che mi hanno colpita di più sono sicuramente quelle dell’episodio 8 in cui sono presenti i combattimenti dedicati ad Ushiwakamaru e Leonidas, ma ho molto apprezzato anche la parte dedicata a Quetz. Va detto, però, che la memorabilità di questi scontri non è dovuta unicamente alla parte visiva, ma anche a quella sonora che, seppur abbia riutilizzato spesso molte OST (probabilmente a causa della quantità stessa delle battaglie), ha saputo rendere ancora più epico ogni scontro. Le musiche, infatti, sono uno dei punti di forza della serie. Alcune di quelle presenti nel primo episodio penso fossero poco adatte in quanto sembra siano state inserite a forza nonostante non fossero minimamente adatte alla scena, il che mi ha fatto temere il peggio, ma fortunatamente non sono più stati fatti simili errori.
Oltre alle bellissime OST, la serie si avvale di ottime sigle. Le opening, nonostante presentino anche queste delle sequenze ben animate, non risultano molto diverse da quelle che si sentono di solito, tuttavia, non si può dire lo stesso delle ending. Tra le sigle di chiusura, infatti, ve ne sono due cantate da Milet, che in molti probabilmente conosceranno per l’ending di Vinland Saga. Anche in questo caso, la sua bellissima voce ha dato una spinta in più a delle sigle, già di per sé molto buone.
L'anime riesce a porre fine a questo grande arco, tuttavia, la vera conclusione della storia avverrà solo con l'uscita del già annunciato "Solomon", il quale avrà sicuramente una durata inferiore ai dodici episodi. Sicuramente ne consiglio la visione dato che la serie risulta comunque abbastanza interessante, ma non la ritengo un'opera eccelsa come era stata descritta inizialmente.
Tales of Phantasia OAV
6.0/10
Dopo aver giocato e rigiocato all’ormai mitica serie “Tales of Phantasia”, da buon videogiocatore e fan del titolo non mi rimaneva che cimentarmi in questi quattro OAV, e, a visione terminata, posso dire che sono rimasto soddisfatto a metà.
Se la conversione da light novel ad anime è un lavoro piuttosto impegnativo, con tutta probabilità passare da un videogioco di successo a una serie di OAV animati deve risultare ancor più complesso e ostico, soprattutto per quanto riguarda l’adattamento e la lunghezza di un canovaccio che in ogni gioco di ruolo che si rispetti si dilunga in modo ragguardevole. Ho visto più di un anime nato da un videogioco risultare confusionario, insipido, poco attinente alla storia originale o addirittura distorto e privo di mordente (come in parte è accaduto al celebre “Devil May Cry”), e devo ammettere che anche “Tales of Phantasia” ha rischiato la stessa sorte, evitandola per un soffio.
Nonostante la poca pellicola a disposizione, gli autori di quest’anime sono riusciti a comprimere una buona parte degli eventi essenziali che compongono la trama originale del gioco e a renderla scorrevole, accattivante e interessante per tutta la durata degli OAV. Purtroppo il forzato compattamento ha costretto gli sceneggiatori a ridurre drasticamente i contenuti, eliminando gran parte dei passaggi che nel gioco concatenavano gli eventi principali e fungevano da fluidificante narrativo, creando un filo logico continuativo che permetteva la progressione corretta della storia stessa.
Ad ogni modo, “Tales of phantasia OAV” risulta gradevole e scorrevole, sebbene appena sufficiente per quanto riguarda la concretezza e il senso degli eventi che mostra allo spettatore. La trama s’intreccia attorno a Cless, Mint e compagni, che, dopo aver visto il proprio paese natale finire bruciato e devastato a causa di un’entità malvagia conosciuta col nome di Dhaos, “il signore delle tenebre” (malvagio antagonista che pare il solito banale stereotipo di cattivo, ma che in realtà nasconde sfaccettature inaspettate), decidono d’intraprendere un lungo viaggio attraverso continenti esotici e addirittura epoche diverse in fantastiche digressioni spazio-temporali, sfruttando una particolare magia esistente nel loro mondo, pur di rincorrere il malefico Dhaos, scoprire i suoi intenti e fermarlo prima che metta in atto il suo terribile quanto apocalittico piano.
Come idea di fondo pare brillante ma non così originale, ma ogni personaggio principale, così come nel videogioco, risulta abbastanza curato sia nell’aspetto tecnico che in quello personale e psicologico, tanto che ci vuole ben poco ad appassionarsi alla vicenda e far proprie le forti emozioni dei protagonisti (la stessa sorte non è toccata ai personaggi secondari, come detto poc’anzi).
La storia si svolge sostanzialmente in varie epoche differenti, appartenenti sempre allo stesso luogo (allo stesso pianeta, per esser più precisi), con i protagonisti costretti a saltare letteralmente nel tempo per rincorrere il malvagio Dhaos, ripercorrendo a grandi linee le orme del videogioco. I problemi sorgono proprio per il tempo a disposizione, solo quattro OAV da trenta minuti l’uno tracciano inevitabilmente i limiti di uno svolgimento insoddisfacente e poco profondo, almeno per come un fan della serie videoludica se lo aspettava (o sperava di vedere). Una moltitudine di elementi tralasciati, altri poco chiari e per nulla approfonditi, altri ancora appena accennati. La storia diviene così una corsa affannosa senza sosta, una tirata unica dove gli spunti di riflessione e le pause necessarie non esistono proprio.
Per quanto riguarda l’aspetto tecnico, siamo un gradino sopra: magie, evocazioni, combattimenti vengono animate meravigliosamente, ricche di particolari, sfumature cromatiche e di una dinamica reattività sopra la media degli standard animati di quel periodo. Così come nel gioco, il character design è gradevole e accattivante, gli scenari vere e proprie opere d’arte, forse l’elemento più fedele di questa conversione.
A conti fatti, la somma di pregi e difetti si bilancia, lasciando troppi punti di domanda e regalando un finale scontato e per nulla coinvolgente.
Un prodotto, in definitiva, che può essere consigliato a chi ama il genere fantasy nipponico con chiari rimandi alla branca videoludica degli anni ‘90, capace di sfoggiare maghi, streghe, mostri leggendari, castelli incantati e oscuri signori del male contrastati dal classico “party” di eroi pronti ad accrescere la loro esperienza pur di salvare il mondo. Un classico che, in fondo, riscuote sempre il dovuto successo.
Inevitabile però il rammarico per quel che avrebbe potuto essere.
Se la conversione da light novel ad anime è un lavoro piuttosto impegnativo, con tutta probabilità passare da un videogioco di successo a una serie di OAV animati deve risultare ancor più complesso e ostico, soprattutto per quanto riguarda l’adattamento e la lunghezza di un canovaccio che in ogni gioco di ruolo che si rispetti si dilunga in modo ragguardevole. Ho visto più di un anime nato da un videogioco risultare confusionario, insipido, poco attinente alla storia originale o addirittura distorto e privo di mordente (come in parte è accaduto al celebre “Devil May Cry”), e devo ammettere che anche “Tales of Phantasia” ha rischiato la stessa sorte, evitandola per un soffio.
Nonostante la poca pellicola a disposizione, gli autori di quest’anime sono riusciti a comprimere una buona parte degli eventi essenziali che compongono la trama originale del gioco e a renderla scorrevole, accattivante e interessante per tutta la durata degli OAV. Purtroppo il forzato compattamento ha costretto gli sceneggiatori a ridurre drasticamente i contenuti, eliminando gran parte dei passaggi che nel gioco concatenavano gli eventi principali e fungevano da fluidificante narrativo, creando un filo logico continuativo che permetteva la progressione corretta della storia stessa.
Ad ogni modo, “Tales of phantasia OAV” risulta gradevole e scorrevole, sebbene appena sufficiente per quanto riguarda la concretezza e il senso degli eventi che mostra allo spettatore. La trama s’intreccia attorno a Cless, Mint e compagni, che, dopo aver visto il proprio paese natale finire bruciato e devastato a causa di un’entità malvagia conosciuta col nome di Dhaos, “il signore delle tenebre” (malvagio antagonista che pare il solito banale stereotipo di cattivo, ma che in realtà nasconde sfaccettature inaspettate), decidono d’intraprendere un lungo viaggio attraverso continenti esotici e addirittura epoche diverse in fantastiche digressioni spazio-temporali, sfruttando una particolare magia esistente nel loro mondo, pur di rincorrere il malefico Dhaos, scoprire i suoi intenti e fermarlo prima che metta in atto il suo terribile quanto apocalittico piano.
Come idea di fondo pare brillante ma non così originale, ma ogni personaggio principale, così come nel videogioco, risulta abbastanza curato sia nell’aspetto tecnico che in quello personale e psicologico, tanto che ci vuole ben poco ad appassionarsi alla vicenda e far proprie le forti emozioni dei protagonisti (la stessa sorte non è toccata ai personaggi secondari, come detto poc’anzi).
La storia si svolge sostanzialmente in varie epoche differenti, appartenenti sempre allo stesso luogo (allo stesso pianeta, per esser più precisi), con i protagonisti costretti a saltare letteralmente nel tempo per rincorrere il malvagio Dhaos, ripercorrendo a grandi linee le orme del videogioco. I problemi sorgono proprio per il tempo a disposizione, solo quattro OAV da trenta minuti l’uno tracciano inevitabilmente i limiti di uno svolgimento insoddisfacente e poco profondo, almeno per come un fan della serie videoludica se lo aspettava (o sperava di vedere). Una moltitudine di elementi tralasciati, altri poco chiari e per nulla approfonditi, altri ancora appena accennati. La storia diviene così una corsa affannosa senza sosta, una tirata unica dove gli spunti di riflessione e le pause necessarie non esistono proprio.
Per quanto riguarda l’aspetto tecnico, siamo un gradino sopra: magie, evocazioni, combattimenti vengono animate meravigliosamente, ricche di particolari, sfumature cromatiche e di una dinamica reattività sopra la media degli standard animati di quel periodo. Così come nel gioco, il character design è gradevole e accattivante, gli scenari vere e proprie opere d’arte, forse l’elemento più fedele di questa conversione.
A conti fatti, la somma di pregi e difetti si bilancia, lasciando troppi punti di domanda e regalando un finale scontato e per nulla coinvolgente.
Un prodotto, in definitiva, che può essere consigliato a chi ama il genere fantasy nipponico con chiari rimandi alla branca videoludica degli anni ‘90, capace di sfoggiare maghi, streghe, mostri leggendari, castelli incantati e oscuri signori del male contrastati dal classico “party” di eroi pronti ad accrescere la loro esperienza pur di salvare il mondo. Un classico che, in fondo, riscuote sempre il dovuto successo.
Inevitabile però il rammarico per quel che avrebbe potuto essere.
Venus Project: Climax
6.0/10
Recensione di GianniGreed
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“Venus Project: Climax” è una miniserie anime di sei episodi facente parte del franchise multimediale “Venus Project”, che oltre a questo anime comprende anche uno show live action con protagoniste le doppiatrici dei personaggi, un web manga e due videogame, uno per PlayStation Vita e l’altro per Smartphone. L’anime è però perfettamente comprensibile da sé, dato che ha una sua storia ben definita che inizia e si conclude, senza costringere lo spettatore a saltare da un media all’altro.
La storia è ambientata nel Giappone di un futuro poco distante, dove esiste un torneo chiamato “Formula Venus” nel quale le giovani idol si sfidano per ottenere successo e visibilità. Grazie a un sistema di realtà virtuale chiamato “Venus System”, l’energia delle performance delle ragazze attraverso canti e balli viene convertita in IRIS, ovvero delle proiezioni virtuali dell’animo delle idol, e che sono quasi sempre in forma di robot. Dunque, mentre le idol cantano, alle loro spalle ci sono i robot che si affrontano con missili e pugni rotanti.
Protagonista della storia è Eriko Hara, una energica ragazza rimasta orfana in tenera età, ma che proprio grazie alle canzoni della sua idol preferita ha trovato la forza di andare avanti. Ora che è cresciuta, vuole diventare una idol che dona gioia ai suoi fan, e per farlo deve battere tutte le sue agguerrite avversarie e vincere il Formula Venus.
Nel corso dei sei episodi assistiamo dunque alle varie fasi del torneo, che vengono narrate molto velocemente, alternate alle storie personali delle tre protagoniste più importanti. Attraverso flashback vari viene raccontato il loro percorso e spiegate le motivazioni che hanno portato le ragazze sul palco del torneo. Le altre cinque ragazze sono invece messe lì per fare numero, e di loro sapremo e vedremo pochissimo. Va detto che anche le storie delle tre protagoniste non sono molto originali, ma, per essere un anime di sei episodi su delle idol, sono più che discrete, e almeno le protagoniste sono un minimo caratterizzate.
Il chara design dei personaggi è piuttosto ben fatto, le otto idol partecipanti al torneo sono ben diversificate, e ognuna ha un suo stile preciso nell’abbigliamento, anche se un po’ stereotipato, ma tutte le ragazze presenti nell’anime (a parte qualche eccezione) hanno la stessa misura di seno, piuttosto generosa. Non c’è tuttavia molto fanservice, a parte l’immancabile episodio al mare, o qualche scena in cui la protagonista di turno si rilassa nella vasca da bagno.
Un aspetto che invece è di assoluta importanza per questo genere di anime è il comparto musicale. Su questo fronte non ci si può lamentare: nel corso dei sei episodi si possono ascoltare due o tre canzoni diverse per episodio, tutte molto orecchiabili, cantate dalle varie doppiatrici.
Delude un po’ invece la parte coreografica, dato che durante le esibizioni le varie ragazze fanno solo qualche piroetta e qualche posa, e queste stesse scene vengono riciclate più volte nelle diverse “battaglie”. Idem per le scene con i robot, che, essendo un aspetto solo secondario dell’anime, non sono molto curate e anzi sono piuttosto generiche, così come il design stesso dei robot.
L’aspetto migliore della serie è alla fine il doppiaggio originale giapponese. Le diverse doppiatrici hanno svolto molto bene il loro lavoro e, guardando anche il segmento live action che le coinvolge, pare si siano anche divertite.
In breve, “Venus Project: Climax” non è un capolavoro, nemmeno lontanamente, ma è un discreto anime e intrattiene quanto basta e, pur essendo nato come parte di un progetto più grande, funziona bene anche da solo.
Non è sicuramente adatto a chi cerca un anime sui robot, che, seppur presenti, non hanno nessuna importanza nella storia, ma per chi è appassionato di questo genere di storie, di idol e di musica, vale la pena dargli un’occhiata.
La storia è ambientata nel Giappone di un futuro poco distante, dove esiste un torneo chiamato “Formula Venus” nel quale le giovani idol si sfidano per ottenere successo e visibilità. Grazie a un sistema di realtà virtuale chiamato “Venus System”, l’energia delle performance delle ragazze attraverso canti e balli viene convertita in IRIS, ovvero delle proiezioni virtuali dell’animo delle idol, e che sono quasi sempre in forma di robot. Dunque, mentre le idol cantano, alle loro spalle ci sono i robot che si affrontano con missili e pugni rotanti.
Protagonista della storia è Eriko Hara, una energica ragazza rimasta orfana in tenera età, ma che proprio grazie alle canzoni della sua idol preferita ha trovato la forza di andare avanti. Ora che è cresciuta, vuole diventare una idol che dona gioia ai suoi fan, e per farlo deve battere tutte le sue agguerrite avversarie e vincere il Formula Venus.
Nel corso dei sei episodi assistiamo dunque alle varie fasi del torneo, che vengono narrate molto velocemente, alternate alle storie personali delle tre protagoniste più importanti. Attraverso flashback vari viene raccontato il loro percorso e spiegate le motivazioni che hanno portato le ragazze sul palco del torneo. Le altre cinque ragazze sono invece messe lì per fare numero, e di loro sapremo e vedremo pochissimo. Va detto che anche le storie delle tre protagoniste non sono molto originali, ma, per essere un anime di sei episodi su delle idol, sono più che discrete, e almeno le protagoniste sono un minimo caratterizzate.
Il chara design dei personaggi è piuttosto ben fatto, le otto idol partecipanti al torneo sono ben diversificate, e ognuna ha un suo stile preciso nell’abbigliamento, anche se un po’ stereotipato, ma tutte le ragazze presenti nell’anime (a parte qualche eccezione) hanno la stessa misura di seno, piuttosto generosa. Non c’è tuttavia molto fanservice, a parte l’immancabile episodio al mare, o qualche scena in cui la protagonista di turno si rilassa nella vasca da bagno.
Un aspetto che invece è di assoluta importanza per questo genere di anime è il comparto musicale. Su questo fronte non ci si può lamentare: nel corso dei sei episodi si possono ascoltare due o tre canzoni diverse per episodio, tutte molto orecchiabili, cantate dalle varie doppiatrici.
Delude un po’ invece la parte coreografica, dato che durante le esibizioni le varie ragazze fanno solo qualche piroetta e qualche posa, e queste stesse scene vengono riciclate più volte nelle diverse “battaglie”. Idem per le scene con i robot, che, essendo un aspetto solo secondario dell’anime, non sono molto curate e anzi sono piuttosto generiche, così come il design stesso dei robot.
L’aspetto migliore della serie è alla fine il doppiaggio originale giapponese. Le diverse doppiatrici hanno svolto molto bene il loro lavoro e, guardando anche il segmento live action che le coinvolge, pare si siano anche divertite.
In breve, “Venus Project: Climax” non è un capolavoro, nemmeno lontanamente, ma è un discreto anime e intrattiene quanto basta e, pur essendo nato come parte di un progetto più grande, funziona bene anche da solo.
Non è sicuramente adatto a chi cerca un anime sui robot, che, seppur presenti, non hanno nessuna importanza nella storia, ma per chi è appassionato di questo genere di storie, di idol e di musica, vale la pena dargli un’occhiata.
Mai approcciato al mondo Fate/
Mi dovrò fare una cultura.
Potrebbe essere un buon punto di partenza per chi vuole approcciarsi alla saga dato che introduce alcuni elementi e concetti del Nasuverse esteso.
Di certo Fate/Grand Order: Zettai Majū Sensen Babylonia non è il miglior anime con cui avvicinarsi al brand per via della presenza dei molti character che rimandano alla serie principale così come agli spin-off.
Ti consiglio, se hai intenzione di iniziare a visionarlo, di cominciare con Fate/stay night, anche se sente il peso degli anni e di certo non è la route più riuscita della saga principale.
Il peso degli anni in ogni caso non è un problema per me.
Se ti interessa semplicemente vedere una bella serie di Fate ti consiglio Fate/Zero dato che ha una conclusione e per capirla non è necessario aver visto altre opere del brand. A mio avviso almeno Zero meriterebbe di essere visto. Se invece intendi recuperare tutte le serie principali del brand ti conviene iniziare da UBW (per una questione di spoiler più che altro). Il Fate/Stay Night del 2006 però va evitato a prescindere.
Premesso che nessuno è morto per aver iniziato da F/SN 2006, il problema di quella "route" è che non è una route di F/SN ma un miscuglio di tutte e tre, riuscito non proprio benissimo. Dunque spoiler a go go sulle altre routes per sorbirsi un prodotto narrativamente scadente e, come hai detto, invecchiato in modo orrendo sul lato tecnico.
Se si vuole vedere solo l'anime, imo la soluzione è UBW 2014 come punto di partenza, poi ci sono quelli che dicono Fate/Zero (che però fa spoiler). Il mio consiglio è di lasciarselo per ultimo anche solo perché è quello meglio riuscito (sempre opinione personale ovviamente).
Oppure c'e la panacea
Edit: Quoto il commento di Rukia sopra il mio.
in F:GO è stato veramente epico e memorabile. Purtroppo non ho retto l'harem cringefest che è diventato negli episodi successivi e l'ho droppato.
Ottima recensione.
Ancora ha parlare del Fate della Deen? poteva avere un senso 15 anni fa quando non esistevano altre serie di Fate, ma adesso con adattamenti più riusciti a che serve recuperarlo? per non parlare che era una serie del 2006 ma animata come una serie del 1996.
Se uno vuole recuperi la serietv di UBW e a seguire Zero e HF.
Fate/Zero non può essere visto senza aver visionato una delle route, perché si rischia di non capire il collegamento con certi accadimenti che possono risultare come irrisolti, pertanto lo sconsiglio.
Magari il miglior compresso è il tuo.
La novel originale è Gen Urobuchi, non un signor nessuno, ed ha delle atmosfere molto ma molto differenti rispetto a tutte le altre trasposizioni animate, oltretutto il lavoro svolto dalla Ufotable è encomiabile.
Probabilmente hai anche ragione. Il fatto è che temo pulluli di ragazzine poppute che, specie se discinte, mi danno terribilmente sui nervi, probabilmente perché ho dalle 3 alle 4 volte la loro età presunta e peso il doppio a parità di altezza...
Ma me lo metto nel mucchio da vedere (insieme ad altri circa... quanti? 300? 400 titoli?). Devo farci un po' di pulizia, là dentro, c'è roba che devo aver salvato sotto l'influenza del succo di frutta.
Edit: ho dato un'occhiata alla scheda e mi pare che ci sia carenza di ragazzine poppute e discinte. Immediatamente alzo le antenne!
Sul primo punto non sono d'accordo in quanto non è raro che, come nel caso di Fate, decidano di animare solamente gli archi più significativi rendendo le trasposizioni indirizzate praticamente solo ai fan che conoscono già il brand. Anche nel caso di Fate/Grand Order, per esempio, hanno deciso di animare prima Babylonia e poi Camelot, nonostante i fatti di Camelot (altrettanto importanti) siano ambientati prima e infatti nel gioco si gioca prima la singolarità di Camelot e poi quella di Babylonia. Tramite i due special hanno cercato di metterci una pezza sopra come se avessero fatto un riassuntino, ma non è mai come godersi la storia intera.
Nel caso del Fate/stay night del 2006 hanno addirittura fuso le tre route assieme, invece di fare tre serie separate. Come già detto da altri, una volta si poteva scegliere solo tra leggere la visual novel o accontentarsi dell'unico anime esistente, ma adesso che sono passati 15 anni non c'è alcun motivo per guardare la versione pezzente quando ne esistono di migliori.
In merito a Fate/Zero, il motivo per cui fa spoiler è che si tratta di un prequel. La serie da sola è godibilissima da chiunque, ma se qualcuno è fermamente convinto di voler recuperare tutte le serie allora gli conviene vederla dopo perchè, in quanto prequel, per parlare di alcuni personaggi sono state dichiarate in modo naturale delle informazioni che nella serie originale in realtà sarebbero dovute rimanere un mistero per quasi tutta la serie. Come detto però, se non si intende recuperare tutte le serie, il problema spoiler non sussiste.
@dawnraptor Fate/Zero non è assolutamente così, puoi stare tranquilla u.u In generale, le serie originali di Fate non spingono così tanto sull'argomento waifu (il protagonista si innamora ma non gira tutto attorno a quello), ma Fate/Zero è proprio l'opera più lontana dall'argomento waifu, nonchè la più seria dato che i protagonisti sono degli adulti e non degli adolescenti come nelle altre serie (anche per questo motivo è considerata la migliore). Le serie di Fate/Grand Order invece si basano sulle waifu proprio perchè derivano da un gioco in cui rolli le waifu e gli husbandi.
Condivido la solita clip del secondo episodio visto che non se ne trovano tante su youtube
Ecco. Adesso mi hai fatto venire voglia di rivederlo tutto.
???
Comunque personalmente Fate/Grand Order mi sta piacendo, tant'è che mi sono andato a spulciare tutti la wiki fandom al tempo, pertanto aspetto Camelot come il pane, anche per vedere in azione tutti quei personaggi che fanno parte del ciclo di Arturia, ed anche perché sono in astinenza di:
Non è proprio uno spoiler se hai visto qualcosa dei trailer/immagini ma non si sa mai. Per la tua astinenza
Nel gioco esistono molte versioni di Arturia, ma solo una è l'originale che si vede anche in Fate/Zero. Quella che vedremo in Camelot è la versione lancer
[img]https://vignette.wikia.nocookie.net/fategrandorder/images/f/f3/Lanceria2.png/revision/latest?cb=20160725173356[/img]
Discorso che lascia il tempo che trova imho. Ci sono fan morbosi per ogni serie... sai quanti ne ho visti di One Piece, JoJo e chi più ne ha più ne metta? Non si dovrebbe più parlare di niente.
Quoto e cmq non capisco il problema delle discussioni di Fate perchè la gente continua a lamentarsi del fatto che non capisce in che ordine vanno guardate le serie, ma se glielo spieghi poi ti dicono che sei morboso.
Min**a che polemica sterile, e che fior fiore di argomentazioni, oltretutto neanche sapevo di essere un così morboso fan del brand di Fate.
Detto ciò ti faccio i miei complimenti, hai vinto il premio Mister Simpatia 2020 di Animeclick finora, e la concorrenza è abbastanza tosta. ?
@Rukia K. Grazie per la pic, quindi sarà in versione lancer. ?
Che la serie ti piaccia o meno non ha importanza dal momento che hai fatto una critica (vaga) sul fandom e non sulla serie.
Il punto non è se ti piaccia o no, non me ne importa assolutamente niente. È che non capisco quale sia il senso del tuo discorso, visto che si applica letteralmente a qualsiasi prodotto di intrattenimento, compresi quelli che piacciono a te, quali che siano.
Tra l'altro sei venuto tu a "punzecchiare" noi terribili,odiosi e morbosi fan di Fate. Avessi almeno spalato merda sulla serie, invece no, critichiamo i fan. Strano che si sentano chiamati in causa e possano reagire come dici tu (che poi qui nessuno lo ha fatto, me compreso).
Come altri qui anche io aspetto con impazienza Camelot, a cui sto giocando ora, sia per il fatto doppia waifu(Serenity e Mordred) sia perché... oh andiamo! Ci sono Hassan of Cursed Arm che alle volte fa tenerezza e Nonno Hassan!
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