Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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“Fate/Grand Order - Absolute Demonic Front: Babylonia" è una delle numerosissime serie appartenenti al franchise di Fate. Per la gioia dei neofiti, però, per visionarlo non è indispensabile recuperare le decine di serie uscite negli anni precedenti. È necessario aver visto solamente l’episodio 0 di Babylonia e lo special “Fate/Grand Order: First Order”.

"Babylonia" è tratto dal videogioco per cellulari “Fate/Grand Order” che ogni anno macina miliardi di dollari. Il videogioco è suddiviso in diverse Singolarità, che per comodità possiamo considerare come saghe, in cui in ciascuna di esse il protagonista deve affrontare una serie di nemici per recuperare il Santo Graal e scongiurare la fine del mondo. Babylonia rappresenta la settima singolarità, tuttavia, l’anime è strutturato in modo tale da consentirne la visione anche a chi non conosce le precedenti singolarità, a patto che abbia recuperato i due episodi citati inizialmente. Sicuramente mancheranno alcuni approfondimenti a causa della mancata visione di Camelot, la sesta singolarità che uscirà nel 2020 sotto forma di due film, tuttavia, ciò non impedisce allo spettatore di apprezzare la serie.

Fatta questa lunga ma necessaria premessa, possiamo iniziare con la trama. Per scongiurare l’imminente estinzione del genere umano, Mash e il suo master Fujimaru sono stati costretti ad intraprendere un viaggio indietro nel tempo fino all’antica Uruk del 2600 A.C. al fine di recuperare il Graal in possesso di re Gilgamesh. In quello stesso momento, però, la città babilonese è in pericolo a causa dei continui attacchi da parte di una coalizione di tre dee che mirano alla testa del sovrano. Per tale motivo, Fujimaru deciderà di unirsi alla battaglia al fine di proteggere i residenti assieme all’aiuto di alcuni spiriti eroici. Quello che sembrava un ambiente pacifico si trasformerà presto in una guerra tra divinità ed esseri umani.

Considerando il media di partenza, è naturale aspettarsi che la serie punti molto sul fattore waifu ed effettivamente così è stato. Ciò che potrebbe limitare l’apprezzamento della serie, infatti, è proprio questo genere di fanservice, quindi, ho ritenuto corretto citarlo nella recensione. Sotto questo punto di vista, ad alcuni personaggi è stato concesso fin troppo spazio, specialmente quando di tempo non ce n’era, finendo con il trascurare la storia. Tra i personaggi che ho apprezzato di più ci sono Quetzalcoatl e Gilgamesh. Quest’ultimo, sebbene mantenga una certa arroganza, ha in realtà un carattere molto diverso dalla versione Archer che abbiamo conosciuto nelle serie originali di Fate/Stay Night. In particolare, si è dimostrato molto più maturo, probabilmente a causa del fatto che la versione presente in questa serie è più adulta e si colloca dopo la morte del suo migliore amico.

Tralasciando il discorso waifu, la storia è abbastanza interessante, però non sempre è raccontata al meglio. Mi riferisco soprattutto agli episodi iniziali in cui gran parte dei personaggi appaiono e scompaiono quasi a casaccio, come in una sorta di videogioco in cui devi sconfiggere il nemico di turno. È vero che stiamo parlando di una serie tratta effettivamente da un videogioco, ma il modo in cui è stata trasposta talvolta non riesce a coinvolgere quasi per nulla. Vista la natura del videogioco di partenza, ogni puntata contiene almeno un combattimento di spessore senza però tralasciare dei momenti più tranquilli e riflessivi in cui viene dato modo di approfondire meglio vari personaggi. Sfortunatamente, i personaggi secondari sono molti e non tutti hanno ricevuto uno spazio sufficiente. Alcuni di essi, infatti, sono stati presentati in fretta e furia per poi essere messi subito da parte nel momento in cui hanno svolto il loro ruolo. Ciò probabilmente è dovuto anche alla durata della serie che invece di sfruttare due cour completi da 24 episodi, ha deciso di raccontare la storia in 21 episodi. Per gran parte della serie il susseguirsi degli eventi è avvenuto ad un ritmo adeguato, tuttavia, lo stesso non si può dire degli ultimi episodi che sono stati talmente veloci da risultare confusionari. In questa parte molte spiegazioni sono state eliminate rendendo praticamente impossibile capire perché i personaggi svolgessero determinate azioni. Non nego che questi episodi siano stati emozionanti, tuttavia, avrebbero potuto dare decisamente di più, specialmente se consideriamo che lavorone era stato fatto finora.

Lato animazioni, la serie si trova a livelli molto alti, specialmente per quanto riguarda le scene d’azione. L’unica vera caduta si è vista nella seconda parte, quando si è resa necessaria l’introduzione di un personaggio realizzato completamente in CGI. Riconosco che dietro deve esserci stato molto lavoro, tuttavia, il contrasto con l’ambiente circostante è veramente esagerato, al punto che non posso fare a meno di accostarlo al tanto criticato drago presente nella serie di Fate del 2006. In alcuni episodi hanno saputo sfruttare le ombre e i colori per renderlo meno evidente, ma non sempre ci sono riusciti. Tralasciando questo scivolone, la serie è ricca di sequenze di combattimento animate divinamente, al punto che è difficile riuscire ad elencarle tutte. Quelle che mi hanno colpita di più sono sicuramente quelle dell’episodio 8 in cui sono presenti i combattimenti dedicati ad Ushiwakamaru e Leonidas, ma ho molto apprezzato anche la parte dedicata a Quetz. Va detto, però, che la memorabilità di questi scontri non è dovuta unicamente alla parte visiva, ma anche a quella sonora che, seppur abbia riutilizzato spesso molte OST (probabilmente a causa della quantità stessa delle battaglie), ha saputo rendere ancora più epico ogni scontro. Le musiche, infatti, sono uno dei punti di forza della serie. Alcune di quelle presenti nel primo episodio penso fossero poco adatte in quanto sembra siano state inserite a forza nonostante non fossero minimamente adatte alla scena, il che mi ha fatto temere il peggio, ma fortunatamente non sono più stati fatti simili errori.

Oltre alle bellissime OST, la serie si avvale di ottime sigle. Le opening, nonostante presentino anche queste delle sequenze ben animate, non risultano molto diverse da quelle che si sentono di solito, tuttavia, non si può dire lo stesso delle ending. Tra le sigle di chiusura, infatti, ve ne sono due cantate da Milet, che in molti probabilmente conosceranno per l’ending di Vinland Saga. Anche in questo caso, la sua bellissima voce ha dato una spinta in più a delle sigle, già di per sé molto buone.

L'anime riesce a porre fine a questo grande arco, tuttavia, la vera conclusione della storia avverrà solo con l'uscita del già annunciato "Solomon", il quale avrà sicuramente una durata inferiore ai dodici episodi. Sicuramente ne consiglio la visione dato che la serie risulta comunque abbastanza interessante, ma non la ritengo un'opera eccelsa come era stata descritta inizialmente.

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Dopo aver giocato e rigiocato all’ormai mitica serie “Tales of Phantasia”, da buon videogiocatore e fan del titolo non mi rimaneva che cimentarmi in questi quattro OAV, e, a visione terminata, posso dire che sono rimasto soddisfatto a metà.
Se la conversione da light novel ad anime è un lavoro piuttosto impegnativo, con tutta probabilità passare da un videogioco di successo a una serie di OAV animati deve risultare ancor più complesso e ostico, soprattutto per quanto riguarda l’adattamento e la lunghezza di un canovaccio che in ogni gioco di ruolo che si rispetti si dilunga in modo ragguardevole. Ho visto più di un anime nato da un videogioco risultare confusionario, insipido, poco attinente alla storia originale o addirittura distorto e privo di mordente (come in parte è accaduto al celebre “Devil May Cry”), e devo ammettere che anche “Tales of Phantasia” ha rischiato la stessa sorte, evitandola per un soffio.

Nonostante la poca pellicola a disposizione, gli autori di quest’anime sono riusciti a comprimere una buona parte degli eventi essenziali che compongono la trama originale del gioco e a renderla scorrevole, accattivante e interessante per tutta la durata degli OAV. Purtroppo il forzato compattamento ha costretto gli sceneggiatori a ridurre drasticamente i contenuti, eliminando gran parte dei passaggi che nel gioco concatenavano gli eventi principali e fungevano da fluidificante narrativo, creando un filo logico continuativo che permetteva la progressione corretta della storia stessa.
Ad ogni modo, “Tales of phantasia OAV” risulta gradevole e scorrevole, sebbene appena sufficiente per quanto riguarda la concretezza e il senso degli eventi che mostra allo spettatore. La trama s’intreccia attorno a Cless, Mint e compagni, che, dopo aver visto il proprio paese natale finire bruciato e devastato a causa di un’entità malvagia conosciuta col nome di Dhaos, “il signore delle tenebre” (malvagio antagonista che pare il solito banale stereotipo di cattivo, ma che in realtà nasconde sfaccettature inaspettate), decidono d’intraprendere un lungo viaggio attraverso continenti esotici e addirittura epoche diverse in fantastiche digressioni spazio-temporali, sfruttando una particolare magia esistente nel loro mondo, pur di rincorrere il malefico Dhaos, scoprire i suoi intenti e fermarlo prima che metta in atto il suo terribile quanto apocalittico piano.
Come idea di fondo pare brillante ma non così originale, ma ogni personaggio principale, così come nel videogioco, risulta abbastanza curato sia nell’aspetto tecnico che in quello personale e psicologico, tanto che ci vuole ben poco ad appassionarsi alla vicenda e far proprie le forti emozioni dei protagonisti (la stessa sorte non è toccata ai personaggi secondari, come detto poc’anzi).
La storia si svolge sostanzialmente in varie epoche differenti, appartenenti sempre allo stesso luogo (allo stesso pianeta, per esser più precisi), con i protagonisti costretti a saltare letteralmente nel tempo per rincorrere il malvagio Dhaos, ripercorrendo a grandi linee le orme del videogioco. I problemi sorgono proprio per il tempo a disposizione, solo quattro OAV da trenta minuti l’uno tracciano inevitabilmente i limiti di uno svolgimento insoddisfacente e poco profondo, almeno per come un fan della serie videoludica se lo aspettava (o sperava di vedere). Una moltitudine di elementi tralasciati, altri poco chiari e per nulla approfonditi, altri ancora appena accennati. La storia diviene così una corsa affannosa senza sosta, una tirata unica dove gli spunti di riflessione e le pause necessarie non esistono proprio.

Per quanto riguarda l’aspetto tecnico, siamo un gradino sopra: magie, evocazioni, combattimenti vengono animate meravigliosamente, ricche di particolari, sfumature cromatiche e di una dinamica reattività sopra la media degli standard animati di quel periodo. Così come nel gioco, il character design è gradevole e accattivante, gli scenari vere e proprie opere d’arte, forse l’elemento più fedele di questa conversione.

A conti fatti, la somma di pregi e difetti si bilancia, lasciando troppi punti di domanda e regalando un finale scontato e per nulla coinvolgente.
Un prodotto, in definitiva, che può essere consigliato a chi ama il genere fantasy nipponico con chiari rimandi alla branca videoludica degli anni ‘90, capace di sfoggiare maghi, streghe, mostri leggendari, castelli incantati e oscuri signori del male contrastati dal classico “party” di eroi pronti ad accrescere la loro esperienza pur di salvare il mondo. Un classico che, in fondo, riscuote sempre il dovuto successo.
Inevitabile però il rammarico per quel che avrebbe potuto essere.

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“Venus Project: Climax” è una miniserie anime di sei episodi facente parte del franchise multimediale “Venus Project”, che oltre a questo anime comprende anche uno show live action con protagoniste le doppiatrici dei personaggi, un web manga e due videogame, uno per PlayStation Vita e l’altro per Smartphone. L’anime è però perfettamente comprensibile da sé, dato che ha una sua storia ben definita che inizia e si conclude, senza costringere lo spettatore a saltare da un media all’altro.

La storia è ambientata nel Giappone di un futuro poco distante, dove esiste un torneo chiamato “Formula Venus” nel quale le giovani idol si sfidano per ottenere successo e visibilità. Grazie a un sistema di realtà virtuale chiamato “Venus System”, l’energia delle performance delle ragazze attraverso canti e balli viene convertita in IRIS, ovvero delle proiezioni virtuali dell’animo delle idol, e che sono quasi sempre in forma di robot. Dunque, mentre le idol cantano, alle loro spalle ci sono i robot che si affrontano con missili e pugni rotanti.
Protagonista della storia è Eriko Hara, una energica ragazza rimasta orfana in tenera età, ma che proprio grazie alle canzoni della sua idol preferita ha trovato la forza di andare avanti. Ora che è cresciuta, vuole diventare una idol che dona gioia ai suoi fan, e per farlo deve battere tutte le sue agguerrite avversarie e vincere il Formula Venus.

Nel corso dei sei episodi assistiamo dunque alle varie fasi del torneo, che vengono narrate molto velocemente, alternate alle storie personali delle tre protagoniste più importanti. Attraverso flashback vari viene raccontato il loro percorso e spiegate le motivazioni che hanno portato le ragazze sul palco del torneo. Le altre cinque ragazze sono invece messe lì per fare numero, e di loro sapremo e vedremo pochissimo. Va detto che anche le storie delle tre protagoniste non sono molto originali, ma, per essere un anime di sei episodi su delle idol, sono più che discrete, e almeno le protagoniste sono un minimo caratterizzate.

Il chara design dei personaggi è piuttosto ben fatto, le otto idol partecipanti al torneo sono ben diversificate, e ognuna ha un suo stile preciso nell’abbigliamento, anche se un po’ stereotipato, ma tutte le ragazze presenti nell’anime (a parte qualche eccezione) hanno la stessa misura di seno, piuttosto generosa. Non c’è tuttavia molto fanservice, a parte l’immancabile episodio al mare, o qualche scena in cui la protagonista di turno si rilassa nella vasca da bagno.

Un aspetto che invece è di assoluta importanza per questo genere di anime è il comparto musicale. Su questo fronte non ci si può lamentare: nel corso dei sei episodi si possono ascoltare due o tre canzoni diverse per episodio, tutte molto orecchiabili, cantate dalle varie doppiatrici.
Delude un po’ invece la parte coreografica, dato che durante le esibizioni le varie ragazze fanno solo qualche piroetta e qualche posa, e queste stesse scene vengono riciclate più volte nelle diverse “battaglie”. Idem per le scene con i robot, che, essendo un aspetto solo secondario dell’anime, non sono molto curate e anzi sono piuttosto generiche, così come il design stesso dei robot.

L’aspetto migliore della serie è alla fine il doppiaggio originale giapponese. Le diverse doppiatrici hanno svolto molto bene il loro lavoro e, guardando anche il segmento live action che le coinvolge, pare si siano anche divertite.

In breve, “Venus Project: Climax” non è un capolavoro, nemmeno lontanamente, ma è un discreto anime e intrattiene quanto basta e, pur essendo nato come parte di un progetto più grande, funziona bene anche da solo.
Non è sicuramente adatto a chi cerca un anime sui robot, che, seppur presenti, non hanno nessuna importanza nella storia, ma per chi è appassionato di questo genere di storie, di idol e di musica, vale la pena dargli un’occhiata.