Per descrivere al meglio Great Pretender, ultima fatica dello studio Wit, disponibile su Netflix, si potrebbe paragonarlo ad un cocktail: 1/3 di La Stangata, 1/3 di Ocean's Eleven, 1/3 di Prova a prendermi e una spruzzatina di Freddie Mercury, il tutto servito in un coloratissimo bicchiere di design ispirato alla pop art. Ed ecco a voi una serie che colpisce soprattutto per la sua parte grafica e musicale, mentre per quanto riguarda la trama non si potranno tacere alcune lacune. Ma andiamo per ordine.
 
 
Great Pretender narra le avventure di Makoto Edamura, un giovane che si professa il più grande imbroglione dell'intero Giappone.  Affermazione pretenziosa che dovrà giocoforza fare i conti con una realtà ben diversa nel momento in cui, nel tentativo di imbrogliare un francese ad Asakusa, esso viene a sua volta fregato da colui che si rivelerà essere un vero abile truffatore internazionale: Laurent Thierry, che coinvolgerà Makoto nelle sue imprese in giro per il mondo!
 
"Non siamo soci. Non siamo amici, né familiari. Un errore ed è finita. Siamo lupi solitari."

Andata in onda in Giappone da giugno 2020 e poi in tutto il mondo da agosto, la storia si sviluppa in quattro archi, intitolati "Casi", ambientati in varie zone del mondo; ognuno racconta una truffa organizzata dalla banda, ma in realtà l'organizzazione di ogni colpo è la scusa per raccontarci i vari personaggi, le loro storie e il loro passato con cui dovranno fare i conti.
Vedendo Great Pretender non possono non saltare all'occhio le innumerevoli citazioni e rimandi a film ed opere del passato, sia a livello di trama che di grafica. Oltre ai titoli già elencati nell'introduzione, l'omaggio a Lupin III è evidente, per la tipologia di avventure e per il character design dei protagonisti con le proporzioni allampanate degli uomini e i corpi sexy delle donne, decisamente ispirati dallo stile di Monkey Punch.
 

Il  punto di forza della serie a mio avviso è nel comparto tecnico/visivo, d'altronde stiamo parlando dello Studio Wit qui in binomio con un vero mostro sacro della storia dell'animazione giapponese, Yoshiyuki Sadamoto (mister Evangelion, FLCL e Nadia), che su questo titolo si è occupato del character design.
Anche sotto questo aspetto  l'ispirazione e gli omaggi alla cultura pop del secolo scorso non mancano. In ogni arco vi sono colori predominanti, sempre molto saturi e in alcuni casi squillanti. Il riferimento principale è sicuramente la pop art, resa popolare da Andy Warhol negli anni '60, ma si può vedere anche l'influenza del pittore bielorusso Leonid Afremov, soprattutto nelle ambientazioni notturne di Singapore, e alcuni tratti più morbidi ricollegabili all'Art Nouveau quando ci si sposta in Europa.
 

Altro aspetto che fa amare subito la serie è la colonna sonora, composta da Yutaka Yamada (Tokyo Ghoul, Vinland Saga). La opening "G.P." è un doppio omaggio: dal punto di vista grafico è un chiaro riferimento ai titoli di testa "Prova a prendermi", film di Steven Spielberg che narra appunto la storia di Frank Abbagnale, mago della truffa realmente esistito. Dal punto di vista sonoro invece viene subito in mente la celeberrima "Tank" opening di Cowboy Bebop; d'altronde gran parte della colonna sonora utilizza jazz e blues, proprio come succedeva nel capolavoro di Watanabe ma anche come spesso si può sentire nelle opere di Lupin.
 


Per la ending invece si è scomodato niente meno che Freddie Mercury, leader dei Queen, con la sua "The Great Pretender", cover del brano dei The Platters. Sfruttando l'omonimia con il titolo della serie, mai scelta però fu più azzeccata. Ogni puntata si chiude con una nota di dolcezza, con immagini che saranno più chiaramente comprensibili solo dopo aver visto tutta la serie e che mettono al centro della scena il gatto, animale simbolo perché molto amato dalla madre del protagonista, molto amato dallo stesso Freddie Mercury e anche perché con la sua natura schiva e solitaria, a volte un po' opportunista, ben si adatta a rappresentare il ruolo del truffatore.
 


Quindi tutto perfetto? Purtroppo no. Per quel che mi riguarda, la vera nota dolente di questo anime è la sceneggiatura che inficia in parte il risultato dell'opera. Lo script ad opera di Ryota Kosawa (film live action di Parasyte e Always: Sunset on Third Street) poteva e doveva osare di più. Se il primo caso risulta brillante con tutte le tessere che magicamente vanno al loro posto svelando il quadro finale e tutti gli inganni che si sono dovuti perpretare per ottenere la vittoria, dal secondo in poi viene ripetuto lo stessa schema senza grandi modifiche. Seppur in realtà, come accennavo prima, si capisce che l'organizzazione della truffa è solo un escamotage per raccontarci chi sono i membri della banda (ogni caso è dedicato ad uno di loro), alla lunga questo canovaccio può risultare monotono.
 

L'approfondimento psicologico dei personaggi e la scoperta del perché sono diventati quello che sono è sicuramente interessante e porta ad affezionarsi a loro. Molte scene sono emozionanti, altre divertenti, si fa il tifo per questa banda un po' squinternata che ovviamente come novelli Robin Hood ruba solo ai ricchi e a chi ha fatto loro un torto in passato, però dopo un po' il gioco mostra la corda, soprattutto perché si tende ad esagerare. I colpi sono sempre più complessi ed arzigogolati ed è difficile credere che si possano ingannare così facilmente quelli che dovrebbero essere capi di mafie internazionali. I buchi di sceneggiatura purtroppo ci sono e rovinano quella che poteva essere un'ottima serie se solo si fosse voluto rischiare un po' di più.
 
Great Pretender resta comunque una serie che consiglio, pur sottolineando di non aspettarsi troppo nè di pretendere di veder spiegata ogni cosa. In alcuni momenti si deve accettare la trama per quella che è, senza farsi troppe domande né pensare che possa essere totalmente realistica. In questo modo ci si gode la colonna sonora e si gustano le ottime animazioni e gli sfondi mozzafiato che sono spesso entrati di diritto nella nostra rubrica ad essi dedicati che potete trovare periodicamente su AnimeClick. Una serie che comunque riesce a intrattenere e a strappare un sorriso, cosa che di questi tempi non è poco.