Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

7.5/10
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«ID:Invaded» è un anime, a cura dello studio di animazione NAZ, che racchiude molte sorprese sapientemente dosate durante la serie non riuscendo però a regalare un finale all'altezza.

Un investigatore che risolve casi complicati in un modo veramente particolare e originale. Ci si immerge, si entra dentro quello che viene definito "pozzo", una sorta di luogo del crimine ricostruito grazie a una realtà virtuale, indagando su di essa si svelerà l'identità del criminale di turno. Elementi comuni a tutte le indagini saranno due nomi: Kaeru e John Walker che sembrano nascondere segreti importanti. Visivamente l'impatto sarà molto più ostico di quanto spiegato in queste poche righe, potrà incuriosire, appassionare o infastidire a seconda dei gusti.

Curioso e particolare certamente, ma alla lunga può stancare, quando si comprendono le meccaniche del tutto qualcosa deve accadere per rendere vivo l'interesse dello spettatore e quel qualcosa accade, per caso, incidentalmente, una piccola scintilla che porta a qualcosa di esplosivo, pochi episodi molto profondi, ricchi di contenuti, di emozioni, di risvolti psicologici convincenti e originali. L'anime fallisce in seguito non riuscendo a reggere tali ritmi senza sfociare in un qualcosa di confusionario. Si affronta un nemico poco riuscito nella caratterizzazione date le ottime premesse e l'approfondimento psicologico visto negli episodi precedenti, si perde quell'impronta originale per qualcosa di più classico.

"One man show", Kenjirō Tsuda il doppiatore di Sakaido (fra i tanti a cui ha prestato la voce si segnalano Mifune di "Soul Eater", Hyakunosuke Ogata di "Golden Kamuy" e Joker di "Fire Force") riuscirà a sorreggere le parti migliori praticamente da solo, piangeremo con lui, ci arrabbieremo con lui, sorrideremo con lui, e grazie alle ottime musiche il tutto verrà amplificato. Oltre al protagonista pochi i personaggi riusciti, da segnalare Tamotsu Fukuda e alcuni fra i vari assassini.

Le animazioni a cura dello studio NAZ ("Hamatora", "Infinite Dendrogram") sono buone, così come i disegni. Per quanto riguarda il comparto audio si devono segnalare le ottime musiche soprattutto quelle che si ascoltano durante alcuni episodi, nel quarto saremo deliziati da "Samurai 45" di Miyavi, poi "Revenge" di Kazuya Nagami dell'episodio nove e nel dodicesimo "Butterfly" sempre di Miyavi fino ad arrivare a "Memories of Love" dell'episodio dieci, un piccolo capolavoro di montaggio.

Consigliato a chi ama le storie di fantascienza e di mistero.

7.0/10
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«Pet», serie di tredici episodi dell'inverno 2020, realizzata da Geno Studio, è la trasposizione animata dell’omonimo manga di Ranjou Miyake. Già il primo episodio presenta l’andamento non lineare della serie e l’altro elemento che movimenta i giochi: in questo mondo - indistinguibile dal nostro - alcune persone hanno la capacità di manipolare la mente delle persone; possono modificare i ricordi altrui fino ad arrivare a distruggere la loro mente. Tsukasa e Hiroki, i due protagonisti, sono due ragazzi dall'aspetto ordinario, ma hanno appunto quest’abilità: sono dei “distruttori” che lavorano al soldo di un’organizzazione criminale, con base in Cina, nota come “La Compagnia”.

«Pet» è una serie difficile da commentare senza fare spoiler, perché anche solo anticipare quali siano i rapporti fra i personaggi, come funzioni questo potere e quali siano le “regole” per utilizzarlo rovinerebbe la visione.

Posso solo evidenziare quali siano gli aspetti che, secondo me, funzionano: la trama fa parte di questi. Le vicende del gruppetto di personaggi al centro della storia (Tsukasa, Hiroki, Satoru, Hayashi e, aggiungo, Katsuragi) che si trovano a cercare di far convivere le proprie esigenze personali, i propri affetti, le proprie aspirazioni con il lavoro, totalizzante per ovvi motivi, per “La Compagnia” costituiscono un intreccio coerente, anche se inizialmente volutamente celato dietro una narrazione non lineare. Questa narrazione non lineare è un’altra delle cose che funzionano, a patto che si ami il genere: se, quindi, si accetta di buon grado di non comprendere già dai primi episodi “dove voglia andare a parare” la storia.
Ho anche apprezzato i personaggi: sia, superficialmente, per la presenza di un cast adulto, sia, più nello specifico, per il fatto che abbiano (quasi tutti) una certa complessità, non siano né monolitici né scontati, né “trasparenti”. Bella anche la trattazione - di sottofondo - delle difficoltà che questo potere porta con sé: non è un “potere favoloso”, né una “maledizione”, è più una sorta di talento dalla gestione difficile, gestione resa ancora più ardua dal lavorare in un ambito criminale. La vita dei distruttori è decisamente ardua. Le loro difficoltà sono ben rese, così come mi ha sorpreso la buona conoscenza delle basi dei meccanismi del ricordo.

Di contro la serie ha diversi punti deboli, concentrati sull'aspetto tecnico, aspetto su cui avevo le aspettative maggiori dopo aver visto i nomi: la direzione della serie è, infatti, di Takahiro Omori (“Durarara!!”), mentre la sua composizione è stata affidata a Sadayuki Murai (“Natsume Yujin-cho”). Eppure né la sceneggiatura né la presentazione delle scene riescono ad emergere: non sono mal fatte, ma non ho visto nulla che fosse in grado di superare la sufficienza.

Il character design è di un altro “nome importante”, Jun'ichi Hayama, ed è pulito e accattivante, almeno quando rispettato: perché purtroppo spesso, a partire da metà serie, si ha l’impressione che i personaggi mutino a tratti i lineamenti. La serie è stata rimandata di una stagione, avrebbe dovuto inizialmente uscire nell'autunno 2019, e questo può essere sintomo di qualche problema durante la lavorazione, che potrebbe aver portato a questa qualità così bassa.
Uno degli aspetti più sconfortanti è proprio quello della qualità del disegno e delle animazioni; se non c’è nessun momento di particolare bellezza grafica, diversi momenti sono veramente dei “disastri grafici”. Eppure gli elementi onirici presenti sarebbero stati un’ottima occasione, se sfruttati bene. Tutta la narrativa che circonda il potere dei distruttori (picchi, valli, serrature e farfalle) è interessante, ma poco valorizzato nella serie.

Tecnicamente dà soddisfazione il solo comparto musicale: la OST che ben sottolinea i momenti importanti e le ottime le sigle. Bellissime sia la opening, “Chō no Tobu Suisō” di TK (Tōru Kitajima) che ha sonorità che mi hanno ricordato Bjork, sia la ending, estremamente malinconica, “image____” (Memai Siren).

Il doppiaggio non mi ha particolarmente colpita: solo l’interpretazione di Tsukasa ad opera di Kishō Taniyama (già ottimo come Chūya Nakahara, in "Bungo Stray Dogs") mi è parsa emergere.

Una serie che ha una storia intrigante e un comparto tecnico insoddisfacente, cui assegno come voto un 7, perché riesce a non perdersi sul finale e mi ha fatto venire voglia di recuperare il manga.

9.0/10
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“Zaregoto”, la serie di novel con cui ha debuttato NisioIsin (probabilmente più famoso per “Monogatari”, “Katanagatari” e “Medaka Box”) può essere chiamata una serie "fondamentale" sotto tutti gli aspetti: è generalmente considerato il lavoro che, assieme a "Boogiepop" di Kouhei Kadono ha portato la tipologia delle "light novel" nel mainstream e, per quanto riguarda Nisio stesso, è in genere considerata la sua serie migliore (peraltro ne esiste anche uno spin-off lungo quasi quanto la serie principale).

Alla base, "Zaregoto" potrebbe essere considerata una serie "mystery" - a parte gli ultimi tre volumi, tutti i precedenti hanno alla base della trama un assassinio che il personaggio principale, Io-chan (Boku-chan in giapponese) finisce per risolvere - più per caso che per altro. Perché, in effetti, quasi sempre il mistero non è altro che una vaga intelaiatura, poco più che una scusa per piuttosto investigare la psiche di Boku-chan, e i mille modi in cui viene violentata /aggredita / deturpata da situazioni bizzarre e da una carrellata di personaggi fuori dal comune - quasi tutti assassini, psicotici o disadattati.

Un 50% del fascino della serie viene proprio dall'io narrante, un personaggio come se ne vedono pochi in giro: una specie di caricatura grottesca del protagonista pappamolle standard a cui il mondo anime-light novel è così affezionato, è tutto ciò che un essere umano non dovrebbe mai diventare: freddo, apatico, disinteressato a (quasi) chiunque e qualunque cosa o persona lo circondi, nelle sue stesse parole: "Se significa non essere tristi, non ho bisogno di essere felice". Da questa affascinantemente disgustosa base, i romanzi esplorano l'"evoluzone" di Boku-chan - scopriamo i traumi che l'hanno ridotto a diventare una scusa di essere umano, mentre scopriamo anche il suo lato manipolatore e, quasi con sorpresa, vediamo che forse, sotto a tutto quel marciume psicologico, c'è ancora qualcosa di salvabile...

La serie vive anche dei suoi personaggi secondari, che sono forse i migliori che Nisio abbia mai concepito - assolutamente fuori da qualunque normalità eppure, paradossalmente, più credibili ed "umani" di, per esempio, i personaggi di "Medaka Box", da Kunagisa Tomo, genio dei computer e unico "amore" di Boku-chan, a Aikawa Jun, una specie di prototipo per Kurokami Medaka, ma ben più convincente e, francamente, interessante; e, in mezzo, una carrellata vastissima (parliamo di quasi una sessantina) di membri di famiglie di assassini, perversi geni della matematica e dell'arte, esperimenti scientifici andati male, cameriere (!) affascinanti, bambine omicide, "L'uomo peggiore del mondo", e chi più ne ha più ne metta. Meglio comunque non affezionarsi: quasi tutti i personaggi muoiono in modi ridicoli, sbrigativi, a volte addirittura fuori scena.

Un" altra grossa fetta del fascino di "Zaregoto" viene, se non dalla trama, comunque dai contenuti e dallo stile. Nisio è famoso per le sue elucubrazioni filosofiche e per il suo linguaggio forbito, pieno zeppo di giochi di parole, riferimenti a cultura pop e, in generale, uso del linguaggio ben oltre la semplice narrazione. In questo senso, "Zaregoto" è l'archetipo dello stile di Nisio, ma anche un lavoro (forse l"unico) in cui il vagheggiare dell'autore è canalizzato per mostrarci la psicologia che guida i personaggi. Quasi ognuno di loro, infatti, esiste non solo per occupare un posto nella trama, ma anche per esemplificare un concetto filosofico, o un'attitudine alla vita: ad esempio Zerozaki Hitoshiki, killer e "doppelgänger" di Boku-chan, ha sì un ruolo da svolgere nella vicenda, ma esiste anche per chiederci "Cosa vuole dire uccidere?" - e Nisio, attraverso il personaggio e i suoi dialoghi, ci espone chiaro e tondo la sua visione del problema. Il linguaggio stesso è una rete fittissima di rimandi e riferimenti a filosofia (per esempio, la famiglia di assassini di cui fa parte Hitoshiki, in cui ogni membro è un riferimento ad un famoso filosofo), cultura pop (le gag su “Jojo” si sprecano), e giochi di parole, primi fra tutti i nomi stessi dei personaggi, che sono purtroppo intraducibili in altre lingue.

Quindi, un'opera da non perdere. Ma allora, perché nove? La serie, a volte suo malgrado, purtroppo qualche problema ce l'ha. Primo, la già menzionata osticità per chi non conosce (e bene) il Giapponese: assonanze, giochi di parole e riferimenti sono sostanzialmente intraducibili, e comunque perdono moltissimo se resi in un'altra lingua (sopratutto quando, e spesso accade, Nisio gioca a sostituire kanji simili d'aspetto, ma di significato completamente diverso). In secondo luogo la serie è sì un capolavoro - purtroppo, però, non nella sua interezza. È composta da sei storie in nove volumi totali, di qualità francamente molto variabile: “Kubishime Romaticist” è in assoluto uno dei libri migliori che abbia mai letto, e “Cannibal Magical” è d'impatto ineguagliabile; poco sotto, “Kubitsuri High School” e “Kubikiri Cycle” sono belli, ma già più prevedibili e, sopratutto, molto meno cerebrali; ancora più sotto, “Psycho Logical” (due volumi) e “Nekosogi Radical” (tre volumi), che sono ottimi se comparati alla media delle light novel in circolazione ma impallidiscono al confronto coi volumi migliori di “Zaregoto”.

Complice la mancanza di un anime associato (si dice per volere di Nisio stesso) e l'obiettiva atipicità della serie anche nell'ambito delle light novel, la speranza di vedere una traduzione ufficiale italiana è nulla. Se si sa il Giapponese, avviso che il linguaggio che Nisio usa in "Zaregoto" è molto più complesso rispetto a quello di una light novel standard, a volte anche più complesso di quello di un romanzo vero e proprio. Altrimenti, i primi due volumi sono stati tradotti ufficialmente in inglese (ma sono entrambi fuori stampa). Buon divertimento!