Animeclick ha storicamente un occhio di riguardo per gli adattamenti italiani e, grazie a Lucky Red, è riuscita in un'impresa che ha fatto contenti molti fan dell'animazione e non solo. Portare in live su Twitch (insieme al traduttore Francesco Nicodemo)  sul nostro canale il direttore del doppiaggio di  Earwig e la strega, nuovo film dello Studio Ghibli diretto da Goro Miyazaki e giunto nei cinema italiani in questi giorni.

Se anche nome e cognome vi dicessero poco, non preoccupatevi: il timbro della sua voce è inconfondibile, e i suoi ruoli talmente famosi e versatili da averlo reso uno dei doppiatori più professionali sulla piazza da oltre vent'anni. Max Alto è voce, cuore, passione e musica.

Tantissimi i credits su film, telefilm e animazione che lo accompagnano  da anni immemori. E' stata la voce di Ranma Saotome Kaworu Nagisa Lelouch Lamperouge  e InuYasha . Ancora più inedito e sorprendente il suo lato musicale... o forse non così tanto, se ricordate Change the World, la sigla di InuYasha cantata proprio da lui in inglese.

Qui sotto il video intero della live e buona parte delle domande trascritte per una facile lettura

 
 

Alessandro: Ciao Massimo, siamo molto contenti di averti qui in live con noi. Ti faremo un po’ di domande quindi perdonaci se saremo molto “fan”. 

Max: Ciao Ale, tranquillo, anzi sono io molto onorato di essere qui con voi.

Alessandro: Ciao Francesco (Nicodemo), grazie per essere di nuovo qui con noi. Ormai sei di casa e ci fa sempre piacere accoglierti.

Francesco: Grazie a te dell’invito Ale, è un piacere come sempre

 

Alessandro: Direi di partire dall’aspetto che sicuramente colpisce di più del film: il comparto grafico. Ghibli nell’immaginario collettivo significa uno stilema ben preciso, e questo ritorno dello studio dopo 7 anni con una grafica 3D è stato molto discusso. Voi, da appassionati, come l’avete trovato?

Max: Premetto questo: non sono esperto come voi, parlo da persona che ama il cinema in ogni suo aspetto, inclusa l’animazione di tutto il mondo. Ritengo che sia stata sicuramente un’operazione azzardata, soprattutto agli occhi di chi conosce bene Miyazaki padre. Lui è praticamente il Walt Disney dell’animazione giapponese, le sue opere sono iconiche, e paragonato con esse forse questo film potrebbe deludere dal punto di vista grafico. Strizza l’occhio a un pubblico un po’ più giovane, cosa che penso fosse l’intento del progetto, farlo meno “di nicchia” e portarlo a più persone possibili. Di questo ho la certezza anche perché vedo che è stato portato in moltissime lingue, e posso dire nella fattispecie di quella italiana che sono stati scrupolosissimi, hanno controllato tutto. In sostanza, credo che sia un film fatto oggettivamente bene, poi starà al pubblico giudicare.

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Alessandro: Non è comunque la prima volta che Studio Ghibli fa uso della CGI, a differenza di quanto si asserisce online. C’è anche un’intera serie tv in CGI fatta da loro, Ronja. Invece, Francesco, credo che questa sia la prima volta che lo studio collabora con la NHK, giusto?

Francesco: Corretto, solitamente collaborano con la NTV, questa è la prima volta che si rivolgono ad un’altra emittente che però in questo caso è pubblica (per intenderci, è come se uno studio italiano collaborasse con la RAI). Non dico sia meglio o peggio, hanno però indubbiamente trovato un partner importante. 

Per quanto riguarda la CGI, quel che dici è corretto: lo Studio Ghibli aveva già fatto uso della computer grafica con Ronja. In un’intervista che mi è capitato di leggere (non ricordo dove), Goro parlava proprio di voler proseguire il suo rapporto con la CGI, ma poiché il padre sta lavorando a un film in tecnica tradizionale che dovrebbe uscire in tempi “Miyazakianicamente” ragionevoli, ha pensato di doversi differenziare dal lavoro del padre, poiché la CGI che Goro stava utilizzando dava come effetto finale una somiglianza con l’animazione classica, per questo alla fine ha optato per una “completa". C’è però appunto da ricordare che questo film è stato pensato la televisione, infatti è stato proiettato sulla NHK il 30 Dicembre 2020 e si è deciso solo in un secondo momento il passaggio al cinema, che tra l’altro deve ancora avvenire. Per questo, infatti, il minutaggio è un po’ più breve degli altri.

Alessandro: È però pieno di citazioni agli altri film, dal gatto di Kiki alla protagonista che nel finale guarda “Il Castello errante di Howl”. È un film che strizza molto l’occhio, soprattutto a un pubblico di bambini e ragazzini.

Francesco: Sì, anche perché poi il film è tratto da un romanzo di Diana Wynne Jones, la stessa autrice del romanzo da cui è tratto “Il Castello errante di Howl”. Per cui quella del finale è una doppia citazione. 

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Alessandro: Penso che questo sia uno dei più bei doppiaggi che abbia mai visto in un film dello studio Ghibli, sia per voci che storiche che per giovani promesse come Ilaria Pellicone, che è stata bravissima a calarsi nella parte della ragazzina dispettosa e saccente. Max, ci parli un po’ del doppiaggio del film?

Max: Concordo in pieno, Ilaria è stata bravissima, era anche leggermente più grande dell’età anagrafica richiesta per il personaggio, ma era necessario per dare quelle sfumature citate da te, ma questo fa parte del gioco del doppiaggio: a volte è necessario uscire dal range vocale preciso per trovare l’interprete più adatto per il personaggio, e provinare tutti gli attori in questi caso è indispensabile. Su ogni personaggio ne abbiamo provati tre, e devo dire che erano veramente tutti buoni. A volte ci sono dei suggerimenti che arrivano direttamente dallo Studio Ghibli e io dico la mia. In alcuni casi sono anche stato contestato, ma siamo riusciti ad arrivare a una conclusione decisamente soddisfacente. La mamma di Erica la interpreta Caterina Shulha, che di mestiere fa l’attrice ed è un suono diverso che serviva, Pino su Mandragora è stata una bella intuizione, lui è molto bravo su questi ruoli infatti aveva già lavorato con me a The Boy and the Beast, dove posso lo metto. Mi trovo molto bene a lavorare con lui soprattutto perché non si risparmia mai nell’impegno che mette in sala. 

Per fare bene un film serve tutto uno staff che lavori bene, e infatti la presenza di Liliana Sorrentino sulla direttrice dell’istituto è stata un’intuizione dell’assistente al doppiaggio, Giulia Onofri (che tra l’altro è mia compagna di vita). Io personalmente non ci avevo pensato, soprattutto perché quando si inizia a fare direzione a volte non si ha quasi più tempo per doppiare, quindi nei confronti dei direttori come Liliana ho avuto il riguardo di pensare “magari disturbo”, però alla fine così non è stato. Anche Daniela Calò, la doppiatrice di Bella Yaga, è stata bravissima. Non è stato facile lavorare su tonalità come quelle. Spezzo davvero una lancia a favore dei “miei” attori: sono stati bravissimi a cogliere subito certe sfumature nonostante il tempo ci remasse contro e a seguire la versione originale del film. L’originale è sacro, e va sempre rispettato senza fare invenzioni.

 

Alessandro: Quali sono state le direttive della Lucky Red e dello Studio Ghibli?

Max: L’iter parte con la Lucy Red che mi contatta e mi propone la direzione del film. Da lì parte tutto, e in verità non immaginavo tutto l’iter che avrei dovuto vivere con lo Studio Ghibli. È iniziata una corrispondenza molto meticolosa: mi hanno scritto sempre esattamente quello che volevano, hanno chiesto per ogni provino un commento tecnico e preciso. Basta una parola di incomprensione e si può scatenare una leggera miccia, magari anche a causa della barriera linguistica che fa percepire a me una cosa e a loro un’altra. Il doppiaggio segue delle regole precise, matematiche, è l’esatto contrario del “faccio quello che mi pare” come possono pensare alcuni, per cui è stato necessario fargli capire che seguendo certe forzature che loro richiedevano non avremmo ottenuto l’effetto che desideravano. Questo al di là dell’adattamento, perché è chiaro che se diciamo delle frasi che non corrispondono a quello che dicono in originale non ci troviamo comunque. Confesso che mi hanno messo più in difficoltà di quanto l’avesse fatto la Disney, sono stati molto pignoli e precisi. C’è stato un equivoco in seguito ad una mia scelta di spingere per attori da presa diretta, in quanto voleva ricreare un po’ quell’idea di film cinema. La loro risposta è stata “vorrei ricordare che questo è un film per la televisione, non è cinema”. In quel momento c’è stata incomprensione, anche perché per me il cinema è cinema. Alla fine però è comunque andato tutto liscio.

 

Alessandro: Era la tua prima volta con un Ghibli ma non con l’animazione giapponese. Per esempio, sempre con Francesco hai fatto Mary e il fiore della strega e Fireworks. Puoi dirci se con le altre lavorazioni hai incontrato le stesse rigidità?

Max: Qualche rigidità effettivamente l’ho trovata. Ricordo benissimo che quando facevamo i provini di Gundam c’era il regista, Tomino, che mi intimava di dare molta più grinta a una scena che, però, per come comunichiamo noi, doveva essere molto più sofferta, intima e personale. Allorché dissi in tono goliardico al direttore, che all’epoca era Fabrizio Mazzotta, di dire a Tomino che “se non la smette vengo lì e lo meno” *ride*. Scherzi a parte, il modo di fare di Tomino mi è sembrato sinceramente esagerato: capisco il suo desiderio di voler ricreare quel movimento e quel pathos, loro ne hanno necessità per come parlano, ma noi riusciamo a dare la stessa sensazione con molta meno energia. Ogni idioma, in fin dei conti, ha il suo modo di parlare. Poi comunque il provino l’ho perso, quindi non importa.

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Alessandro: Torniamo su Earwig. Francesco, che difficoltà ci sono state con la traduzione?

Francesco: Posso riallacciarmi alla domanda che hai fatto prima sulle direttive: insieme ai materiali ho ricevuto un documento in inglese, proveniente dallo Studio Ghibli, che dava delle indicazioni su come doveva essere fatto il lavoro, forniva dei profili dei personaggi e deve delle indicazioni sul grado di libertà e improvvisazione che ci si poteva prendere nel realizzare l’edizione italiana, che era chiaro dal documento fosse abbastanza basso. L’unica volta che avevo visto un documento simile è stato con Mary: mi ricordo di un personaggio, uno scienziato che usava sempre dei termini scientifici molto complessi per creare dei momenti comici, e in quel caso avevo la possibilità di inventarne di nuove se la traduzione esatta non avesse conservato lo stesso effetto. Per il resto, è stata richiesta massima fedeltà. Il lavoro svolto in questo caso è stato affiancare il testo del film con quello del libro, e di questo ringrazio l’adattatrice, Roberta Bonuglia, sia per l’ottimo lavoro svolto che per aver anche solo recuperato il testo che è al momento esaurito (avevo sentito con in concomitanza con l’uscita del film sarebbe stato reso nuovamente disponibile). Il problema maggiore qui è stato che lo Studio Ghibli e Goro Miyazaki hanno lavorato sull’edizione giapponese del libro, che aveva scelte di precise di adattamento per poterlo rendere dall’inglese. 

Un esempio che mi viene in mente è che in giapponese la protagonista non si chiama Earwig, bensì Ayatsuru, da cui il titolo del film “Aya to Majo”. Abbiamo poi scoperto che Earwig è il nome di un insetto che, secondo le credenze giapponesi, è in gradi di manipolare le persone. Da qui il nome Ayatsuru, che significa “manipolare”. Siccome però il nome non ha un significato molto positivo, a inizio film la direttrice la ribattezza “Aya Tsuru”, come se fosse nome e cognome. Quando ci siamo trovati davanti questo cavillo abbiamo avuto chiaramente difficoltà, non potevamo chiamare una bambina “Manipolare” e conseguentemente “Mani”. Di conseguenza abbiamo reso il testo un po’ più didascalico e riprendendo il nome inglese, Earwig, ne abbiamo dato la spiegazione. Un piccolo grado di libertà per rendere il concetto più comprensibile al pubblico. Il nostro lavoro è stato, partendo dalla traduzione letterale, fare una verifica con quella italiana del libro. Per fare un altro esempio: c’è un piatto tradizionale inglese, la Sheppherd Pie, che nella versione italiana del libro è stato tradotto come Timballo, termine che abbiamo lasciato anche noi, per cercare di rendere il libro familiare con il film. Per lo stesso motivo, abbiamo scelto di chiamare le creature di Mandragora “Demoni”.

Un’altra difficoltà che abbiamo riscontrato è stata eliminare i riferimenti culturali giapponesi presenti nella versione originale del film, come gli onorifici, che non avrebbero senso in un film ambientato in Inghilterra. 

 

Alessandro: Un altro argomento molto dibattuto sono state le due canzoni (quella della madre di Erica e la ending) scritte da Goro Miyazaki, che a differenza degli altri film Ghibli dove erano state tradotte “perché il target sono i bambini”, sono state lasciate in giapponese  con i sottotitoli in italiano. Come mai scelta? È stata una scelta vostra?

Francesco: Nelle linee guida che ho ricevuto ci era stata data la possibilità di far cantare le canzoni in italiano alla doppiatrice della madre di Erica, esattamente come accade in originale. Naturalmente erano necessarie una serie di approvazioni da parte dello Studio Ghibli sia sul testo tradotto che sul brano. Io ho sottoposto una traduzione dei due brani (che fa fede a quella che compare nei sottotitoli) facendo presente che comunque andava cantata sulla base originale e che in quel caso era necessario un adattamento molto più libero. La decisione poi deve essere stata presa da Lucky Red e Studio Ghibli, personalmente non so perché si sia optato per lasciarla in italiano.

Max: Aggiungo che, tra l’altro, quando abbiamo rovinato Caterina l’abbiamo fatto anche in funzione della possibilità di cantare, perché questo ci era stato fatto presagire. Sicuramente c’è anche un discorso economico dietro, perché c’è da considerare anche il budget stanziato per questa lavorazione, e senza dubbio una canzone può portare fuori budget. Poi penso che sia stato anche per rispettare il contesto musicale del film, essendo un testo rockeggiante di un film ambientato in Inghilterra. Secondo me è stato un bene lasciarla così, è una canzone che ha un senso e una funzione all’interno del film, non è di raccordo come può essere in un film Disney. È una canzone “d’autore” e non può essere tradotta, sarebbe come tradurre un pezzo dei Talk Talk.


 

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Lara: Vorrei riattaccarmi al discorso della musica e a quello che dice Max, sulla scelta di spingere su attori da cinema, una scelta che devo dire ho apprezzato veramente tanto. Mi ha fatto strano sentire che in Studio Ghibli ci sono rimasti male su queste scelte, perché sia il compianto maestro Isao Takahata che lo stesso Hayao Miyazaki decidono spesso, nei loro film, di non scegliere doppiatori di anime ma persone più realistiche possibile e adatte al ruolo. Puoi raccontarci di più su questo episodio?

Max: Devo precisare meglio una cosa: loro non mi hanno rimproverato per le mie scelte. Io avevo dato un commento preciso riguardo l’attore dove avevo voluto evidenziare la spontaneità che comunicava, la stessa che secondo me serve in un film di circuito. Lì c’è stata l’incomprensione e mi è stato detto “vorrei ricordare che questo è un film per la televisione”, con l’intento di dirmi di non “allargarmi”. 

Ci tengo però a far capire che questa scelta non è stata contestata, tanto che hanno scelto nel cast Pino e Caterina. Non vorrei davvero che sembrasse un’accusa nei loro confronti, anche perché poi è andato tutto quanto liscio. Semplicemente non ci eravamo compresi su un punto: quello recitativo, e di come qualcosa che a loro sembra forzato in realtà nella nostra lingua è naturale, a maggior ragione visto che parliamo di animazione, che deve in ogni caso essere un minimo sopra le righe. E quello per me conta più di tutto, perché come diceva Mario Maldesi “il film va visto a occhi chiusi”. Solo in quel caso puoi dire di aver colto l’essenza originale della pellicola e di aver realizzato un buon doppiaggio. 

 

Alessandro: Quindi alla fine c’è stato il completo avvallo dello Studio Ghibli?

Max: Certo, senza la loro approvazione non si fa nulla. Bisogna anche partire dal presupposto che il film non è mio, ergo io devo rispettare le loro scelte e le loro indicazioni, e non parlo solo dello Studio Ghibli ma anche della Lucky Red che mi ha affidato il lavoro. Se loro trovano che ci sia qualcosa che non va bene io devo rispettare anche la loro volontà, in quanto loro hanno comprato il film per portarlo in Italia. Come diciamo in gergo, il nostro obiettivo è non fare danni. 

 

Alessandro: Oggigiorno i fan dell’animazione sono estremamente attenti a tutte le scelte che riguardano le loro opere preferite, a cominciare dalle voci originali. Come fai tu a dare spazio alle diverse sonorità e timbriche? Cerchi di dare spazio al “suono originale”, ti basi sull’attore originale o ne ricerchi uno basandoti più sul personaggio? 

Max: La mia scelta va su come funziona la voce. Per dirti, io potrei essere bravissimo a interpretare la Bestia de “La Bella e la Bestia”, ma non ho la voce di Massimo Corvo, così come, per lo stesso motivo, lui non poteva fare Aladdin che ho fatto io. Per quanto possa avere la sensibilità giusta per interpretarlo, se la mia voce non ci sta non posso doppiarlo. Nel caso specifico di Earwig e la strega, prendiamo Mandragora: doveva essere una voce profonda, inquietante e anche un po’ strana. Poi, certamente, qualcosa può sfuggirmi, perché a meno che io non sia in sala con il regista tutto quello che vedo è frutto di una mia interpretazione, e ovviamente potrei sbagliare.

Per sbagliare il meno possibile, e sarò ripetitivo, devo seguire l’originale. Se fa un’intonazione la seguo, tuttalpiù ho sbagliato l’intenzione ma non il suono, e sappiamo benissimo quanti versi facciano gli attori giapponesi. Anche quelli devono essere rispettati, in primis perché quel suono è stato pensato su quel disegno, e poi perché cambiarlo non è una libertà a cui ho diritto. La voce per me è tutto, è fondamentale, infatti Caterina ha vinto il provino perché la voce è molto simile a quella originale quando c’è lo stacco con la canzone.

 

Lara: Quando guardavo la serie “Elementary”, mi è capitato di notare che ruoli estremamente secondari, paragonabili ai demoni di Mandragora, li facevi tu, che all’epoca eri direttore del doppiaggio. Questa cosa vi capitava anche con gli anime? Oltre al vostro ruolo principale dovevate anche coprire qualcosa di residuale?

Max: Sì, erano riempitivi. La direzione occupa un sacco di tempo e concentrazione, bisogna essere molto (perdonate il termine un po’ antipatico) “egocentrici” per assegnarsi il protagonista quando si fa la direzione del doppiaggio. A me è capitato una volta sola nella vita con “Ratatouille”, ma semplicemente perché all’inizio il direttore non dovevo essere io, bensì Carlo Valli. 

Non credo mi distribuirei mai su un protagonista mentre faccio la direzione. Certamente però capita che io entri in sala se c’è da coprire una battuta o fare un rifacimento di un brusio che non è venuto bene. Può capitare per mille motivi, anche perché magari c’è un piccolo ruolo che mi diverte, com’è capitato con il robottino di Max Steel che ho fatto sempre per Lucky Red. Capita se sai che hai affinità con un certo tipo di ruolo, e preferisci farlo tu piuttosto che “perdere tempo” con qualcuno che sai non ti darà immediatamente lo stesso risultato e tu hai poco tempo. Poi io ancora adesso non mi posso sentire quindi non mi distribuisco proprio mai *ride*

Lara: Parliamo della tua carriera musicale: tu quella volta nel primo Aladdin non hai cantato, ti sei preso la tua rivincita nel sequel per poi interpretare le parti cantate di Flynn Rider in Rapunzel. Ti piacerebbe tornare a fare un ruolo di questo tipo? In qualsiasi ambito, non solo l’animazione.

Max: Io sono molto felice di quello che sono riuscito a ottenere da questa carriera, che è molto più di quanto mi aspettassi avendo iniziato da bambino. Tra l’altro quest’anno sono andato in pensione, quindi si può dire che io abbia chiuso un periodo della mia vita. Dal punto di vista musicale, sto per pubblicare un nuovo disco con i “The Public Radar”, con cui di recente ci siamo riuniti, prodotto da Steve Lyon. Tutto questo per dire che quella che volevo ottenere dalla musica lo sto ottenendo. 

Nell’ambito del doppiaggio non ho particolare desideri, posso davvero dire di aver ottenuto tutto quello che potevo desiderare. Rapunzel è stata una bellissima esperienza, grazie al maestro Ernesto Brancucci, che mi dispiace moltissimo non ci sia più ed è stata una grande perdita artistica. Sia lui che Giampaolo Morelli, con cui sono diventato amico, mi fecero capire che c’era una certa urgenza di risolvere la “questione Rapunzel”, ma alla fine ci siamo divertiti. 

 

Alessandro: Dal punto di vista musicale, i fan degli anime ti conoscono principalmente per la sigla di Ranma 1/2 e per “Change the World”, la opening di Inuyasha. Puoi parlarcene?

Max: Per Ranma ho lavorato alla sigla insieme a Fabrizio Mazzotta che l’ha scritta e Francesco di Sanzo che era all’epoca il responsabile di Dynamic Italia. Mi sono lasciato trasportare e coinvolgere in questa cosa perché mi sembrava davvero divertente. Ora però mi odierete: non è proprio nella mia “top 10” delle sigle che ho fatto, come per esempio quella degli “Avengers” . Anni dopo però venni chiamato  per un’esibizione al Palasport di Roma per l’Expo-Cartoon, e mi chiesero di cantare Ranma per l’occasione. La mia risposta in quel frangente fu “se mi date un miliardo io vengo”. Ovviamente scherzavo, era un modo giocoso per chiedergli se potevo non cantarla, e non era per Ranma in sé: è una cosa a cui ho sempre detto di no, anche in compagnia di amici storici come i Raggi Fotonici.
 

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Quando arrivò Inuyasha e sempre Francesco di Sanzo mi chiese di cantare la sigla, io gli dissi che l’avrei fatto solo se fosse stata in inglese. Fortunatamente c’era già intesa, infatti la sua intenzione era di farla in inglese già prima che io glielo chiedessi. Quindi andai a Mantova nello studio di registrazione dell’ex cantante dei Bulldozer (che io da bravo metallaro degli anni ’80 conoscevo bene), dove già si occupavano di J-rock, dove avevano già riarrangiato la canzone che poi io cantai. In questo caso sono stato molto contento, anche perché penso che fosse una sigla giusta e adatta, non solo per il cartone ma anche per quel periodo storico. Inuyasha è stata una lavorazione importante anche se faticosissima, dopo un po’ ho avuto delle serie difficoltà perché urlava sempre.

Ci tengo tra l’altro a spiegare come mai in una parentesi di episodi non ho doppiato io Inuyasha, non vorrei che si pensasse che siccome urlavo troppo non mi andava più di farlo. Era già successa una cosa simile con Ranma, che a un certo punto era stata comprata dalla Doro TV e ridoppiata completamente con Fabio Boccanera al posto mio, in quanto io avevo rifiutato perché la serie era stata affidata a un altro direttore, e scelsi di rimanere fedele a Fabrizio con cui l’avevo fatta fino a quel momento.

Stessa cosa successe con Inuyasha, che avevo iniziato in CVD con Melina Martello in direzione, poi la serie venne affidata in seguito proprio a Fabrizio, che è un mio amico, ma come accadde con Ranma io scelsi per coerenza di non tornare a farla. Poi onestamente non ricordo se l’ultima serie l’ho fatta con Mazzotta, quindi probabilmente tutto questo discorso decade, forse mi hanno chiesto espressamente dalla Dynamic di tornare come ultima chicca.

 

Alessandro: Ti chiedono dalla chat se hai bei ricordi della lavorazione di “Code Geass” e del suo protagonista da te doppiato, Lelouch Vi Britannia.

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Max: Ho sinceramente ricordi abbastanza confusi, ma ricordo abbastanza nitidamente che pensavo di non c’entrare assolutamente nulla su di lui. Valutato al di fuori di quello che è “Massimiliano Alto”, su carta non ero una voce giusta. Il suo doppiatore originale è molto più profondo, una vocalità che io non ho. Mi sono dovuto adattare molto e ho fatto parecchia fatica, dovendo sempre lavorare su questi toni gravi, questa sofferenza diaframmatica e in generale su corde basse. Oltretutto, per fare queste serie non abbiamo i tempi del cinema. Ricordo che facevo turni da 270 righe, che non si fanno mai, tanto che una volta persi la pazienza e decisi di fermarmi, anche perché con questo computo vai di molto fuori contratto. 

Gli anime sono stati sottovalutati tantissimo in Italia, e va ammesso che è sempre stato un po’ trattato come la “Serie B”, perché venivano pagati male e non c’era mai tempo. Certo, ci sono state serie enormi, come Candy Candy o Goldrake che ha lanciato la carriera del grande Romano Malaspina, ma comunque si andava molto veloci. Questo negli anni ’70, col digitale oggi si va ancora più veloce. 

 

Alessandro: Sempre dal pubblico in chat ti chiedono come hai vissuto il doppiaggio del Signore degli Anelli, in cui sei la voce di Sean Astin/Samwise Gamgee. Sei un fan della trilogia?

 

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Max: Tutto è iniziato anche qui con un provino, e sinceramente nessuno aveva la più pallida idea di che cosa stessimo per fare. Quando vinsi il provino ne fui molto felice, anche perché fui scelto direttamente da Peter Jackson che cura praticamente tutto dei suoi film, e ne ebbi conferma anni dopo quando lavorai a Macchine Mortali. È una persona sempre sul pezzo che presta la massima attenzione a ogni dettaglio.

L’esperienza a leggio fu bella, il direttore Francesco Vairano (voce di Gollum) è stato bravissimo e abbiamo lavorato benissimo insieme. Anche qui, davvero, non voglio deludere nessuno: io non sono un fan del genere fantasy, ma mai mi azzarderei a dire che è un film fatto male, anzi, credo che sia oggettivamente lavoro incredibile. Poi credo sia di dominio pubblico che Peter Jackson lavorasse a tutti i tre film contemporaneamente, aveva un’idea in testa chiarissima e l’ha realizzata in modo impeccabile. 

 

Alessandro: Una serie che ha fatto la storia della televisione, dove c’eri tu alla direzione del doppiaggio, è Lost. Hai un aneddoto relativo a Lost? E cosa ne pensi del tanto discusso finale?

Max: Ce ne ho tanti di aneddoti. Innanzitutto, a onor del merito, la serie non l’ho iniziata io ma Carlo Cosolo, che è un carissimo amico, una delle poche persone che stimo tantissimo e mio mentore. Mi ha insegnato tantissimo, anche perché noi abbiamo iniziato Lost senza saperne praticamente nulla, come accade quasi sempre del resto. L’attenzione al dialogo e ai dettagli di Carlo è incredibile, se in originale dicono “What is that thing”, non puoi dire “quel mostro”, “quell’orso” o una qualche variante, devi dire “quella cosa” perché non si sa a che cosa ci si riferisce. Poi ho preso la direzione mentre facevo Charlie.

Per quanto riguarda il finale, di recente ho rivisto l’intera serie con Giulia, che invece non l’aveva mai vista, e ho rivisto il finale con un’altra ottica rispetto alla prima. In quell’occasione ero stato invitato a Milano per guardare il finale, ero ospite di un gruppo di fan di Lost che hanno curato un’enciclopedia dedicata, c’era un’attesa indescrivibile da parte di tutti prima dell’inizio e mai dimenticherò l’assoluto e tremendo silenzio da parte di tutti quando finì, nessun aveva il coraggio di dire niente. 

Poi l’ho rivisto anni dopo, e secondo me ha il suo perché. Confesso che la prima volta ci ero rimasto molto male, poi forse in seguito l’ho rivalutato. Parlando di aneddoti, ho avuto la fortuna di poter conoscere Damon Lindelof di persona perché all’epoca Roberto Morville, il capo edizione della Disney (la serie era Buena Vista), decise di organizzare alla Casa del Cinema una proiezione del primo episodio della seconda stagione, che avevo diretto io. In quell’occasione venne anche Damon Lindelof che era in vacanza a Roma con la moglie, e venne a presenziare. Passammo quattro a mangiare e chiacchierare, raccontandomi per filo e per segno tutto sulla lavorazione di Lost, tra cui che l’idea del finale era stata la prima cosa che avevano avuto e che ebbero delle difficoltà a far accettare il primo episodio, in quanto costò otto milioni e mezzo di dollari, tantoché chi stanziò il budget venne licenziato e in seguito assunto dalla ABC, in quanto ci aveva oggettivamente visto lungo. 

Il problema maggiore però fu indubbiamente che parlavamo di una storia con un aereo che cadeva quasi subito dopo l’11 Settembre 2001, tanto che il pilota venne rimandato. Tuttavia, il rischio lo premiò, e se lo è anche meritato in quanto parliamo di una persona con una cultura straordinaria. Ancora oggi continuo a pensare che ciò che ha creato ha qualcosa di unico, hanno racchiuso tutto ciò che può piacere a chiunque.


 

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Lara: Io per esempio a Lost ci sono arrivata tramite Alias, un’altra serie fatta dagli stessi produttori che mi era piaciuta tantissimo, e pur non seguendo quel tipo di storie mi sono fidata ciecamente, e ci siamo trovati davanti qualcosa che ha tenuto tutti incollati alla televisione, a prescindere da che tipo di spettatori fossimo.

Max: Giacché l’hai tirato fuori, racconto un altro aneddoto. Io ho avuto uno strano karma con J.J. Abrams, innanzitutto perché in Alias doppiavo Bradley Cooper, ma anche perché ho lavorato anche su Felicity, che è stata la sua prima serie nonché un’opera molto particolare. Era molto intima, di certo non la classica serie di college, ma era anche un po’ dark. Sono comunque molto contento di aver lavorato a queste sue opere, poi su quelle venute dopo posso dire che qualcuna è piaciuta di più e qualcuna meno, ma lo stesso Star Wars credo che lo abbia fatto con amore, e lo dico da fan della trilogia originale di Star Wars. 

 

Alessandro: Devo chiedertelo e te lo chiedono anche dalla chat: com’è “giocare a Fortnite con Thor”? Parlo ovviamente del tuo ruolo di Korg in Avengers

Max: Divertentissimo, tra l’altro ho un aneddoto anche su questo. Quando feci il provino, mi fece rimanere di stucco che questo energumeno roccioso blu avesse la voce leggerissima di Taika Waititi, che è uno dei miei attori preferiti, lo adoro veramente e mi è dispiaciuto molto non doppiarlo in “JoJo Rabbit”, anche se sono stato chiamato e non l’ho fatto per una mia scelta. Mi è però capitato ora in un film divertentissimo che vi consiglio di vedere, si chiama “Free Guy”, lui è il cattivo e Ryan Reynolds il protagonista. È completamente fuori di testa e molto divertente, sia da guardare che da interpretare.

Alessandro: Ti chiedono qual è stato il ruolo in cui ti sei rivisto di più

Max: Oddio… dipende da quando è successo perché ne ho avuti molti sin da quando sono piccolo. Per esempio, appunti nei primi anni in cui doppiavo, vinsi un provino con Pasquale Festa Campanile e Ferruccio Amendola per doppiare il figlio di Thomas Millian in tutti i suoi film. Per me quell’esperienza è stata un sogno, avevo circa nove anni e in doppiaggio dovevo sempre parlare molto “pulito”, e quando Ferruccio venne da me e mi disse che “tutto quello che stavo per dire me lo dovevo dimenticare” perché erano tutte parolacce ero letteralmente impazzito. Dovevo parlare in romano e potevo dire le parolacce, cosa potevo chiedere di più? 

Con la crescita, inutile dire che Aladdin ha rappresentato tantissimo nella mia vita, soprattutto perché venivo da un periodo in cui ero stato un po’ “messo da parte” nel mondo del doppiaggio, che è molto ostico, difficile e basta poco per non essere più amati e “messi da parte”, o comunque giudicati. Ho avuto un periodo di allontanamento in cui avevo ricominciato a fare i brusii, che è strano per uno che è nato “bambino prodigio”, anche se col senno di poi dover ricominciare e farmi una “seconda gavetta” mi è servito tantissimo. All’epoca, il grande Renzo Stacchi (voce di Banjo in Daitarn 3) mi incontrò nella nuova Fonoroma e, saputo che non lavoravo più così tanto, mi disse che mi avrebbe chiamato. Lo fece subito, affidandomi un piccolo ruolo in un film di Tex Willer, e lì era già parecchio che non facevo partecine, quindi Renzo fu carino a darmi quest’opportunità.

Un giorno però mi invitò a casa sua dicendomi che dovevamo parlare. Mi disse di mettermi seduto con la sua immancabile verve romana e mi chiese se avevo visto “Bella e la Bestia”. Alla mia conferma, mi chiese anche se fossi informato su quello che sarebbe stato il successivo, Aladdin, e alla mia conferma disse una frase che quasi mi fece cadere dalla sedia: “Ecco, per me tu sei Aladdin”. Ovviamente gli dissi subito che non mi sentivo all’altezza, ma lui mi rispose di calmarmi, stare tranquillo e che avremmo fatto un provino. Nel frattempo io partii per il militare e seppi l’esito solo dopo sei mesi, che era positivo. Lì per lì pensai che non sarei mai riuscito a farlo durante il militare, ma fortunatamente poi ci riuscii grazie alla caserma che mi venne incontro e mi aiutò a organizzarmi, anche se fino all’ultimo ho creduto che mi avrebbero sostituito.

Quando poi Aladdin uscì al cinema con la mia voce, tantissimi colleghi “molto carini” che neanche mi salutavano più tornarono a considerarmi e farmi complimenti. È per questo che a volte non ho molta simpatia del nostro ambiente, perché non sempre è così schietto e onesto come uno vorrebbe credere, e infatti spesso me ne sto in disparte e mi faccio gli affari miei, infatti non sono molto social come avete potuto vedere. Voglio fare bene il mil lavoro con onestà, perché può anche capitare che io debba chiamare a lavorare con me in direzione una persona che mi sta antipatica, però è giusta per il film e quindi va chiamata, io invece sono cresciuto in un ambiente dove tutto era l’opposto. Fortunatamente oggi questo è venuto molto meno grazie a esigenze che partono dall’alto, non è normale compromettere una carriera per un’amicizia, bisogna essere onesti. Più di 25 anni fa, in un’altra epoca del doppiaggio, le cose purtroppo non andavano così.

 

Alessandro: Però è bello vedere l’affetto dei fan, in chat per esempio ti scrivono che non vedono l’ora di risentirti in Space Jam 2, nel sequel di Inuyasha e nel reboot degli Animaniacs.

Max: Grazie di cuore. Porky Pig l’ho fatto da pochissimo, e tra l’altro di Space Jam inizialmente dovevo curare anche la direzione del doppiaggio. Poi però mi sono operato e mi sono dovuto fermare per un po’, e la direzione è passata a Roberto Gammino che è un caro amico.

Sul reboot degli Animaniacs non ho notizie, ma devo dire, anche qui sperando di non deludere nessuno, che è veramente tanto faticoso, gli Animaniacs sono stati un salasso vocale. Questo perché, nonostante in originale le voci fossero tutte trattate e pitchate, in italiano abbiamo veramente recitato in quel modo. Non vi nascondo che la canzone delle nazioni del mondo, nonostante sia stata un buona la terza, è stato un incubo, soprattutto perché non è stata realizzata con la tecnologia moderna come ProTools. Vi giuro che quando io entrai in sala e vidi quella scena stavo per mettermi a piangere, dovevo andare su nastro e farla. Sono dovuto andare dal foniatra perché dopo un po’ la voce stava andando via per davvero visto che cantava praticamente solo Jakko e andava sempre più in alto con le tonalità. 

Il maestro Maurizio Piccoli, che mi dirigeva su Jakko, sapeva benissimo che era un lavoro assurdo, anche perché io non avevo da fare una canzone al giorno: mi erano state assegnate novantotto canzoni da fare in quatto giorni perché le consegne era vicinissime. Quando un mio collega mi mandò la notizia del reboot degli Animaniacs cercai di glissare in tutti i modi. 

 

Alessandro: Va detto che tu come interprete sei intramontabile. Per dire, potresti ridoppiare Aladdin anche adesso.

Max: Quello perché vocalmente non sono praticamente cresciuto, infatti devo dire di essere stato lungimirante nell’iniziare a fare direzione, poiché di questi tempi stanno veramente tanto attenti all’anagrafe, e avendo io quarantotto anni difficilmente mi darebbero ruoli per il mio range vocale ma non mi ci vedo nemmeno a doppiare un quarantottenne. Lo dico scherzando, sia chiaro, ma può essere un problema avere una voce che è rimasta giovanile, non ho più quelle intenzioni. Penso di aver fatto bene a cambiare strada.

Lara: È cosa comune, per dirti, nel mondo degli idol abusare di questi range vocali anche quando si crescere, infatti collegandomi al discorso sul foniatra, molti idol giapponesi si rivolgono a foniatri dopo essersi distrutti le corde vocali perché nessuno gli ha insegnato come usare correttamente la voce.

Max: Sicuramente c’è un abuso da parte di molti della voce, e per tornare al discorso del doppiaggio giapponese devo dire che a volte loro esagerano veramente troppo. Se dovessi seguire perfettamente quelli che fanno loro finirei un turno completamente muto. E non è solo un problema di tecnica, si parla anche di energia, tutto un episodio urlato è veramente troppo. Immaginatevi le mie giornate in quel periodo, dove si concentravano Ranma, Inuyasha e gli Animaniacs: la mia voce non esisteva più, non fa bene una cosa del genere e non si impara a educare la voce alla naturalezza, una cosa che io ho fortunatamente imparato lavorando negli anni non avendo mai fatto accademie.

I giapponesi dovrebbero dare meno con la voce, anche perché le intenzioni puoi darle se c’è una scala e una dinamica, un crescendo. La famosa frase di Inuyasha “Sankon Tessō” partiva già altissima, e secondo me questo è sbagliato. Io lo facevo così solo perché era tale in giapponese, altrimenti non mi sarei ammazzato le corde vocali in quel modo. Pensate anche a tutte le “Alabarde Spaziali” urlate dal buon Romano. 

 

Cristiano: Prima hai nominato Ratatouille, che è uno dei miei Pixar preferiti vista anche la tematica del cibo, e vorrei chiederti se hai qualche cicchetta sulla lavorazione del film oltre al fatto che hai vinto il provino su Linguini e poi ti è stata affidata la direzione.

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Max: Più di uno. Come ho detto, inizialmente io avevo solo fatto il provino su Linguini con Carlo Valli in direzione, provino che poi ho vinto. Tuttavia, la lavorazione di Ratatouille slittò ad Agosto, e poiché Carlo in quegli anni partiva perché aveva la tournée di teatro, la direzione passò a me. Inizio a interfacciarmi con il capo edizione, il quale mi propone le sue scelte da provinare, e benché io avessi già vinto il provino su Linguini lui mi propone un talent, un attore. Quando lui viene in studio a provare il personaggio gli sto molto accanto, in quanto il lavoro con i talent comporta anche lo star loro vicino, dirgli un po’ la battuta e aiutarli, un approccio molto faticoso. Lui, in modo molto carino devo dire, si gira verso gli altri e gli dice “Scusate, ma non lo può fare lui che lo fa benissimo?” non sapendo che io avevo già vinto il provino. 

Alla fine del provino, che fu davvero massacrante, otteniamo un bel risultato e lui lo vince, ottenendo il ruolo e sostituendomi. Stessa cosa per Colette, inizialmente non aveva vinto Domitilla D’Amico ma un’attrice, che però, in seguito a una foto un po’ “osé” viene sostituita dalla Disney che decide di prenderne le distanze, e chiama proprio Domitilla al suo posto. Lo stesso attore che aveva vinto e che mi aveva sostituito in quel periodo non poteva doppiare perché era impegnato con delle riprese, e quindi Linguini torna a me. Dal mio punto di vista il film è stato una vittoria, perché non ci sono stati talent e c’è stato un amore incredibile dietro, mi misi anche a piangere e lo trovai sin da subito meraviglioso, e anche secondo me è uno dei più belli e toccanti della Pixar. 

Una bellissima lavorazione, in cui ho avuto l’onore di avere a leggio la buonanima di Gualtiero Marchesi, che reputo uno dei più grandi chef al mondo, oltre a poter lavorare con Heinz Beck e Gianfranco Vissani. Poi il film ho saputo anche che ha preso dei premi, anche se non ci sono andato. Personalmente non amo molto i premi, penso che dobbiamo fare bene il nostro lavoro a prescindere da un’eventuale premiazione. 

 

Alessandro: Oggi ci sono tantissime polemiche sui talent e tante versioni discordanti a riguardo. Tu cosa ne pensi?

Max: Per me è una tragedia. Il mondo è dei social, io personalmente non social tranne Instagram dove tra l’altro ho postato una singola foto. Non ho followers, ergo nei social non sono nessuno. Se ne avessi avuti un milione e mezzo, a quest’ora ero un talent, che per me è ridicolo perché sono cresciuto con un concetto di talent completamente diverso. Per me il talent era Gigi Proietti, che faceva il Genio insieme a me mentre doppiavo Aladdin. Nel film dopo, “Il Re Leone”, avevamo Vittorio Gassman e Tullio Solenghi, o anche in Toy Story troviamo Fabrizio Frizzi e Massimo Dapporto. Pariamo in goni caso di persone del campo, formate, dei professionisti. Poi c’è stato un vero tracollo. Fortunatamente anche ora dei buoni esempi ci sono, nel reboot de “La Famiglia Addams” troviamo Virginia Raffaele e Loredana Bertè, professioniste dello spettacolo. Non è detto però che una persona con tanto seguito sia un grado di ricoprire un ruolo in questo settore. 

Non si può dare via il lavoro di altri, obiettivamente si è rovinato qualcosa, e quello che non si capisce è che quello che viene doppiato oggi rimarrà per sempre, e questo significa che, purtroppo, fra vent’anni magari non conosceranno quella voce che vent’anni prima era su Twitch/Youtube/Instagram, e lo dico senza acredine nei confronti dei professionisti di questi settori. I talent erano personaggi del mondo dello spettacolo e tali dovevano restare. Ora anche col tracollo della televisione è andata distrutta anche quella parte lì. Il marketing non deve e non può intaccare la resa del film, non posso (esempio casuale) trovarmi il nuovo vip di Temptation Island a leggio perché la produzione vuole risparmiare sulla pubblicità grazie a un divo che, secondo loro, con un post da molta visibilità al film. Pensano di aver risolto ma per me non hanno risolto nulla, e infatti penso che Ratatouille ne sia stata la prova, perché ha incassato più di tutti gli altri film di animazione fino a quel momento e stabilì uno standard. Questo ve lo posso dire con certezza perché quando andai a Londra per partecipare alla riunione per lo script di “Madagascar 2”, il CEO della Dreamworks Jeoffrey Katzenberg disse che il loro obiettivo era superare Ratatouille.

Il talent, fatto così, non serve veramente a niente. Deve essere un quid al doppiaggio, un talento che porta qualcosa in più alla lavorazione. Nel caso di Earwig, abbiamo due talent nella mia concezione, ovvero Pino Insegno ed Caterina Shulha, ma tutti i doppiatori sono stati bravi, dei veri talenti. 

Alessandro: Oltretutto parliamo di doppiatori effettivi da tempo, che hanno già fatto numerosi film. Non sono stati presi dal web e messi a fare qualcosa che non conoscono e magari anche su personaggi importanti.

Max: Se posso dirlo, a costo di sembrare vecchio, è un po’ quello che è successo con la musica: non penso che la musica sia peggiorata, penso che sia finita, abbiamo delle realtà musicali orribili sia in Italia che nel mondo. Eppure, penso che si possa educare bene musicalmente la nuova generazione. Se fai ascoltare roba buona a un bambino impara ad apprezzare e riconoscere un buon lavoro. Il problema è che non c’è un’educazione artistica, basta far passa l’idea che “vecchio = brutto”, sono convintissimo che se faceste vedere “Ghostbusters” ai vostri ai vostri figli lo adorerebbero. Il problema è proprio non voler educare al bello, e non parlo di nessuno a livello di fenomeno mediatico, parlo solo di musica.

Ho comunque molta fiducia nel mondo del web, ha tanto potenziale ma ci sono troppi “aghi in pagliaio” e non si riesce a veicolare efficacemente il messaggio. 

 

Alessandro: Max, Francesco, grazie di cuore di essere stati con noi. È stata una serata fantastica e non vediamo l’ora di avermi di nuovo qui.

Francesco: Figurati Ale, è davvero sempre un piacere tornare su Animeclick.

Max: Grazie a voi, alla prossima