Metaphor: ReFantazio: il fantasy secondo Atlus - Recensione

Non chiamatelo Persona Fantasy, Metaphor: ReFantazio ha una sua identità ben precisa e se ne discuterà per anni

di TWINKLE

Nel Regno Unito di Euchronia, l'improvviso assassinio del re scatena, come si può immaginare, disordini e sconcerto tra la popolazione. Qualche giorno dopo, nel caos generale, sulla capitale Grand Trad viene invocata la Magia Reale, lanciata postuma dallo stesso defunto re manifestata sotto forma di un imponente volto in cielo; il sortilegio decreterà quello che sarà il futuro re secondo una sorta di principio democratico, solo colui che avrà l’appoggio del popolo potrà salire al trono. Tale evento senza precedenti dà il via ad una lotta al potere sotto forma di un vero e proprio torneo che si svolge in vari luoghi del continente. Il protagonista principale della storia è un ragazzo della tribù Elda e, come tale, soggetto a discriminazione e pregiudizio da parte della popolazione. Forte di un potere che gli permette di utilizzare la magia tramite un Archetipo, il ragazzo intraprende una missione per spezzare la maledizione lanciata sul suo amico d'infanzia, il principe ereditario di Euchronia, in coma da dieci anni, ed evitare così che al trono salga il carismatico ma senza scrupoli Louis, già dato tra i favoriti per la vittoria finale.

Durante il viaggio, sarà accompagnato da una fata di nome Gallica, la cui conoscenza e capacità di percepire la magia è di grande supporto, Strohl, un nobile della tribù Clemar sterminata nell’assedio del suo villaggio, Hulkenberg, cavaliera della tribù Roussainte che in passato faceva parte della guardia reale della famiglia reale, pervasa da un forte senso di colpa per non essere riuscita a proteggere il principe, e Heismay, un ex cavaliere della tribù Eugief, simile a un pipistrello, auto esiliatosi in una grotta nei pressi della città di Martira.




Persona 5 debutta sul mercato giapponese nel settembre del 2016, dopo cinque anni di estenuante sviluppo, dimostrandosi un trionfo per Atlus e per il suo director Katsura Hashino, l’ennesimo della sua già notevole carriera in questa azienda (nel frattempo passata sotto l’egida di Sega), iniziata come designer nel 1994 con Shin Megami Tensei If, lo spin-off che reinterpretava il concept della storica serie demoniaca, trapiantandolo all’interno di un edificio scolastico. Ma Hashino, probabilmente, intuisce il trappolone, dopo il successo di Persona 3 e 4 su PlayStation 2 venne inaugurato il P-Studio, precedentemente 2nd Creative Production Department, il quale si sarebbe occupato unicamente della serie Persona e di tutti quei prodotti ad essa correlati. Per cui, visti i precedenti relativi al quarto capitolo, era abbastanza chiaro che anche nel caso di Persona 5 ne sarebbero seguiti altri, perché tale è il modus operandi di Atlus: questi finiscono per farmi fare il Persona 5 in cui si balla, il Persona 5 musou, il Persona 5 gacha e il Persona 5 strategico che di strategico ha ben poco, avrà pensato, e arriverò a sessant’anni a scrivere ancora storie di adolescenti che si ritrovano a mangiare hamburger per le vie di Shibuya lamentandosi dei professori. Meglio svignarsela finché i capi stanno ancora a contare i soldi per le vendite di Persona 5, dunque, Hashino lascia la sua creatura nelle sapienti (vedremo alla voce numero 6) mani di Kazuhisa Wada e fonda il suo studio, il 3rd Creative Production Department, rinominato Studio Zero.



Che poi, sua creatura fino ad un certo punto, sia nel caso di Shin Megami Tensei, sia nel caso di Persona, Katsura Hashino si è ritrovato a prendere le redini di serie preesistenti, rivoluzionandole, indubbiamente, ma comunque con delle fondamenta erette da altri; Nocturne ha portato SMT alla modernità sia tecnicamente che esteticamente, plasmandone l’immaginario, verso cui il quinto capitolo ne è enorme debitore, mentre con Persona 3 si è staccato dalla trilogia originale di Tadashi Satomi creando un vero e proprio filone alternativo, applicando al dungeon crawler di Atlus contaminazioni dating sim, fatti di calendari, eventi e scadenze. Tra le storie originali, Maken X fu una stramberia di gioventù, con Catherine l'autore si rivolge già ai trentenni di oggi e alle loro paure, in un certo senso, un prosieguo ideale dei suoi Persona. Giunto ormai alla sua maturazione creativa e all’apice della sua carriera, Katsura Hashino, con i suoi più fidati collaboratori, ha forse sentito il bisogno di creare qualcosa di suo da “zero”, come ci suggerisce il nome stesso dello studio, e c’è questa tendenza, già vista in altre realtà come Vanillaware, compagnia non a caso molto vicina ad Atlus, di un richiamo che si potrebbe definire quasi primordiale, da parte dei creativi della generazione di Hashino e George Kamitani, verso il genere che più di ogni altro rappresenta e ha plasmato il gioco di ruolo occidentale negli anni Ottanta e di rilesso quello nipponico: il fantasy.
Hashino ha più volte affermato di essere cresciuto leggendo romanzi di fantascienza, gialli e polizieschi, motivo per cui Persona 4, con la sua ambientazione rurale, è forse l’opera che più rappresenta il suo vissuto. Non si è mai cimentato nel fantasy, così come la stessa Atlus non ha una grande tradizione nel genere, al di fuori della serie Etrian Odyssey si trovano giusto nomi sparsi come Kartia e Stella Deus. Pertanto, quando nel lontano 2016 annunciarono il “Project Re Fantasy”, la curiosità di sapere cosa sarebbe scaturito dalle menti dietro la serie Persona era già alta, tant’è che lo stesso Yoko Taro, in procinto di lanciare Nier: Automata, registrò un divertente video a riguardo simulando un meeting aziendale: “questi invadono la nostra porzione di mercato, siamo morti”.



Ma è forse questo che rende così epocale il nuovo RPG di Atlus, chi non è otaku del fantasy e dei suoi feticci giovanili, forse, ha le credenziali per scrivere un fantasy davvero interessante, moderno, che non sia autoreferenziale o eccessivamente nostalgico, anche se qui si parla anche di nostalgia, o più precisamente, di malinconia, termine utilizzato esplicitamente nella narrazione. In un panorama, quello dei JRPG, dominato da ultra trentenni che attendono il remake di Final Fantasy IX per ricordare i bei tempi andati, o di hipster ex adolescenti anni Novanta che, nella loro infinita insoddisfazione, non fanno che incensare cose della loro gioventù come Innocent Sin, Atlus con il motore grafico di dieci anni fa ti sbatte in faccia il nuovo, ed è a queste persone, inglobati nelle loro bolle nostalgiche, che pare rivolgersi. Metaphor: ReFantazio è un fantasy che trova un profilo marcatamente attuale nelle sue tematiche, nella cura del dialogo, nella capacità di caratterizzare come pochi altri autori videoludici i suoi personaggi anche per le loro peculiarità espressive, sicuramente derivativi tanto nel passato di Atlus quanto al mondo anime (quasi impossibile non paragonare Louise al Grifith di Berserk) ma non per questo ridondanti, c’è da dire che Gallica è certamente più piacente, e alla peggio più sopportabile, di Morgana. Si può apprezzare o meno le ultime produzioni di Atlus, ma leggendo le varie interviste passate, emerge da parte di Hashino una grande attenzione verso ciò che lo circonda, che sia ormai annoverabile fra gli intellettuali della contemporaneità videoludica, capace di affrontare attraverso i suoi giochi di ruolo un'analisi sul nostro tempo, pare una constatazione ormai indiscutibile. Se in Visions of Mana si è rimarcata l’importanza del racconto fantasy classico, con Metaphor: ReFantazio si vira di nuovo verso sentieri inesplorati e sperimentali; il segreto sta nell’alternanza, tra tradizione e progressismo, tra Dragon Quest e Nier, onde evitare da una parte l’adagiarsi in una comfort zone che non porta oltre sentieri già battuti, e dall’altra la trasmutazione in boriosi sedicenti espertoni che puntualmente finiscono per elogiare sempre i soliti cinque jrpg da venticinque anni, retaggio di esperienze di avanscoperta virtuale dalle loro buie camerette.



"I giocatori potrebbero aver bisogno di motivazioni per cambiare o superare le proprie ansie. Voglio che i giochi che realizzo siano in grado di fornire quella spinta alle persone per superare quelle limitazioni". K. Hashino[1]

Metaphor: ReFantazio affronta il tema dell’Utopia, della società ideale, catapultandoci in un mondo che di ideale ha ben poco, tra disparità sociali e discriminazione di ogni genere, mettendoci nei panni della più screditata delle razze da parte di un popolo, privo del suo sovrano, disorientato, spaventato, e per questo facilmente malleabile dalla figura di spicco di turno: l’ “uomo forte” che puntuale storicamente emerge sguazzando nel marasma delle emozioni negative, quali ansia e timore del cambiamento, alimentando nient’altro che odio sociale, razzismo e discriminazione, fingendosi vicino al popolo al solo scopo raggiungere il potere. Di politici così oggi ne è di nuovo pieno il mondo, purtroppo, e Metaphor: ReFantazio è forse il gioco di ruolo giapponese più politico dai tempi di Yasumi Matsuno, tant’è che l’intero gioco si basa su una campagna elettorale, che in un mondo fantasy avviene sottoforma di torneo, ma la sostanza non cambia. Dopo aver affrontato storie di coming of age, di depressione giovanile e di accettazione individuale, Katsura Hashino cambia l’ambientazione ma non tradisce la sua voglia di raccontare il reale, per tutti quegli stolti convinti che il fantasy e gli RPG siano solo evasione, Metaphor: ReFantazio affronta la nostra contemporaneità e ci chiede cosa possiamo fare, per rendere il mondo migliore, cosa faremmo se fossimo noi i sovrani del popolo, e di quali “virtù regali” abbiamo bisogno per comprendere appieno ciò che ci circonda.

Gli spunti di riflessione che l’ultimo Atlus offre sono svariati e non possono essere circoscritti ad una semplice morale di fratellanza, partendo da quello che sembra il più classico incipit di vendette e complotti, la sceneggiatura presenta sottotraccia una linea narrativa parallela che si dipana su più livelli, scavando a fondo di un mondo magnificamente eretto e delle tribù che lo popolano, ognuna a rappresentanza di uno stato sociale, ma anche di tratti della personalità. I Paripus, ad esempio, sono la seconda tribù per numero di abitanti del regno, ma sono politicamente ininfluenti e non ricoprono alcun ruolo di spicco nella società rispetto alle altre. Queste sono i Clemar, la tribù dominante, i Roussainte, i guerrieri e la forza militare, gli Ishkia, gli intellettuali, e i Nidia, adulatori e opportunisti. Rispetto a loro i Paripus sono mossi solo dall’edonismo e non sembrano interessati all’attivismo politico o all’interesse collettivo, e per questo svolgono i lavori più umili e vengono costantemente sfruttati. Fa eccezione Catherina, desiderosa di cambiare le condizioni della sua gente. Hashino, con questa suddivisione delle tribù, punta il dito sui “muttsuri” (むっつり), ovvero, i taciturni, persone che non riescono ad esternane le proprie emozioni e il proprio pensiero, e agli “yūjū fudan” (優柔不断), coloro incapaci di prendere decisioni autonomamente, e pertanto soggetti a farsi influenzare facilmente dagli altri. Il team di Persona, ancora una volta ma in maniera più ampia, con Metaphor si rivolge alle nuove generazioni di giapponesi, ingabbiati, anche a causa di una certa adiaforia, in una società sempre più vecchia e guidata da vecchi, dove la pratica, da noi occidentali tanto ammirata, del “rispetto incondizionato” verso il senpai, verso il capo, verso chi è semplicemente venuto prima, sta assumendo il contorno di una zavorra sociale, che giudica, indirizza e impone i suoi valori ai più giovani.



"Un eroe che si erge da solo non è altro che un dissidente. Senza il sostegno altrui, gli ideali sono tosto sepolti dal peso della storia e la vita passa inosservata" More.

Metaphor, tuttavia, non devia l’attenzione dal focus, ovvero i suoi personaggi. Studio Zero, come da tradizione P-Studio, li mette in scena senza filtro, con quella sua impareggiabile sensibilità nel catturare la poesia del momento e del quotidiano, anche in un contesto fantasy, che si fa road movie, tramite ripetizione di momenti assolutamente normali, privi di climax artificioso o tensione crescente, ed è un continuo saliscendi per la nostra partecipazione emotiva alle vicende descritte. Trova conferma infatti il Calendar System, con le sue scadenze, i suoi eventi, i giorni di festa con gli sconti nei negozi, con la differenza che dal microcosmo cittadino fatto di casa-scuola-lavoro-maid café si allarga qui ad un intero continente, in cui si necessitano di viaggi e traversate. Ecco dunque che la visita ad una tomba/dungeon fuori città richiederà due giorni di viaggio, e qui il paragone va alla serie Atelier, che per prima ha utilizzato questo sistema di gestione del tempo, così come la diversa condizione atmosferica che ha effetto sull'aggressività dei mostri. In Metaphor è possibile tornare in luoghi già visitati tramite un teletrasporto, rendendo tale gestione meno stressante. A dispetto di quelle che potrebbero essere le aspettative, giacché Katsura Hashino è conosciuto quale artefice dei “Social-Persona", non c’è granché spazio per la romance in Metaphor: ReFantazio, e probabilmente alcuni rimarranno delusi per questo, data la bellezza dei personaggi, quello che va formandosi tra il protagonista e i compagni che man mano si aggiungeranno alla sua causa, è più un rapporto che può esserci tra un leader e suoi seguaci, anche se discorsi su amicizia e reciproca fiducia non mancano.



Ma al di là di questo aspetto teorico, coloro che hanno giocato i Persona si troveranno comunque nella pratica particolarmente a loro agio con le meccaniche di affinità e di attività sociali annesse, le quali vanno ad incidere sia nelle Virtù Regali quanto nel potenziamento degli Archetipi. Cionondimeno, in contrasto a chi lo ha superficialmente definito un Persona fantasy, nella parte giocata Metaphor: ReFantazio in realtà guarda all’intero filone RPG Atlus, dal Press Turn System di Shin Megami Tensei agli schieramenti di linea in battaglia, che invece trovano origine nei primi Persona, passando per i Digital Devil Saga con la gestione del Magla per le abilità, le quali possono essere copiate da un Archetipo ad un altro, accorgimenti che rendono le battaglie molto più strategiche di quanto fossero in Persona 5, andando in tal modo a correggere il maggior punto debole di quest’ultimo, senza per questo sfociare nella frustrazione e il grinding di un Nocturne e stimolando piuttosto il cambio di Archetipi o la costruzione di una build il più possibile variegata per far fronte alle differenti resistenze dei nemici.



Nonostante, quindi, un’impalcatura innegabilmente debitrice a quella dei Persona, composta tra main quest con scadenza ed eventi secondari, il ritmo del gioco risulta molto più scorrevole e quasi privo di quei “tempi morti” che inevitabilmente si palesavano in certe fasi delle avventure scolastiche a marchio Atlus. Che si voglia esplorare un dungeon, dare la caccia ad un mostro o semplicemente sedersi su una panchina per chiacchierare con Gallica, in Metaphor raramente si ha la sensazione di ripetere le stesse azioni, con la sola eccezione dei viaggi sul Trasvettore, che ci porteranno via comunque non più di qualche giorno per ogni "ciclo" di cui si compone la storia. Questo grazie anche alla maggior varietà delle ambientazioni, che a loro volta, tramite i dialoghi con gli NPC, non rimangono congelati ma mutano di pari passo con il proseguire della trama principale, una pratica ben nota a chi conosce gli RPG di casa Falcom. Altra curiosa affinità con i più recenti Trails è il sistema di combattimento ibrido che permette di abbattere i nemici più deboli direttamente sul campo, mentre i più coriacei possono essere storditi con colpi ben assestati per avere un vantaggio una volta passati alla tradizionale fase a turni; è letteralmente identico a Trails through Daybreak (ad onore del vero, forse in quest’ultimo è reso un po’ meglio), ma l’incredibile somiglianza dei due approcci non può che essere casuale dato il lungo tempo di sviluppo che ha richiesto il gioco di ruolo Atlus. Evidentemente, entrambi i team, senza dubbio alcuno i migliori in Giappone per quel che concerne i JRPG tradizionali, sono giunti all’unisono alla medesima conclusione per rendere più snella l’esplorazione, senza per questo rinunciare ai combattimenti a turni.



Con questo suo ultimo lavoro, Shoji Meguro merita in maniera definitiva il posto tra i grandi della composizione videoludica (e non solo, verrebbe da dire), nel novero di altri esponenti della new wave anni '70 cui fanno parte Keiichi Okabe, Takeshi Abo, Masayoshi Soken e Masafumi Takada. Potremmo davvero sbilanciarci e definire quella di Metaphor: ReFantazio un tipo di musica sperimentale per il genere, nel senso che davvero pare frutto di esperimenti e dei suoni da essi prodotti, dipanandosi in episodi strumentali molto differenti fra loro, tra avvolgenti composizioni orchestrali e parole Esperanto, la “lingua che unisce i popoli”, intonate come un Sutra dalla potente voce di Keisuke Honryo, sacerdote del tempio di Myojoji, è quanto di più vicino ad una "moderna interpretazione dell'antico" che di recente mi sia capitato di sentire in un videogioco. Tecnicamente il gioco rimane fedele alla granitica impalcatura dell’ultima decade Atlus, verrebbe da dire arretrato, per i palati più esigenti, su PC (la versione in esame) si può fare di meglio, in quanto a performance, anche se le patch, dall’uscita della demo, sono state tempestive. Scordatevi però di giocarlo dignitosamente su Steam Deck, almeno per il momento. Per il resto, Metaphor: ReFantazio non si risparmia nel suo codice artistico, concedendosi più di una licenza citazionistica, dai dipinti di Hieronymus Bosch per le inquietanti fattezze degli “umani”, un’architettura che rimanda ai classici della fantascienza di inizio Novecento e un vestiario che guarda alla moda Swinging London degli anni Settanta, un connubio per il quale mi sento di coniare il termine Fashion Fantasy. Raffinato quanto anarchico, Metaphor: ReFantazio è un ghiotto spettacolo tanto per occhi quanto per l’udito.

Versione testata: PC, disponibile anche per PS5, PS4 e Xbox Series.

In Metaphor: ReFantazio sono tangibili le influenze artistiche che si ergono sopra un’impalcatura fin da subito decisa, programmata, ovvero ciò che Sega sembra aver trovato in questo 2024 incredibile mentre altri, specie in un occidente videoludico sempre più verso il baratro, fanno fatica a trovare. L’insieme di componenti consolidati e nuovi avvalorano il trasporto emotivo, malinconico, non autoreferenziale, che emerge in questa nuova idea di fantasy secondo Atlus, spalancando la narrazione verso quella introspettiva giovanile che Katsura Hashino ha sempre ricercato, proiettando un genere solitamente immobile, pur con una indiscutibile continuità tematica e stilistica, verso nuove dimensioni. 

[1]Can Metaphor: ReFantazio change the world? Maybe a little | Polygon

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