Saint Seiya - Knights of the zodiac: Prime impressioni
Sono disponibili su Netflix i primi sei episodi della serie in cgi. Ecco il nostro parere.
di Kotaro
Si narra che, sin dai tempi del mito, ogni volta che il male minaccia l’umanità, la dea Atena e i suoi Saint rinascano a nuova vita e combattano per la pace e la giustizia. E, con questa scusa, anche Saint Seiya, il masterpiece di Masami Kurumada che racconta la storia di questi sacri guerrieri, in un modo o nell’altro ritorna sempre, sin dal 1986. Ultima incarnazione in ordine di tempo è Saint Seiya - Knights of the Zodiac, miniserie animata in computer grafica realizzata in esclusiva per Netflix, che si pone come un remake aggiornato della storica serie degli anni ottanta. Lo stesso sottotitolo dell’opera ci rivela l’intento, da parte degli autori, di far arrivare questa serie in tutto il mondo tramite Netflix: non soltanto Saint Seiya, il titolo originale, ma anche quello con cui, che sia I cavalieri dello zodiaco, Les chevaliers du zodiaque o Los caballeros del zodiaco, è conosciuta da decenni all’estero, con alterne fortune. Se, infatti, Saint Seiya è stato e continua ad essere un bestseller in Europa e America Latina, altresì non si può dire dei paesi di lingua anglofona. Giunto in America solo nei primi anni 2000, censuratissimo, rimaneggiato nella grafica e nei contenuti e interrotto dopo poco per poi essere ripreso e completato solo dopo diverso tempo in edizione home video, in America Knights of the Zodiac non ha riscosso granché successo, forse perché la distanza culturale che separa gli Stati Uniti sia dall’epos dei miti greci sia dalla produzione manga e anime precedente agli anni novanta non ha permesso ai fan americani di comprenderlo e appassionarcisi più di tanto.
Riuscirà questo nuovo progetto nel difficile intento di far sfondare Saint Seiya in ogni singolo paese del mondo tramite la distribuzione in contemporea sul celebre portale di streaming?
Il primo episodio ci presenta un Saint Seiya particolare, che prende gli elementi di base della versione storica ma ne aggiunge anche di nuovi. L’ambientazione è stata spostata ai giorni nostri e degli anni ottanta (comunque presenti nell’opera originale solo negli scaldamuscoli da fitness e nelle maniche arrotolate degli eroi in versione “civile”, dato l’impianto fortemente retrò già ai tempi della storia firmata da Kurumada) rimane solo l’incipit da film americano con Seiya che, in un’ambientazione urbana che è più la Metro City di Final Fight che la Tokyo dell’opera originale, finisce coinvolto in una scazzottata con teppisti usciti dritti dritti da un action a stelle e scrisce. Gli onnipresenti smartphone, i video virali, i social network ci fanno subito capire che siamo ai giorni nostri e che la tecnologia gioca un ruolo importante nella vicenda, come chiarito più avanti ed esplicitato da quella che è la maggior novità di Saint Seiya – Knights of the zodiac rispetto alla serie originale: la presenza di un ulteriore gruppo di nemici, che si affianca ai Saint del Santuario e a divinità malvagie come Poseidone e Ade, i villain storici della serie qui citati sin da subito. La nuova serie approfondisce il ruolo del vecchio Mitsumasa Kido (qui non più padre di cento figli come nel manga originale, ma ne riparleremo) e finalmente diamo un senso alla sua “Fondazione Guraad”, più volte citata e mostrata nell’opera originale, dove però non avevamo mai capito perché si chiamasse “Fondazione Guraad” e non, come logica supporrebbe, “Fondazione Kido”. “Guraad” , o meglio Vander Guraad, è il nome di un ex socio di Mitsumasa, che ha reagito in maniera differente alla scoperta della leggenda dei Saint: se Mitsumasa si è preso cura di Saori, crescendola come reincarnazione della dea Atena, e si è prodigato per trovare ed addestrare i futuri Saint che lotteranno al suo fianco per la pace, Guraad intende sbarazzarsi personalmente di queste divinità che giocano col destino dell’umanità e, forte di un tecnologico esercito personale, brama il potere dei Saint per sé…
Complice anche una profezia, secondo la quale la corrente reincarnazione di Atena, Saori, sarebbe sconfitta da Ade e Poseidone portando il mondo alla rovina, gli elementi per una storia molto diversa dall’originale ci sono tutti, ma i primi sei episodi sinora rilasciati da Netflix, corrispondenti alla saga delle Galaxian Wars dell’opera originale, non si discostano eccessivamente da quello che era il vecchio Saint Seiya: l’addestramento di Seiya, lo scontro con Cassios, il torneo Galaxian Wars e lo scontro con il Saint traditore della Fenice sono ancora più o meno lì, con qualche differenza qua e là che però al momento non lascia troppi segni futuri.
E’ strano, questo Saint Seiya – Knights of the Zodiac, perché per molte cose è veramente identico al manga originale (non sono, dunque, presenti molte riscritture, modifiche, episodi e personaggi originali della storica trasposizione animata), ma se ne discosta per altre, anche tralasciando qua e là piccoli particolari che però giocavano una certa importanza in vicende future. Ad esempio, la parte riguardante l’addestramento di Seiya in Grecia e lo scontro con Cassios e Shaina è quasi identica alla versione originale, ma ad esempio Shaina, qui scappata dalle Misfits di Jem & le Holograms o da una cover girl band dei Kiss, non porta l’iconica maschera, e questo significa che, in futuro, probabilmente, non verrà esplorata la sottotrama del suo innamoramento per Seiya, né probabilmente la sorte di Cassios, già qui esplorato in maniera differente all’originale, seguirà fedelmente quanto accadeva alla casa del Leone nella vecchia serie.
E’ comunque piacevole rivedere in maniera quasi perfettamente identica (quantomeno nelle storie e in buona parte dei dialoghi) scene storiche, e c’è una certa curiosità nel vedere come verranno rese, quali saranno le differenze, dove porteranno le nuove sottotrame introdotte. Fa piacere vedere che molte ingenuità e scelte infelici della vecchia serie, che nella sua prima fase era ancora molto incerta sulle sue future trame, sono qui state eliminate, come ad esempio gli scialbi cloni neri dei protagonisti, qui sostituiti da un gruppo di Saint “artificiali” di cui fa parte lo stesso Cassios (rivedremo gli infami Steel Saint tra le fila di Guraad? Ci starebbe...). Un po’ più fastidiosa, invece, l’inevitabile eliminazione della violenza e dello stile crudo, esagerato, scorretto e brutale di stampo anni settanta che caratterizzava la vecchia serie: qui i giovani Saint non sono cresciuti insieme da bambini, né sono stati maltrattati da Saori e dal suo maggiordomo, perciò molta della sua caratterizzazione viene a perdersi, specialmente quella di Ikki, che, non volendosi vendicare delle angherie subite dai Kido (da cui non è stato cresciuto), né volendo far sparire dalla faccia della Terra ogni goccia del sangue del suo terribile padre (che qui, come detto, non è più il padre di cento figli, dunque neppure il suo), si ritrova un po’ senza uno scopo, e non si capisce perché si schieri contro i protagonisti, anche se confido che qualcosa possa venire svelato, legandolo magari a Vander Guraad, nei prossimi episodi. Da notare come, ovviamente, sia stato eliminato quasi completamente tutto il sangue e le scene più violente, nonostante le diffcili battaglie dei Saint: a Cassios non viene tagliato l’orecchio, Ikki non lancia più illusioni brutali ai suoi nemici, il maestro Guilty pesta Ikki da mattina a sera per anni e minaccia di spargere il suo sangue sul suolo dell’isola della Regina Nera… ma, nonostante le forti mazzate, Ikki non ne perde una goccia!
Certo, determinate scelte narrative dell’epoca oggi apparirebbero eccessivamente brutali e non sarebbero più sostenibili, ma buona parte di ciò che Seiya e gli altri erano deriva anche dalle loro esperienze e tragedie passate, e così facendo si perde un pezzo della loro caratterizzazione, motivo per cui forse, più che un remake, era meglio realizzare una nuova storia con nuovi Saint, slegati dai vecchi e più in linea con il modus narrandi del 2019.
In realtà, molti dei personaggi non sono poi così diversi dalla loro versione originale, anche se viene detto che qui la loro età è maggiore (nel Saint Seiya originale, Seiya aveva quattordici anni, qui ne ha diciotto), e ci fa molto piacere rivedere molti degli elementi che amavamo nella loro caratterizzazione: Seiya è impulsivo e senza peli sulla lingua, Shiryu è anche qui molto saggio e onorevole. Hyoga è meno freddo e più spaccone, ma continua ad avere un particolare rapporto con la madre defunta, e immagino che la sua caratterizzazione verrà ampliata con la futura introduzione dei Gold Saint, mentre Saori, qui spogliata di tutti i suoi trascorsi da riccastra viziata, si presenta già dall’inizio come molto consapevole del suo ruolo, matura e determinata, decisamente affascinante. Naturalmente è Shun (ora Shaun, tranne che nella versione giapponese dove mantiene il nome originale) il personaggio che è cambiato maggiormente, e, per quanto risulti un personaggio molto piacevole, si continua a non capire il senso della sua trasformazione in ragazza, dal momento che la sua caratterizzazione è rimasta identica all’originale (rimane una guerriera che non ama combattere e lo fa solo per difesa, se necessario), dunque avrebbe funzionato benissimo lasciandolo maschio come nell’opera originale. Non essendo cresciuti insieme a villa Kido, non viene fatto cenno al fatto che Ikki e Shun si siano scambiati il destino, e dunque il loro legame risulta più superficiale rispetto alla serie storica, ma siamo in attesa di vederne gli sviluppi (specialmente se – ne dubito – si arriverà a narrare la serie di Ade).
Il lavoro svolto per la computer grafica è piuttosto buono, con personaggi dotati di giusta espressività e impreziositi dall'elegante stile di disegno di Terumi Nishii, che, tra le altre cose, dà il meglio quando si tratta di rendere i personaggi femminili: Saori, Shaun, Esmeralda sono davvero stupende. Certi sfondi spettacolari e personaggi comunque espressivi non fanno rimpiangere troppo il disegno a mano della serie classica, caratterizzando Saint Seiya – Knights of the Zodiac come una serie “nuova”, che non va a intaccare la vecchia in alcun modo ma non disturba neanche troppo, dato che tutto sommato si attiene allo stile originale, da cui copia qua e là anche inquadrature e scene iconiche. Sono da segnalare, poi, alcuni flashback narrati tramite slideshow di illustrazioni fatte a mano, davvero stupendi.
Meno buono è, purtroppo, il lavoro svolto per la colonna sonora. “Pegasus Fantasy” è un brano che risulta stupendo anche quando lo canto io con la mia voce da bradipo morto, perciò anche questa nuova versione in inglese non dispiace (ma era meglio, sempre in inglese, la versione degli Highlord dei primi anni 2000), mentre la ending risulta tristemente anonima, non ha l’energia di "Eien Blue" e anche come ballad non è struggente come "Blue Dream". Non pervenute, invece, le tracce orchestrate della colonna sonora, e questo, pensando ai monumentali brani di Seiji Yokoyama per la serie anni ottanta, è un delitto imperdonabile, quando anche produzioni meno ambiziose come Saint Seiya Omega o Saintia Sho sono riuscite a darci degli scores decisamente epici.
Tasto un po’ dolente è quello del doppiaggio e dell’adattamento, dato che la versione di ogni paese pare aver fatto un po’ quello che voleva, e se, in quella giapponese, i nomi sono quelli storici, le altre versioni hanno avuto cambiamenti di vario tipo. Anche per quanto riguarda l’adattamento, la versione italiana risulta un miscuglio di varie cose un po’ insensato, dato che di base è rimasta quella andata in onda sulle nostre tv quanto a nomi e terminologie (Cavalieri, Alman di Thule, Mylock, Isabel, Sirio, Crystal, Patricia, Castalia, Tisifone, Fulmine di Pegasus e via dicendo), ma il protagonista ha riottenuto il suo nome originale (dato che compare nel titolo dell’opera e del primo episodio, forse cambiarlo non era il caso), ma ad Ikki è stato dato il nome della versione americana, Nero, e vedere un personaggio dall’iconicità ben precisa chiamarsi in un modo che non è né quello classico italiano (Phoenix) né il suo nome originale (Ikki) disturba non poco, un po’ come se in Sailor Moon Crystal la Rai avesse ribattezzato Usagi “Serena” su imposizione del licenziatario.
Ritorna più o meno tutto il cast storico della vecchia serie animata, tranne chi non c’è più, chi è indisposto per un motivo o per un altro (la mancanza di Tony Fuochi pesa, ma è un po’ che non lo si sente in giro quindi possiamo giustificarlo) o chi è dovuto cambiare per forza di cose (sentire Shaun, con la voce di Debora “Chibiusa” Morese pronunciare “Pegasus” ci fa pensare che uscirà fuori una campana magica e uno specchio dei sogni da un momento all’altro…). Addirittura sono andati a ripescare voci storiche come quelle di Adriana Libretti o Jasmine Laurenti, che non si sentivano da un bel po’ e siamo contentissimi di ritrovare. Serviva un cast nuovo? I vecchi doppiatori non sono più adatti? Chissà, ma intanto nella versione giapponese Seiya è ancora Masakazu Morita (che non è il suo doppiatore storico Tohru Furuya, ma è la voce più o meno fissa del personaggio dagli anni 2000 in poi), Shaka è ancora Yuji Mitsuya e probabilmente anche gli altri Gold Saint seguiranno a ruota come fatto in Soul of Gold, quindi riavere Ivo De Palma e compagni su quelli che, Shun a parte, sono ancora identici ai personaggi che abbiamo amato, solo trasposti in computer grafica (e per giunta, come detto, anagraficamente più grandi, stavolta) non ci dispiace affatto, così come non dispiace l’adattamento dei testi più “terra terra”, lontano dai dialoghi aulici della vecchia serie e ricco di espressioni colorite.