Focus on: Berserk – prima parte – le origini del mito
Con questo articolo, primo di tre dedicati all'opera principale di Kentaro Miura, vogliamo focalizzarci sulle origini di Berserk.
di Redazione
È proprio in questo periodo che emerge la figura lavorativa dell’editor: le case editrici consolidano l’ormai usuale pratica di far compilare ai loro lettori schede di valutazione su ogni singola opera pubblicata.
Altro non si tratta che di uno stratagemma, che ancora oggi ci portiamo dietro, per limitare al minimo gli investimenti infruttuosi, andando a tagliare “i rami secchi” degli sfortunati autori caduti in basso nelle classifiche di gradimento e condannando i più apprezzati a vivere come schiavi del proprio successo.
È emblematico il caso di Hideo Azuma, autore di “C’era una volta Pollon”, il quale, schiacciato dalle pressanti richieste dei suoi editori e dai problemi con l’alcool, decise di scappare e sparì per un anno senza dare alcuna notizia di sé. In seguito, Azuma narrerà questa parentesi della sua vita nel pluripremiato “Il diario della mia scomparsa”.
I racconti di autori che scappavano dalle finestre dei bagni delle case editrici per non morire (letteralmente) a causa del troppo lavoro sono purtroppo molteplici, ed estremamente rappresentativi del clima che si viveva in quel periodo nell’industria del manga.
Eppure, proprio nel 1989, sulle pagine di Monthly Animal House, una rivista )prossima al fallimento) di manga a target seinen (fumetti destinati ai giovani adulti) debutta uno dei fumetti più importanti della storia del fumetto mondiale: Berserk.
Per celebrare la magnificenza dell’operato del suo compianto autore, venite assieme a noi in questo primo viaggio indietro nel tempo per esplorare, insieme, le origini dell’Opera Omnia di Kentaro Miura.
Una foto di Miura alla sua postazione di lavoro
“L’uomo si illude di essere il fautore della propria vita, ma esistono elementi superiori che guidano e controllano il destino di ognuno di noi. Chiamateli forze sovrannaturali oppure intervento divino, ciò che è certo è che le nostre azioni non sono il risultato del libero arbitrio.”
Questo era l’incipit della serie animata degli anni ’90 tratta dal lavoro, ormai cult, di un giovanissimo Kentarō Miura, già collaboratore di Yoshiyuki Okamura, noto ai più con lo pseudonimo di Buronson, lo sceneggiatore di Ken il Guerriero. Tuttavia, in quel periodo l’esordiente Miura viene rimbalzato da un editor all’altro, e nessuno si cura davvero di mettere ordine alla sua fantasia.
Il manga di Berserk nasce sul finire del 1989 derivante da un racconto breve (quello che noi conosciamo come Berserk the Prototype), venuto un anno prima della sterilizzazione del titolo principale e fungendo da banco di prova per esso.
La volontà dell’autore di mixare tematiche cupe horror al fantasy di stampo eroico, che aveva molto amato in altre produzioni, sfociarono nella realizzazione di un romanzo grafico dark fantasy e pseudo-storico. La creazione di Berserk ha anche inglobato aspetti ripresi e rimodellati dalla storia e dalla geografia europea e soprattutto italiana, e una minuziosa ricerca filosofico-esoterica per ciò che concerne gli aspetti più fantastici. Pertanto, l’opera passa continuamente dal raccontarci cruente battaglie con spade e cannoni al mostrarci tremende incursioni in ambienti più horrorifici, tra intrighi di corte, momenti di riflessione, magie e creature del folklore del vecchio continente. Nulla, nella fumettistica giapponese, è più europeo e ha fatto più scuola in questo ambito di “Berserk”.
Guts nella versione Prototype
La base della storia (il già citato Berserk the Prototype) venne ideata e scritta come one-shot di 48 pagine per un concorso indetto dalla Hakusensha nel 1988. Lavorò molto sul protagonista e sul genere dell’episodio, volendo ambientare la storia in un medioevo fantastico e mostruoso, ma anche credibile e violento: Guts è un misterioso guerriero che si muove, andando a caccia di mostri, in un mondo simil-europeo, accompagnato dall’elfo Puck.
Orbo, privo del braccio sinistro e con un marchio sacrificale inciso sul petto, Guts salva involontariamente da un gruppo di predoni la giovane Frikka, fatta scappare dal suo villaggio per evitarle la triste fine a cui sono andate incontro altre ragazze: il Granduca Vlad “l’Impalatore” (chiaro riferimento alla figura storica di Vlad III di Valacchia) rapisce infatti le giovani fanciulle per i suoi viscidi scopi.
I genitori della ragazza e gli altri abitanti del villaggio intendono ingaggiare Guts per porre fine alle malefatte del Granduca Vlad, che per coincidenza si rivela essere proprio l’obiettivo del Cavaliere Nero. Dopo un furibondo scontro con il Duca, rivelatosi un ferale mostro in quanto Apostolo di Varna, Guts ha la meglio e ha compiuto un altro passo della sua vendetta.
Questo è l’antesignano del Berserk che venne in seguito, e nonostante alcuni dettagli siano diversi l’atmosfera che circonda Prototype è la stessa che si riscontra nei primi volumi dell’edizione regolare, quelli che raccontano gli episodi della vendetta appena dopo l’eclissi. Guts non ha grandi differenze visive con la sua versione definitiva, tranne che per due particolarità: nel one-shot il Cavaliere Nero indossa una benda da pirata sull’occhio destro, e ha inoltre un tic nervoso che lo porta a poggiare la sua mano di ferro sulla’orecchio. Tuttavia, è nella caratterizzazione che riscontriamo le maggiori differenze: infatti, la versione Prototype è un personaggio molto più leggero e tende spesso a scherzare, e il suo volto diventa davvero serio solo in occasione di un reale pericolo, altrimenti lo vediamo spesso disteso e persino comico, come quasi mai lo abbiamo visto nella serie ufficiale. Il marchio sacrificale, inoltre, è impresso sul petto e non sul collo, e lo scopo del suo viaggio è vendicare la morte di sua madre.
La storia di Prototype è abbastanza lineare, prediligendo uno schema tipico dell’epoca, ma contiene già elementi caratteristici del modus operandi di Miura, introducendo diversi interrogativi sottotraccia, ripresi poi tutti, con le dovute modifiche, nell’edizione regolare del fumetto. Traspare, inoltre, un certo interesse di Miura per nomi e concetti orientali (vedasi Varna), e la scelta, rimasta immutata, (pur avendo negli anni cambiato i protagonisti) di affiancare a Guts la presenza di un giovane ragazzo, prima vittima e poi comprimario, specchio della purezza nell’oscuro mondo di Berserk.
Prototype è stato pubblicato in madrepatria come appendice al volume 14, mentre in Italia è apparso per la prima volta nel volume 34 della prima storica edizione nel Luglio del 2000.
Perché, però, chiamare questo manga “Berserk”, cosa vuol dire questo termine? La parola deriva dall’inglese, e indica uno stato di rabbia e furia cieca, totalmente fuori controllo. Il termine è sempre più presente nella lingua moderna e deriva dai guerrieri vichinghi noti come “Berserker”, combattenti ferocissimi in grado di raggiungere uno stato di trance, detto berserksgangr, grazie al quale si diceva che, grazie allo spirito di Odino di cui erano invasati, fossero in grado di ignorare completamente il dolore fisico e le ferite. Secondo alcune leggende, questi guerrieri in battaglia si trasformavano in orsi, cosa dalla quale Miura ha sicuramente tratto ispirazione per la trasformazione ferale di Guts con indosso l’Armatura del Berserker.
Lo studio di Miura per la creazione di Berserk è stato colossale e le sue ispirazioni molteplici, riuscendo a rielaborarle per farle sue e inserirle nella sua storia: una prima chiara fonte da cui Miura ha attinto è stata la serie di light novel fantasy “Guin Saga” di Kaoro Kurimoto. Si tratta della serie di libri più lunga del mondo, infatti l’autrice ha scritto ben 130 libri prima della sua morte avvenuta nel 2009, e la serie è tutt’ora in corso, affidata a un altro autore.
Il protagonista è Guin, un abilissimo guerriero con corpo umano e testa di leopardo, il cui passato è avvolto nel mistero. Intrighi politici, battaglie e magia condiscono questa saga davvero infinita e che, purtroppo, da noi è davvero molto poco conosciuta. Era però una delle opere preferite di Miura, e infatti il suo sogno era realizzare un’opera che potesse essere all’altezza di Guin Saga, riuscendoci sicuramene in pieno.
Non possiamo però negare l’ispirazione storica: il braccio d’acciaio di Guts è una delle trovate più azzeccate di Miura, quella sorta di antesignano delle moderne protesi e anche più funzionale di queste ultime, che contribuisce a rendere sempre meno umano il personaggio anche dal punto di vista fisico. In molti hanno pensato che l’ispirazione fosse venuta da Bruce Campbell nel film “L’Armata delle Tenebre”, ma in realtà quel film venne dopo. L’ispirazione, anche se mai ammessa da Miura, viene in realtà da un unione di due personaggi storici: il primo è Götz von Berlinchen (il cui nome ha una chiara assonanza con Guts), un mercenario tedesco che subì un’amputazione al suo braccio colpito da una palla di cannone, ma che continuò ad esercitare la sua professione per altri quarant’anni grazie ad una protesi decisamente all’avanguardia.
Prese parte assieme al suo signore, il Margravo di Brandeburgo, ad alcune campagne nella guerra di successione di Baviera nel 1504, e perduta la mano destra dovette sostituirla con un guanto di ferro che gli consentisse di fargli maneggiare la spada. Le giunture della mano metallica, infatti, consentivano a Götz di combattere, cavalcare, afferrare saldamente un bicchiere e scrivere con la piuma d’oca. Miura ha affermato di aver saputo di questo personaggio solo dopo aver scritto diversi volumi di Berserk, ma è sinceramente molto difficile credergli.
Il secondo personaggio storico che viene spesso accostato a Guts è Pier Gerlofs Donia, che visse all’incirca nello stesso periodo di Götz, in una zona dell’attuale Olanda denominata Frisia. Il 29 Gennaio del 1515, la truppe di lanzichenecchi assoldate da Giorgio il Barbuto, Duca di Sassonia, misero a ferro e fuoco tutta la regione. Uno di questi gruppi, la Banda Nera, oltre a distruggere il villaggio e le proprietà di Pier Gerlofs Donia, violentarono e uccisero sua moglie. L’accaduto innescò nel cavaliere una rabbia “da Berserk”, grazie alla quale fu in grado di imbracciare un enorme spadone a due mani con cui si vendicò, uccidendo i carnefici della sua famiglia.
C’è un’ispirazione storica anche dietro il cattivo principale di Berserk, Griffith, che si rifà al condottiero britannico John Hawkwood, entrambi infatti uomini ambiziosi ma dalle umili origini. Prese parte alla Guerra dei cent’anni (menzionata anche in Berserk), e dopo la fine delle ostilità con il Trattato di Brétigny fondò la propria armata di mercenari, chiamata “Compagnia dei Falchi Bianchi”, omonima di quella capeggiata da Griffith e presente in Berserk.
Sono quindi tantissimi i lapalissiani richiami storici, come la stessa ambientazione del l’universo del fumetto, contrassegnata da rifacimenti del panorama generale europeo: da un punto di vista architettonico si uniscono infatti architetture dell’Alto e Basso Medioevo con richiami Gotici, Rinascimentali e Barocchi. Vengono anche riportati molti edifici, come ad esempio il Palazzo Vecchio di Firenze, o i colonnati bicromi della Moschea di Cordoba. I riferimenti all’Italia sono anche presenti nei nomi dei successivi compagni i avventure di Guts, basti pensare a Farnese, Isidoro e Serpico.
Soffermiamoci invece sullo stile grafico dei mostri e delle creature che abitano il mondo di Berserk: Miura ha dichiarato, in molteplici interviste, di aver apprezzato ed essersi ispirato ai lavori di Doré, Bosch, Escher, Bruegel e di vari illustratori statunitensi, grazie ai quali è riuscito a rendere unica la resa grafica delle sue tavole.
L’intero sviluppo iconografico del manga, oltre a far riferimento al celebre illustratore ottocentesco Gustav Doré, cela però alcuni richiami ai lavori di Go Nagai (Devilman, Mazinga Z, Jeeg Robot). Da Nagai, infatti, Miura riprende non solo lo stile grafico, ma anche il dualismo presente nei due personaggi principali di Devilman, Akira Fudo e Ryo Asuka, il cui rapporto ricorda molto quello tra Guts e Griffith. I lavori dei due mangaka, inoltre, condividono alcuni rimandi al cristianesimo, infatti le azioni di Griffith ricalcano i passi dell’Apocalisse di San Giovanni Evangelista e il tema dello scontro tra luce e oscurità.
Torniamo, però, alle vicende che vedono protagonista Guts: i suoi nemici principali sono I Cinque della Mano di Dio (che approfondiremo nel prossimo articolo): si tratta di entità ultraterrene, un tempo umane, che hanno sacrificato tutto ciò a cui tenevano per saziare la loro sete di potere divenendo così signori delle tenebre. Tra le loro fila, vi troveremo lo stesso Griffith. Il design grafico di queste creature è speculare a quello dei cenobiti del film “Hellraiser”, creature né angeli né demoni che risiedono in un limbo tra il razionale e l’irrazionale, dalla quale possono essere evocati solo tramite l’utilizzo del cubo di Lemarchand, l’equivalente del bejelith in Berserk, e da essi Miura non riprende solo l’estetica, ma anche l’incerta e dubbia morale.
Tuttavia, questa non è l’unica ispirazione cinematografica, in quanto Miura si rifà anche al film "Flesh & Blood”, da noi arrivato col nome “L’amore e il sangue”, una pellicola creata da Paul Verhoeven in risposta a tutti quei film che dipingevano il medioevo come un posto tranquillo, preciso, pulito, con dolci dame e baldi cavalieri.
Il medioevo di Verhoeven è infatti truce, lurido, pericoloso e decadente, un medioevo che fino a quell’epoca non era mai stato rappresentato in quel modo al cinema, un posto dove se non vieni passato a fil di spada puoi morire in altri “adorabili” modi come la peste (sempre se qualcuno non ti violenta prima).
Sempre con un occhio rivolto al cinema americano come già dimostrato in “Spetters”, Paul Verhoeven era estremamente interessato a raccontare una storia che prevedesse due alleati che, improvvisamente, si ritrovano a combattere tra di loro dai due lati opposti della barricata. Il protagonista di questo film era niente di meno che Rutger Hauer, che a quell’epoca veniva da un successo clamoroso quale “Ladyhawke”, e proprio sulla sua interpretazione in “Flesh & Blood” Miura baserà il design di Guts.
Tantissime sono quindi le ispirazioni per un fumetto sontuoso che, seppur non sia ancora finito e abbia, forse, un calo dopo l’Eclissi, è senza ombra di dubbio uno dei manga più belli e importanti da leggere. Fumetti come Berserk hanno fatto la storia del loro genere, ed è un fumetto che va letto a prescindere, che abbia un finale o meno, perché è un fumetto incredibile dal punto di vista grafico, tecnico e dell’approccio del mangaka al racconto della storia.
Soprattutto i primi volumi sono crudi, violenti e brutali, e la potenza scenica mostrata è incredibile, e ciò che ha dato questo manga, soprattutto alla prima generazione che lo ha potuto leggere, è stato fondamentale per proseguire nella lettura e nella scoperta di questo genere.
Perché l’importante non è che ci sia una fine, ma il viaggio che percorri prima di raggiungerla.
Per oggi, infatti, il nostro viaggio si prende una pausa, ma nel prossimo articolo ci rimettiamo in cammino per esplorare l’ascesa al successo di Berserk parlando anche delle sue trasposizioni animate, tuffandoci, insieme, nell’Epoca d’Oro di Berserk.
To be continued…
Si ringrazia Cristiano Paglionico per aver riportato la puntata di Tokyo Eyes andata in onda su Radioanimati "Berserk – prima parte – le origini del mito" in forma scritta.