Recensione
Watamote
6.0/10
Dato che sono una sfigata, ho deciso di guardare anch'io questa serie.
È inutile che ci giri intorno: non ci ho capito niente. O per meglio dire non ho capito dove volesse andare a parare, giacché da "misantropa benintenzionata" alcuni dei pattern comportamentali della protagonista Tomoko mi erano dolorosamente familiari. "WataMote", portmanteau del ben più lungo "Watashi ga Motenai no wa Dou Kangaete mo Omaera ga Warui!", sa dove colpire senza lasciare segni, proprio come un bullo abbastanza scaltro da preferire il pugno allo stomaco al cazzotto in piena faccia; manca tuttavia di uno scopo e, di riflesso, di una chiara presa di posizione nei confronti di colei che passa più volte e senza soluzione di continuità da vittima a prima carnefice di sé stessa.
I dodici episodi tratti dall'omonimo manga di Nico Tanigawa, a tutt'oggi in corso, ruotano attorno ai tragicomici tentativi di Tomoko, otaku sfigatella che ha appena iniziato le superiori, di diventare finalmente una ragazza popolare. Anche la sua unica amica Yuu, un tempo altrettanto sfigata, è riuscita a fare il salto di qualità, perciò perché non lei? Peccato che la nostra eroina abbia un talento tutto suo nel prendere a esempio i modelli più sbagliati, come ad esempio i suoi adorati gal game, e nel travisare i segnali mandatile - o non - dalla gente...
Un'ipotetica traduzione del titolo reciterebbe pressappoco così: "Non importa come la pensate, è colpa vostra se sono impopolare!". E già qui parte il classico brivido lungo la schiena, perché chiunque si appresti cambiare radicalmente la propria personalità e/o immagine dovrebbe sapere che non c'è tempo da perdere in recriminazioni, fondate o meno che esse siano. "You better work, [parola-omofona-di-"spiaggia"-che-però-si-scrive-in-modo-diverso]": lo dice - canta - anche Britney Spears. E invece no. Non solo Tomoko non ha ponderato a dovere la questione, ma fa anche sfoggio di una formidabile refrattarietà a imparare dai suoi insuccessi.
D'accordo, abbiamo una protagonista allergica sia al rasoio di Occam che a quello di Hanlon. Ma ci sarà pure un motivo, no? Teoricamente sì, ma tutto quel che ci è dato sapere sulla sua inettitudine sociale è che non si tratta di qualcosa di connaturato in lei. Inutile dire che la mancanza di ulteriori informazioni a tale proposito mina e non poco il processo di empatizzazione - e perché no, anche di identificazione - a cui dovrebbe essere mosso lo spettatore nell'assistere alle sue disavventure. Disavventure che peraltro strappano ben pochi sorrisi, perché non c'è nulla di divertente nel modo in cui questa ragazza si umilia in nome di un effimero desiderio di piacere. Come se Tomoko non fosse già abbastanza restia a fare qualcosa di costruttivo per migliorare le propria vita, inoltre, ecco che ci si mette anche la natura autoconclusiva degli episodi, il cui poco ispirato canovaccio viene immediatamente a noia a dispetto delle citazioni di cui viene infarcito.
Cosa si aspetta "WataMote" dallo spettatore? È con Tomoko o di Tomoko che si dovrebbe ridere, sempre che sia questa la sua finalità? Se da una parte un suo repentino cambiamento sarebbe stato a dir poco irrealistico, dall'altra il colpevole immobilismo che la caratterizza urta altrettanto in profondità. Proviamo per un attimo a metterci nei panni di coloro che invano lei tenta di avvicinare: in base a cosa dovrebbero sentirsi incentivati a darle una possibilità? E per fortuna che non hanno idea di quanto sia scarsa, per non dire inesistente, la considerazione che lei ha di loro, altrimenti altro che "Another".
Da un punto di vista prettamente tecnico l'anime si lascia guardare senza offrire spunti o guizzi di sorta, eccettuato forse il sonoro (doppiaggio simpatico e puntuale, un buon utilizzo degli effetti, musiche calzanti e soprattutto una opening dal taglio deliziosamente shōnen); apprezzabili, comunque, i tentativi di adeguarsi agli stili sempre diversi delle fantasie di Tomoko, anche se vederla nei panni dell'inarrivabile Motoko Kusanagi nel terzo episodio è stato un colpo al cuore.
Persino mentre scrivo queste ultime righe sono ancora un po' combattuta tra il puerile desiderio di "punire" quella che aveva tutta l'aria di essere una delle serie più promettenti di questo 2013 con un'insufficienza e la necessità di dare a Cesare quel che è di Cesare, indipendentemente dal fatto che, per un motivo o per l'altro, la tanto agognata scintilla non sia scoccata. Parafrasando Jessica Rabbit, "WataMote" non sarà un anime cattivo, ma certamente lo si sarebbe potuto "disegnare" meglio. Un 6 stiracchiato, quindi, e che non se ne parli più.
È inutile che ci giri intorno: non ci ho capito niente. O per meglio dire non ho capito dove volesse andare a parare, giacché da "misantropa benintenzionata" alcuni dei pattern comportamentali della protagonista Tomoko mi erano dolorosamente familiari. "WataMote", portmanteau del ben più lungo "Watashi ga Motenai no wa Dou Kangaete mo Omaera ga Warui!", sa dove colpire senza lasciare segni, proprio come un bullo abbastanza scaltro da preferire il pugno allo stomaco al cazzotto in piena faccia; manca tuttavia di uno scopo e, di riflesso, di una chiara presa di posizione nei confronti di colei che passa più volte e senza soluzione di continuità da vittima a prima carnefice di sé stessa.
I dodici episodi tratti dall'omonimo manga di Nico Tanigawa, a tutt'oggi in corso, ruotano attorno ai tragicomici tentativi di Tomoko, otaku sfigatella che ha appena iniziato le superiori, di diventare finalmente una ragazza popolare. Anche la sua unica amica Yuu, un tempo altrettanto sfigata, è riuscita a fare il salto di qualità, perciò perché non lei? Peccato che la nostra eroina abbia un talento tutto suo nel prendere a esempio i modelli più sbagliati, come ad esempio i suoi adorati gal game, e nel travisare i segnali mandatile - o non - dalla gente...
Un'ipotetica traduzione del titolo reciterebbe pressappoco così: "Non importa come la pensate, è colpa vostra se sono impopolare!". E già qui parte il classico brivido lungo la schiena, perché chiunque si appresti cambiare radicalmente la propria personalità e/o immagine dovrebbe sapere che non c'è tempo da perdere in recriminazioni, fondate o meno che esse siano. "You better work, [parola-omofona-di-"spiaggia"-che-però-si-scrive-in-modo-diverso]": lo dice - canta - anche Britney Spears. E invece no. Non solo Tomoko non ha ponderato a dovere la questione, ma fa anche sfoggio di una formidabile refrattarietà a imparare dai suoi insuccessi.
D'accordo, abbiamo una protagonista allergica sia al rasoio di Occam che a quello di Hanlon. Ma ci sarà pure un motivo, no? Teoricamente sì, ma tutto quel che ci è dato sapere sulla sua inettitudine sociale è che non si tratta di qualcosa di connaturato in lei. Inutile dire che la mancanza di ulteriori informazioni a tale proposito mina e non poco il processo di empatizzazione - e perché no, anche di identificazione - a cui dovrebbe essere mosso lo spettatore nell'assistere alle sue disavventure. Disavventure che peraltro strappano ben pochi sorrisi, perché non c'è nulla di divertente nel modo in cui questa ragazza si umilia in nome di un effimero desiderio di piacere. Come se Tomoko non fosse già abbastanza restia a fare qualcosa di costruttivo per migliorare le propria vita, inoltre, ecco che ci si mette anche la natura autoconclusiva degli episodi, il cui poco ispirato canovaccio viene immediatamente a noia a dispetto delle citazioni di cui viene infarcito.
Cosa si aspetta "WataMote" dallo spettatore? È con Tomoko o di Tomoko che si dovrebbe ridere, sempre che sia questa la sua finalità? Se da una parte un suo repentino cambiamento sarebbe stato a dir poco irrealistico, dall'altra il colpevole immobilismo che la caratterizza urta altrettanto in profondità. Proviamo per un attimo a metterci nei panni di coloro che invano lei tenta di avvicinare: in base a cosa dovrebbero sentirsi incentivati a darle una possibilità? E per fortuna che non hanno idea di quanto sia scarsa, per non dire inesistente, la considerazione che lei ha di loro, altrimenti altro che "Another".
Da un punto di vista prettamente tecnico l'anime si lascia guardare senza offrire spunti o guizzi di sorta, eccettuato forse il sonoro (doppiaggio simpatico e puntuale, un buon utilizzo degli effetti, musiche calzanti e soprattutto una opening dal taglio deliziosamente shōnen); apprezzabili, comunque, i tentativi di adeguarsi agli stili sempre diversi delle fantasie di Tomoko, anche se vederla nei panni dell'inarrivabile Motoko Kusanagi nel terzo episodio è stato un colpo al cuore.
Persino mentre scrivo queste ultime righe sono ancora un po' combattuta tra il puerile desiderio di "punire" quella che aveva tutta l'aria di essere una delle serie più promettenti di questo 2013 con un'insufficienza e la necessità di dare a Cesare quel che è di Cesare, indipendentemente dal fatto che, per un motivo o per l'altro, la tanto agognata scintilla non sia scoccata. Parafrasando Jessica Rabbit, "WataMote" non sarà un anime cattivo, ma certamente lo si sarebbe potuto "disegnare" meglio. Un 6 stiracchiato, quindi, e che non se ne parli più.