Recensione
Pupa
2.0/10
Ci sono anime timidi, anime tendenti al solipsismo, anime di un'inverecondia più unica che rara e anime che, infine, sembrano voler dire allo spettatore: "Non preferiresti dei deliziosi cereali Cheerios?". È per l'appunto a quest'ultima categoria che appartiene "Pupa", quarantotto neghittosi minuti di nonsense e censure a caso che, più che una pubblicità all'omonimo manga di Sayaka Motegi (che dopo quest'esperienza mi manca il coraggio di recuperare), mi sentirei di definire un disservizio a metà fra il maldestro e il proditorio. "L'è tutto sbagliato, l'è tutto da rifare": da sua conterranea mi secca, e non poco, scomodare Bartali per siffatta bozzima in movimento, ma se si eccettuano le imprecazioni è davvero tutto ciò che se ne può dire a caldo. Perché non "punirla" con il silenzio, allora? Perché sono del parere che occorra sudarsela, la misericordia, quando in questo caso a sudare è solo il cervello di chi, non sapendo a cos'andava incontro, ha voluto dare una possibilità a un titolo che, pur viziato da sottotoni non proprio family friendly a prescindere dal suo genere di appartenenza, aveva tutte le carte in regola per intrattenere senza patemi né un eccessivo impegno da ambo le parti.
A seguito di un passato di abusi e negligenze i fratelli Utsutsu e Yume Hasegawa (gentilizio che d'ora in avanti sostituirò con Braciola in onore di Maccio Capatonda e del suo "Leggerezze") hanno sviluppato un legame di una forza inusitata per due adolescenti. Utsutsu, in particolare, prende molto sul serio il suo ruolo di Onii-chan, facendo del suo meglio per proteggere la sorellina dalle brutture del mondo. Ma se un giorno Yume stessa si trasformasse in una bruttura da cui il mondo va protetto? Se entrambi si trovassero al centro di un oscuro disegno di nome Pupa? Tra orrende farfalle rosse fatte con la CGI, onnipresenti orsacchiotti dalla dubbia efficacia simbolica, scienziate pazze, marioli non meglio identificati, inabissali incongruenze, sfacciate omissioni e barbosissimi flashback l'odissea color olio esausto delle due Braciole non mancherà di procurare allo spettatore facepalm multipli misti a sbadigli e ridarella fino all'ultimo siparietto pornosoft.
Contando anche i temi d'apertura e di chiusura ogni puntata dura quattro minuti, il che, com'è ovvio, riduce drasticamente lo spazio di manovra a disposizione degli sceneggiatori ma non, ahimè, il rischio di far più danni della grandine. Per quanto infelici possano essere le circostanze, tuttavia, il livello di conoscenza dei più comuni ferri del mestiere ivi riscontrabile è semplicemente scandaloso: un buon terzo degli episodi risulta infatti devoluto a filoni narrativi poco fertili e/o mal collocati lungo una timeline che di conseguenza appare molto più frastagliata e inconsistente di quanto non già non sia. Innumerevoli, dunque, le occasioni sprecate, innumerevoli le approssimazioni, innumerevoli gli insulti all'intelligenza dello spettatore sempre più indeciso, man mano che il mistero attorno ai fratelli Braciola si infittisce, tra il pianto, la rabbia e l'ilarità. Difficilmente un OVA senza un previo turnover (leggasi: calci nel sedere a manetta o, in alternativa, una lunga nuotata nell'Acquario dei Dipendenti dell'Earth Star Entertainment) avrebbe risolto tutti i problemi, ma senz'altro avrebbe avuto più senso.
(Per chi non lo sapesse la pupa è fase intermedia tra il periodo larvale e lo stadio adulto degli insetti olometaboli, tra i quali vale la pena di annoverare la farfalla. Non è quindi del tutto campato per aria dare questo nome alla condizione di Yume, mentre nel caso di Utsutsu è comprensibile nutrire delle perplessità dal momento che, per quanto ci è dato vedere, Pupa ha su di lui effetti completamente diversi.)
A fronte di un impianto narrativo tanto disgraziato è chiaro che l'introspezione psicologica non può che latitare. Mi si consenta, a tale proposito, di sfatare un mito: dotare i propri personaggi di una qualsivoglia backstory non equivale a conferire loro una maggiore tridimensionalità. Occorre infatti andare oltre, mostrando in maniera concreta come ciò che è accaduto loro si ripercuota nel quotidiano. Nel caso specifico sappiamo che Papà Braciola picchiava Mamma Braciola davanti ai figli, a loro volta non esenti da maltrattamenti sia fisici che psicologici: qual è il rapporto di questi ultimi con le figure d'autorità? Come si relaziona Yume con l'altro sesso? Che concezione ha del ruolo della donna all'interno di una coppia? Quant'è difficile per Utsutsu sopperire alla mancanza di un modello maschile?, e via discorrendo. D'accordo, lo spazio è quello che è, ma questioni di simile rilevanza non dovrebbero avere la priorità su tutto il resto? Ahimè, si direbbe che per gli sceneggiatori sia un no, per citare Mara Maionchi. Molto meglio convogliare tutte le proprie energie nel banalizzare l'ambiguità nemmeno troppo fuori luogo del rapporto tra i Braciolini, n'est-ce-pas? Inutile dire che tutti gli altri personaggi non sono minimamente pervenuti, compresa quella macchietta semovente di Maria, che pure dovrebbe incarnare quanto di più vicino a un antagonista questa serie possa permettersi.
Anche il comparto tecnico si distingue per la sua sciatteria, con una regia tutt'altro che ispirata, una manciata di animazioni legnose a episodio, una colonna sonora che, OP ed EP a parte, si fa ricordare più che altro per la sua incapacità di rimanere impressa e uno scipitissimo doppiaggio. Del resto immagino sia difficile riuscire a dare il meglio di sé quando il menù, per così dire, prevede solo grida di dolore miste a gemiti (Utsutsu) e un "Onii-chan gnam gnam" al secondo (Yume).
In conclusione: ma perché? Sul serio, ma perché? Credo proprio che uscirò a comprarmi dei Cheerios.
A seguito di un passato di abusi e negligenze i fratelli Utsutsu e Yume Hasegawa (gentilizio che d'ora in avanti sostituirò con Braciola in onore di Maccio Capatonda e del suo "Leggerezze") hanno sviluppato un legame di una forza inusitata per due adolescenti. Utsutsu, in particolare, prende molto sul serio il suo ruolo di Onii-chan, facendo del suo meglio per proteggere la sorellina dalle brutture del mondo. Ma se un giorno Yume stessa si trasformasse in una bruttura da cui il mondo va protetto? Se entrambi si trovassero al centro di un oscuro disegno di nome Pupa? Tra orrende farfalle rosse fatte con la CGI, onnipresenti orsacchiotti dalla dubbia efficacia simbolica, scienziate pazze, marioli non meglio identificati, inabissali incongruenze, sfacciate omissioni e barbosissimi flashback l'odissea color olio esausto delle due Braciole non mancherà di procurare allo spettatore facepalm multipli misti a sbadigli e ridarella fino all'ultimo siparietto pornosoft.
Contando anche i temi d'apertura e di chiusura ogni puntata dura quattro minuti, il che, com'è ovvio, riduce drasticamente lo spazio di manovra a disposizione degli sceneggiatori ma non, ahimè, il rischio di far più danni della grandine. Per quanto infelici possano essere le circostanze, tuttavia, il livello di conoscenza dei più comuni ferri del mestiere ivi riscontrabile è semplicemente scandaloso: un buon terzo degli episodi risulta infatti devoluto a filoni narrativi poco fertili e/o mal collocati lungo una timeline che di conseguenza appare molto più frastagliata e inconsistente di quanto non già non sia. Innumerevoli, dunque, le occasioni sprecate, innumerevoli le approssimazioni, innumerevoli gli insulti all'intelligenza dello spettatore sempre più indeciso, man mano che il mistero attorno ai fratelli Braciola si infittisce, tra il pianto, la rabbia e l'ilarità. Difficilmente un OVA senza un previo turnover (leggasi: calci nel sedere a manetta o, in alternativa, una lunga nuotata nell'Acquario dei Dipendenti dell'Earth Star Entertainment) avrebbe risolto tutti i problemi, ma senz'altro avrebbe avuto più senso.
(Per chi non lo sapesse la pupa è fase intermedia tra il periodo larvale e lo stadio adulto degli insetti olometaboli, tra i quali vale la pena di annoverare la farfalla. Non è quindi del tutto campato per aria dare questo nome alla condizione di Yume, mentre nel caso di Utsutsu è comprensibile nutrire delle perplessità dal momento che, per quanto ci è dato vedere, Pupa ha su di lui effetti completamente diversi.)
A fronte di un impianto narrativo tanto disgraziato è chiaro che l'introspezione psicologica non può che latitare. Mi si consenta, a tale proposito, di sfatare un mito: dotare i propri personaggi di una qualsivoglia backstory non equivale a conferire loro una maggiore tridimensionalità. Occorre infatti andare oltre, mostrando in maniera concreta come ciò che è accaduto loro si ripercuota nel quotidiano. Nel caso specifico sappiamo che Papà Braciola picchiava Mamma Braciola davanti ai figli, a loro volta non esenti da maltrattamenti sia fisici che psicologici: qual è il rapporto di questi ultimi con le figure d'autorità? Come si relaziona Yume con l'altro sesso? Che concezione ha del ruolo della donna all'interno di una coppia? Quant'è difficile per Utsutsu sopperire alla mancanza di un modello maschile?, e via discorrendo. D'accordo, lo spazio è quello che è, ma questioni di simile rilevanza non dovrebbero avere la priorità su tutto il resto? Ahimè, si direbbe che per gli sceneggiatori sia un no, per citare Mara Maionchi. Molto meglio convogliare tutte le proprie energie nel banalizzare l'ambiguità nemmeno troppo fuori luogo del rapporto tra i Braciolini, n'est-ce-pas? Inutile dire che tutti gli altri personaggi non sono minimamente pervenuti, compresa quella macchietta semovente di Maria, che pure dovrebbe incarnare quanto di più vicino a un antagonista questa serie possa permettersi.
Anche il comparto tecnico si distingue per la sua sciatteria, con una regia tutt'altro che ispirata, una manciata di animazioni legnose a episodio, una colonna sonora che, OP ed EP a parte, si fa ricordare più che altro per la sua incapacità di rimanere impressa e uno scipitissimo doppiaggio. Del resto immagino sia difficile riuscire a dare il meglio di sé quando il menù, per così dire, prevede solo grida di dolore miste a gemiti (Utsutsu) e un "Onii-chan gnam gnam" al secondo (Yume).
In conclusione: ma perché? Sul serio, ma perché? Credo proprio che uscirò a comprarmi dei Cheerios.