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Che il mondo dell'editoria sia abnormemente cresciuto nell'ultimo lustro, è una dato evidente sotto gli occhi di tutti. Per "dato evidente" mi riferisco alla quotidiana possibilità di scelta che un qualsiasi lettore ha davanti a scaffali di edicole o fumetterie: serie che vedono per la prima volta la luce in Italia, accostate a prodotti ben rodati che da anni sono improrogabili appuntamenti mensili, fratelli più prossimi di quelle (costose) riedizioni che, oscillando tra retrò e vintage, fanno leva su sentimenti nostalgici. Dinanzi ad una tale caotica opzionalità editoriale, il lettore, indistintamente dal suo grado di esperienza, finisce per smarrirsi. Non è più il tempo delle "poche"e qualitativamente ottime serie che esigue (solo di numero) case editrici lanciavano sul mercato, quando seguire tutto era più una necessità di lettura che un fatto di moda: o prendevi la maggior parte dei manga (o fumetti) disponibili o leggevi relativamente poco. Evitando di approfondire questa tematica, nella quale avrei posizione contraria rispetto alla maggioranza dei lettori, vale la pena puntualizzare la più grave conseguenza della suddetta apertura editoriale: non si sa più cogliere il prodotto di qualità.

Guglielmo di Ockham, scriveva: "Non moltiplicare gli elementi più del necessario". Qui il "necessario" è stato ampiamente superato. E lo si capisce dalla più banale delle risposte data alla più banale delle domande fatta a chi ha già letto un manga che siamo indecisi ad acquistare: in primis, difficilmente si vuol sapere come il lettore l'ha trovato, ma non evitiamo il classico "di che parla?". Puntualmente il nostro virtuale interlocutore non mancherà nel trovare più di un parallelismo con almeno tre - quattro manga ben noti, sentenziando infine la fatidica esclamazione: "E' una copia di …". Dimostrazione che il "necessario" è stato superato.

Attenzione. Il difficoltoso compito di trovare prodotti di qualità non dipende dalla mancanza di originalità creativa delle schiere di mangaka, che a discapito delle vendite è perennemente in crescita. Ciò che manca è l'originalità nello sfruttare l'originalità creativa. I colpi di scena a fine capitolo non bastano più ad un richiamo a lunga gittata. C'è bisogno di un narrare che sia equamente coinvolgente di pagina in pagina. Una decina di titoli, o poco più, hanno retto questo ritmo negli ultimi anni. Tra questi, ben adagiato sul trono che merita, scettro in mano, c'è anche Uchu Kyodai - Fratelli nello Spazio.

Stanislaus Joyce, fratello del più illustre James, scriveva: "È terribile avere un fratello maggiore più intelligente. Raramente mi viene riconosciuta un po' di originalità". E' una sinossi tanto scheletrica quanto efficace di Uchu Kyodai - Fratelli nello Spazio, seppur diverso il grado di maggioranza tra fratelli. "Fratelli nello Spazio", dove lo spazio galattico è "solo" il contorno di un affiatato e moderno racconto famigliare. Un rapporto che ha sfamato generazioni intere di letterati, a tratti oscuro, dal millenario richiamo storicistico: sia la storia sacra che quella civile del mondo nel quale viviamo, cominciano con un fratricidio (Caino e Abele & Romolo e Remo). Palese, dunque, la responsabilità che Chuya Koyama, autore del manga, ha avuto sulle sue spalle nello scegliere la tematica da trasporre in versione cartacea, pur seguendo esiti di sviluppo totalmente differenti dalla consuetudine storica.

Mutta Nanba, uomo sulla trentina dall'aria menefreghista, ha sempre avuto un sogno, che continua a coltivare: mettere piede sulla Luna. E' un'implicita promessa fatta all'unica persona che non provi apatia nei suoi confronti, il fratello minore Hibito. Ma il non aver mai avuto un veritiero appoggio emotivo da parte di due genitori avulsi alle esigenze del primogenito spinge Mutta, demotivato e pessimista, a riporre nell'armadio il sogno di diventare astronauta. Oltre il danno, la beffa: il fratello Hibito, che ha continuato a perseverare, è diventato il primo giapponese inserito in una missione di sbarco sulla Luna. Sarà la competizione nei confronti del fratello, che spingerà Mutta a sfidare le sue paure e a tentare di concretizzare ciò che sembra essere una chimera.

Per sommi capi, tutto inizia così. Un primo punto di forza, in simbiosi con la narrazione, è la sua polisemia: non si deve necessariamente scavare nel profondo per apprezzare ogni singola vignetta del manga, ma se lo si fa, si è veramente proiettati in un mondo parallelo del quale siamo anche noi in parte artefici, ponendo le colonne dell'interpretazione a sostegno del soffitto narrativo. Basterebbe questo per comprare tutti i volumetti finora usciti, perché manifesta una facilità di comprensione della storia commista a divertimento e coinvolgimento. Non a caso uso quest'ultimo termine, che è forse l'aspetto più propriamente penetrante del lavoro di Koyama, il "coinvolgimento". Piccola parentesi. Una delle critiche più abusate nell'ultimo decennio che ha investito, con botto sonoro, il mondo del fumetto/manga nelle sue varianti più generiche, è la totale piattezza dei personaggi che animano le storie. O meglio, il non riuscire a caratterizzarne più di un paio in un unico racconto, rendendo tutti gli altri solo marionette di cartapesta che si muovono su un macchinoso sfondo teatrale, seppur immediatamente riconoscibili. Uchu Kyodai sembra essersi vaccinato ed ha evitato questa brutta influenza. Nel procedere della storia, infatti, compariranno dozzine di personaggi che non saranno mai del tutto fini a se stessi, ma che contribuiranno, come in un puzzle, a montare l'Io dei due poli (Mutta e Hibito), e nel farlo manifesteranno anche la loro più intima essenza. Ed è qui che scatta il coinvolgimento. E' statisticamente improbabile non trovare almeno una sfaccettatura caratteriale in comune con i Tipi (per utilizzare un termine di pura critica letteraria) che ronzano introno ai due fratelli Nanba, dato che ci sarà un intrecciarsi di esperienze di vita da far impallidire anche la più complessa struttura dei romanzi di formazione tedeschi. Si finisce per affezionarsi a quegli esserini di carta e china e a riflettere con e come loro.

Trovare, oggi, esempi di conservatorismo artistico parlante di progresso è cosa rara e alquanto inusuale. Pochi i casi lampanti in cui ciò è accaduto, Tezuka su tutti. Per alcuni tratti artistici Uchu Kyodai ricalca il modo di concepire la pagina tipicamente tezukiana: la tavola è articolata in modo che essa esprima l'atmosfera della scena nella sua interezza. Ci sono lavori come il ben noto Tintin dove, per ovvi motivi di derivazione pittorica fiamminga, tutto si svolge "nelle" vignette. In Uchu Kyodai tutto si svolge "fuori" le vignette, che sono solo unità minime di un mosaico paurosamente articolato. Ma forse, l'elemento più prorompente del disegno di Koyama è quello di rendere veritiero il "movimento soggettivo". In un lavoro che tende al realismo, come questo, difficilmente si scorgono tratti simbolici (non essendo simbolica la realtà stessa che si cerca di dipingere) e ciò rende ancora più ardua l'immedesimazione soggettiva. Sostituendo l'astrazione iconica che preferiva uno sguardo dall'esterno, Koyama riesce, però, ad inserisce direttamente il lettore nelle fasi di movimento emotive con un disegno pulito, seppur a tratti traballante. Al contrario, un elemento che avrebbe potuto incentivare è la presenza di tavole a doppia pagina, che si sarebbero meglio prestate per sottolineare dati momenti del racconto.

Se dopo tutto questo disquisire non si è ancora certi su un possibile acquisto di Uchu Kyodai - Fratelli nello Spazio, ricordo che ha vinto il premio per il "miglior manga" nella categoria generale al 56esimo Shogakukan Manga Award (2010) e il Kodansha Manga Award (2011), succedendo a predecessori più che illustri e che ha ricevuto una trasposizione in Anime e in film Live-Action (2012).

Consiglio di un lettore assiduo: comprate Uchu Kyodai - Fratelli nello Spazio. Punto.