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Mamoru Oshii rientra certamente nella categoria dei registi giapponesi più rinomati all’estero assieme ad Hayao Miyazaki e Katsuhiro Otomo. Personalità risoluta, vive la gioventù in un periodo di grande mutamento per il Paese, partecipando in prima persona alle contestazioni studentesche organizzate a causa dei rapporti con gli Stati Uniti, eventi che lo forgiano avvicinandolo agli scenari politici.
In ambito lavorativo è conosciuto per essere uno dei maestri della fantascienza impegnata, abile nell’imbastire le sue produzioni con grandi riferimenti alla cultura orientale. Non esiste una scrittura impersonale, per lui il cinema non è fonte d’evasione, quanto un’opportunità per approfondire le proprie (come ama definirle) ossessioni.
L’arrivo allo Studio Pierrot in pieno “Anime Boom” (sollecitato anche dai nuovi modelli di fruizione) gli permette di partecipare a una serie come “Lamù” che raggiunge settimanalmente il 20% di share, e che diventa fondamentale nell’interpretare un’epoca: esprime il benessere sociale derivante dall’economia. Siamo infatti ancora lontani dallo scoppio della bolla speculativa. Perfettamente consapevole che il modo di narrare cambia a seconda del medium, la sua poetica è influenzata dall’invasione cyberpunk che avviene nella seconda metà degli anni ‘80, tuttavia questo lungometraggio getta le basi del suo stile.
Inutile dire che nei prodotti destinati alle sale cinematografiche è difficile sperimentare tecniche alternative poiché si punta al guadagno facile per far rientrare i costi, e i registi generalmente cercano di non snaturare il franchise, ma Oshii non è il tipo che asseconda le esigenze dello spettatore medio solo per denaro, difatti la pellicola riscuote poco successo ai botteghini, anche se col tempo finisce per essere rivalutata.

Non è un caso che Rumiko Takahashi, autrice la quale ha saputo unire come poche altre un collettivo ampio e variegato, abbia detestato il lavoro di Oshii, giacché assistiamo a uno stravolgimento completo del concept della storia.
La visione dei primi minuti può ingannare, ma poi i toni divengono più seri, l’immedesimazione sale, l’analisi introspettiva si fa largo, l’immagine assume finalità metaforica e la scena nuova si oppone alla convenzione precedente, enfatizzando l’aspetto fantastico nella forma più concettuale e astratta.
Se l’efficace binomio fra sequenze dialogate e riflessive funziona, il merito è di una sceneggiatura eccellente che offre possibilità di espressione sterminate anche attraverso linguaggi diversi, fino ad arrivare al punto nel quale ogni cosa si genera e distrugge, in cui i personaggi sono impotenti dinnanzi al divenire, dove gli scenari post-apocalittici iniziano ad occupare in maniera consistente la vicenda.
Oshii espone gli elementi a lui più cari: si passa dall’esistenzialismo all’indagine metafisica, senza dimenticare l’atmosfera onirica che poi riprenderà appena dodici mesi dopo in “Tenshi no Tamago”, donando quel senso utopico all'esposizione.
Nessuna negazione della realtà oggettiva ed effettiva, ma viene a mancare uno dei principi fondamentali del cinema, quello per cui il pubblico deve sempre capire tutto, verso l’esaltazione di un fruitore diverso.
La struttura, piuttosto circolare, lascia l’analessi per l’epilogo, mantenendo dunque un ritmo narrativo continuo per intero.
Nonostante la cifra non elevatissima stanziata, la regia si dimostra veramente accurata, in virtù di quell’idea secondo cui la forma prevale su tutto; al di là degli ottimi disegni, è Oshii stesso a sbizzarrirsi con le inquadrature. Talvolta, la narrazione cede il passo alla sembianza visiva, con gli sfondi che giocano un ruolo importante poiché occupano gran parte della fotografia finale.
Merita una menzione anche il comparto sonoro, che non manca di far sentire il proprio apporto nei momenti decisivi, accentuando lo stato di inquietudine dei protagonisti.

“Beautiful Dreamer” non è solo una celebrazione dell’adolescenza, estrema provocazione al mondo otaku e primo manifesto artistico di un regista capace di prendere un’opera senza pretese e renderla pregna di significati. È un grandissimo prodotto proprio perché non condivide nulla con l’originale.
A distanza di oltre trent’anni, questo film dal taglio surrealista così saturo di citazioni dallo stampo storico, rimane uno dei più grandi di sempre, quantomeno fra quelli tratti da serie televisive.