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Uscito nel 2013, Makoto Shinkai ci regala un mediometraggio che incarna le sue idee di fare animazione e, per chi non avesse mai visto un suo film, con questo potrà capire facilmente la sua identità.
Perfino in questo film Makoto Shinkai resta fedele al suo immaginario, e anche stavolta ci racconta una storia d'amore attraverso il suo stile puro e semplice. Non sarà un autore perfetto, ma sicuramente è quello del momento. Di certo quest'opera non vi farà cambiare opinione su di lui, se non altro serve a capire i temi principali che tratta nella maggior parte dei suoi lavori.

Con “Il Giardino delle Parole” notiamo come l'autore preferisca raccontare la storia per immagini, che sia uno squarcio della città giapponese avvolto nella natura, l'inquadratura dei piedi che avanzano o lo scrosciare della pioggia, che, unite a un ottima regia, trasmettono allo spettatore una sensazione di tranquillità e di quiete. A volte è sufficiente il rumore dei mezzi o della pioggia che cade al suolo, altre volte è accompagnata da una colonna sonora efficace che rende l'atmosfera magica, grazie anche a una grafica sublime. Qui c'è ben poco da discutere.

Il problema sorge nella brevità della durata del film e nei personaggi. Purtroppo la psicologia non è il suo obbiettivo primario, puntando perlopiù su un legame d'amore semplice senza troppi preamboli o strafalcioni. In un certo senso è diretto in quello che vuole narrare, ma perde di profondità se guardiamo i protagonisti. Ciò non vuol dire che Takao e Yukino siano due marionette, ma servono a far comprendere i sentimenti di due persone che nei sentimenti e nei problemi della vita sono stati toccati vicendevolmente, nonostante la differenza d'età.

Onestamente non ho capito perché abbia voluto modificare il finale rispetto al manga (che ho letto anni or sono prima di vedere il film), dove è decisamente migliore e lascia un significato più forte, però nel complesso, almeno dal mio punto di vista, è più che sufficiente.