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Ci sono molti modi di raccontare l'Apocalisse. Anzi, ci sono molti modi di raccontare le molte Apocalissi del nostro mondo. Quella economica, quella sociale, quella morale.
E per evitare di risultare melodrammatici si possono usare forme ermeneutiche che sfruttano l'ironia, il paradosso, l'eccesso; giocando con la fantasia e l'ilarità senza allontanarsi dalla gravità del tema base.

Yoichi Abe segue questo percorso per fare un'analisi fredda e lucida della realtà nel suo "Il pene del senpai".

Questo manga, dal titolo icastico e all'apparenza licenzioso, è in effetti una triste elegia del moderno vivere, elaborato attraverso una trama e delle vicende volutamente sopra le righe ma totalmente coerenti alla ruvida facies del contesto.

Il racconto è ambientato in un ipotetico mondo odierno, e segue le disavventure di alcune studentesse alle prese con il loro personale rapporto con l'altro sesso. In questa realtà il pene è un organo che può essere reciso per poi ricrescere.
Osserviamo dunque le ragazze divertirsi a rubare le appendici dei loro coetanei usando ingegnose trovate, come l'uso di ghigliottine camuffate da orinatoi nei bagni.
Da qui partono una serie di considerazioni delle adolescenti che interpretano ciascuna a modo suo questa bizzarra circostanza, e che offre spunti di riflessione e prospettive specifiche sul mondo, rivelando molto di più sulle loro concezioni di vita e pensiero di quanto non suggerisca la curiosa trovata del titolo.

Al di là dei meri risvolti narrativi, eccentrici e surreali, quelle che vengono proposte dall'opera sono una serie di riflessioni molto serie.
Se è chiaro fin dall'inizio che lo spunto di partenza è una sonora iperbole che lascia spazio a facili goliardate da parte del lettore, è anche evidente l'intento di veicolare contenuti e messaggi fattuali tutt'altro che idilliaci.

L'espediente narrativo scelto dall'autore non è di per sé una novità.
L'evirazione o la privazione di quello che è considerato l'attributo maschile per definizione è un topos ricorrente nelle dinamiche culturali di ogni epoca e paese.
Fin dall'Antichità questo elemento è considerato filologicamente una metafora dei riti di passaggio, nonché della stessa cosmogonia, origine dell'universo. Basti pensare al mito di Urano e Gea, o al culto di Cibele e Attis.
Questo fu elemento comune di molte espressioni politeiste o animiste, che identificano nel fallo l'emblema delle forze fecondanti e apotropaiche, fonte di virilità e protezione dai mali.
In Giappone questo tema culturale era espressamente evidenziato da culti e tradizioni shintoiste come il celebre "Kanamara Matsuri". Elementi questi in parte ancora vivi nella futuristica società nipponica (attaccata alle sue matrici politeiste) mentre sono ormai praticamente scomparsi nel tessuto culturale occidentale, se non come elementi folkloristici o parodistici, rimasticati e decostruiti dalla mentalità giudaico-cristiana che alla semantica del membro virile contrappone la sacralità dell'organo genitale femminile, sinonimo dell'inviolabilità della Vergine.
Valga però la premessa che anche la nuova religione trovò il suo percorso ereditando la semantica pagana e molte sue tradizioni, ivi compresa in certi contesti l'autoevirazione. Basti pensare alla figura di Origene, che arrivò ad esaltare la natura catartica di questa sua scelta. Oppure Giustino, che riportava come i cristiani implorassero i medici romani di ricevere tale operazione. Infine Tertulliano precisava che agli eunuchi è "spalancato il regno dei cieli".
Inutile citare poi l'usanza presso le civiltà asiatiche (persiana, turca, cinese, ecc.) di dotare i propri entourage politici, amministrativi e culturali di questo tipo di uomini, "virtuosi" per definizione, in quanto teoricamente privi delle debolezze mondane.

La chiave semantica del manga si deve però leggere anche sotto il filtro del rapporto fra i sessi.
L'attenzione di Abe in questo senso è molto chiara. Al di là di mere interpretazioni freudiane alla "Penisneid", quello che propone l'autore è un processo di dialogo bilanciato dalla cifra delle divergenze emotive e sociali. La dicotomia uomo/donna è messa sotto i riflettori secondo un'ipotetica ottica femminile. Partendo dal sesso opposto il mangaka ci offre il punto di vista col quale le ragazze metabolizzano il confronto, sfruttando l'iconico elemento sessuale come una sineddoche, semplificando fino all'eccesso la semiotica per elaborare un discorso complesso che si semantizza nel "feticcio".
Ma quello che sembra un ribaltamento di prospettiva in realtà è più uno scorcio sulle dinamiche che si instaurano nei rapporti codificati dalle convenzioni sociali. Le disuguaglianze e le inique disparità endemiche non esprimono il vero punto nodale delle tematiche. Il femminismo o le istanze sulla parità dei sessi non sono esattamente una colonna portante del racconto.
Emerge invece il tentativo di snocciolare semplici e vaghe identificazioni formali, nell'alveo delle esperienze sentimentali degli adolescenti, troppo caricate e ancora infantili, ma già svezzate dall'incontro con le varie tappe dei processi di crescita, come l'elemento sessuale.

Tutti questi piani di lettura sono però la base di un discorso molto più ampio, che non riguarda solo i sessi né la sfera sessuale in abstracto.

Il mangaka ci offre un modello molto chiaro. Quello che in apparenza è un gioco irriverente e malizioso è in effetti un preciso atto d'accusa alla società moderna. I temi, il contesto e le considerazioni, regalano una pessima immagine del nostro mondo. Le vicende dei giovani protagonisti sono una sequela di vizi e penose ingenuità esposti in un palcoscenico ancor più desolante tradotto nell'incapacità di venire a patti con le emozioni.
Questi elementi denunciano, se ce ne fosse bisogno, come l'archetipo fallico sia solamente un pretesto.
Le assurdità, gli infantilismi e le iperboli della storia ricordano delle strampalate avventure picaresche che, partendo dalle singole esperienze delle studentesse, sono la cartina di tornasole di una realtà sociale inquietante.
Le ragazze sono totalmente sottomesse; ma non al simulacro del titolo, bensì ad un sostrato culturale freddo e reificante che trasforma ogni aspetto della vita (sfera sessuale in primis) in un prodotto di consumo. Oppure sono vittime di un becero torpore relazionale, fatto di incomunicabilità e pesanti deficit empatici.
Lo sfondo complessivo è quello di un baratro di consumismo, amoralità e totale analfabetismo emotivo. Le giovani non vogliono o non possono comprendere l'altro, ed estremizzano questo rapporto semplificandolo e sublimandolo nelle sue mere funzioni fisiche, sintetizzate nel possesso dell'organo riproduttivo maschile, che diviene oggetto da collezione o una sorta di animale da compagnia. Il paradosso funziona proprio grazie alla natura bislacca della trama, secondo la quale il pene continua ad avere una vita biologica anche dopo la separazione dal corpo.
La decontestualizzazione morale delle vicende è esplicitamente denunciata, con personaggi che fungono da spie di questo drammatico squallore etico che non tiene minimamente in conto la natura materialista del possesso né la sfera emotiva del possessore.
Il transfert psicanalitico dal soggetto all'oggetto è la più basilare forma di critica culturale, che sottolinea il totale squilibrio insito in un processo di compensazione dell'affettività per mezzo degli oggetti.
Quello che le ragazze pretendono è un rapporto idealizzato e infantile, privo di un sincero piano costruttivo, senza tutte le sfumature di una completezza emotiva e senza tutte le scocciature delle ricadute sul piano fisico.

In sostanza una scappatoia che mira ad ottenere il "simpatico" escludendo il "simpatetico".

Soggetto e funzione sono totalmente fusi, inquadrati in un macabro sense of humor che regala straordinari paradossi narrativi. Il tutto condito con un fondo di tristezza che evidenzia il disagio provocato da un contesto di materialismo puro, dal quale si può anche eventualmente uscire, ma solo grazie ad un preciso atto di volontà teso ad una personale presa di coscienza o ad un'esplicita autocritica, che però si palesano sempre in extremis o quando ormai è troppo tardi.
Quella che emerge dal manga è un'umanità derelitta, passata attraverso una Apocalisse che non si è mai verificata ma che ha devastato ogni cosa.
I veri cataclismi sono nei nostri cuori, nell'incongruenza endogena che rende ogni relazione un olocausto che consuma tutto ma non assimila niente.

Abe confeziona un'opera molto ben orchestrata, creando un volume unico dalla struttura episodica che, pur delineando collegamenti tra le singole vicende, cita lo stile delle serie antologiche o dei film a capitoli.
La divertente combinazione tra la forte critica dei temi e l'icastica resa della narrazione fa de "Il pene del senpai" un manga iconico, singolare ed eccentrico, ma anche capace di veicolare messaggi estremamente puntuali e riflessivi.
Il risultato è quindi una curiosa creatura camp che ricorda le espressioni degli anni Sessanta, opere colorate e naif ma pregne di contenuti impegnati e spunti di riflessione.
Risate e critiche si sprecano, elaborando riferimenti allusivi e frecciatine dirette alla società nipponica, ma anche alla cifra generale del vivere odierno, tra devianze sociali e mediocri vetrine pseudoculturali, come i deliri mediatici o le fragili figure di sedicenti artisti più vicini al divismo dello star system che al tormento e all'estasi.
La potenza descrittiva è temperata da un comparto grafico suggestivo, con linee incerte e sfumate ma mai imprecise o approssimate. Il tratteggio è ampiamente adottato per suggerire assieme ai giochi chiaroscurali un senso favolistico e tenue, tipico delle opere dedicate al mondo dell'infanzia. Un altro espediente allusivo che rimanda alla natura bambinesca e immatura di un mondo che non vuole far crescere nessuno per davvero, riuscendo così a protrarre ad libitum lo status quo materialista e utilitarista, questo sì tutt'altro che ingenuo e rassicurante.

Tra esiti melanconici e qualche soluzione consolante la chiosa finale rimane comunque falsamente agrodolce, con un epilogo che non lascia molto spazio alla fantasia sulla possibile evoluzione dello stato sociale.
Le ultime pagine e soprattutto l'ultima vignetta, con un sigillo finale sempre stravagante e paradossale, sono un regalo abbastanza pessimistico che non suggerisce certo un senso di catarsi o redenzione.
Quello che ci regala quest'opera è una efficace e ragionata parodia di noi stessi, costretti come siamo a sfoggiare lo stesso smagliante sorriso apatico o la stessa isterica esaltazione drogata di fronte tanto al più atroce quanto al più anonimo dei contenuti.

L'Apocalisse forse non arriverà mai. Ma questo perché è più probabile che non trovi nulla da distruggere, battuta sul tempo da una calamità silente e implicita, più sottile e senza effetti speciali. La vera catastrofe è la nostra apatia, quel costante senso di vuoto che ci lascia soli nei posti più affollati, muti in un mare di urla, convinti di trovare risposte tramite surrogati.

Forse un manga che si intitola "Il pene del senpai" non sfugge alle maglie di semplici etichettature erotomani. Ma anche per questo possiamo magari trovare lo spunto per ridere di noi stessi e cercare la chiave dei nostri paradossi personali. Scoprendo che in un modo o nell'altro per sublimare ansie e aspettative tutti sono alla cerca del loro totem. Sia esso il Santo Graal o un pene.