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6.0/10
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Sempre presente nelle rassegne festivaliere degli ultimi anni, il cinema coreano sembra essersi specializzato in storie di vendetta, sovente truce ed efferata, generata da ingiustizie palesi perpetrate ai danni di chi è apparentemente destinato a non potersi difendere in alcun modo. Anche "The Housemaid", di Im Sang-soo, presentato a Cannes e vincitore del Premio Speciale della Giuria al Courmayeur Noir in Festival, remake di uno dei film coreani più celebrati della storia, considerato dai critici un capolavoro della cinematografia orientale (l’omonimo "The Housemaid", di Kim Ki-young, del 1960), si iscrive a pieno diritto in questa categoria raccontando una vicenda che intreccia al noir un dramma sui rapporti di potere tra classi agiate e classi subalterne.

Protagonista del film è Euny (Jeon Do-youn), giovane ed ingenua cameriera che presta servizio nella lussuosa casa di una coppia ricca oltre misura e in attesa di due gemelli. Diventerà in poco tempo l’amante del padrone di casa (Lee Jung-jae), soddisfacendone ogni suo intimo desiderio e restandone successivamente incinta. Ma le donne di casa, aiutate dalla governante, ci metteranno poco a scoprire l’accaduto e a riversare la loro spietata collera sulla ragazza. Un vero e proprio dramma, che parte lento e compassato e che svela solo oltre la metà del film tutti i motivi che animano una pellicola sicuramente interessante ma che aggiunge poco o nulla a un genere che, come detto in precedenza, comincia ed essere un po’ abusato a certe latitudini.

Nulla a che vedere con l’originale, rispetto al quale mutano radicalmente la personalità e il ruolo (qui sostanzialmente ribaltato) della protagonista e soprattutto l’atmosfera in cui sono calati i personaggi. Niente che sorprenda più di tanto lo spettatore avvezzo alla cinematografia del Far East Festival, né tanto meno la critica, eppure il film di Im Sang-soo la sua buona dose di inquietudine la regala eccome, grazie soprattutto a un finale agghiacciante e all’interpretazione in crescendo della bravissima Jeon Do-youn (premiata a Cannes 2008 per la sua notevole interpretazione in "Secret Sunshine" di Lee Chang-dong). Quello che preme maggiormente al regista coreano, dal punto di vista testuale, è mettere in risalto le differenze di classe, esplicitate in modo marcato per poter supportare la tesi, peraltro sostenuta un po’ ovunque, che chi ha i soldi esercita sempre un potere su chi non li ha.

La pellicola vive di qualche stravaganza, di qualche velato se non addirittura impercettibile umorismo che però non è mai completamente liberato, probabilmente per mantenere quella patina narrativa in cui vengono imprigionati personaggi che rappresenterebbero lo stereotipo sociale e culturale rivendicato, come d’evidenza, dal regista. C’è dunque un approccio ideologico nella rappresentazione realizzata dal cineasta coreano, fatta di personaggi monodimensionali dai quali si differenza soltanto la protagonista. La componente erotica, che si spinge fino a un feticismo esibito con notevole senso visivo (per le gambe e per i piedi femminili, in particolare), come in precedenti opere di Im Sang-soo è anche in questo caso centrale nell’economia della pellicola, funzionale a un’estetica complessiva che tradisce una certa eleganza formale che va un po’ a scapito della spontaneità della messa in scena. È un cinema sovente freddo, molto teorico e a tratti notevolmente compiaciuto nel suo palese estetismo, che deflagra solamente nelle ultimissime, sconvolgenti sequenze. Il finale di "The Housemaid" è in effetti scioccante. Inquieta, disturba e resta certamente impresso nei pensieri dello spettatore, per qualche interminabile istante, anche dopo aver terminato la visione.