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Pellicola che idealmente chiude un’apparente trilogia wuxia. Terza storia che Zhang Yimou ambienta nella Cina imperiale e fortemente tradizionale. Perché dico apparentemente? Perché il film in questione, a differenza dei due precedenti ("Hero" e "La foresta dei pugnali volanti"), concentra i motivi della vicenda non tanto e non solo sulle proverbiali, pirotecniche e funamboliche acrobazie marziali, ma su una struttura narrativa che è una via di mezzo tra una tragedia greca e un dramma shakespeariano.

il film è un viaggio ipervisivo attraverso un caleidoscopio di colori cangianti che frastorna, acceca e restituisce meraviglia. Gli si può perdonare una prima parte senza troppo slancio, tutta centrata sul magnificare in immagini – fin nel più recondito dettaglio - la città proibita e i suoi riti ancestrali. Nella seconda parte, dopo un contegno che riflette la misura in cui erano costretti i personaggi, l’opera deflagra, come deflagrano le passioni, gli odi e le vendette. L’azione arriva, dirompente come la si attendeva. Ma dimenticatevi la soave leggerezza dei combattimenti in volo del precedente "La foresta dei pugnali volanti"; dimenticatevi le pose marziali e solenni dell’incantevole Zhang Ziyi, perché qui, oltre a qualche sequenza in volo decisamente meno aggraziata, c’è il contatto fisico, il sangue e una battaglia di massa da far invidia ai kolossal hollywoodiani di genere.

È un dramma cupo, asfissiante, angosciante, parzialmente stemperato dall’azione e affatto offuscato dalla cifra stilistica. La bellezza dell’opera risiede proprio qui, nella capacità di Zhang Yimou di fondere l’arte visiva con un dramma classico, rendendo – impresa titanica – claustrofobici e opprimenti i colori più sgargianti. Nella città proibita dominano il rosso delle rifiniture e il giallo dei crisantemi, che tolgono il respiro ad ogni inquilino della real dimora, nonostante gli spazi amplissimi in cui si consumano i riti. C'è una sensazione di assenza, di vuoto nella perfezione, di perfezione del vuoto; attraverso campi lunghi, riprese dall’alto e panoramiche che restituiscono sempre un’immagine pietrificata. Quasi venisse nullificata la dinamica. Il fascino di Gong-Li e l'avvenenza di Zhang Ziyi fanno il resto; ed è ottima, nel complesso, la prova di tutto il cast. Una grande regia per un'opera di rara bellezza estetica.