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Data la grande affluenza di opere di questa natura negli ultimi anni, sorge assolutamente spontanea una domanda: come si realizza un remake, o, se si vuol essere ancora più coraggiosi, un reboot?
Risposta rapida: non così.

In Toei qualcuno ha ben pensato di tornare alle origini del mondo digitale, alle radici del franchise dei Digimon in forma animata e riprendere in mano gli originali Bambini Prescelti Taichi, Sora, Yamato e compagnia per ri-narrare le loro prime avventure in chiave diversa, ma, superati questi interminabili 67 episodi, ci rendiamo conto che con “diversa” si intendeva “peggiore”, o meglio, “senz’anima”.

La grande spada di Damocle di remake e reboot di ogni sorta è sempre il confronto con l’opera originale, soprattutto se si tratta di una serie particolarmente rinomata, apprezzata e iconica, ma questo, spesso, porta a confronti ingiusti dettati solamente dall’effetto nostalgia e dal legame sentimentale dei fan con le opere originali in questione.
Volendo affrontare un’analisi di "Digimon Adventure" 2020 (che originariamente sarebbe "Digimon Adventure:", ma quei due punti a casaccio rischiano solo di creare confusione) come opera in sé, ci troviamo di fronte a una serie per ragazzi tecnicamente ben fatta e senza particolari pretese, con una caratterizzazione dei personaggi riassumibile in una riga di testo, tanti power up dettati fondamentalmente solo dal riempire gli spazi narrativi tra un nemico finale d’arco narrativo e l’altro e un grande sbilanciamento nel tempo a schermo dei vari Prescelti umani, con Taichi protagonista del 90% degli episodi, spesso in solitaria.
Una serie dimenticabile e prolissa, dunque, che non può affrancarsi dal suo essere “indirizzata a un pubblico giovane” per giustificare la sua mancanza di spessore, perché di opere indirizzate a un pubblico giovane (anche con “Digimon” nel nome) con dei messaggi e delle caratterizzazioni solide è piena la storia degli anime. La situazione, però, si fa drammatica quando cominciano i confronti con il "Digimon Adventure" del 1999.

Uno dei più grandi punti di forza della serie originale era la caratterizzazione dei suoi protagonisti umani, otto ragazzi trasportati in un mondo misterioso, lontano dalle loro famiglie e dal loro “microcosmo” fatto di certezze, ma anche di dubbi, traumi e difficoltà. Qui, i protagonisti sono diventati otto orfani, non perché siano senza genitori ma perché è come se una famiglia non l’avessero, visto che alle persone rimaste nel mondo reale non pensano proprio mai: l’unico ad avere preoccupazioni relative al mondo umano è Joe, quelle due o tre volte che fa qualche gag riguardo alla sua necessità di studiare, ma considerando che appare pochissimo, le sue preoccupazioni diventano ancora più effimere. Il senso di “ragazzi persi in un mondo digitale parallelo” viene completamente perduto, visto che sembrano totalmente noncuranti di ciò che hanno lasciato nel loro mondo (tranne quelle rare volte che qualcosa lo minaccia).

La voragine lasciata dalla mancanza di preoccupazione, da parte dei Bambini Prescelti, nei confronti di ciò che è rimasto nel mondo umano non è comunque paragonabile alla totale assenza di tutte quelle problematiche, quei traumi e quelle difficoltà che i ragazzi si portano dietro nella serie originale, e che erano, illo tempore, alla radice della loro crescita sia come persone che come piccoli, grandi eroi. Adozioni, rapporti difficili con i genitori e divorzi vari svaniscono come neve al sole, in questo reboot, rendendo i protagonisti piatti come fogli di carta e vanificando tutta la metafora originale di potenziamento dei Digimon in rapporto con la crescita personale dei loro partner umani. Gettando nell’apposito contenitore per la differenziata la caratterizzazione profonda dei Bambini Prescelti, viene cestinata anche la controparte combattiva della stessa, cioè il rapporto parallelo tra crescita personale dei bambini ed evoluzione dei loro partner.
In questo "Digimon Adventure" 2020, infatti, i Digimon raggiungono nuovi livelli evolutivi (addirittura più che nella serie originale) per il semplice gusto del power-up, senza che questi comportino una maggiore consapevolezza di sé da parte dei Prescelti né che, ai livelli più alti, abbiano delle conseguenze effettive sul Digimon in questione: se in precedenza la maggiore forza comportava un ritorno a uno stadio più basso finito il combattimento, qui si fa avanti e indietro fino al livello Definitivo senza sforzo, e senza conseguenza, una mancanza di significato dietro alle battaglie che porta con sé un appiattimento delle stesse, anche alla luce dalla diversa etica degli eroi protagonisti.

Se nella versione originale i Bambini Prescelti evitano il più possibile di uccidere i Digimon che si trovano, per un motivo o per l’altro, ad affrontare, nella versione 2020 delle avventure digitali si scatenano stragi sin dai primissimi episodi, senza alcuna remora o ripensamento nei confronti degli avversari affrontati, senza che i protagonisti umani siano turbati dalla violenza di quel mondo e senza che sorga alcun dilemma etico nelle bianche (nel senso di “vuote”) menti dei protagonisti.
Oltre a deficitare da un punto di vista di caratterizzazione personale, però, questa serie riesce a fare di peggio quando si tratta di gestione del cast e interazioni tra i protagonisti: degli otto Bambini Prescelti, alcuni nemmeno si rivolgono mai la parola a vicenda (mentre in originale si sposano pure), non litigano, non si conoscono maggiormente, non si supportano, ma soprattutto non hanno nemmeno lo spazio per mostrarci qualcosa di più del loro carattere (qui comunque appiattito a tutti senza appello). In un notevole sforzo per abbassare ulteriormente il livello già infimo di caratterizzazione dei protagonisti, lo studio ha avuto la brillante idea di attribuire a Taichi un ruolo più marcato rispetto agli altri ragazzi, rendendolo protagonista di, letteralmente, decine di episodi in solitaria, che ovviamente non ne approfondiscono la personalità, ma si limitano a fargli incontrare nuovi Digimon, farlo combattere, e nulla più. Persino in rari episodi dedicati agli altri Prescelti Taichi è sempre presente, persino quando il gruppo è diviso, molto spesso in un ruolo che ha un’influenza sulla trama al pari di quello di Pandaman in One Piece, ma esserci ci deve sempre essere, quasi per contratto. E questo, se si considera che la sua personalità non viene approfondita e che quella dei suoi compagni nemmeno, è assolutamente snervante. Non a caso, ogni episodio si apre con un riassunto della puntata precedente raccontato da Masako Nozawa (abituata a serie Toei di ben altra caratura, e su questo non ci piove) che inizia con le immortali parole “Taichi e gli altri…”, dettaglio che da solo fa capire le intenzioni dello staff di fare grosse differenze tra gli otto eroi umani e i loro Digimon. Si arriva persino a non sopportare più neppure le seppur capaci voci di Taichi e Agumon, perennemente presenti e, come quelle dei loro colleghi umani e digitali, capaci sì e no di dire due frasi in croce, di cui una è composta dal solo nome del proprio partner.

Un buon livello tecnico e una manciata di sigle che passano dal carino al dimenticabile non possono salvare la baracca, che probabilmente non sarebbe stata salvabile neanche da un duetto di Hironobu Kageyama e LiSA su testi di John Lennon e musiche di Ennio Morricone (motivo per cui, in un certo senso, è un bene che non ci sia traccia di nessuna versione di Butter-Fly, la storica sigla originale).

A rendere il tutto ancora più disastroso non è il solo fatto che la serie, rispetto all’originale, manchi di contenuti e caratterizzazione dei personaggi, ma il fatto che fallisca completamente nel creare una qualche storia coerente e una qualche evoluzione e approfondimento dei personaggi nonostante abbia a disposizione più puntate rispetto all’originale.
Se il primo "Digimon Adventure" è una “Endless Summer” di avventure, esperienze e crescita, "Digimon Adventure" 2020 rende fede all’anno che porta nel nome, risultando interminabile e in continua spirale discendente (magari lo fosse, è più una linea retta) verso il nulla cosmico dal punto di vista narrativo e contenutistico.

Personaggi vuoti, storia raffazzonata (e con solo uno dei tanti villain originali, peraltro totalmente stravolto), gestione dei livelli evolutivi che manda totalmente all’aria ogni genere di coerenza, comprimari sbiaditi rispetto alle loro versioni “storiche”, evoluzioni a casaccio (un paio d’altre regole delle due serie originali vengono lanciate allegramente fuori dalla finestra), narrazione prolissa e inconcludente e mille altre piccole o grandi sciocchezze rendono questo "Digimon Adventure" 2020 un anime ignorabile di per sé e un disastro su larga scala se paragonato alla sua serie originale.

Un remake, e un reboot, non devono necessariamente avere la stessa trama delle opere originali, ma gli stessi valori, e lo stesso spirito, sì, e qui l’obiettivo non solo non è centrato, ma, apparentemente, nemmeno inseguito.
Il 2020, per quanto anno funesto, ha regalato remake e reboot di ben altra caratura rispetto a questo (anche in casa Toei), che dimostra come, a volte, anche serie per bambini e ragazzi possono essere difficili da capire se non seguite con attenzione, visto che, palesemente, chi ha sceneggiato e diretto questo remake non ha compreso nulla delle bellissime avventure di quella “Endless Summer” del 1999.