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Se dell'incidente nucleare alla centrale di Chernobyl dell'aprile 1986 sono stati realizzati una moltitudine di documentari, e anche alcune serie e film, su quello di Fukushima del marzo 2011 non ne avevo trovati poi molti: un po' per indolenza mi ero limitato a visionare alcuni documentari reperibili in rete sulla ricostruzione dell'incidente avvenuto a seguito del violentissimo terremoto e conseguente tsunami che colpì la parte centro settentrionale del Giappone rivolta verso l'Oceano Pacifico.

Dell'incidente credo sia già stato scritto tutto, e la miniserie di otto episodi "The Days" - "Tre giorni dopo la fine" ripropone una ricostruzione minuziosa degli avvenimenti accaduti nel complesso della centrale nucleare di Fukushima Daichi nel giorno del terremoto e nei tre giorni seguenti, mostrati da un particolare punto di vista: quello di coloro che si trovavano all'interno della centrale e che si sono trovati ad affrontare in totale autonomia (oserei scrivere, più correttamente, "in solitudine") il più grave incidente nucleare della storia umana, pari a quello di Chernobyl, per le conseguenze determinate dalla fusione di alcuni reattori a causa dell'assenza di corrente di alimentazione dei sistemi di sicurezza dopo lo tsunami.

"The Days", a differenza di altre produzioni sugli incidenti nucleari, ha un taglio molto "documentaristico" e poco "romanzato", trattandosi di una serie ispirata alle opere di Ryushu Kadota "On the Brink: The inside story of Fukushima Daiichi" e "A reading of Yoshida testimony: what actually happened onsite at Fukushima", a loro volta costruite sulle testimonianze di coloro che hanno vissuto i momenti successivi al terremoto e allo tsunami all'interno della centrale nucleare, e in particolare del suo direttore Masao Yoshida, che coordina tutto il personale della centrale cercando di affrontare l'emergenza, per forza maggiore, in autonomia e senza mezzi.

L'impressione che si ricava dalla visione di "The Days" del disastro nucleare di Fukushima è quella della mancanza di consapevolezza tecnica e organizzazione di un sistema come quello giapponese che invece è notoriamente famoso per essere un modello di struttura a livello planetario. Se Chernobyl è stata la prova della leggerezza e ignoranza, e capacità a causare l'esplosione del reattore (cui è stata poi messa una pezza con una reazione sistemica incredibile dati i mezzi  obsoleti e la supponenza del regime sovietico), Fukushima è stato l'attendismo unito alla incredibile ipocrisia e al rigido rispetto dei ruoli oltre ogni capacità logica che contraddistingue la società giapponese che ha portato alcuni reattori a raggiungere lo stato di "meltdown". E' inutile evidenziare come la responsabilità della TEPCO (la società privata di gestione dell'impianto) sia piuttosto evidente nei momenti iniziali (i primi giorni dal terremoto e dallo tsunami) in cui ha cercato di rassicurare il governo e l'intero paese sulla situazione della centrale che era rimasta completamente isolata. Ma non da meno fa rabbrividire l'inerzia delle istituzioni giapponesi che si sono limitate a prendere atto di quanto riportato artatamente dalla società di gestione senza dotarsi di specialisti per comprendere al meglio la situazione e fornire la dovuta assistenza alla TEPCO e quindi alla centrale.

Colpisce, durante la visione, la fortissima discrasia tra la verità vissuta dai pochi tecnici e la versione "artata" (recte "omissiva") della verità narrata inizialmente dalla TEPCO, e tale situazione non può far che meditare su determinate scelte strategiche di affidare a "privati" settori nevralgici, e particolarmente delicati, che richiederebbero un approccio molto più strutturato e capace di reagire senza indugi a calamità e situazioni non preventivate o ipotizzabili.

Anche in "The Days" emerge, come nelle serie e documentari su Chernobyl, il senso di responsabilità fino all'estremo sacrificio di coloro che loro malgrado si sono trovati ad affrontare il "mostro" radioattivo, quella tecnologia che, se non affrontata con il dovuto rispetto e attenzione, si trasforma in un attimo da buono in cattivo in un attimo. Ma un aspetto che "The Days" riesce a trasmettere molto bene allo spettatore è quella sensazione di ineluttabilità che pervade ogni episodio della serie: l'epilogo tragico come la morte che pone termine alla vita umana. Una guerra già persa cui l'uomo può solo cercare di porre dei rimedi parziali come rimandare o limitare le conseguenze del disastro.

E sotto questo aspetto "The Days" riesce a trasmettere tutto il senso di impotenza e negatività con uno stile registico quasi "horror" favorito dalle ambientazioni cupe e buie delle sale di comando dei reattori e dalle missioni negli ambienti senza luce e claustrofobici in cui i tecnici devono operare per cercare di apportare quei correttivi per evitare il disastro. Ma è l'atmosfera lugubre, che aleggia in tutti gli episodi, a fornire una sensazione di profondo disagio allo spettatore che assiste (come i protagonisti) impotente all'incipiente tragedia, immedesimandosi nella disperazione composta e nella speranza vana di chi agisce sul campo.

Il limite della serie è rappresentato proprio dal suo maggior pregio: l'estremo rigore quasi ridondante alla ricostruzione storica il più possibile fedele. Non c’è parte romanzata, il ritmo e lo sviluppo dei fatti è lentissimo (ma inesorabile), non c'è sviluppo di trame parallele che mostrano la situazione al di fuori della centale (eccezion fatta per la famiglia di uno dei giovani dipendenti della centrale), non c'è alcun chara-development dei personaggi, nessuna azione eroica anche un po' roboante che non sia un mero rimedio molto realistico e purtroppo temporaneo. Quasi una serie composta, scevra da ogni forma di spettacolarizzazione, nella miglior tradizione dell'approccio molto pragmatico e poco sensazionalistico della cultura giapponese.

Spicca in modo evidente la recitazione dell'attore Kōji Yakusho che impersona il direttore della centrale Yoshida: autore di un’interpretazione che evolve nel corso degli episodi e che rende in modo quasi icastico il contrasto interiore tra il rispetto dei ruoli, la compostezza tipica giapponese, e la volontà di ribaltare tutto e ribellarsi alla indolenza di coloro che a distanza di sicurezza non prendevano alcuna decisione: un uomo consapevole della tragedia che si sta consumando e del danno che si creerà a carico dell'intera nazione. Un'umanità che forse e poco comprensibile a noi occidentali in cui assume anche ordini scomodi che mettono a rischio la vita dei collaboratori sempre con la consapevolezza del sacrificio che sta richiedendo, ma anche, e soprattutto, il dolore e il disagio di un uomo che all'improvviso si è trovato "solo" a dover decidere di azioni gravide di rischi tra i lacci e lacciuoli imposti dall'azienda, così lontana e disgraziatamente incompetente.

Quindi nessuna spettacolarizzazione "hollywoodiana", solo il senso profondo dell'umana incapacità di cambiare il corso degli eventi, nonostante il positivismo senza limiti, e quindi superbo, di essere convinti di essere capaci di piegare il corso degli eventi sempre a favore dei propri interessi.

Resta pertanto il messaggio di monito: imparare dagli errori commessi.
Una serie da consigliare a coloro che apprezzano maggiormente la sobrietà e il realismo alle storie eccessivamente romanzate anche in modo poco verosimile.