Love me knight (Kiss me Licia): dietro le quinte della nuova edizione di Nipponshock
Uno sguardo sulla nuova traduzione del classico di Kaoru Tada
di Kotaro
Kiss me Licia è il primo cartone animato giapponese di cui ho memoria. Non avrò avuto più di due, tre, quattro anni al massimo, quando l’ho visto per la prima volta in tv, insieme al telefilm, verso la fine degli anni Ottanta. Naturalmente, all’epoca non capivo nulla della storia d’amore, dello scontro generazionale padre-figlia, ma ero attratto dai capelli colorati dei personaggi, dalla buffissima mascotte felina, dalle gag del padre che, come vuole la leggenda che ancora si tramanda nella mia famiglia da decenni, imitavo mettendomi un fazzoletto in testa.
E’ una serie a cui sono molto affezionato, che mi ha fatto scoprire e amare il mio doppiatore preferito, il mitico Pietro Ubaldi, e che in un certo senso parla della mia vita passata, presente e futura. Insomma, è ambientata in un locale tradizionale giapponese frequentato da lavoratori di mezza età, e proprio uno di questi, vecchio dentro e appassionatissimo di canzoni tradizionali considerate “vecchiume” da tutti gli altri personaggi, era il mio personaggio preferito della serie. Di inconsapevoli similitudini con quella che sarebbe stata la mia vita a distanza di circa quarant’anni dalla mia prima visione di Kiss me Licia ce n’è fin troppe, direi!
Essendo una serie per me così speciale, quando mi è stato chiesto di occuparmi della traduzione della nuova edizione a colori del manga originale non me lo sono fatto ripetere due volte, era per me un onore grandissimo e ho accettato senza pensarci nemmeno per un secondo.
Il manga lo avevo letto anni addietro nella prima edizione della Star Comics, quindi lo conoscevo già. O meglio, così credevo. In realtà, addentrandomi fra le coloratissime pagine dell’opera della compianta Kaoru Tada, ho scoperto un manga completamente nuovo rispetto a quello che pensavo di aver letto. E’ noto che, nonostante in Italia sia stato una hit e venga considerato un capolavoro imprescindibile, in Giappone l’anime non ha avuto successo, è stato cancellato prima del tempo e dimenticato, al contrario del più longevo e fortunato Itazura na kiss, a cui l’autrice ha lavorato negli anni Novanta. E, leggendo il manga, si capisce anche il perché: l’anime, già nella sua versione originale giapponese (Mediaset ha cambiato i nomi dei personaggi ma c’entra fino a un certo punto), si è preso tantissime libertà modificando infinite cose del fumetto e rendendolo più infantile di quanto non fosse in origine, perciò non è strano che non abbia riscontrato i favori dei lettori del manga.
Perché il manga originale di Kiss me Licia, da qui in poi chiamato col suo titolo originale Aishite Knight, non è come lo si vede nell’anime. Sì, la storia di base è quella, i personaggi più o meno sono quelli, le vicende più o meno sono quelle. E’ ancora la storia di Yakko, figlia del gestore di un ristorante tradizionale, che si innamora del bel rocker Go, certo, ma c’è tutto un sottotesto di cui l’anime non mi aveva mai parlato (perché, anche nella sua versione originale, è stato molto modificato e banalizzato, ed è stato tolto), né tantomeno lo aveva fatto il manga della Star Comics a suo tempo. Mentre proseguiva la storia dei due protagonisti, parallelamente andavano avanti anche altre storie, e la presenza di queste storie ha reso Aishite Knight un manga totalmente diverso, unico nel suo genere e, per quanto ne so, inimitabile e perciò mai più imitato.
L’edizione a colori di Nipponshock è la terza che giunge sul suolo italiano, perciò la storia di Yakko e Go è nota a tutti e non ne parleremo. Mi preme invece raccontarvi le altre storie nascoste dentro Aishite Knight, in primis quella di Kaoru, la sua autrice, presenza palpabilissima di continuo all’interno del manga, in ogni tavola.
Di Kaoru Tada, solitamente, si parla poco. E’ l’autrice di Kiss me Licia, è l’autrice di Itazura na kiss, è morta in un incidente durante un trasloco nel 1999, e fondamentalmente questo è tutto ciò che di lei solitamente si sa. Aishite Knight stesso, realizzato quando era poco più che ventenne, ci offre l’occasione di conoscere molto altro sulla sua autrice, che ha infuso nelle tavole tutta la se stessa dell’epoca, tutto il suo mondo. Kaoru Tada è originaria di Osaka e perciò, a differenza dell’anime che è ambientato a Tokyo, anche il manga è ambientato nella città natale dell’autrice. Ed è una differenza importante, perché il luogo e il tempo in cui è ambientata costruiscono un contesto fondamentale e fanno sì che la storia di Yakko e quella di Kaoru finiscano in qualche modo per sovrapporsi. Non a caso, la prima cosa che si vede appena iniziato il manga è un ristorante di okonomiyaki, cibo tradizionale di Osaka: è l’ambiente in cui è cresciuta la protagonista, la cui vita sino a quel momento è stata caratterizzata dal puzzo della frittura, dal dialetto del Kansai parlato da suo padre e dai clienti abituali di mezza età che frequentano il suo locale. Aishite Knight nemmeno inizia che già ci accoglie con tremila termini specifici relativi al cibo tradizionale giapponese servito al Mambo, cibi che si trovano solo a Osaka e non sono molto comuni altrove (né tantomeno in Italia), in più i personaggi che ne parlano spesso e volentieri usano anche il dialetto (uno su tutti il padre di Yakko).
Già questo è un elemento importante del contesto, che l’anime ha tradito trasportando la storia a Tokyo. Aishite Knight non è Gourmet di Jiro Taniguchi quindi il cibo non è disegnato in maniera così realistica, ma è costantemente evocato con mille cartelli appesi al ristorante, assolutamente identici a quelli che si trovano tuttora appesi nei locali tradizionali giapponesi: scritti a mano, difficili da leggere e pieni di nomi di cibi astrusi. E già questo fa tantissimo per inquadrare la nostra storia. Chi è stato in Giappone e ha mangiato in un locale tradizionale si ritroverà già in un ambiente estremamente familiare, perché il manga gli evocherà le stesse, identiche sensazioni dei locali veri, tanto da poter quasi sentire il puzzo di fritto e l’odore della salsa di soia uscire dalle pagine, così come dalle pagine esce pure l’atmosfera di Osaka e dei suoi abitanti: festosi, amichevoli, chiassosi, simpaticissimi nel loro dialetto inconfondibile che purtroppo in traduzione non rende (no, non è questo il caso dove puoi far parlare i personaggi in napoletano!) ma è perfettamente percepibile leggendo i dialoghi in giapponese. Basta pochissimo e il Mambo è già lì, coloratissimo, chiassoso, puzzolente eppure caldo, accogliente, familiare. Per mia fortuna, di “Mambo” durante i miei soggiorni in Giappone ne ho frequentati tanti, in un locale simile a questi ho anche lavorato per qualche mese, quindi alcuni termini specifici relativi al cibo li conoscevo già, per altri e per il dialetto mi sono potuto avvalere dell’aiuto di molti amici di Osaka conosciuti nel corso degli anni, che mi hanno aiutato a leggere e decifrare i malefici cartelli in modo che io potessi spiegare nel dettaglio di che tipo di cibo si trattasse anche a chi non ha idea di cosa si mangi in Giappone.
Tematica portante di Aishite Knight è lo scontro generazionale fra padre e figlia, tra tradizione e modernità, tra vecchio e nuovo, tra gli adulti che hanno vissuto la guerra e l’occupazione americana e perciò giudicano malissimo le nuove mode provenienti da quel paese che tanto aveva fatto soffrire il loro e i giovani che invece le rincorrono e le amano. Un “Kaoru Tada VS the World” in cui l’autrice in un primo momento perderà la sua battaglia contro gli adulti, che nella figura dello staff Toei trasformeranno la sua creatura in qualcosa di più consono alla loro visione tradizionalistica, ma sulla lunga distanza vincerà la guerra, dato che a distanza di quarant’anni l’anime tratto dal suo manga in Giappone non lo ricorderà più nessuno mentre il manga sarà ancora un mito underground per le giovani lettrici di allora, oggi donne adulte che ne sono ancora appassionate.
Il mezzo con cui l’autrice sceglie di raccontare il suo scontro generazionale è quello della musica, cosa che trasforma Aishite Knight in un documento storico assolutamente validissimo della scena musicale giapponese dei primi anni Ottanta. Adulti vs giovani, major vs artisti indipendenti, ma soprattutto enka vs rock. Gli enka, unico genere musicale ammesso al Mambo, sono ballad tradizionali giapponesi generalmente tristissime, dal ritmo lento, che parlano di malinconici paesaggi o amori sofferti. Un genere di esclusivo appannaggio degli adulti, che lo ascoltano nei loro locali in un circolo vizioso di tristezza – bevute – canto – tristezza – bevute – canto – repeat, ma che all’epoca di Aishite Knight aveva grande successo, come dimostrato dalla presenza di moltissimi pezzi nelle chart Oricon del periodo. Pezzi che l’autrice dimostra di conoscere bene e cita spessissimo nelle scene ambientate al Mambo o nei discorsi del padre di Yakko: li mette in sottofondo al locale, li fa canticchiare ai personaggi, usa titoli di canzoni e nomi di cantanti, in caratteri giapponesi o latini, come decorazioni per gli sfondi. Cita brani oggi famosissimi come “Fuyu no riviera” di Shinichi Mori, “Hisame” di Akio Kayama, “Yagiri no watashi” di Naomi Chiaki e moltissimo altro. Ci sono stati casi in cui una singola vignetta mi ha richiesto un intero pomeriggio di ricerche per capire cosa fossero tutte quelle scritte sullo sfondo, ho cercato su Youtube tutte le canzoni citate e per un pomeriggio è stato come essere lì, a bere alcolici, mangiare cibo tradizionale giapponese e ascoltare canzoni tristissime in compagnia di ojisan tanto ubriachi quanto simpatici. E mi sono reso conto che quest’atmosfera mi era estremamente familiare, era quella di Ryu-chan, l’izakaya di Okazaki, nella prefettura di Aichi, che ho frequentato per un anno e che mi ha insegnato, grazie ai suoi clienti sempre pronti a cantare, tutto ciò che sapevo sugli enka.
Ma ci sono stati casi anche peggiori, in cui l’autrice, non potendo citare direttamente canzoni o cantanti veri, si inventava testi o ne storpiava i nomi: ecco quindi che Hiroshi Itsuki diventa Heroshi Etsuki, che “Michinoku Hitoritabi” diventa “Okuhida Hitoritabi”, che Eisaku Okawa diventa Hosaku Okawa, e che quando l’autrice ti cita “la nuova canzone” di un cantante dal nome storpiato il tuo lavoro raddoppia, e finisci per andarti a riguardare le chart di Oricon dei primi anni Ottanta, confrontandole con le date d’uscita dei capitoli del manga, per capire quale fosse questa “nuova canzone” citata nei dialoghi. Un lavoro durissimo per il qui presente traduttore, che ha viaggiato con la mente aldilà dell’Oceano e quarant’anni indietro nel tempo, ma era necessario per poter restituire a voi lettori il preciso contesto in cui Kaoru Tada ha ambientato il suo manga, per farvi capire “Ehi, sono queste le canzoni che piacciono al padre di Yakko!”. Il mio Ryu-chan ha chiuso la scorsa estate, perciò non potrò più cantare insieme ai clienti i mille brani enka che ho imparato traducendo Aishite Knight, ma sono rimasti dentro di me, come parte delle mille cose inutili riguardanti le sottoculture giapponesi che ho imparato negli anni, e troverò sicuramente il modo di rivendermi questa conoscenza prima o poi.
Di contro, i giovani, che comprensibilmente consideravano gli enka vecchiume di poco interesse, erano invece attratti da altri generi. Nel caso di Yakko, e dunque anche di Kaoru, l’interesse è diretto verso tutta una serie di rock band indipendenti che militavano nella zona di Osaka, suonando dal vivo nei locali notturni. Non era ancora giunto per loro il momento della notorietà, non potevano apparire sui canali tv gestiti da quegli stessi adulti che li osteggiavano, né dunque potevano apparire nella versione animata di Aishite Knight da essi creata, dove il loro rock graffiante e trasgressivo è stato sostituito da brani più soft.
Discorso diverso per il manga, dove, uscita dalle puzzolenti piastre del Mambo, l’autrice può permettersi di far esplodere la sua passione per innumerevoli band indie, tutte citate continuamente, innanzitutto nella caratterizzazione dei personaggi della storia: i Beehive sono ispirati ai Novela, i Kiss Relish sono ispirati ai 44 Magnum, gli Insuu Bunkai (Scomposizione in fattori) sono un mix del reale gruppo con lo stesso nome e dei The Stalin. L’autrice conosceva personalmente tutte queste band, andava ai concerti, le supportava, era amica dei membri e li ha perciò usati come modello per i suoi personaggi. Nelle scene in cui i personaggi si esibiscono, cantano cover dei reali brani delle band che li hanno ispirati o di cui l’autrice era fan: Novela, 44 Magnum, Action, The Stalin, Presence. Qui l’autrice in un primo momento i testi se li inventa, a volte mescola tra loro brani reali che le piacciono per crearne di nuovi, a volte cita l’iconica "Fire" di Ai Takano, che chi ha visto l’anime ben conosce, ma il più delle volte, essendo amica dei membri delle varie band citate, non si fa problemi a citare nomi e cognomi e i testi così come sono. A volte i titoli sono riportati, a volte no e bisognava andare con una ricerca più approfondita, mettendo i testi su Google per risalire a quale canzone facessero riferimento. Più volte mi sono chiesto: sarebbe stato possibile tradurre un manga del genere nella maniera più corretta, senza avere Internet? Il mio pensiero è andato ai miei predecessori, ai pionieri della traduzione dei manga in Italia, e li ho rispettati molto, perché oggi basta un clic e Internet ti viene in aiuto, ma negli anni novanta come hanno fatto a regalarci i manga con cui quelli della mia generazione sono cresciuti?
Il rock non mi piace molto e, in fondo, io sono un vecchio dentro come il padre di Yakko, perciò non mi sono appassionato alle canzoni dei Beehive e dei loro rivali così come è successo con gli enka del Mambo, anche perché non sarei mai capace di cantare al karaoke i loro brani, ma la mia conoscenza delle cose inut… delle sottoculture giapponesi è aumentata ancora.
Kaoru Tada amava il rock, seguiva e conosceva personalmente tutte le band che cita, al punto che l’identificazione con la sua eroina è stata tale che se Yakko sposa il rocker Go (si può dire, dopo quarant’anni e una replica dell’anime su Italia 1 all’anno, o è spoiler?), Kaoru ha sposato, dopo la conclusione di Aishite Knight, Shigeru Nishikawa, il vocalist dei Presence, e sarebbe ancora sua moglie se non fosse scomparsa nel 1999. Leggere Aishite Knight è un viaggio in un mondo lontano nel tempo e nello spazio, fatto di live house dove si esibiscono rock band malviste dagli adulti e amate dai giovani. Non sono ancora famose, molte di esse non lo diventeranno mai e dureranno solo qualche anno prima di sciogliersi, i membri militano contemporaneamente in questo e in quel gruppo, le melodie sono graffianti, fatte di chitarre, batterie e urla, i testi sono un po’ spregiudicati (e perciò non possono diventare mainstream) ma in fondo anche loro parlano d’amore, in un modo diverso, nuovo, più libero. Era essenziale anche in questo caso ricercare tutte le canzoni eseguite dai personaggi e segnalarle con una nota, in modo che il lettore possa andarsele a ricercare su Youtube per capire meglio la scena e soprattutto il senso più intimo del manga, dove i personaggi non cantano canzoni d’amore con un ritmo in un certo senso anche melodico come nell’anime, ma pezzi più duri, e perciò risulta anche chiarissimo il punto di vista del padre di Yakko, abituato ai ritmi melodici e lenti degli enka, che vede il suo mondo invaso da questi capelloni che urlano e suonano chitarre elettriche come scalmanati, cantando di un amore più libertino rispetto a quello malinconico e vecchio stile delle canzoni tradizionali.
L’amore che l’autrice prova per la musica, per la sua città, per il suo mondo popolato dagli artisti che segue e stima è talmente grande che non si ferma nel basare i suoi musicisti disegnati su quelli veri, ma va oltre. Kaoru Tada sfrutta qualsiasi spazio possibile offerto dal manga (magliette indossate dai personaggi, libri da loro letti, titoli di film proiettati da un cinema di passaggio, cartelli appesi alla bacheca dell’università o alle pareti dei locali, i disegni dei bambini appesi alle pareti dell’asilo di Hashizo…) per inserire continui riferimenti ai fatti suoi e al suo mondo: ci fa sapere che andrà a questo o a quel concerto, fa i complimenti a questo o a quel cantante per il debutto o per l’uscita del nuovo album, inserisce infiniti aneddoti sui cantanti. Sono riferimenti estremamente specifici, spesso e volentieri scritti a mano (e perciò difficili da interpretare), scritti in piccolo e imbucatissimi all’interno delle tavole. Quando ti va bene, ti può capitare un cinema che proietta “Onna wa tsurai yo” (chiarissima parodia dell’iconica serie di film di Tora-san) o un personaggio con la maglietta con su scritto 一番 (e tu, da appassionato di wrestling, paradossalmente sai benissimo che nel 1983 c’è un personaggio con questa maglietta perché era il periodo dell’exploit di Hulk Hogan in Giappone); quando ti va male ti può capitare che l’autore del libro che legge Hashizo è il cantante di una band e il titolo del libro è una strofa storpiata di una delle canzoni di quella band diventata virale come parodia.
E’ stata questa la sfida più grande ma anche l’aspetto più bello del tradurre Aishite Knight, perché infognarmi in questo oceano di sottoculture vintage mi ha dato una visione del manga totalmente diversa, immergendomi al 100% nel contesto della sua creazione e creando un fil rouge fra me, Kaoru Tada, la Osaka degli anni Ottanta e diversi personaggi, al tempo personalità indie che cercavano di farsi un nome nel Kansai, oggi diventati artisti famosissimi. Fa tanta tenerezza vedere in un manga così vecchio un cartello dove l’autrice fa le congratulazioni per il debutto a un giovane musicista chiamato… Senri Oe, oggi uno dei pianisti jazz più quotati e famosi.
Queste piccole finestre sul mondo dell’autrice e sulla scena musicale della Osaka del tempo ci svelano anche il senso del titolo del manga, quell’ “Amami, cavaliere” che sembra non avere nulla a che fare con la storia narrata. E invece il senso c’è, perché Yakko è Kaoru e Kaoru era amica di un certo signore che faceva l’attore di rakugo, chiamato… Shofukutei Tsurube, colui che oggi è un volto famosissimo costantemente presente nella vita dei giapponesi fra tv, film, sceneggiati e miliardi di pubblicità, ma che all’epoca era il co-conduttore di un programma su una radio di Osaka, insieme a Yukinobu Nakamura, cantante folk che si occupava di creare dei testi per le melodie inviate in radio dagli ascoltatori, realizzare delle canzoni e poi mandarle in onda nel programma. Uno dei brani nati in quest’occasione porta proprio il titolo di “Aishite Knight”, e l’autrice, essendo amica di Tsurube, ha ottenuto il permesso di usarlo per il suo manga.
Come può un traduttore, italiano, trentenne, che all’epoca della pubblicazione originale del manga non era ancora nato e non era in Giappone a vivere questo contesto, raccapezzarsi in tutto questo?
Fortunatamente, qualche decennio fa, qualcuno ha inventato una rete che mette in comunicazione i computer di tutto il mondo, creando uno spazio dove si possono condividere informazioni e parlare con gente proveniente da ogni paese del mondo. Il traduttore ha quindi passato al setaccio siti, pagine di Wikipedia giapponese, gruppi nostalgici dell’era Showa su Facebook, siti ufficiali delle band, persino primitive, imboscatissime newsgroup dei primi anni 2000 alla ricerca di informazioni. Dove non arrivavano le informazioni ufficiali, arrivava la memoria storica delle fan dell’epoca, per le quali Aishite Knight è ancora oggi una serie mitica che le ha fatte avvicinare al mondo del rock. Gli otaku giapponesi tra i quaranta e i sessant’anni d’età sono una fonte inesauribile di informazioni sulle opere di cultura popolare, spesso ne sanno anche più degli autori stessi, e mi sono stati di grandissimo aiuto.
In particolar modo, un ringraziamento enorme va a Yoshie Sato, conosciuta per caso su un gruppo Facebook, che dagli anni Ottanta è una fan sfegatatissima di Aishite Knight e di tutte le band lì citate, di cui mi ha spiegato con estrema gentilezza vita, morte e miracoli, addirittura mettendomi in contatto con lo stesso Shigeru Nishikawa, vocalist dei Presence e marito di Kaoru Tada, affinché potessi chiedere anche a lui stesso di risolvere alcuni miei dubbi. Sato-san è stata estremamente felice di sapere che un manga così importante per lei stava per essere ripubblicato all’estero, tanto che non ho potuto fare a meno di incontrarla di persona per ringraziarla, la scorsa estate, quando ci siamo visti una sera a un retro-bar di Machida e abbiamo fatto un duetto al karaoke su un paio di canzoni ben note a entrambi, e a chiunque abbia visto anche solo di straforo Kiss me Licia in tv: “Fire” e “Freeway” (nella versione originale giapponese, ovviamente). I volumi che avete, o avrete, fra le mani non avrebbero mai visto la luce senza il suo fondamentale aiuto.
Pensavo di conoscere Aishite Knight, ma mi sbagliavo. “Licia”, “Mirko”, “Marrabbio”, il telefilm di Cristina D’Avena non sono Aishite Knight. In generale l’anime prodotto da Toei, anche nella sua versione originale giapponese, non lo è. Aishite Knight è questo: la storia di una ragazza appassionata di rock nella Osaka dei primi anni Ottanta. Questa ragazza a volte si chiama Yakko, a volte si chiama Kaoru, a volte è una qualsiasi delle giovani che all’epoca frequentavano le live house per vedere i concerti delle band indie e che oggi sono donne che non hanno dimenticato il loro amore di gioventù. E’ questo l’Aishite Knight che oggi viene amato e ricordato in Giappone, non il cartone animato, tanto iconico qui da noi quanto sconosciuto lì, al punto che le canzoni della serie non le trovi in tutti i karaoke. Per darvi un’idea, l’estate scorsa, al Korakuen Hall di Tokyo, mentre guardavo uno show della Big Japan Pro-Wrestling, una giapponese mi ha dato a parlare del più e del meno, per poi scusarsi dicendomi “Ma forse tu non capisci quello che sto dicendo, dato che parlo nel dialetto del Kansai, vero?”. Al mio “Sono preparato, ho tradotto in italiano Aishite Knight!” le si è illuminato il volto, ha detto che lei sin da giovane era una grandissima fan di Kaoru Tada e che dovevamo subito scambiarci i contatti e diventare amici.
E’ questo l’ Aishite Knight che ho cercato di darvi, lo spaccato di un’epoca che noi non abbiamo vissuto ma a cui oggi possiamo dare uno sguardo, grazie all’autrice che ci ha permesso di entrarvi in maniera così intima e personale. Raramente ho trovato manga in cui la presenza dell’autore fosse così forte, e questo senza nemmeno comparire in prima persona con free talk o intromettersi nelle sue stesse storie parlando coi personaggi, come fanno invece altri suoi colleghi. Kaoru Tada non ne aveva bisogno: lei è Yakko, ma è anche presente in qualsiasi cartello, sfondo, oggetto, nota musicale evocata dalle pagine della sua creatura, una creatura a cui noi Italiani siamo molto legati ma che non conosciamo veramente. Spero, con questa nuova edizione, di essere riuscito a farvela conoscere un po’ di più.
Un ringraziamento grande quanto tutto il Kansai a Yoshie Sato, a Shigeru Nishikawa, a Danny Akagi, a Mitsuhiro Samejima, il cui aiuto è stato fondamentale.