Versailles no bara - Il film: la recensione del film appena uscito in Giappone

Ritorno alle origini per Lady Oscar

di Redazione

Vi riportiamo qui di seguito una recensione con spoiler realizzata da Mario Pasqualini (Dimensione Fumetto) che ci ha gentilmente concesso le sue impressioni a caldo sulla pellicola recentemente uscita in Giappone.
 
Versailles no bara - Il film: ritorno alle origini per Lady Oscar


Due giorni fa, venerdì 31 gennaio 2025, è uscito nei cinema giapponesi il film d’animazione Versailles no bara (Le rose di Versailles, ovvero il franchise più noto in Italia con il titolo Lady Oscar), quinta incarnazione mediatica dell’omonimo fumetto di Riyoko Ikeda del 1972, che arriva dopo: il musical teatrale della compagnia Takarazuka del 1974; il film dal vivo del 1979; la serie TV animata anch'essa del 1979 (a cui è seguito un film di montaggio del 1990), e un ONA del 2014. Lo studio di produzione è MAPPA, che in 14 anni di attività si è fatto un nome producendo alcune opere di grande successo.

Il film è arrivato dopo tre anni dal suo annuncio in occasione del 50ennale del manga, ma le immagini promozionali e i trailer pian piano resi pubblici francamente non lasciavano ben sperare. Lo staff è vario, ma non particolarmente appetibile: la regista è Ai Yoshimura, che ha diretto Ao Haru Ride per Production I.G, ma a parte quello non ha un curriculum così vasto o brillante (è anche molto giovane, però); la character designer è Mariko Oka, che è un’animatrice e ha disegnato i personaggi di diverse serie, tra cui Hetalia: The Beautiful World e Ghost Hound; la sceneggiatura è di Tomoko Konparu, una super-veterana che scrive per gli anime dai tempi della prima serie di Lamù e di Occhi di gatto, paga l’affitto coi film di Sore Ike! Anpanman, e ha incrociato anche alcuni lavori di Osamu Tezuka e del World Masterpiece Theater; le attrici vocali principali sono Miyuki Sawashiro (Oscar), che ha un curriculum infinito ed è l’attuale voce ufficiale di Fujiko Mine, e Aya Hirano (Maria Antonietta) che non avrebbe bisogno di presentazioni ma vale la pena ricordare che è Haruhi Suzumiya e Konata Izumi; infine, la colonna sonora è scritta a quattro mani da Hiroyuki Sawano e Kohta Yamamoto, che già avevano lavorato per MAPPA a L’attacco dei giganti, e la sigla finale "Versailles" è cantata da Ayaka, che torna a eseguire una anisong quindici anni dopo la prima ending di Cross Game. Insomma, uno staff che va dai principianti o quasi a gente nel campo da decenni.

Il risultato finale in effetti è proprio la proiezione di questo staff: molto poco omogeneo. Versailles no bara è un film veramente apprezzabile sotto certi aspetti, e al contempo azzoppato da alcune scelte molto poco riuscite.
 
 

Attenzione: da questo punto in poi sono presenti spoiler della trama e delle scelte registiche del film.


Partiamo dai pregi: considerando che si è scelto di girare un solo unico film che raccontasse l’intera vicenda, la sceneggiatrice Konparu ha benissimo pensato di mantenere la trama esattamente identica a quella del fumetto di Ikeda, ma di scegliere e isolare una singola storyline, quella di Oscar, e ignorare tutte le altre: in questo modo il minutaggio è contenuto, la trama fila, e non si ha l’impressione che ci siano dei pezzi mancanti o – peggio – accennati ma non sviluppati. Di conseguenza, sono del tutto assenti le vicende di Jeanne e Rosalie (quest’ultima appare in un cameo), delle varie dame di corte, e tutte le sottotrame di Maria Antonietta: di fatto, noi spettatori vediamo e sappiamo solo quello che vede e sa Oscar, mentre tutto il resto ci è ignoto o al massimo sintetizzato; anche la trama successiva alla morte di Oscar è dunque tagliata via e ridotta in cartelli con didascalie che scorrono durante i titoli di coda. Per chi conosce il fumetto di Ikeda o l’anime di Nagahama e Dezaki è evidentemente una perdita di più di metà della trama, ma per chi non conosce già l’opera la narrazione del film funziona; in pratica, il film campa da solo senza fumetto, e se dovesse invogliare qualche spettatore a recuperarlo meglio ancora. Anche la recitazione è molto ben fatta: da Sawashiro e Hirano non ci si aspettava nulla di meno, ma anche i vari André (), Fersen (), Girodelle (), Alan () e gli altri sanno fare il loro mestiere. In pratica, tutti i professionisti rodati salvano il film.

È tutto il resto che non funziona. Per prima cosa, per restringere la narrazione si usano delle ellissi narrative affidate alle canzoni: il film ha ben 16 – ripeto SEDICI – canzoni originali, tutte j-pop, una come OP (The Rose of Versailles cantata da Sawashiro nel ruolo di Oscar) e una come ED (la citata "Versailles" di Ayaka), mentre le altre 14 sono a tutti gli effetti delle image song cantate dai personaggi per riassumere pezzi di trama o per comunicare i loro sentimenti in pochi minuti, il che fa di Versailles no bara un musical, anche se le canzoni non si svolgono nella realtà bensì nell'immaginazione dei personaggi che ogni cinque minuti partono per dei trip mentali musicali, praticamente dei videoclip indipendenti dal resto del film. Ora, i musical sono belli, e i musical animati sono spesso bellissimi, ma qua non si salva una sola canzone, sono tutte mezze lagne accompagnate da videoclip di dubbio gusto (alcuni anche fuori contesto storico perché in stile art nouveau, vabbé). Il j-pop ha molto da offrire, e sembra difficile che una produzione del genere per un franchise del genere non abbia trovato di meglio che questi scarti da talent show; magari si voleva ripetere l’effetto Marie Antoinette di Sofia Coppola con la scelta di musiche e immagini a contrasto, ma il risultato non è altrettanto buono.
 


Poco apprezzabile anche il chara di Oka: i disegni, che bypassano completamente Araki e Himeno, sono quasi praticamente identici a quelli di Ikeda con alcuni evidenti omaggi a illustrazioni e pose celebri del fumetto riprodotte con esattezza, ma il risultato su schermo non è altrettanto buono quanto quello su carta, perché pur di essere fedeli al fumetto le animazioni – pur accettabili – risultano fiacche e legnose. In questo le variazioni espressioniste proposte dalla serie TV del 1979 funzionavano immensamente meglio proprio perché erano pensate come immagini in movimento e non statiche, e d'altronde Dezaki è considerato un genio degli anime non a caso. L’uso massiccio della CGI non aiuta: personaggi a parte, è tutto animato in digitale (sfondi, oggetti, animali, masse di gente eccetera) e neanche particolarmente bene, e anche i personaggi hanno abiti con pattern grafici molto fitti e molto vistosi, un po’ come ne Il conte di Montecristo di Mahiro Maeda.

Va spezzata una lancia a favore dell’evidente lavoro di documentazione storica svolto dal comparto artistico: ogni poltrona, tappeto e infisso delle finestre è credibile e con tutta probabilità basato sul vero, il che genera questo effetto un po’ straniante di personaggi molto grafici in ambienti molto verosimili, che però non disturba affatto e anzi funziona. Nota di demerito per le bandiere: viene mostrato il tricolore francese nell'ordine rosso-bianco-blu (opposto a quello attuale), ma è un errore storico perché il tricolore col rosso sull'asta arrivò solo con la Prima repubblica nel 1790 (e quello col blu sull'asta solo nel 1794), dunque nel 1789 non esisteva proprio nessun tricolore; anche le coccarde hanno l’ordine dei colori inverso col rosso al centro e il blu sul bordo, chissà perché. In pratica, nel fumetto Ikeda ha usato il tricolore attuale forse per ingenuità o per mera economia grafica, giusto per mettere qualcosa di trionfale in mano a Oscar nelle illustrazioni, mentre nel film il tentativo di curare il dettaglio minuto ha prodotto un vero e proprio falso storico.
 
In conclusione, questo Versailles no bara versione 2025 non è una totale décle e ha l’indubbio vantaggio di essere un film fatto e finito, al contrario del live action di Jacques Demy che praticamente reinventava (male) la storia di Ikeda; al contempo però i suoi valori artistici, grafici e musicali sono decisamente scarsi, e gli occhi con le stesse pupille piene di stelline del fumetto sembrano alieni e inquietanti in animazione. In pratica, il film si inserisce nel filone dei remake/reboot/requalcosa che da alcuni anni sta acquistando sempre più spazio nel mondo degli anime e che fa dell’espressione “fedeltà all’originale” la sua bandiera: un’idea teoricamente buona sulla carta, ma che non sempre funziona nella realtà, perché fumetto e animazione sono media diversi, il ritmo di lettura personale e il ritmo del regista hanno tempi diversi, la pagina verticale e il fotogramma orizzontale hanno organizzazioni grafiche diverse, i sensi coinvolti sono diversi, e in generale se Dezaki ha modificato Oscar era perché certe cose funzionano solo in animazione, così come Oshii ha modificato Lamù perché certe cose funzionano solo in animazione, o Ishihara ha modificato Haruhi perché certe cose funzionano solo in animazione, ecc...

Qualche volta la fedeltà premia, qualche volta no: qua non ha premiato granché, però almeno potrebbe rendere felici i fan di mademoiselle Oscar, o perlomeno Ikeda.


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