Johatsu ovvero come sparire in Giappone e rifarsi una vita
Migliaia di persone ogni anno fanno perdere ogni traccia di sè
di Hachi194
Non tutti sono adatti o riescono a sopportare questa pressione esterna. Non tutti riescono a superare un fallimento e sono perciò sopraffatti dalla vergogna. Non tutti riescono a ribellarsi ad un sistema legislativo che fa poco per le violenze domestiche. Così si decide di sparire, di scappare, di rifarsi un'altra vita altrove. Succede ovunque nel mondo ma in Giappone il fenomeno ha un nome: johatsu ed è più facile di quello che si potrebbe pensare.
Spesso per queste persone si usa il termine "evaporate" perché è quella la sensazione che ispirano: spariscono da un giorno all'altro non lasciandosi dietro nulla, non un biglietto, non una motivazione. Le cause possono essere molteplici: debiti di gioco, mariti violenti, corsi universitari mai iniziati o mai conclusi oppure semplicemente la certezza di non riuscire più a sopportare quella vita e che l'unica speranza sia quella di ricominciare da capo.
Per molti a tutto ciò si accompagna un profondo senso di vergogna. Tanti vengono ritrovati dalla polizia o da agenzie investigative assunte dai familiari, sconvolti e preoccupati da questo improvviso allontanamento. Altri tornano spontaneamente. Ma circa 20.000 persone ogni anno spariscono nel nulla.
Com'è possibile? Nel mondo di internet dove tutti siamo registrati, è davvero ancora possibile andarsene senza lasciare traccia? In Giappone sì: nell'arcipelago infatti vigono leggi severissime sulla privacy, per cui è quasi impossibile rintracciare qualcuno che non vuole farsi trovare. Ad esempio, se una persona non dichiara presso il suo municipio dove vive, nessuno può sapere dove si trova, nemmeno il governo.
I dati personali possono essere consultati dalla polizia solo nei casi penali e le sparizioni non rientrano fra queste, essendo classificate come cause civili. Ovviamente molti per nascondersi finiscono ai margini della società, dove nessuno fa domande scomode. Esiste un mondo sotterraneo alla società giapponese in cui infiltrarsi e sparire: in grandi metropoli come Osaka o Tokyo esistono quartieri considerati ghetti dove tutto è possibile.
Sanya è uno di questi. Si trova a nord di Asakusa, vicino alla stazione della metro di Hibiya. Ufficialmente non esiste, è scomparso dalle mappe 40 anni fa, perché la sua esistenza era una vergogna per l'amministrazione. Qui un johatsu può mantenere l'anonimato, si può vivere senza documenti e si possono trovare lavoretti in quella che è un'economia locale informale che prevede il pagamento solo in contanti. Qui gli esiliati della società vivono in hotel economici o in monolocali, a volte senza servizi igienici o finestre, ma l'importante è che nessuno chiede carte d'identità o documenti governativi per affittare una stanza. Questa zona, come altre simili in altre città, è spesso gestita dalla yakuza.
Spesso sono le donne a sparire: vittime di violenza domestica, decidono di scappare portando via anche bimbi e genitori. Si avvalgono dell'aiuto delle yonige-ya, ufficialmente ditte di traslochi, ufficiosamente aziende che dietro compenso aiutano gli johatsu ad attuare la loro sparizione. Comprano cellulari usa e getta, trovano una nuova casa il più lontano possibile da quella di origine in cui trasferire il committente, si occupano di imballare tutto e di fare il vero e proprio trasloco. In molti casi tutto avviene di notte.
Le yonige-ya sono profilerate subito dopo lo scoppio della bolla economica nel 1992. Durante il periodo noto come Lost Score (1991-2010) circa 100.000 persone sono sparite ogni anno. Molti salaryman, travolti dalla vergogna per la perdita di lavoro o l'accumulo di debiti enormi, si suicidavano. Altri invece evaporavano e chiedevano aiuto alle yonige-ya.
Il johatsu però non è un fenomeno recente se si pensa che nel 1967 uscì il film "A Man Vanishes" del regista Shohei Imamura, una specie di documentario in cui il regista dopo aver scelto una delle centinaia di denunce di persone scomparse presentate ogni settimana, cerca di rintracciare l'uomo con l'aiuto della sua fidanzata.
Il fenomeno infatti si era presentato in maniera drammatica alla fine della seconda guerra mondiale, quando il paese stava collettivamente piegando la testa per la sconfitta. L'evaporazione potrebbe essere quindi considerata il nuovo seppuku, il suicidio rituale praticato un tempo dai samurai e dalle milizie di alto rango. Il Giappone è storicamente una nazione in cui si predilige l'onore e la morte alla vergogna e alla disgrazia e molti continuano a pensarla così, solo che ora scomparire senza lasciare traccia sembra un'alternativa più facile e accessibile rispetto al suicidio.
Quello che potrebbe apparire un lavoro sicuro e tranquillo come quello del salaryman a volte può rivelarsi una vera tortura. Orari massacranti e straordinari non pagati perché dovuti all'azienda per essere un buon dipendente, lunghi tragitti per andare e tornare dal lavoro, uffici in cui un collega con uno status superiore (il cosiddetto senpai) può far valere la sua carica e vessare il suo subalterno (il kohai).
Ci si aspetta infatti che i kohai mostrino deferenza verso i senpai: devono aprire loro le porte, rinunciare ai loro posti per i superiori, negli ascensori chiedere ai senpai il piano a cui stanno andando e premere i pulsanti al posto loro, alle feste versargli la birra ed essere obbligati a restare finché il senpai non dichiara che si può andare a casa.
In sostanza, è un rapporto di sottomissione che i salarymen devono sopportare per l'intero orario di lavoro e anche oltre.
La conformità in Giappone è spesso messa al primo posto: le persone sono giudicate per come si vestono, per come si comportano e per come parlano. Non si può essere se stessi, ma si deve seguire la folla. Per le donne, le office ladies, è anche peggio. Il Giappone è un paese senza leggi contro la discriminazione. I datori di lavoro possono cercare e assumere candidati in base a sesso, età, razza, religione, credo e persino gruppo sanguigno.
Le donne spesso subiscono discriminazioni e molestie sessuali sul posto di lavoro senza poter fare alcun ricorso legale. Rimanere incinta può essere motivo di licenziamento o retrocessione. Le donne sono spesso esposte alle avances sessuali degli uomini, in particolare dei manager e il più delle volte cedono per paura di ritorsioni.
Molti sono i motivi che possono spingere una persona ad un gesto estremo. La pressione può arrivare ad essere così pesante che l'unica alternativa sembra essere scappare. La fuga come unica scelta possibile. Non importa come e dove. Non importa se si lasciano familiari in balia di tormenti e dolore. Semplicemente non si regge più e tutto il resto non conta.
Fonti consultate:
Owlcation
PriOrg