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Nogizaka Haruka ha un segreto. È una akiba-kei, ossia un’otaku ossessionata da manga e anime. Essendo l’erede di una famiglia molto potente, nonché la ragazza più popolare della scuola, Haruka sa che se questo suo hobby trapelasse il suo mondo imbalsamato e sciccoso crollerebbe come un castello di carte. Ayase Yuto è un compagno di classe di Haruka che, per puro caso, scopre questo segreto.
L’incipit è di quelli che acchiappano, che fanno ben sperare in qualcosa di diverso del solito ecchi farcito di fanservice, ed infatti è così. Tratto dal light novel di Yūsaku Igarashi questa sceneggiatura avrebbe potuto davvero dar luogo a un prodotto interessante e coinvolgente. Uso il condizionale perché qua gli scivoloni compiuti sono ben tre, e sono imperdonabili, trasformando il solito ecchi in un insolito e tristissimo marasma di cretinate. Primo fra tutti il vergognoso Character Desing. Haruka è la reginetta della scuola, ha tutto quello che desidera a portata di schiocco, i ragazzi le fanno la corte e le ragazze la ammirano, è la migliore pianista del mondo (detto all’interno dell’anime), nonché ottima danzatrice, judoka, cuoca e chi più ne ha più ne metta. In pratica Haruka non è credibile. Yuto è l’ennesimo sedicenne emancipato che vive con una sorella porcellona e alcolizzate e con… la sua porno-professoressa-arrapata. Yuto è intelligente, sensibile, un po’ imbranato ma, ehi! Non nelle cose che contano. Yuto cucina, studia, manda avanti la baracca e vive in un clima di eterno erotismo restando impassibile e concentrato sulle cose che contano (lo studio) come del resto tutti i normali sedicenni farebbero vivendo con due ventenni ninfomani. Tutto questo lo rende ancora meno credibile della sua coprotagonista. A condire questo Character Design clamorosamente errato tanti personaggi-stereotipo di contorno, che puzzano di vecchio ancor prima di aprir bocca perché sai già cosa stanno per dire. La seconda caduta di stile è nell’ambientazione: barocca, decadente, colma di marmi pizzi e merletti. La casa di Haruka è sostanzialmente una piccola Versailles e si può immaginare che per pavimentare la lussuosissima scuola che i due ragazzi frequentano, Carrara sia stata rasa al suolo da un esercito di bulldozer. Insomma, nulla di ciò che si vede è credibile. Neppure l’animazione, condita da un costante riciclo di immagini (ricordi che vanno e vengono), e una key animation, Tomokazu Sugimura (non un pirla qualunque), davvero penosa.
Bene i disegni e bene i colori. Buona la luce. Stantia e ammuffita la musica, che, con l’ennesimo giro di valzer fa davvero rimpiangere Lady Oscar dove almeno il valzer aveva un suo perché. Mediocri le sigle.
Eppure in questo marasma di schifezze e cadute di stile qualcosa si salva: la trama, se non fosse soffocata da un fanservice mieloso sarebbe ancora accettabile, perché, sul serio, l’idea di base è buona. Yuto è la prima persona che non prende in giro Haruka per il suo hobby dopo averlo scoperto e questo per lei è l’inizio di una nuova e profonda amicizia, dove può rapportarsi con qualcuno senza nascondere parte di se stessa. Insomma davvero un bel concept, rovinato da tutto il resto in pratica.
E mentre sfogliando la rete in cerca di qualche novità che mi faccia ben sperare che gli anime di stampo romantico ma non mieloso, qualcosa alla Orange Road per intenderci, non siano definitivamente defunti, non mi resta che augurarmi che chi manovra la stanza dei bottoni, là in Giappone, decida di relegare Munenori Nawa (il regista di questa porcheria) a un ruolo a lui più consono, magari come attaccapanni.
Ergo: buona idea ma, pesante e stucchevole. Cinque.