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Cosa non è stato detto su Saint Seiya nell’arco di questi venti anni trascorsi dal momento in cui l’opera ha fatto la sua comparsa sugli schermi di tutto il mondo? Quante volte quest'anime è stato scomposto, analizzato pezzo per pezzo e poi ricomposto?
Eppure ancora oggi, a distanza di due decenni, siamo qui a parlarne e a discuterne, aggiungendo nuove opinioni e nuove tematiche a quelle già date in precedenza.
Ciò accade perché con Saint Seiya non è nato solo un anime con lo scopo di intrattenere, ma è nato un cult, un qualcosa che il mondo non può fare a meno di conoscere, ricordare e parlarne, questo per il semplice motivo che le avventure dei cavalieri di Athena sono anche una fonte di ispirazione, d'insegnamento e di modi di essere.

I Cavalieri dello Zodiaco (così tradotto in Italia e poi nelle varie lingue del resto del mondo) nasce dalla mente di Masami Kurumada, un giovane mangaka dei gloriosi anni d’oro dei manga in Giappone; in breve tempo la sua opera fa il giro del mondo e viene resa nota a tutti, soprattutto grazie alla trasposizione incarnata in quest'anime, anche se, forse, è un successo quasi inaspettato, dato che l’ormai consacrato maestro ha sempre affermato di preferire altre sue opere rispetto a questa che tanta fama gli ha portato; altre opere che, nonostante il rinomato genio di Kurumada, si somigliano un po’ tutte tra loro per personaggi e tematiche.

Ma come si pone il Saint Seiya anime rispetto al Saint Seiya manga? Purtroppo, mi duole ammetterlo, ma vi si pone leggermente in superiorità.
Quest'ultima affermazione potrebbe risultare, sotto certi aspetti, inesatta. Infatti, confrontando rapidamente, si può evincere che, dopo 114 episodi, del manga vi è rimasto ben poco. Procedendo quasi di pari passo con la sua controparte cartacea, gli sceneggiatori hanno scelto di seguire il filo della trama del manga soltanto per sommi capi, cambiando poi tutto il rimanente, dallo svolgersi delle battaglie fino al modo stesso di raccontare gli eventi. Non solo, vengono inseriti aspetti del passato dei protagonisti che non si erano mai visti, inoltre, ognuna delle tre saghe di cui quest’opera si compone (quella delle 12 case del Santuario, quella di Asgard e quella di Poseidone) è contornata da una miriade di personaggi <i>filler</i> (inesistenti nel manga), per la maggior parte cavalieri amici o nemici. Accade, infatti, che Kurumada abbia avuto la furbizia di creare 88 armature, tante quante sono le costellazioni, suddividendole anche in classi (oro, argento e bronzo), ma che non abbia avuto altrettanta astuzia nello sfruttarle tutte a pieno, lasciando un grande vuoto. Ma ecco che, appunto, l’anime giunge in soccorso.

Anche se la cosa può sembrare strana, la gran parte di queste “aggiunte” non dispiacciono, dato che danno all’opera quel completamento di cui, per alcuni versi, si sentiva davvero l’esigenza.
Il culmine di tutte questi “di più” si ha con la seconda saga, quella di Asgard, totalmente inventata e mai vista nel manga; infatti, dopo il successo del secondo dei quattro movie extra-serie usciti per il grande schermo, e data l'ormai confermata popolarità del cartone animato, si decise di creare da zero un’avventura dei Saint di Athena, con il sicuro scopo di allungare il brodo portando senza ombra di dubbio maggiore popolarità, più attenzione da parte dei fan e di certo maggiori guadagni sul relativo merchandising. Il risultato di per sé è anche stato positivo, in quanto quella di Asgard è una saga realizzata abbastanza bene, di certo non all’altezza di quella relativa al Santuario, ma assolutamente degna di nota, anche perché, sul finale, strizza l’occhio a quella che è la saga successiva, ricollegandosi a essa.

Insomma, I Cavalieri dello Zodiaco avevano tutti i requisiti per entrare nel cuore di ognuno di noi, e lo hanno fatto, diventando una parte di noi stessi, portandoci a imparare un’infinità di cose applicabili normalmente nella vita di tutti i giorni. Valori come l’amicizia, la giustizia e il bene ci vengono inculcati fin dall’inizio, e, durante il susseguirsi delle puntate, vengono accentuati e portati all’attenzione sempre di più; i cavalieri sono eterni, coraggiosi, indistruttibili anche nella più disperata delle situazioni, pronti a lottare per le persone da difendere e per i loro ideali fin quando l’ultimo soffio di vita alita nei loro corpi, e, perché no, sono disposti anche a morire in nome di tali obiettivi. Ci mostrano, senza dubbio, aspetti di noi stessi forse più nascosti, ma che tendono a riemergere nel vedere i nostri eroi combattere e trionfare, grazie al supporto delle loro mitologiche armature che s'ispirano alle costellazioni del cielo, con tenacia e senza riserve per il concetto di giustizia, un concetto così semplice ma così difficile da rispettare.

C’è purtroppo una grande falla in Saint Seiya: il finale, in pratica inesistente. Scemata, dopo tanto tempo, la passione per i mitici difensori, la casa di produzione Toei perse anch’essa interesse per loro, interrompendo l’anime alla fine della terza saga, quella di Poseidone, che nel manga rappresenta soltanto la seconda parte. Quella rimasta scoperta, sfortunatamente, è proprio l’avventura finale, quella di Hades, negli inferi, che conclude le vicende dei Saint. Per fortuna, dopo le sommosse dei fan, agli inizi degli anni duemila anche l’ultima saga viene trasposta sottoforma di OAV, anche se con non poche difficoltà di realizzazione.

Che dire del lato tecnico: l’opera gode del tratto di Shingo Araki, disegnatore e animatore eccellente, passato alla storia come uno dei portavoce della perfetta animazione giapponese. Nonostante questo, i disegni riescono a volte a raggiungere dei punti molto bassi, divenendo quasi irriconoscibili confrontati con quelli del maestro Araki, ma, data l’epoca, può risultare una cosa anche plausibile. Ed è proprio considerando il periodo di realizzazione che possiamo definire le animazioni innovative. Fluidità dei movimenti, quasi nessuna pecca, vivacità nelle movenze e nelle scene rendono primo su tutti Saint Seiya anche a livello tecnico.

Di solito non ne parlo mai, ma è giusto, in questa occasione, citare il doppiaggio italiano. Il suddetto è stato oggetto di migliaia e migliaia di discussioni, che sono arrivate addirittura a creare, stupidamente aggiungerei, delle fazioni di fan “in lotta” tra loro. Questo accade perché l’adattamento, affidato all’epoca al fu Carabelli, si pone in maniera del tutto alternativa rispetto a quello che è il doppiaggio originale. Trattandosi di un anime cavalleresco sotto la maggior parte degli aspetti, e considerata l’enorme libertà di adattamento di cui si disponeva all’epoca, si decise di adottare un metro aulico per dare maggiore spessore e caratterizzazione ai personaggi epici; ed ecco che li vediamo esprimere sì il concetto principale di un determinato contesto, ma adoperando un linguaggio “dell’epoca che fu”, colmo di termini non più in uso e addirittura di citazioni ai poemi italiani più famosi, uno su tutti “La Divina Commedia” di Alighieri. Fin qui pochi problemi, l’unica cosa che può far storcere abbastanza il naso riguarda la parte dell’adattamento riferita ai nomi dei personaggi e ai colpi di cui essi dispongono, stravolti completamente per aderire a quelle che erano le aspettative del pubblico di fine anni ‘80, inizio anni ’90.

In conclusione, sarebbe assurdo “consigliare” quest'opera al pubblico, piuttosto è un obbligo assoluto da assolvere per ogni appassionato di manga e anime, ma anche per coloro ai quali piace l’animazione in generale: I Cavalieri dello Zodiaco è un’opera che deve essere vista senza alcun indugio, non può assolutamente mancare nel “curriculum” di ognuno.