Recensione
Elfen Lied
3.0/10
Premessa: non conosco il manga di Lynn Okamoto, per cui la mia analisi verterà unicamente sull'anime a esso relativo. Sono dunque gradite segnalazioni, correzioni e approfondimenti in merito alle differenze tra i due media.
Analizzare questo titolo mi mette in grandissima difficoltà; per la prima volta non riesco a giustificare il suo successo fra gli 'animofili'. Ogni approccio al relativismo è inutile, di fronte a una serie a mio avviso brutta e disonesta come Elfen Lied. Brutta, perché non c'è una cosa che obiettivamente fili nella fabula e nella messa in scena della stessa; disonesta in quanto specula sulla buona fede di utenti sensibili a certi argomenti, vela di denuncia e desiderio di rivalsa scene che sono solamente erotiche e splatter.
L'incipit di Elfen Lied non è tra i più originali: il tema del mostro che si ribella ai suoi creatori è un topos della narrativa post-"Frankenstein". Sappiamo bene però che ciò che rende un'opera di qualità è l'ottica entro cui s'inquadra un tema noto. Non è il caso di quest'opera, il cui intreccio è stato gestito, a mio avviso, meravigliosamente male. Cito per maggior chiarezza un proverbio italiano: "Tre cose sono inconfutabili: storia, logica e necessità". Questi tre parametri sono carenti, a tratti assenti, nello script dell'anime in questione. Sarebbe pedante e improduttivo elencare tutte le contraddizioni in cui la trama inciampa; mi limiterò a citare una tra le più eclatanti.
Spoiler!
In uno degli episodi centrali il diclonius Nana, abbandonata al proprio destino, s'imbatte in un soldato di nome Bando. L'uomo la aggredisce senza apparente ragione e Nana nell'ordine procede a: subire insulti e pallottole in segno di obbedienza al padre, andare di matto e rispondere alle provocazioni, tornare in sé prima di fare danni, chiedere un'alleanza alla persona che, cinque minuti prima, ha tentato di ucciderla, dimenticarsene per il resto della serie.
Spoiler
I personaggi sono divisi nettamente in tre categorie: buoni, cattivi e diclonii. Nei primi si ascrivono i vari Kohta, Yuka, Miyu per l'assoluta passività con cui reagiscono alle disgrazie, senza che esse riescano a macchiare il loro improbo comportamento. I secondi sono quasi interamente rappresentati dall'esercito e dagli scienziati in quanto fautori di azioni riprovevoli. I terzi fanno razza a parte, oltre che per le neko-corna e i vettori, per la facilità con cui cambiano bandiera innumerevoli volte nel corso del singolo episodio. Tra questi il caso emblematico è ovviamente Lucy, la protagonista: si spendono molte scene forti e divagazioni sul suo passato per giustificare le sue azioni criminali, ma il prodotto di un sì atroce destino è un personaggio a due sole facce, che per metà tempo miagola come una beota nella più bassa incarnazione del termine moe, e per l'altra metà taglia decine di innocenti come i tonni di una nota pubblicità. Il pretesto che si è scelto affinché il diclonius mutasse personalità, l'amnesia, viene applicato sul modello dei cartoni animati di Hanna&Barbera e pertanto mi provoca ilarità, piuttosto che pena.
Non posso fare a meno di enunciare quel che ha suscitato in me la massima indignazione, e con ciò una valutazione così severa: la morbosità con cui si palesano le violenze e le mutilazioni. Questo ossessivo indugiare della telecamera sull'arto mozzato, sul sangue versato, sulle nudità femminili farà la felicità dei cultori del gore, ma a me è parso di pessimo gusto, considerato che il merito riconosciuto a Elfen Lied è la denuncia di ogni tipo di discriminazione e violenza. L'anime affronta (per usare un eufemismo) tematiche attualissime e pesanti e metterle alla berlina così, senza un minimo di censura, senza ricorrere a un'allegoria, è pura crudeltà nei confronti di chi ha subìto simili esperienze.
Sarò sincera: approfondendo la visione di Elfen Lied ho riscontrato tanto sadismo e un malcelato maschilismo. Le donne rappresentate o sono mostruose psicopatiche, o sgradevoli colleghe di lavoro, o angeli del focolare. Le poche scene in cui non vengono torturate o stuprate, guarda caso, le vediamo devote alle faccende domestiche, chine a servire l'uomo-padrone di turno in quelli che sono squallidissimi siparietti da harem. Gli uomini esclusi dal "cerchio magico" Kouhta-Kakuzawa-Kurama sono semplice carne da macello senza arte né parte, pertanto non possono essere oggetto di alcuna analisi.
Elfen Lied non si salva neanche sul fronte delle animazioni, indegne dell'anno di produzione, il 2004. Le scene splatter sono grossolane e non tengono minimamente conto dell'anatomia umana, i figuranti sembrano semmai gavettoni pieni di aranciata rossa. I colori sono pochi, miseri, piatti, non mutano secondo l'illuminazione riflessa, la pelle ha uno sgradevole effetto plastica. Le musiche, almeno loro, sono gradevoli e riescono nell'obiettivo di enfatizzare i presunti momenti di pathos: su tutte spicca, naturalmente, la toccante "Lilum", che si attesta a essere l'unico merito dell'anime.
Mi è stato chiesto perché mi sia ostinata a vedere Elfen Lied non una, ma ben due volte. Sono convinta che certe produzioni abbiano un effetto catartico: dopo avere visto l'abisso qualsiasi altro anime mi apparirà diverso e migliore.
Analizzare questo titolo mi mette in grandissima difficoltà; per la prima volta non riesco a giustificare il suo successo fra gli 'animofili'. Ogni approccio al relativismo è inutile, di fronte a una serie a mio avviso brutta e disonesta come Elfen Lied. Brutta, perché non c'è una cosa che obiettivamente fili nella fabula e nella messa in scena della stessa; disonesta in quanto specula sulla buona fede di utenti sensibili a certi argomenti, vela di denuncia e desiderio di rivalsa scene che sono solamente erotiche e splatter.
L'incipit di Elfen Lied non è tra i più originali: il tema del mostro che si ribella ai suoi creatori è un topos della narrativa post-"Frankenstein". Sappiamo bene però che ciò che rende un'opera di qualità è l'ottica entro cui s'inquadra un tema noto. Non è il caso di quest'opera, il cui intreccio è stato gestito, a mio avviso, meravigliosamente male. Cito per maggior chiarezza un proverbio italiano: "Tre cose sono inconfutabili: storia, logica e necessità". Questi tre parametri sono carenti, a tratti assenti, nello script dell'anime in questione. Sarebbe pedante e improduttivo elencare tutte le contraddizioni in cui la trama inciampa; mi limiterò a citare una tra le più eclatanti.
Spoiler!
In uno degli episodi centrali il diclonius Nana, abbandonata al proprio destino, s'imbatte in un soldato di nome Bando. L'uomo la aggredisce senza apparente ragione e Nana nell'ordine procede a: subire insulti e pallottole in segno di obbedienza al padre, andare di matto e rispondere alle provocazioni, tornare in sé prima di fare danni, chiedere un'alleanza alla persona che, cinque minuti prima, ha tentato di ucciderla, dimenticarsene per il resto della serie.
Spoiler
I personaggi sono divisi nettamente in tre categorie: buoni, cattivi e diclonii. Nei primi si ascrivono i vari Kohta, Yuka, Miyu per l'assoluta passività con cui reagiscono alle disgrazie, senza che esse riescano a macchiare il loro improbo comportamento. I secondi sono quasi interamente rappresentati dall'esercito e dagli scienziati in quanto fautori di azioni riprovevoli. I terzi fanno razza a parte, oltre che per le neko-corna e i vettori, per la facilità con cui cambiano bandiera innumerevoli volte nel corso del singolo episodio. Tra questi il caso emblematico è ovviamente Lucy, la protagonista: si spendono molte scene forti e divagazioni sul suo passato per giustificare le sue azioni criminali, ma il prodotto di un sì atroce destino è un personaggio a due sole facce, che per metà tempo miagola come una beota nella più bassa incarnazione del termine moe, e per l'altra metà taglia decine di innocenti come i tonni di una nota pubblicità. Il pretesto che si è scelto affinché il diclonius mutasse personalità, l'amnesia, viene applicato sul modello dei cartoni animati di Hanna&Barbera e pertanto mi provoca ilarità, piuttosto che pena.
Non posso fare a meno di enunciare quel che ha suscitato in me la massima indignazione, e con ciò una valutazione così severa: la morbosità con cui si palesano le violenze e le mutilazioni. Questo ossessivo indugiare della telecamera sull'arto mozzato, sul sangue versato, sulle nudità femminili farà la felicità dei cultori del gore, ma a me è parso di pessimo gusto, considerato che il merito riconosciuto a Elfen Lied è la denuncia di ogni tipo di discriminazione e violenza. L'anime affronta (per usare un eufemismo) tematiche attualissime e pesanti e metterle alla berlina così, senza un minimo di censura, senza ricorrere a un'allegoria, è pura crudeltà nei confronti di chi ha subìto simili esperienze.
Sarò sincera: approfondendo la visione di Elfen Lied ho riscontrato tanto sadismo e un malcelato maschilismo. Le donne rappresentate o sono mostruose psicopatiche, o sgradevoli colleghe di lavoro, o angeli del focolare. Le poche scene in cui non vengono torturate o stuprate, guarda caso, le vediamo devote alle faccende domestiche, chine a servire l'uomo-padrone di turno in quelli che sono squallidissimi siparietti da harem. Gli uomini esclusi dal "cerchio magico" Kouhta-Kakuzawa-Kurama sono semplice carne da macello senza arte né parte, pertanto non possono essere oggetto di alcuna analisi.
Elfen Lied non si salva neanche sul fronte delle animazioni, indegne dell'anno di produzione, il 2004. Le scene splatter sono grossolane e non tengono minimamente conto dell'anatomia umana, i figuranti sembrano semmai gavettoni pieni di aranciata rossa. I colori sono pochi, miseri, piatti, non mutano secondo l'illuminazione riflessa, la pelle ha uno sgradevole effetto plastica. Le musiche, almeno loro, sono gradevoli e riescono nell'obiettivo di enfatizzare i presunti momenti di pathos: su tutte spicca, naturalmente, la toccante "Lilum", che si attesta a essere l'unico merito dell'anime.
Mi è stato chiesto perché mi sia ostinata a vedere Elfen Lied non una, ma ben due volte. Sono convinta che certe produzioni abbiano un effetto catartico: dopo avere visto l'abisso qualsiasi altro anime mi apparirà diverso e migliore.