Recensione
Kiki consegne a domicilio
8.0/10
Parlare di questo lungometraggio per la sottoscritta è molto difficile perché è stato il mio secondo colpo di fulmine nei confronti di un film Ghibli dopo "Ponyo sulla scogliera" e, sempre per la seconda volta, a colpirmi è stata una delle opere di Hayao Miyazaki che i critici nostrani insistono a definire minori. A tali illuminati conoscitori dei disegni animati vorrei ricordare che "Majo no takkyubin" (questo il titolo originale) è stato per l'appunto il primo grande successo di Studio Ghibli, i cui incassi al botteghino spinsero l'azienda ad assumere animatori fissi anziché a cottimo; che dopo ventiquattro anni non ha perso un'oncia della sua bellezza o della sua efficacia, come possono testimoniare frotte di bambini partecipi e entusiasti nelle sale; che senza l'avvento di Kiki i cartoni animati giapponesi sarebbero oggi privi di streghette a cavalcioni di una scopa, di giovani nerd e di adorabili mici neri, in sostanza più tristi e vuoti.
È un titolo che spicca nella filmografia di Hayao Miyazaki, Kiki consegne a domicilio, se si prova a contestualizzarlo: tra l'anacronistico languore di "Il mio vicino Totoro" e il "divertisissement" citazionistico di "Porco Rosso", il regista se ne esce con una storia di formazione pura e cruda, ispirata al romanzo di Eiko Kadono e ambientata negli anni '50. Prende una tredicenne di campagna e la catapulta, con la sola compagnia di un gatto, in una metropoli di matrice europea caotica e pulsante. Poco importa che si tratti di una strega in apprendistato, perché nel mondo che fa da sfondo alla vicenda la magia è una capacità come un'altra per tirare a campare. Ecco un'altra anomalia: il volo, elemento cardine di Miyazaki, pur occupando gran parte della durata del film con eccelse acrobazie, ha valore semantico eccezionale nella produzione dell'autore. Non rappresenta altro che l'unico "valore aggiunto" dell' "animale sociale di nome Kiki", il suo unico talento. Se non sapesse volare la ragazzina non potrebbe fare la conoscenza della signora Osono, trovare una casa, un lavoro e quindi ambientarsi in una città in principio inospitale. Senza la magia non sarebbe in grado di parlare con Jiji, suo unico confidente. E se, con la crescita, dovesse perdere il suo dono innato, che ne sarebbe di lei?
Kiki consegne a domicilio è un film con poche ambizioni ma realizzato in stato di grazia: diverte, insegna, non si addormenta (croce di molte opere di Studio Ghibli), ha in sé il meglio dell'animazione per l'adolescenza e presenta, soprattutto, una carrellata di personaggi veri e memorabili. Non si riscontrano bianchi e neri assoluti: la stessa protagonista è preda di invidie, capricci e sbalzi di umore tipici dell'età, che la rendono meno angelicata e più simpatica rispetto all'eroina ghibliana tipica. C'è un po' di Nadia in Kiki e un po' di Jean in Tombo, nelle giuste proporzioni. Ci sono molte altre peculiarità fra gli umani che meritano di essere scoperte con la visione; forse le vere star sono gli animali, ritratti con la loro mimica corporea naturale, mai superflui. Jiji avrebbe meritato una serie tutta sua, e Jeff una parte in un lungometraggio di Oshii.
Giunta alla fine della recensione mi trovo ad emettere un verdetto e a rispondere all'inevitabile domanda: perché "solo" otto? Perché Kiki consegne a domicilio è, come accennato sopra, un film semplice, carino, diretto, che ha poco o nulla della poetica di Hayao Miyazaki e magari è il motivo per cui mi è piaciuto tanto. Non è uno spettacolo imprescindibile, di quelli che si consigliano a tutti, ma uno di quelli che ti fanno alzare dalla poltrona del cinema o del salotto con un sorriso e tanta voglia di fare: questo, nel nostro grigio, deprimente mondo, è un talento prezioso.
Nota personale sul nuovo adattamento: Lucky Red ha acquisito e tradotto il film ex-novo, epurandolo dalle storpiature dell'edizione Buena Vista. Sono state restaurate le canzoni originali sottotitolate, ripristinati i dialoghi censurati e sostituiti alcuni interpreti italiani. Se Manuel Meli ha centrato appieno il fanatismo infantile di Tombo, ho delle riserve sul timbro di Eva Padoan in quanto calza meglio su Kiki rispetto a Ursula. D'altronde Domitilla D'amico è una bravissima doppiatrice ma la sua voce è maturata troppo per la streghetta, e non si possono scindere i due ruoli. Ilaria Stagni ha superato se stessa nel ruolo di Jiji, con risultati esaltanti.
È un titolo che spicca nella filmografia di Hayao Miyazaki, Kiki consegne a domicilio, se si prova a contestualizzarlo: tra l'anacronistico languore di "Il mio vicino Totoro" e il "divertisissement" citazionistico di "Porco Rosso", il regista se ne esce con una storia di formazione pura e cruda, ispirata al romanzo di Eiko Kadono e ambientata negli anni '50. Prende una tredicenne di campagna e la catapulta, con la sola compagnia di un gatto, in una metropoli di matrice europea caotica e pulsante. Poco importa che si tratti di una strega in apprendistato, perché nel mondo che fa da sfondo alla vicenda la magia è una capacità come un'altra per tirare a campare. Ecco un'altra anomalia: il volo, elemento cardine di Miyazaki, pur occupando gran parte della durata del film con eccelse acrobazie, ha valore semantico eccezionale nella produzione dell'autore. Non rappresenta altro che l'unico "valore aggiunto" dell' "animale sociale di nome Kiki", il suo unico talento. Se non sapesse volare la ragazzina non potrebbe fare la conoscenza della signora Osono, trovare una casa, un lavoro e quindi ambientarsi in una città in principio inospitale. Senza la magia non sarebbe in grado di parlare con Jiji, suo unico confidente. E se, con la crescita, dovesse perdere il suo dono innato, che ne sarebbe di lei?
Kiki consegne a domicilio è un film con poche ambizioni ma realizzato in stato di grazia: diverte, insegna, non si addormenta (croce di molte opere di Studio Ghibli), ha in sé il meglio dell'animazione per l'adolescenza e presenta, soprattutto, una carrellata di personaggi veri e memorabili. Non si riscontrano bianchi e neri assoluti: la stessa protagonista è preda di invidie, capricci e sbalzi di umore tipici dell'età, che la rendono meno angelicata e più simpatica rispetto all'eroina ghibliana tipica. C'è un po' di Nadia in Kiki e un po' di Jean in Tombo, nelle giuste proporzioni. Ci sono molte altre peculiarità fra gli umani che meritano di essere scoperte con la visione; forse le vere star sono gli animali, ritratti con la loro mimica corporea naturale, mai superflui. Jiji avrebbe meritato una serie tutta sua, e Jeff una parte in un lungometraggio di Oshii.
Giunta alla fine della recensione mi trovo ad emettere un verdetto e a rispondere all'inevitabile domanda: perché "solo" otto? Perché Kiki consegne a domicilio è, come accennato sopra, un film semplice, carino, diretto, che ha poco o nulla della poetica di Hayao Miyazaki e magari è il motivo per cui mi è piaciuto tanto. Non è uno spettacolo imprescindibile, di quelli che si consigliano a tutti, ma uno di quelli che ti fanno alzare dalla poltrona del cinema o del salotto con un sorriso e tanta voglia di fare: questo, nel nostro grigio, deprimente mondo, è un talento prezioso.
Nota personale sul nuovo adattamento: Lucky Red ha acquisito e tradotto il film ex-novo, epurandolo dalle storpiature dell'edizione Buena Vista. Sono state restaurate le canzoni originali sottotitolate, ripristinati i dialoghi censurati e sostituiti alcuni interpreti italiani. Se Manuel Meli ha centrato appieno il fanatismo infantile di Tombo, ho delle riserve sul timbro di Eva Padoan in quanto calza meglio su Kiki rispetto a Ursula. D'altronde Domitilla D'amico è una bravissima doppiatrice ma la sua voce è maturata troppo per la streghetta, e non si possono scindere i due ruoli. Ilaria Stagni ha superato se stessa nel ruolo di Jiji, con risultati esaltanti.