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5.0/10
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C'è stato un grande sbattimento attorno a quest'anime dal titolo assai inquietante ed evocativo: "Boku Dake ga Inai Machi", ovvero "La città in cui io non ci sono". Pareri entusiastici in ogni dove, hype a mille, blog e forum gremiti di spoiler tag carichi di brio in cui innumerevoli avatar senza nome speculano facendosi dei film mentali assurdi sulla piega che prenderà la puntata successiva del beniamino modaiolo del momento. Non li biasimo di certo, in fondo, rispetto agli standard dell'animazione attuale, che pare concepita più che altro come un mezzo pubblicitario fine a sé stesso che come un media intrinsecamente valido dal punto di vista artistico e stilistico, "Boku Machi" ci fa pure una bella figura - almeno inizialmente, ma di questo scriverò più avanti. Niente moe, niente loli, niente fanservice. Pure i soliti cliché a cui ormai il pubblico attuale è abituato non ci sono - e penso proprio che il sensazionalismo creatosi attorno al titolo sia dovuto sopratutto a questo fatto, al suo atteggiarsi ad anime "non ordinario", ma "serio", "nobile" e alla portata di tutti. L'opera consiste nella storia pulita pulita di un mangaka fallito che viaggia indietro nel tempo tornando ad essere bambino per salvare alcune sue compagne di classe delle elementari da un assassino pedofilo. Mica male. Qualche musichetta strappalacrime, delle sigle empatiche, una buona regia in grado di creare alcuni momenti commoventi e tutti impazziscono. E i bambini abusati, la mamma-eroina della situazione, la "psicologia", la "società", la famiglia che viene distrutta e ricostruita. No. Purtroppo, quando si toccano certi temi scottanti, le emozioni prendono il sopravvento sulla ragione, e coadiuvate dall'istinto gregario che esalta la moda - sia essa virtuale o meno - a paradigma assoluto della socializzazione, ne vengono fuori di cotte e di crude: si rinuncia completamente a vedere le contraddizioni insite nel proprio nuovo pupillo animato - e temporaneo, siccome dopo poco tempo le mode spariscono dalla memoria di tutti - e si scrivono e dicono cose che non stanno né in cielo né in terra, arrivando a rinnegare le profonde contraddizioni e difetti dell'oggetto del proprio amore in nome di qualche fugace momento di commozione.

Eppure l'anime parte bene, sino all'ottava puntata tutto scorre liscio, sebbene non manchino alcune piccole - o grandi, dipende dall'occhio di chi guarda - imperfezioni ed incoerenze che fanno un po' storcere il naso - tanto per dire, "Boku Machi", serissimo anime che tratta di pedofilia, ci propone una scena in cui il protagonista, ventinovenne in corpo di bambino, si eccita quando la madre e la bambina Kayo, ch'egli dovrebbe salvare dall'assassino, si fanno il bagno assieme; una scena del genere in un anime che si dà tante arie si poteva di certo evitare, anche se comunque è la manifestazione più palese della grande contraddizione insita nell'opera: il protagonista di fatto è un ventinovenne che prova dell'attrazione per una bambina (!). Dal nono episodio in poi, invece, inizia il declino vero e proprio della serie. Le parti migliori del manga vengono tagliate via, alcuni personaggi spariscono - come l'inutile Airi, che prima viene salvata da un incendio, con tanto di mielosa romance giovanile già impostata, e poi torna soltanto nella puntata finale, sbucando fuori dal nulla come una talpa di un Whac-A-Mole game in attesa di una martellata in testa, coadiuvando un happy ending tanto insulso quanto forzato e tirato per i capelli. Si stende inoltre un velo pietoso sul comportamento nonsense dell'antagonista principale, che non viene affatto giustificato in quanto non c'è il tempo per caratterizzarlo e dotarlo di un passato - a quanto pare nel manga c'è un motivo dietro al comportamento dell'assassino legato ai suoi trascorsi e il suo rapporto col protagonista viene approfondito, rendendo il finale meno stridente e campato per aria. Stesso discorso vale altresì per gli altri personaggi, che nella controparte cartacea risultano più credibili e hanno meno l'aria di dei plot device ambulanti.

Se come anime che parla delle vicissitudini psicologiche e della mutua interazione tra determinati personaggi sconvolti da un passato truce "Boku Machi" fallisce in pieno, non si dimostra vincente né per quanto concerne lo spessore contenutistico che vorrebbe darsi con le sue ottime atmosfere, rivelandosi invece inconcludente - quella dell'inevitabilità/non inevitabilità del destino è una tematica che non viene affatto sviluppata, così come tutte le potenzialità del soggetto quali un'analisi della società, delle ragioni dietro alla pedofilia, e chi più ne ha ne metta -, né nella gestione dell'apparato da giallo/thriller tout court, che viene affossato da una prevedibilità disarmante nel riconoscere l'identità dell'assassino - nonostante tutte le teorie sviluppate dagli spettatori inerenti l'identità di quest'ultimo, i quali sicuramente hanno dimostrato più fantasia e coerenza degli sceneggiatori, è facile intuire sin dalle prime puntate chi ha accesso a tutte le informazioni necessarie per adescare le bambine offrendo loro dei dolci, cosa che ovviamente il protagonista col cervello di un ventinovenne in corpo di bambino non capirà mai - neanche con alcune prove quanto mai evidenti sotto il naso - a meno che non glielo dica in faccia l'assassino stesso (!!). Ciò premesso, si è altresì speculato tanto sull'origine del potere di Satoru, il cosidetto revival, un deus ex machina che gli permette di viaggiare indietro nel tempo a caso, di resettare tutto come se la vita fosse un videogioco per sopperire al suo forte ritardo mentale, che alcune volte gli impedirà di salvare una determinata bambina dallo squallido cattivone della situazione, oppure di sopravvivere ad una situazione mortale senza alcuna via d'uscita (?), che verrà utilizzata come cliffanger di un episodio e poi dimenticata - ovviamente lo spettatore non vedrà mai la risoluzione dell'evento, ma neanche col binocolo. Ebbene, questo potere in grado di permettere agli sceneggiatori di compiere le più capziose incoerenze ed inconsistenze pur di mantenere alta la suspense non verrà mai spiegato: si tratta di un plot device cliché bello e buono, a parer mio inserito per mascherare un'incapacità di fondo nello scrivere una storia (neanche nel manga il potere verrà giustificato). Insomma, "Boku Machi" usa lo stesso espediente narrativo di "Steins; Gate" - andare nel passato ripetutamente per salvare una bambina - senza fornirgli alcuna giustificazione, alla faccia del Cern, dell'effetto farfalla, delle wordline alternative e del telefono a microonde (come mi manchi, Makise Kurisu!). Il problema pertanto, tralasciando il vuoto contenutistico e gli spunti di riflessione impostati e mai sviluppati, è strutturale, e fa sembrare un titolo tanto acclamato dai più l'ennesima manovra pubblicitaria atta a sponsorizzare l'omonimo manga, una strategia commerciale che a parer mio, per i motivi elencati, si rivela meno dignitosa dei soliti moeblob che fanno il loro sporco mestiere rimanendo tuttavia coerenti con loro stessi. In "Boku Machi" manca un contesto, manca una sostanza: è facile scrivere una storia avvincente buttando fuori dalla finestra la coerenza narrativa e nascondendo le briciole sotto ad un sontuoso tappeto costituito da una confezione ben fatta e a dir poco alternativa rispetto agli attuali standard dell'animazione. A questo punto, se si è interessati all'opera, conviene ripiegare sul manga, il quale per ovvi motivi è più completo della sua trasposizione animata - "Boku Machi" avrebbe dovuto essere una serie di ventiquattro puntate, magari spalmata su due stagioni: anche la strategia di produzione si è rivelata erronea. Eppure qualche momento commovente e qualche bambina abusata fanno intenerire gli animi sino al punto di passare sopra a tutto, pertanto va bene così. La furbizia di "Boku Machi" è notevole, su tutti i fronti, sia su quello che riguarda la scrittura, sia per quanto concerne la manipolazione di determinati argomenti molto seri e scottanti che paiono inseriti soltanto per ingraziarsi il pubblico, in quanto maneggiati senza la dovuta cautela e poi lasciati per strada, a corrodere senza produrre frutto nel letame in cui sguazza l'artificiosità imperante che caratterizza il comportamento dei personaggi. E tutto questo ai miei occhi è abbastanza deplorevole.