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1.0/10
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Quousque tandem abutere, GP Publishing, patientia nostra?
Per quanto tempo ancora codesto tuo ciarpame si farà beffe di noi? A quale limite si spingerà la sfrenata tua ingordigia? Non t'accorgi che i tuoi propositi sono noti, che la tua congiura viene pregiudicata dalla conoscenza che tutti ne hanno?
Ebbene sì signori convenuti, ci troviamo riuniti in quest'aula di tribunale per giudicare un nuovo manga dal titolo di Étoile (in giapponese Étoile  francese "Stella"  Sanjūshi Seira) che, sotto la scaltra facciata di una rielaborazione de I Tre Moschettieri di Alexandre Dumas padre, rappresenta l'ennesima opera indigesta e di nullo valore artistico pubblicata sul suolo d'Italia. Ma procediamo con ordine.

Francia, prima metà del XVII secolo: Charles d'Artagnan è un giovane guascone, figlio dell'illustre Bertrand d'Artagnan capitano del corpo dei moschettieri di sua maestà il Re. O meglio, dell'allora illustre Bertrand d'Artagnan: in seguito a una oscura serie di eventi, infatti, egli viene scalzato con ignominia dall'incarico e costretto a rientrare nel suo isolato villaggio natio, dove esala l'ultimo respiro abbandonato da tutti e insultato persino sul letto di morte dal figlioletto Charles. Le motivazioni del suo odio sono riconducibili al disonore che il genitore ha lasciato abbattersi sulla famiglia, e per questo si incaponisce nel voler ripercorrere le orme paterne in direzione di Parigi e della regale divisa blu per dimostrare a se stesso di essere più valoroso del suo vecchio. Una speranza vana nonché, come Charles apprende a sue spese, frutto di una diffamazione che il suo spirito superficiale e bellicoso gli impedisce di affrontare e comprendere.
Passano comunque gli anni e un bel giorno di sole, destatosi su un covone di paglia in compagnia di alcuni individui di sesso femminile dall'età non facilmente discernibile (una scena assai simile a una celebre del film "La Maschera di Ferro" di Randall Wallace con Leonardo di Caprio), viene sfidato a duello dai gelosi fidanzati delle gentili (?) donzelle. Essendosi liberato in quattro e quattr'otto dell'incomodo, Charles si concede un bagno ristoratore nel greto di un fiume e qui incappa in una ragazza svenuta, con cui tenta delle avances che, naturalmente, non vanno a segno; dopo aver assestato una bella scarica di botte sul capo del precoce d'Artagnan, la straniera rivela di chiamarsi Constance Bonacieux e di essere fuggita dalla capitale al fine di contattare Bertrand d'Artagnan.
Constance racconta che in città la situazione si è fatta incandescente: privi di un leader dalla rigida deontologia e codice d'onore, lo squadrone dei moschettieri si sta sfasciando rovinando sotto il peso di una sanguinosa lotta fratricida per impossessarsi delle Astral Blades, lame speciali in possesso dei quarantotto moschettieri del re. Ha così inizio una rocambolesca avventura, tanto infuocata quanto breve ed effimera, che dovrebbe vedere Charles unirsi agli amici del padre, i tre inseparabili Athos, Porthos e Aramis e riunire le Astral Blades, o quantomeno far cessare le ostilità.

Al lettore attento, sia della presente recensione sia della trilogia autentica, non possono essere sfuggite un paio di cosette tutt'altro che irrilevanti: 1) Bertrand d'Artagnan non fu mai moschettiere e, soprattutto, non fu in stretti rapporti d'amicizia con gli altri tre: lo scenografo Hiroshi Izawa ricrea l'amicizia tra Charles d'Artagnan e Aramis, Athos e Porthos proiettandola in d'Artagnan senior; 2) Constance Bonacieux non è la ragazzetta moe, innocente e timidina, che compare nel fumetto, bensì è una donna sposata in legittime nozze a monsieur Bonacieux e ha con il guascone junior una relazione extraconiugale (in Étoile invece il signor Bonacieux è il fratello della donna).
Si tratta di due aspetti questi che, quantunque non bastino certo a giustificare il votaccio che noi proponiamo, servono da scorciatoia per mettere in luce la maggiore carenza di Étoile: l'assoluta insufficienza del rimaneggiamento del materiale originario, cosa che inficia il valore dell'opera in quanto essa diviene la ripetizione di nomi e avvenimenti svuotati della loro capacità narrativa.

Che la corte non si inganni: noi dell'accusa non pretendiamo di trovare in un manga un lavoro di recupero e riutilizzo di una tradizione letteraria altrui filologicamente corretto: il mondo del fumetto nipponico è l'espressione di una cultura pop, e con questo non si vuole insinuare che essa sia senza valore, tutt'altro, e noi lo sappiamo bene. Inoltre, anche I Tre Moschettieri depongono a favore della bontà degli scritti popolari: concepita come letteratura d'evasione destinata al popolino da un grande scrittore impegnato in temi ben più aulici di questi, Les Trois Mosquetaires tuttavia seppero da subito conquistarsi un posto nell'immaginario comune di mezza Europa con un'efficacia tale da essere tuttora presenti nel patrimonio culturale collettivo, tanto da costringere Alexandre Dumas, nei volumi successivi Vent'Anni Dopo e Il Visconte di Bragelonne, a occuparsi personalmente della stesura dei manoscritti quando invece I Tre Moschettieri era considerata una commercialata buona solo per racimolare fondi a cui il capo bottega prestò scarsa attenzione, delegando il lavoro ai suoi sottoposti, i quali confezionarono una bella sequela di strafalcioni (la traduzione a cura di Mondadori ha un ricco apparato di note con cui si diletta a segnalare ogni errore di datazione e i riferimenti fallati, alcuni anche atroci, nello svolgimento della storia).
In considerazione di ciò, il medium manga non è troppo svantaggiato per ripercorrere le gesta di questi impavidi; eppure, i due autori Hiroshi Izawa e Kotaro Yamada falliscono miseramente, in quanto buttano allusioni tratte da ciascun capitolo di Dumas in maniera disordinata dentro uno stesso calderone, da cui fuoriesce una massa informe che vorrebbe essere passabile e accontentare i palati moderni celando la sua vera natura di stomachevole polpettone.

Vediamo come in considerazione ai protagonisti, a partire da d'Artagnan figlio: il vero d'Artagnan è un uomo sì esuberante e irascibile, in particolare da giovane, ma qui si dà vita a un abominio sotto le sembianze di un mocciosetto impertinente ed egocentrico che odia tutto e tutti perché il signorino non vuole passare per la gavetta, no: lui, scavezzacollo sconsiderato, si aspetta che tutti siano degli invertebrati pronti a essere comandati grazie alle sue doti che nessuno può osare mettere in dubbio, nei pensieri come nei fatti.
Come dite? Esatto, si tratta di un protagonista amabilissimo.
Stendiamo qua un velo pietoso e flagelliamoci ulteriormente discorrendo di Porthos, Aramis, Athos e, en passant, di Richelieu.
Diamo per scontato che chiunque abbia un'immagine mentale, quantunque approssimativa, del personaggio interpretato da Gérard Depardieu: ecco, l'attore è perfetto per impersonare Porthos, un Golia dal cuore d'oro; in Étoile, però, egli è alto ma non eccessivamente, con una silhouette snella nonostante i dolci (tra cui degli anacronistici donuts) che ingurgita voracemente, insomma è una sottospecie non meglio identificata di bishōnen biondo, col pizzetto e una spiga in bocca a mo' di contadino, che diteci voi che c'entra perché noi, pur con tutta la buona volontà del mondo, non ci arriviamo.
Passiamo ad Aramis: adeguandosi alla consuetudine tutta giapponese di stabilire un nuovo paradigma quando una produzione estranea approda nel paese del sol levante, nel caratterizzare Aramis si segue pedissequamente il modello varato dall'anime degli anni '80 "D'Artagnan e i moschettieri del re" ottenendo un personaggio androgino che, ancora, non c'entra nulla coll'uomo d'armi prima aspirante al saio e poi effettivo ecclesiastico con un debole per le belle donne e le mani sempre in pasta negli affari (e negli intrighi) politici.
Stesso gramo destino è riservato a Richelieu: analogamente al cartone succitato, il cardinale è spogliato della sua corazza di uomo dal pugno d'acciaio ma leale e dedito al bene della nazione (l'opposto del suo successore Mazarino), una persona corretta che si rende conto delle qualità dei quattro eroi e cerca più volte di portarli dalla sua parte, anche se invano; nella rappresentazione di Izawa/Yamada, Richelieu è ridotto a una macchia, a un omiciattolo pauroso e meschino cui prudono abbastanza le mani.
Infine è il turno di Athos: Athos, o il conte de la Fère, guida spirituale dei quattro, uomo dall'occhio e dalla ragione oscurati dall'alcol in I Tre Moschettieri e poi gentiluomo rinato dalle sue ceneri come l'araba fenice in Vent'Anni Dopo; Athos, persona dall'invincibile dignità e umanità perennemente in prima linea a combattere per gli ideali in cui stoicamente crede. Ahinoi, Athos di Étoile è il tentativo più ambizioso di ridefinizione, ma anche con lui non si centra affatto il bersaglio: si prova a dare l'impressione di un essere dilaniato da enormi conflitti interiori che però sa farsi largo nella mischia a testa alta, una lettura che con parecchia misericordia da parte nostra si potrebbe pure accettare, ma non regge, non regge, e il suo ridicolo attacco "Fuoco della Sbornia" suggella lo scempio.

I singoli personaggi fanno pietà, la vicenda globale idem: cos'è che manca? Qual è la peculiarità che, in Étoile, Izawa e Yamada si son dimenticati di considerare? È l'amicizia. I Tre Moschettieri, lo si è accennato, è un romanzo d'evasione, destinato al volgo incolto e che, seppure non compaia nei migliori manuali di storia della letteratura francese, con la descrizione dell'inscindibile legame tra i quattro uomini sprezzanti del pericolo, Athos, Porthos, Aramis e d'Artagnan, ha saputo assurgere a nuovo canone del sentimento dell'amicizia, un primato di tutto rispetto poiché l'amicizia è una di quelle manifestazioni proprie dell'animo umano in ogni tempo e in ogni luogo, e con Étoile i mangaka Izawa e Yamada sono ciechi a questa visione dall'incredibile potenzialità in uno shōnen, dei cui cardini uno è, almeno nei più classici, proprio l'amicizia, e il motto "Tutti per uno, uno per tutti" rimane come una vuota epigrafe sulla cover dei libricini.

Consiglio ora alla difesa di non lanciarsi a depotenziare la nostra arringa adducendo attenuanti, vibrando: "Obiezione! (cit.) Il fumetto è stato interrotto bruscamente, non ci si poteva fare niente se non confezionare una narrazione e una conclusione traballante in soli due tankōbon", e con ciò insultare la propria intelligenza. Innanzitutto, perché, come rivela lo stesso disegnatore nei free talks conclusivi, del primo numero solo il finale è stato modificato, dunque l'incipit con d'Artagnan irrequieto è quello e continua a fare acqua da tutte le parti; e se, allo stesso modo, si volesse implorare il condono per il resto del manga, ciò non è fattibile perché esso rimane artisticamente insufficiente e uno sberleffo per il fruitore. Per di più, anche la farina del sacco degli ideatori, i.e. l'invenzione delle armi speciali, si rivela inutile, poiché da un certo punto non se ne parla più e divengono manufatti dalla destinazione ordinaria: uccidere.

L'unico comparto che si difende è forse quello grafico: di per sé, le illustrazioni non sarebbero male, soprattutto le pagine doppie contenenti le mosse delle Astral Blades che hanno una piacevole somiglianza classicheggiante nei corpi possenti e muscolosi che rappresentano le costellazioni da cui le spade attingono la loro forza, benché questi inserti siano palesemente copiati da "Saint Seiya", tuttavia rivelano una fortissima disomogeneità quasi altalenante: ovvero, il ritmo di "una pagina fatta bene, la successiva cala" a momenti è costante. Dulcis in fundo, non è possibile che in ogni ambientazione europea storica i personaggi indossino vestiti darkettoni di moda nel Giappone odierno e che le donne, ivi inclusa la regina Anna d'Austria che si scorge in un bozzetto, siano bimbette moe; ripetiamo, non si richiede una ineccepibile aderenza stilistica, ma certe libertà sono inammissibili.

A questo punto sorge spontanea la domanda: che bisogno c'era di portare Étoile nel mercato italiano? Assolutamente nessuna, se non un desiderio di cavalcare l'onda del successo alzata da un recentissimo lungometraggio per incamerare denari estorcendoli per tramite dell'ammirazione del pubblico per queste figure oramai leggendarie. È tutto qui.
E in quali modalità poi: l'edizione approntata per Étoile è addirittura quella pseudo-figa da fumetteria, con carta apparentemente pregiata e una sovraccopertina rimovibile specchi per le allodole volti a far cadere in trappola la preda sottraendole la bellezza di 5,90 euro sonanti a volumetto. Una mossa commerciale indegna, contro cui la favella nostra mai all'occorrenza esaurirebbe gli epiteti appropriati; ma, per non tediare gli astanti, preferiamo tacere con dignità, certi che il silenzio sia più eloquente di fiumi di parole, e con ciò lasciamo la parola alla corte.

Il verdetto è facile da emettere, avvocato: in virtù delle innumerevoli motivazioni addotte dall'accusa, questa corte condanna senz'esitazione alcuna il manga Étoile al voto 1 e a giacere invenduto sugli scaffali delle librerie. La seduta è tolta, andate in pace e meditate mentre tornate paghi alle vostre quotidiane faccende: quante volte ancora codesto affronto, l'indiscriminata commercializzazione di determinata fuffa, si ripeterà?